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Pubbl. Lun, 30 Ott 2023

La Corte di cassazione sui diritti di abitazione e uso

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Ilaria Travaglione
AvvocatoUniversità degli Studi di Napoli Federico II



Il presente contributo si propone di analizzare l’iter argomentativo seguito della pronuncia Cass. civ., Sez. II, Sent., ud. 22/03/2023, dep. 26/07/2023, n. 22566, sul riconoscimento dei diritti di abitazione e uso della residenza familiare anche al coniuge separato senza addebito.


ENG The aim of present opinion is to deal with the decision Cass. civ., Sez. II, Sent., ud. 22/03/2023, dep. 26/07/2023, n. 22566, on the recognition of use and dwelling rights concerning the family home, also in case of separation of the spouses, without fault.

Sommario: 1. Premessa. 2. I diritti di uso e abitazione del coniuge superstite; 3. I diritti di uso e abitazione del coniuge separato senza addebito. 4. La sentenza della Corte di Cassazione n. 22566 del 26 luglio 2023; 4.1 I fatti di causa; 4.2. I principi di diritto; 5. Conclusioni.

1. Premessa.

L’analisi dei principi enunciati dalla Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 22566 del 26 luglio 2023 – secondo cui «I diritti di abitazione e uso, accordati al coniuge superstite dall’art. 540, comma 2, c.c. spettano anche al coniuge separato senza addebito, eccettuato il caso in cui, dopo la separazione, la casa sia stata lasciata da entrambi i coniugi o abbia comunque perduto ogni collegamento, anche solo parziale o potenziale, con l’originaria destinazione familiare» – offre l’occasione per passare preliminarmente in rassegna l’evoluzione normativa e gli approdi ermeneutici più significativi in ordine alla posizione successoria del coniuge superstite, a cui l’art. 540, comma 2, c.c. riserva espressamente i diritti di abitazione della casa adibita a residenza coniugale e di uso sui mobili che la corredano se di proprietà del defunto o comuni[1].

2. I diritti di uso e abitazione del coniuge superstite.

In forza della disciplina previgente, il codice del 1942 riservava al coniuge superstite, nell’ambito della successione legittima, soltanto un diritto reale e temporaneo di usufrutto, eventualmente commutabile in rendita vitalizia, il c.d. usufrutto uxorio. Il testo originario dell’art. 581 c.c., prevedeva, infatti, al comma 1, che “Quando col coniuge concorrano figli legittimi, soli o con figli naturali, il coniuge ha diritto all’usufrutto di una quota di eredità”.

In seguito alla riforma del diritto di famiglia di cui alla Legge 151 del 1975, l’ordinamento ha, viceversa, annoverato il coniuge superstite tra i legittimari, cui spetta una quota del patrimonio del de cuius in piena proprietà, riservandogli, peraltro, un trattamento di maggior favore rispetto agli altri eredi necessari. Infatti, il comma 2 dell’art. 540, c.c. garantisce al coniuge superstite, anche quando concorre con altri chiamati, il diritto di abitazione della casa adibita a residenza familiare e di uso dei mobili che la corredano, se di proprietà del defunto o comuni.

La nuova disciplina successoria appare, dunque, concedergli un’ipertutela in funzione del mero status di coniuge superstite, in deroga al principio della intangibilità della quota di legittima previsto dall’art. 549 c.c., in quanto i suddetti diritti gli sono attribuiti indipendentemente dall’esistenza di altri interessi eventualmente prevalenti, quali quelli dei figli, e potendo gravare anche notevolmente sulla quota riservata agli altri legittimari.

I diritti di uso e abitazione, che l’art. 540, comma 2, c.c. riserva al coniuge superstite, costituiscono, infatti, ex lege oggetto di un legato. La loro titolarità viene, quindi, acquisita immediatamente al momento dell’apertura della successione, secondo la regola dei legati di specie (art. 649 c.c.)[2], prima ancora dell’accettazione dell’eredità e indipendentemente dall’esercizio di un’eventuale azione di riduzione, e non si perde con rinunzia all’eredità.

Conseguentemente, «L'automaticità dell'acquisto fa sì che, sin dall'apertura della successione, sia compresa nella comunione la sola nuda proprietà dell'alloggio. I coeredi, nudi proprietari, non hanno diritti dipendenti dal mancato godimento dell'immobile, che compete al coniuge»[3].

L’opinione dottrinale prevalente ritiene che i suddetti diritti rappresentino una quota aggiuntiva a quella di riserva; del resto, la stessa disciplina normativa prevede che tali diritti gravino prioritariamente sulla porzione disponibile e, solo qualora questa non sia sufficiente, sulla quota di riserva del coniuge ed eventualmente in via sussidiaria su quella riservata ai figli.

Anche la giurisprudenza ha, infatti, sottolineato che «in tema di successione necessaria, i diritti di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare e di uso sui mobili che la corredano, riservati al coniuge ai sensi dell’art. 540, secondo comma, cod. civ., si sommano alla quota spettante a questo in proprietà, e gravano in primo luogo sulla porzione disponibile, determinata, a norma dell’art. 556 cod. civ., considerando il valore del “relictum” (e del “donatum”, se vi sia stato) comprensivo del valore capitale della casa familiare in piena proprietà, mentre, in caso di incapienza della disponibile, comportano la proporzionale riduzione della quota di riserva del medesimo coniuge, nonché, ove pure questa risulti insufficiente, delle quote riservate ai figli o agli altri legittimari»[4].

Quanto alla natura giuridica, la prevalente elaborazione giurisprudenziale ricollega i diritti riservati al coniuge superstite dall’art. 540, comma 2, c.c., alle tradizionali figure dei diritti reali di godimento di uso e di abitazione, disciplinate dagli artt. 1021-1026 c.c.

Ciononostante, la peculiare natura mortis causa di tali diritti, in ossequio alla ratio della disciplina successoria, volta a tutelare gli interessi non meramente patrimoniali del coniuge superstite, impedisce un’integrale applicazione della disciplina dei corrispondenti diritti reali.

Allo scopo di garantire al coniuge superstite la continuità nel godimento della casa familiare, la giurisprudenza ha più volte affermato che la sussistenza di tali diritti non è subordinata alla persistenza di uno stato di bisogno del titolare, non essendo applicabile il limite di cui all’art. 1022 c.c., secondo cui “chi ha il diritto di abitazione di una casa può abitarla limitatamente ai bisogni suoi e della sua famiglia[5].

Ugualmente inapplicabile deve ritenersi la disciplina dettata in tema di usufrutto (v. art. 1026 c.c.), in ordine all’estinzione di tali diritti per prescrizione ventennale (art. 1014 c.c.) e abuso del beneficiario (art. 1015 c.c.), potendosi estinguere solo con la morte del beneficiario.

Come confermato di recente anche dalla Suprema Corte, «in dottrina si ritiene che i diritti in questione non si estinguono nemmeno nel caso di passaggio del coniuge a nuove nozze»[6].

Diversa ricostruzione ritiene, viceversa, che le stesse esigenze che hanno indotto il legislatore a riservare al coniuge superstite i diritti di uso e abitazione verrebbero vanificate dalla costituzione di una nuova famiglia.

Tuttavia, prevedere ulteriori vincoli si risolverebbe in un’arbitraria limitazione di tali diritti.

Per le medesime ragioni si esclude, altresì, che il diritto del coniuge superstite possa estinguersi qualora egli trasferisca altrove la sua residenza.

L’oggetto del diritto di abitazione è, per espressa previsione normativa, la “casa adibita a residenza familiare”.

La Corte di Cassazione ha, recentemente, stabilito che «il diritto reale di abitazione, riservato al coniuge superstite dall’art. 540, comma 2, c.c., ha ad oggetto la sola “casa adibita a residenza familiare”, e cioè l'immobile in cui i coniugi abitavano insieme stabilmente prima della morte del de cuius, quale luogo principale di esercizio della vita matrimoniale; ne consegue che tale diritto non può comprendere due (o più) residenze alternative, ovvero due (o più) immobili di cui i coniugi avessero la disponibilità e che usassero in via temporanea, postulando la nozione di casa adibita a residenza familiare comunque l’individuazione di un solo alloggio costituente, se non l’unico, quanto meno il prevalente centro di aggregazione degli affetti, degli interessi e delle consuetudini della famiglia»[7].

Presupposto normativo per l’attribuzione dei diritti in questione è, inoltre, che la casa familiare e i relativi mobili siano stati di proprietà esclusiva del defunto o comuni al momento dell’apertura della successione.

La tesi dottrinale prevalente è contraria alla configurabilità dei suddetti diritti nel caso in cui la casa familiare sia in comproprietà anche di terzi.

Anche la giurisprudenza di legittimità è concorde nel ritenere che «la locuzione "di proprietà del defunto o comuni", di cui all'art. 540, comma 2 c.c., va interpretata alla luce della ratio del diritto di abitazione e della sua stretta connessione con l'esigenza di godere dell'abitazione familiare. Il legislatore, prevedendo l'ipotesi della casa comune, si è riferito esclusivamente alla comunione con l'altro coniuge, tenuto conto che il regime della comunione è quello legale e quindi presumibilmente il più frequente a verificarsi»[8].

Ne consegue che, secondo orientamento ormai consolidato, ove comproprietario dell’immobile sia un terzo non sussistono i presupposti per il riconoscimento dei suddetti diritti, in quanto in concreto irrealizzabile l’intento legislativo di soddisfare l’esigenza abitativa del coniuge superstite «perché l'immobile appartiene anche ad estranei», né tantomeno sussiste alcuna possibilità di autonoma valorizzazione pecuniaria del diritto all’abitazione e all’uso[9].

3. I diritti di uso e abitazione del coniuge separato senza addebito.

Il legislatore, agli artt. 548 e 585 c.c., riconosce a favore del coniuge separato senza addebito i medesimi diritti successori del coniuge non separato.

Dunque, è pacifico che sia riservata una quota in proprietà del patrimonio del de cuius al coniuge superstite anche qualora tra questi e il defunto sia intervenuta separazione personale con sentenza passata in giudicato.

Non altrettanto chiaro è, tuttavia, se questi abbia, altresì, diritto di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare e di uso sui mobili che la corredano.

4. La sentenza della Corte di Cassazione n. 22566 del 26 luglio 2023

La circostanza che la legge preveda che il coniuge a cui non sia stata addebitata la separazione con sentenza passata in giudicato ha gli stessi diritti successori del coniuge non separato, ha posto all’attenzione degli interpreti la questione della riconoscibilità dei diritti di uso e abitazione della residenza familiare ai sensi dell’art. 540, comma 2, c.c., anche in favore del coniuge superstite che vivesse legalmente separato dal defunto.

La tematica è stato oggetto della recente pronuncia della Suprema Corte di Cassazione n. 22566 del 26 luglio 2023, la quale, superando il precedente arresto giurisprudenziale, ha chiarito che «I diritti di abitazione e uso, accordati al coniuge superstite dall’art. 540, comma 2, c.c. spettano anche al coniuge separato senza addebito, eccettuato il caso in cui, dopo la separazione, la casa sia stata lasciata da entrambi i coniugi o abbia comunque perduto ogni collegamento, anche solo parziale o potenziale, con l’originaria destinazione familiare».

Allo scopo di meglio chiarire e comprendere gli approdi ermeneutici della Suprema Corte di Cassazione, occorre, innanzitutto, brevemente passare in rassegna la vicenda fattuale e processuale oggetto della pronuncia in commento.

4.1 I fatti di causa.

In seguito alla morte del de cuius, avvenuta in data 12 dicembre 2005, e all’apertura della successione legittima in favore del coniuge superstite e di tre figli, il Tribunale di prime cure riconosceva la natura indivisibile dell’immobile ereditario, disponendo che la divisione dovesse avvenire mediante vendita.

La Corte d’Appello confermava la sentenza di primo grado, rilevando che le parti avevano prestato acquiescenza al capo relativo all’indivisibilità dell’immobile, e negava la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento in favore del coniuge superstite del diritto di uso e abitazione sull’immobile stesso.

La Corte territoriale fondava il proprio convincimento sulla base della considerazione che al coniuge superstite fosse attribuibile lo status di coniuge separato già a partire dal febbraio 2005 e, in ogni caso, che questi aveva lasciato la residenza familiare già nel 2004 e che non era stata fornita la prova della ripresa della convivenza.

La sentenza veniva impugnata, tra l’altro, per violazione degli artt. 540, comma 1, 150, comma 2, 157 e 193 c.c., per aver la Corte d’Appello disconosciuto il diritto di uso e abitazione sull’immobile al coniuge superstite attribuendo alla ricorrente lo status di coniuge separato, nonostante non fosse tale al momento della morte del de cuius, essendo stati emessi fino a quel momento soltanto i provvedimenti presidenziali provvisori, i quali non hanno l’effetto anticipatorio di attribuire ai coniugi la qualità di coniugi separati.

Inoltre, il coniuge superstite censurava la sentenza per non aver la Corte d’Appello riconosciuto rilevanza alla ripresa della communio coniugalis.                                                              

4.2. I principi di diritto.

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 22566 del 26 luglio 2023, ha cassato la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di merito, affinché, in diversa composizione, riesamini il materiale probatorio alla luce delle seguenti argomentazioni.

La Suprema Corte, innanzitutto, rileva che la Corte d’Appello avrebbe erroneamente attribuito alla ricorrente lo status di coniuge separato, nonostante la causa di separazione giudiziale fosse ancora in corso al momento della morte del de cuius, essendo intervenuti solamente i provvedimenti presidenziali provvisori, i quali non consentono ancora di riconoscere ai coniugi la qualità di coniugi separati.

Al di là di tale rilievo, i giudici di legittimità evidenziano un contrasto ermeneutico in ordine alla questione da sempre dibattuta della riconoscibilità dei diritti di uso e abitazione della residenza familiare ai sensi dell’art 540, comma 2, c.c., anche in favore del coniuge superstite che vivesse legalmente separato dal defunto.

Da un lato, si è evidenziato in dottrina che lo stato di separazione non impedisce il riconoscimento dei diritti sulla casa familiare a favore del coniuge superstite, in quanto la legge riconosce al coniuge separato senza addebito gli stessi diritti successori del coniuge non separato, all’art. 548 c.c.

Viceversa, tale principio non è condiviso da quella parte della giurisprudenza di legittimità che ravvisa nella separazione personale un ostacolo insormontabile al sorgere dei diritti di uso e di abitazione, essendo impossibile individuare, a seguito della stessa, una "casa adibita a residenza familiare", per tale dovendosi intendersi unicamente la casa di residenza comune al momento dell'apertura della successione.

Infatti, se “per le ragioni esposte, il diritto di abitazione (e il correlato diritto d'uso sui mobili) in favore del coniuge superstite può avere ad oggetto esclusivamente l'immobile concretamente utilizzato prima della morte del de cuius come residenza familiare, è evidente che l'applicabilità della norma in esame è condizionata all'effettiva esistenza, al momento dell'apertura della successione, di una casa adibita ad abitazione familiare; evenienza che non ricorre allorché, a seguito della separazione personale, sia cessato lo stato di convivenza tra i coniugi[10].

Diverse ricostruzioni qualificano, invece, come casa familiare l’ultima che fu di residenza comune, anche se in un tempo precedente all’apertura della successione, ovvero quella che fu comune ai coniugi e in cui il superstite continui ad abitare alla morte del de cuius.

Con la recente pronuncia n. 22566 del 26 luglio 2023, la Corte di legittimità, nel superare il precedente orientamento, pur ammettendo l’opportunità di una chiarificazione legislativa, afferma che il riconoscimento dei suindicati diritti non è necessariamente subordinato all’effettiva esistenza di una casa adibita a residenza familiare al momento dell’apertura della successione, e pertanto non è escluso nell’ipotesi di separazione legale dei coniugi.

Infatti, da un lato, la convivenza non è presupposto per il riconoscimento dei diritti di uso e abitazione in capo al coniuge superstite, e dall’altro l’art. 548 c.c. parifica i diritti successori del coniuge separato senza addebito a quelli del coniuge non separato.

Pertanto, «I diritti di abitazione e uso, accordati al coniuge superstite dall’art. 540, comma 2, c.c. spettano anche al coniuge separato senza addebito».

In base a questa ricostruzione ermeneutica, i presupposti per il riconoscimento dei suddetti diritti vengono meno soltanto nel «caso in cui, dopo la separazione, la casa sia stata lasciata da entrambi i coniugi o abbia comunque perduto ogni collegamento, anche solo parziale o potenziale, con l’originaria destinazione familiare».

A nulla rileva, pertanto, che il coniuge superstite si sia allontano dalla casa familiare, lasciandoci vivere l’altro, in quanto in tal caso i presupposti oggettivi per l’attribuzione dei diritti di uso e abitazione continuerebbero a sussistere.

I giudici di legittimità ritengono, dunque, che non si possa escludere il riconoscimento di tali diritti per il sol fatto che il coniuge superstite abbia abbandonato la casa coniugale, e anche indipendentemente dalla circostanza che l’abbandono sia o meno giustificato. Infatti, «Non si può rimettere al giudice della successione un accertamento di colpa che le legge prende in considerazione - all’effetto di escludere la vocazione ereditaria e, con essa, il diritto di abitazione sulla casa familiare - solo quando sia intervenuto in contraddittorio con l’altro coniuge, in un giudizio definito prima dell’apertura della successione».

5. Conclusioni

In conclusione, la Suprema Corte, con il recente approdo ermeneutico, superando il precedente orientamento giurisprudenziale, evidenzia che la separazione dei coniugi, anche di fatto, non impedisce il riconoscimento dei diritti di uso e abitazione in capo al coniuge superstite separato senza addebito, salvo che, dopo la separazione, la casa sia stata lasciata da entrambi i coniugi o abbia comunque perso ogni collegamento, anche solo parziale o potenziale, con l’originaria destinazione familiare.


Note e riferimenti bibliografici

[1] Per un corretto inquadramento sistematico dell’istituto si vedano: F. GAZZONI, Manuale di Diritto Privato, XX ed. 2021, Edizioni Scientifiche Italiane, 473 ss.; F. BOCCHINI, E. QUADRI, Diritto privato, 6° ed. 2106, Giappichelli Editore, 1340 ss.; A. TRABUCCHI, Istituzioni di diritto civile, 44° ed. 2010, CEDAM, 442 ss.; F. CARINGELLA, L. BUFFONI, Manuale di diritto civile, XII ed. 2022, DIKE Giuridica, 2011 ss.; G. CHINÈ, M. FRATINI, A. ZOPPINI, Manuale di diritto civile, X ed. 2018/2019, NELDIRITTO EDITORE, 436 ss.

[2] Cassazione, sentenza n. 12042/2020; Cassazione, Sezioni Unite, n. 4847/2013.

[3] Cassazione, sentenza n. 12042/2020; Cassazione, Sezioni Unite, n. 4847/2013.

[4] Cassazione, sentenza n. 9651 del 19 aprile 2013.

[5] Cassazione, sentenza n. 12042/2020; Cass. n.6231/2000; n. 2263/1999; Corte d’Appello di Cagliari, 26 settembre 2005; Tribunale di Palermo, 13 giugno 2003.

[6] Cassazione, sentenza n. 12042/2020; Cassazione, Sezioni Unite, n. 4847/2013.

[7] Cassazione, sentenza n. 7128 del 10 marzo 2023; Cassazione, sentenza n. 12042/2020; Cassazione n.4088/2012.

[8] Cassazione, sentenza n.29162 del 20 ottobre 2021.

[9] Cassazione, sentenza n. 15000/2021.

[10] Cfr. Cass. n. 13407/2014; n. 15277/2019.