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Pubbl. Lun, 2 Ott 2023

Public e private enforcement antitrust: analisi e prospettive di sviluppo nei mercati digitali

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Francesco Conte



L´avvento rapido della trasformazione digitale nei mercati ha sollevato nuove sfide per la concorrenza. La Commissione Europea sta affrontando questa situazione attraverso interventi regolatori per adeguare le norme antitrust al contesto digitale. In tale situazione emergono due approcci cruciali: il Private Enforcement, che permette a vittime di violazioni antitrust di ottenere risarcimenti, e il Public Enforcement, che assicura il rispetto delle regole di concorrenza da parte delle grandi piattaforme digitali. L´articolo si propone di analizzare in profondità l´importanza del Private e Public Enforcement nei mercati digitali, svelando le specificità di entrambi e il loro impatto sulla vitalità della concorrenza, con l'obiettivo di creare un ambiente digitale equo e dinamico.


ENG

Public and Private antitrust enforcement: analysis and development prospects in digital markets

The rapid advent of digital transformation in markets has raised new challenges for competition. The European Commission is addressing this situation through regulatory interventions to adapt antitrust rules to the digital context. In this situation two crucial approaches emerge: Private enforcement, which allows victims of antitrust violations to obtain reparations, and public enforcement, which ensures compliance with competition rules by large digital platforms. The article aims to analyze in depth the importance of private and public enforcement in digital markets, revealing the specificities of both and their impact on the vitality of competition, with the aim of creating a fair and dynamic digital environment.

Sommario: 1. Premessa; 2. Public e Private enforcement nella tutela della concorrenza; 2.1 L’evoluzione legislativa del Public e Private enforcement; 3. L’influenza dei mercati digitali e la regolamentazione dell’Unione Europea; 3.1 Il regolamento europeo sui mercati digitali: il Digital Markets Act (DMA); 3.2 Il regolamento europeo sui servizi digitali: il Digital Services Act (DSA); 3.3 Il regolamento europeo sull’intelligenza artificiale (IA); 4. Considerazioni finali.

1. Premessa

L'avvento rapido della digitalizzazione nella società e nell'economia ha dato luogo a nuove sfide per la concorrenza, specialmente con lo sviluppo dei mercati digitali. L'emergere di poche aziende dominanti, capaci di monitorare e controllare il comportamento dei clienti e dei concorrenti, ha sollevato preoccupazioni riguardo alla concentrazione di potere e alla possibilità di influenzare le politiche di domanda e offerta di beni e servizi digitali. Di fronte a questo mutato contesto di mercato, il quadro normativo esistente ha rivelato alcune limitazioni, evidenziando la necessità di adottare nuove misure regolatorie per affrontare le sfide della digitalizzazione e garantire una sana concorrenza.

A tale scopo, la Commissione Europea ha avviato uno studio approfondito per elaborare una serie di interventi normativi volti a rivedere i paradigmi antitrust attuali, che sembrano meno adatti nel contesto digitale. L'obiettivo principale di queste misure è stabilire norme più chiare e adeguate a garantire il corretto funzionamento della concorrenza e la tutela del mercato interno, favorendo l'emergere di nuovi operatori e proteggendo gli interessi dei consumatori.

Nel contesto digitale, le tradizionali teorie antitrust possono risultare inadeguate a fronteggiare le sfide poste dalla concentrazione di potere nelle mani di pochi giganti del settore. L'approccio normativo deve evolvere per tener conto delle specificità del mercato digitale e delle nuove dinamiche competitive che ne derivano. Questo implica una revisione delle politiche antitrust esistenti e l'adozione di nuovi strumenti regolatori in grado di affrontare questioni complesse come la gestione dei dati, le interconnessioni tra piattaforme digitali e la prevenzione degli abusi di posizione dominante.

Le misure proposte dalla Commissione Europea mirano a garantire una maggiore trasparenza e accessibilità dei dati, promuovendo la portabilità dei dati tra diverse piattaforme e consentendo una maggiore interoperabilità tra i servizi digitali. Inoltre, si prevedono regole più stringenti per prevenire pratiche anticoncorrenziali, come l'utilizzo di dati esclusivi per limitare l'accesso dei concorrenti al mercato.

La protezione dei nuovi operatori e dei consumatori è una delle principali preoccupazioni di queste nuove misure normative. Ciò implica la necessità di stabilire un equilibrio tra l'incoraggiamento all'innovazione e all'entrata sul mercato di nuovi attori e la salvaguardia dei diritti dei consumatori, garantendo loro scelte genuine e informate. Inoltre, è essenziale promuovere la competitività e l'accesso equo al mercato digitale, evitando situazioni di dipendenza da un numero limitato di grandi piattaforme.

In tale contesto, riveste un ruolo cruciale il “doppio binario” del sistema di valutazione e controllo delle intese anticoncorrenziali, fondato dal private enforcement e dal public enforcement. Il private enforcement permette alle vittime di violazioni antitrust, come le start-up o le piccole imprese, di ottenere un risarcimento per i danni subiti a causa di pratiche anticoncorrenziali poste in atto dai giganti digitali. Questo può essere particolarmente importante in un ambiente in cui le aziende dominanti hanno una notevole capacità di influenzare il mercato e ostacolare l'ingresso di nuovi concorrenti. Il public enforcement, invece, è fondamentale per garantire che le regole della concorrenza siano rispettate e per contrastare eventuali abusi di posizione dominante da parte delle grandi piattaforme digitali. Le autorità antitrust devono essere in grado di indagare e sanzionare efficacemente le pratiche anticoncorrenziali nel mondo digitale, in modo da preservare un ambiente di mercato equo ed equilibrato.

Nell'ambito delle attuali discussioni sulla regolamentazione della tecnologia, assistiamo dunque a un'affascinante divergenza di opinioni su quale modello seguire.[1]

Il mio contributo si prefigge l'obiettivo di scrutare con attenzione l'inequivocabile rilevanza del private e del public enforcement nei mercati digitali, svelando le peculiarità di entrambi e il loro impatto sul dinamismo della concorrenza. Attraverso una minuziosa analisi, mi addentrerò nelle sfide uniche che i mercati digitali pongono alla corretta applicazione delle normative antitrust, esplorando le soluzioni possibili per salvaguardare i diritti dei consumatori e dei concorrenti, con l'ardua missione di plasmare un ecosistema digitale equo e intraprendente. Nel corso di questa indagine, mi impegnerò a tracciare nuove e originali piste di riflessione affrontando le sfide inedite (ed emergenti) che l'evoluzione tecnologica ci riserva.

2. Public e Private enforcement nella tutela della concorrenza

La tutela della concorrenza all'interno dei mercati economici rappresenta uno dei pilastri fondamentali su cui si è basato il federalizing process europeo. Questo processo, attraverso l'armonizzazione dei principi costituzionali, ha trovato una solida convergenza tra gli Stati membri, consolidando così la costruzione di un'entità federale europea.[2]

Il ruolo centrale della concorrenza come principio giuridico nell'intera struttura del diritto comunitario originario sembra attribuirgli uno status di rango “costituzionale” all'interno dell'Unione emerso chiaramente non solo attraverso i presidi istituzionali concreti introdotti a livello comunitario, ma anche grazie ai continui riferimenti che le diverse Carte fondamentali hanno fatto a questo principio nel corso del processo di integrazione europea.[3]

Nonostante la mancata menzione esplicita della concorrenza nell'attuale formulazione dell'articolo 3 del Trattato sull'Unione europea (TUE), la sua centralità nell'architettura dell'Unione rimane immutata. Questo è stato confermato dal Protocollo n° 27 dedicato al mercato interno e alla concorrenza, che afferma che “il mercato interno ai sensi dell'articolo 3 del Trattato sull'Unione europea comprende un sistema che assicura che la concorrenza non sia falsata (…) a tal fine l’Unione adotta, se necessario, misure in base alle disposizioni dei Trattati, ivi compreso l’art. 352 TFUE”.[4]

L'origine del diritto antitrust può essere rintracciata storicamente nel secondo dopoguerra, con il suo sviluppo negli Stati Uniti e il successivo adattamento nel contesto europeo.[5]

Malgrado le diversità dei principi nei due sistemi normativi, è universale tra gli studiosi l'obiettivo delle norme antitrust sia quello di vietare e sanzionare comportamenti dannosi per la concorrenza, come gli abusi di posizione dominante e le intese restrittive al fine di proteggere il corretto funzionamento dei mercati per il benessere della collettività.

La trattazione riguardante il sistema di tutela della concorrenza può essere suddivisa in due principali approcci: il public enforcement e il private enforcement. I due approcci presentano notevoli differenze nei due contesti concorrenziali, principalmente a causa delle diverse finalità e dei soggetti coinvolti.

Nel primo caso, le autorità pubbliche svolgono un ruolo centrale nell'applicazione delle norme antitrust, agendo con poteri autoritativi per garantire il buon funzionamento del mercato e la protezione degli interessi pubblici. Questo tipo di approccio si avvale della collaborazione tra la Commissione Europea, la Corte di Giustizia, le Autorità nazionali antitrust e i giudici nazionali che applicano direttamente le norme di diritto antitrust europeo. A livello nazionale, l'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM)[6] e il giudice amministrativo sono i principali attori del public enforcement.

Dall'altro lato, il private enforcement riguarda le azioni promosse dai soggetti privati, quali imprese concorrenti o consumatori, che agiscono davanti al giudice ordinario al fine di ottenere il risarcimento dei danni subiti a causa di comportamenti anticoncorrenziali o di richiedere misure inibitorie. Questo approccio mira a tutelare gli interessi privati e individuali, senza coinvolgere la collettività nel suo complesso.

2.1 L’evoluzione legislativa del Public e Private enforcement

Nel contesto della tutela della concorrenza e del mercato, abbiamo assistito a un'evoluzione significativa del rapporto tra i due sistemi di enforcement, che è stato plasmato sia dall'intervento del legislatore europeo che dalle pronunce della Corte di giustizia.[7] Questo processo ha segnato diverse fasi di cambiamento, portando a una maggiore rilevanza il private enforcement rispetto al public enforcement.

1) Inizialmente, il Regolamento n° 17 del 1962 ha assegnato alla Commissione europea una competenza esclusiva nell'applicazione delle normative sulla concorrenza, con un potere centralizzato che ha incluso la concessione di esenzioni tramite notifiche individuali. Tuttavia, con l'adozione del Regolamento n° 1 del 2003, abbiamo assistito a vera e propria “modernizzazione” delle regole sulla concorrenza: si è verificato un decentramento di alcuni poteri alle autorità e ai giudici nazionali, mentre la Commissione ha mantenuto una supervisione attiva.[8]

2) Una tappa importante è rappresentata dalla Direttiva n. 104/2014, recepita nell'ordinamento italiano con il d.lgs. 19 gennaio 2017, n. 3, la quale ha introdotto norme di armonizzazione delle regole processuali nazionali con il fine di rafforzare il private enforcement e migliorare le azioni di risarcimento del danno, assicurando una tutela omogenea in tutti gli Stati membri.

La Direttiva presenta una doppia finalità nell'ambito dell'azione per il risarcimento del danno antitrust: i) in primo luogo, essa mira a promuovere un approccio complementare tra azione pubblica e privata per garantire l'efficacia delle norme europee sulla concorrenza. Questo si traduce nella possibilità per la Commissione e le Autorità nazionali di perseguire un'applicazione rigorosa e coerente delle regole antitrust a livello pubblico. Al contempo, i soggetti danneggiati hanno la facoltà di agire in sede civile per ottenere il risarcimento dei danni subiti a causa delle pratiche anticoncorrenziali. Questo duplice approccio mira a rafforzare la tutela della concorrenza e dei diritti degli individui, garantendo una maggiore deterrenza e un'effettiva riparazione dei danni; ii) in secondo luogo, la Direttiva intende superare le sfide che i soggetti danneggiati devono affrontare per ottenere un pieno risarcimento del danno subito. Essa riconosce che la complessità delle norme e delle procedure può rappresentare un ostacolo per coloro che cercano giustizia, e pertanto si impegna a semplificare e rendere più accessibile il processo di risarcimento. Questo obiettivo, già sollevato nel Libro Verde del 2005, dimostra l'attenzione del Legislatore europeo verso la necessità di garantire un reale accesso alla giustizia per i soggetti danneggiati.

Tuttavia, è fondamentale sottolineare che, nonostante i passi avanti significativi compiuti dalla Direttiva n. 104/2014, rimangono sfide e questioni aperte. Ad esempio, la concreta attuazione delle azioni collettive può variare tra gli Stati membri e la direttiva stessa ha lasciato una certa discrezionalità nella sua implementazione. Inoltre, il bilanciamento tra la tutela della concorrenza e altre politiche pubbliche, come l'innovazione e lo sviluppo economico, richiede una riflessione costante e approfondita.

3) Infine, si sottolinea la Direttiva n° 1 del 2019, adottata l'11 dicembre 2018 e recepita a livello nazionale tramite il Decreto Legislativo n. 185/2021[9], la quale ha operato una trasformazione sostanziale nel quadro istituzionale, conferendo all'Autorità garante della concorrenza un rafforzamento notevole delle sue prerogative nell'affrontare le questioni relative alle intese restrittive e agli abusi di posizione dominante. Tale processo ha determinato un'espansione significativa delle competenze assegnate all'Autorità, migliorando la cooperazione e il coordinamento tra esse e la Commissione europea (c.d. European Competition Network), ed evidenziando il costante impegno verso una maggiore efficacia nell'assicurare una concorrenza sana e bilanciata nel contesto economico.

L'obiettivo è stato quello di raggiungere un'armonizzazione ancora maggiore delle regole di applicazione delle norme antitrust e garantire una maggiore coesione nel perseguire gli obiettivi di tutela della concorrenza all'interno del mercato unico europeo.[10]

Questo progresso è finalizzato a fornire loro strumenti di applicazione adeguati e a creare uno spazio comune di applicazione delle norme sulla concorrenza, contribuendo così alla realizzazione di un autentico mercato unico e promuovendo l'obiettivo globale di mercati competitivi e favorevoli all'occupazione e alla crescita, pur garantendo il rispetto dei diritti fondamentali delle imprese coinvolte.

Il pacchetto minimo di strumenti comuni fornito alle Autorità Nazionali della Concorrenza (ANC) è finalizzato a garantire l'autonomia e l'imparzialità delle loro azioni nell'applicare le norme antitrust dell'UE, escludendo qualsiasi interferenza da parte di enti pubblici o privati. Inoltre, è essenziale che le ANC dispongano delle risorse finanziarie e umane necessarie per svolgere il proprio lavoro con efficacia e indipendenza.

Una delle importanti novità introdotte dalla direttiva riguarda i programmi di trattamento favorevole coordinati, che incoraggeranno le imprese a denunciare l'esistenza di cartelli illegali presentando prove al riguardo. Questa strategia mira a migliorare la collaborazione tra le imprese e le autorità garanti della concorrenza e a rafforzare la motivazione generale delle imprese a partecipare a tali programmi e a dichiarare la loro partecipazione a un cartello. Tuttavia, la direttiva sottolinea anche l'importanza dei diritti fondamentali delle imprese e obbliga le autorità a rispettare, nell'esercizio dei loro poteri, le garanzie che tutelano adeguatamente tali diritti, conformemente alla Carta dei Diritti Fondamentali dell'UE. Questo aspetto è cruciale per garantire un equilibrio tra l'effettiva tutela della concorrenza e il rispetto dei diritti delle imprese coinvolte nelle indagini antitrust.

In conclusione, l'evoluzione del rapporto tra public e private enforcement ha rappresentato una tappa cruciale nel migliorare l'efficacia e l'efficienza della tutela della concorrenza e del mercato nell'Unione Europea. Questo progresso ha contribuito a creare un quadro normativo più armonizzato e a rafforzare il ruolo dei giudici nazionali nella promozione di un ambiente competitivo e favorevole alla crescita economica.

3. L’influenza dei mercati digitali e la regolamentazione dell’Unione Europea

Un'ultima riflessione di rilievo si concentra sull'evoluzione dinamica del public e del private enforcement, nonché sulla loro interconnessione strategica nel costante mutamento del mercato digitale.

In tale contesto, emergono nuove sfide e questioni cruciali riguardanti l’espansione delle grandi imprese (c.d. Big Tech) e delle piattaforme online (c.d. Gatekeepers) che dominano il mercato digitale e, talvolta, influenzano anche i mercati tradizionali.

Le Big Tech o, meglio, le gigantesche società tecnologiche che dominano l'attuale panorama digitale, costituiscono un fenomeno di straordinaria rilevanza nell'ecosistema tecnologico e socio-economico contemporaneo. Queste colossali entità, spesso identificate con nomi come Google, Amazon, Facebook, Apple e Microsoft, non soltanto hanno ridefinito il modo in cui interagiamo con la tecnologia, ma hanno anche gettato le basi di un nuovo paradigma economico e culturale.

Le piattaforme digitali, invece, fungono da interconnessioni vitali, collegando produttori e consumatori, facilitando l'accesso a servizi e prodotti in maniera rapida e agevole.

Tuttavia, questa magnificenza digitale è accompagnata da una serie di implicazioni fondamentali. Da un lato, queste realtà influenzano la dinamica della concorrenza: la loro portata potrebbe limitare l'ingresso di nuovi concorrenti, ostacolando l'innovazione e le opzioni a disposizione dei consumatori. Questo ruolo di gatekeepers può generare preoccupazioni relative al potenziale abuso di posizione dominante.

Dall'altro lato, le Big Tech sono custodi di un immenso tesoro di dati personali, suscitando interrogativi sulla privacy e sulla sicurezza. La loro influenza nell'ambito della diffusione delle informazioni ha riacceso dibattiti sulla responsabilità delle piattaforme nell'affrontare notizie false e contenuti inappropriati.

In tale contesto, gli enti regolatori e le istituzioni sono chiamati a un delicato gioco di equilibrio. Da un lato, devono preservare l'innovazione e la competitività, garantendo che l'accesso al mercato non venga ingiustamente limitato. Dall'altro lato, devono vigilare sulla corretta gestione dei dati, proteggendo la privacy e promuovendo la sicurezza online. L'obiettivo è quello di sviluppare un quadro normativo dinamico e flessibile che possa adattarsi alle mutevoli sfide e opportunità del mondo digitale, con il mantenimento dei valori democratici e dei diritti individuali quale pilastro fondamentale del “costituzionalismo digitale (o tecnologico)”[11].

A causa di queste sfide, nonché dei rischi associati all'uso di intelligenza artificiale, l'Unione Europea ha avviato un processo di definizione di un nuovo quadro normativo caratterizzato da tre proposte di regolamentazione elaborate per affrontare i problemi emersi: il Digital Markets Act (DMA)[12], il Digital Services Act (DSA)[13] e il regolamento sull'intelligenza artificiale.

Questi regolamenti hanno lo scopo di introdurre nuovi principi, diritti, obblighi e rimedi per garantire una maggiore supervisione e controllo sulle imprese e sulle piattaforme digitali. [14]

3.1 Il regolamento europeo sui mercati digitali: il Digital Markets Act (DMA)

Con l'introduzione del Digital Markets Act (DMA), il diritto europeo della concorrenza si arricchisce di nuove forme di tutela, prevalentemente ex ante, con l'obiettivo di favorire mercati digitali più aperti, equi e competitivi. Queste nuove misure non entrano in conflitto con quelle già esistenti, ma si integrano con esse in modo complementare, creando un approccio sinergico per affrontare le sfide dei mercati digitali. Il regolamento mira a consentire alla Commissione di intervenire preventivamente, con rimedi strutturali e correttivi, in mercati caratterizzati da scarsa concorrenzialità o in cui le piattaforme, specialmente quelle più grandi, potrebbero adottare comportamenti problematici, per i quali un intervento successivo ai sensi degli artt. 101 e 102 del TFUE potrebbe rivelarsi insufficiente o non perseguibile. Questo nuovo approccio avrà un impatto significativo sui rapporti tra public e private enforcement, con possibili riflessi sulla garanzia dei diritti di difesa e contraddittorio.

La Commissione detiene un ampio spettro di poteri esecutivi e sanzionatori, che spaziano dalla comminazione di multe all'adozione di provvedimenti cautelari, senza trascurare la possibilità di concordare impegni con le imprese coinvolte. Nel caso di trasgressioni sistematiche degli obblighi regolamentari, che possano intensificare la posizione del gatekeeper all'interno del mercato, la Commissione può adottare misure correttive di natura comportamentale o addirittura strutturale. I giudici nazionali hanno la possibilità di richiedere informazioni e pareri alla Commissione, nonché di trasmettere le sentenze relative all'applicazione del Dma.

Questa struttura altamente centralizzata è stata concepita con l'obiettivo di assicurare un'applicazione rigorosa del regolamento, evitando disparità interpretative e garantendo un quadro normativo uniforme all'interno del vasto panorama del mercato unico digitale europeo.

Il Digital Markets Act (DMA) ha come ulteriore obiettivo la tutela bilanciata dei diritti dei consumatori e il mantenimento di un ambiente di mercato dinamico, prevenendo l'abuso di posizioni dominanti e agevolando la diversificazione degli operatori e la promozione di una concorrenza sana e leale. Inoltre, il regolamento si basa su una prospettiva di natura costituzionale che valorizza il benessere dei consumatori, l'efficienza economica e l'uguaglianza nell'accesso ai servizi digitali. L'approccio costituzionale e l'attenzione alla concorrenza sana costituiscono pilastri fondamentali del DMA, il quale impone obblighi specifici ai gatekeeper per garantire un mercato digitale più aperto e competitivo. Si cerca di evitare che il numero di piattaforme digitali si riduca ulteriormente, prevenendo così il rischio di ulteriori concentrazioni di potere.

Fondamentalmente, i fini (dichiarati) del DMA si sovrappongono, o almeno si intrecciano strettamente, senza risultare veramente “diversi” dagli obiettivi intrinseci del diritto della concorrenza.[15]

Nonostante l'obiettivo positivo di proteggere i consumatori e promuovere la concorrenza, il quadro normativo del DMA presenta ancora alcuni aspetti che potrebbero necessitare di ulteriori perfezionamenti in futuro per garantire la sua efficacia senza sovrapporsi alle norme antitrust già esistenti. L'approccio ex ante adottato dal DMA, che prevede obblighi preventivi, è diverso dall'approccio ex post della normativa antitrust, che si basa su analisi caso per caso. Questa differenza potrebbe comportare sfide riguardanti la chiarezza dei criteri e dei requisiti stabiliti.

Inoltre, in un panorama in cui si stagliano le sfide dei cosiddetti Big Data, emergono questioni cruciali che intersecano i territori della competizione economica e della tutela dei dati personali.

Le imponenti piattaforme, quali i gatekeeper, aggregano vaste quantità di informazioni dai consumatori, consentendo loro di influenzare i prezzi e talvolta ingegnare barriere alla sana concorrenza. Qui, l'equilibrio tra la legittima acquisizione dei dati personali e la promozione di un ambiente di competizione aperta assume una centralità ineludibile, garantendo l'accesso al mercato anche per le possibili controparti delle Big Tech.

La spinta all'innovazione su una traiettoria sostenibile richiede una trasparenza commisurata nell'ambito delle pratiche di profilazione dei dati. Tuttavia, l'attuale affidamento sui consensi degli utenti appare in taluni frangenti insufficiente per salvaguardarne integralmente i diritti. Pertanto, occorre investigare approcci più incisivi volti a assicurare una condivisione equa dei dati e a promuovere una competizione equanime nell'ecosistema digitale.

Al tempo stesso, il DMA deve incanalare sforzi significativi nel navigare le correnti delle tecnologie dell'intelligenza artificiale, le quali possono ulteriormente rinforzare le fondamenta della supremazia delle grandi piattaforme. Una riflessione circostanziata e rapida su questa materia è di fondamentale importanza per operare scelte illuminate in un contesto in continuo mutamento.

Un'ulteriore sfida consiste nell'armonizzare le diverse proposte normative, quali quelle che si riferiscono ai servizi digitali, ai mercati digitali e all'intelligenza artificiale. Una sinergia più stretta tra tali iniziative normative potrebbe concorrere a un quadro legislativo più coerente ed efficace.

Dal punto di vista sanzionatorio, si profila l'importante necessità di trovare un equilibrio tra l'efficacia delle misure punitive e l'incitamento all'innovazione tecnologica. Le sanzioni delineate dal DMA dovrebbero adeguarsi e proporzionarsi alle violazioni commesse, senza però smorzare l'impulso all'evoluzione del mercato.

In sintesi, il DMA si erge a pietra miliare, abbracciando l'aspirazione a un mercato digitale equo, dinamico e ispirato all'innovazione. Tuttavia, per concretizzare l'ambizione di una competizione salutare e di uno sviluppo tecnologico equanime nell'ambito digitale, è imperativo affrontare con audacia le complessità identificate e implementare soluzioni progressiste e incisive.

3.2 Il regolamento europeo sui servizi digitali: il Digital Services Act (DSA)

Il Digital Services Act (DSA), entrato in vigore il 16 novembre 2022, rappresenta un passo cruciale nella regolamentazione del mercato digitale all'interno dell'Unione Europea. Questo regolamento, attraverso una struttura articolata e approfondita, stabilisce una serie di norme comuni che si applicano ai servizi intermediari nel contesto del mercato interno. Oltre a definire doveri e obblighi di trasparenza, informazione, gestione dei reclami e delle segnalazioni, il DSA ha un obiettivo di fondamentale importanza: migliorare i meccanismi per la rimozione dei contenuti illegali e garantire una tutela efficace dei diritti fondamentali degli utenti online.

Un aspetto di particolare rilievo del DSA è l'introduzione di un controllo pubblico più stringente nei confronti dei fornitori di piattaforme online di dimensioni considerevoli e dei motori di ricerca online di grandi dimensioni. Questa misura mira a garantire una maggiore tutela degli utenti e a gestire i rischi sistemici in modo proporzionato attraverso l'adozione di obblighi supplementari e audit indipendenti.

L'attenzione del DSA si concentra anche sulla progettazione delle interfacce, prescrivendo misure per attenuare i rischi e promuovendo maggiore trasparenza fin dalla fase di sviluppo. Tuttavia, è nel contesto del controllo e della vigilanza sulle piattaforme online di grandi dimensioni che emergono le disposizioni dell'articolo 56 del DSA. Qui, i poteri esclusivi per la vigilanza e l'applicazione del regolamento sono conferiti direttamente alla Commissione europea, sebbene in stretta cooperazione con gli Stati membri.

L'architettura regolamentare del DSA si articola ulteriormente, soprattutto nell'ambito della Governance dei Servizi Digitali. Qui, accanto al principio della competenza territoriale, emerge la rilevanza della dimensione aziendale, misurata dal numero di utenti forniti. Questa sfumatura enfatizza l'approccio orientato alle dimensioni aziendali in relazione agli obblighi fissati dal regolamento.

Nel quadro del sistema sanzionatorio, il DSA prevede un sistema cooperativo tra le autorità competenti a livello nazionale e il Comitato europeo per i Servizi digitali. Queste figure collaborano strettamente per garantire un'applicazione coerente delle norme, scambiando informazioni e conducendo indagini con l'obiettivo di assicurare il corretto funzionamento del mercato interno.

Infine, è meritevole di nota il ruolo cruciale svolto dalla Commissione europea, che non solo svolge attività di monitoraggio e vigilanza, ma ha anche la responsabilità di qualificare le piattaforme online di grandi dimensioni e di avviare indagini su di esse. Questo ruolo proattivo si traduce nell'adozione di misure provvisorie e nell'imposizione di sanzioni, tutte tese a garantire l'efficacia e la conformità al DSA.

Una figura centrale in questa struttura è il Comitato europeo per i servizi digitali, un organismo consultivo indipendente composto dai coordinatori dei servizi digitali, presieduto dalla Commissione con funzioni di consulenza e coordinamento. Questo comitato, sebbene senza diritto di voto, assume un ruolo cruciale nell'assicurare l'applicazione coerente e la cooperazione efficace tra coordinatori dei servizi digitali e la Commissione stessa. Le sue competenze spaziano dall'emissione di pareri, raccomandazioni e consulenze, all'assistenza nelle vigilanze sulle piattaforme online di grandi dimensioni e alla promozione di norme, orientamenti e codici di condotta europei, sottolineando l'obiettivo di un mercato digitale ben regolamentato e coerente.

Tale comitato, aperto all'invito di altre autorità nazionali, esperti e osservatori, è un centro di cooperazione e sinergia, fungendo da ponte tra diverse istituzioni e organismi dell'Unione Europea. Tra le sue responsabilità, spicca il coordinamento delle indagini congiunte e l'analisi delle relazioni e dei risultati delle revisioni di piattaforme online di dimensioni considerevoli, contribuendo in modo significativo all'applicazione coerente del DSA. In caso di disaccordi su valutazioni o misure proposte, il comitato può sottoporre la questione alla Commissione, garantendo un sistema di controllo e revisione rigoroso.

Parallelamente, il DSA prevede organi di risoluzione extragiudiziale delle controversie, certificati dai coordinatori dei servizi digitali. Questi organismi offrono ai consumatori una modalità alternativa di risoluzione delle controversie, tutelando i diritti degli utenti in un ambiente digitale in rapida evoluzione. Va sottolineato che tali organi non hanno il potere di imporre decisioni vincolanti, garantendo così un equilibrio tra le parti coinvolte.

Un'altra figura di rilievo è quella del segnalatore attendibile, individuo o ente che dimostra competenza nella lotta ai contenuti illegali online. Questi segnalatori, riconosciuti dai coordinatori dei servizi digitali, rappresentano una pietra angolare nella lotta contro il contenuto illegale, contribuendo all'efficace attuazione delle disposizioni del DSA.

Infine, i fornitori di piattaforme online di grandi dimensioni devono sottoporsi a revisioni indipendenti, valutando la loro conformità agli obblighi stabiliti dal regolamento. Queste revisioni, condotte a spese dei fornitori stessi, garantiscono un meccanismo di controllo aggiuntivo che contribuisce alla responsabilità e all'adempimento delle disposizioni del DSA.

L'insieme di queste figure e meccanismi crea un'architettura regolamentare sofisticata, finalizzata a garantire una governance coerente, trasparente ed efficace del mercato digitale, tenendo in considerazione gli interessi di tutte le parti coinvolte, dalla Commissione alle autorità nazionali, dai consumatori ai fornitori di piattaforme. Tale struttura riflette il costante impegno dell'Unione Europea nel plasmare un ambiente digitale sano, sicuro e rispettoso dei diritti dei cittadini.

In sintesi, il Digital Services Act offre un quadro regolatorio che coinvolge attivamente gli Stati membri, ma al contempo mira all'armonizzazione delle norme a livello europeo.

3.3 Il regolamento europeo sull’intelligenza artificiale (IA)

Il 14 giugno 2023 è stata un'importante data per il Parlamento europeo, poiché ha dato il via libera all'Artificial Intelligence Act, un regolamento storico che mira a governare l'Intelligenza Artificiale (IA) nell'Unione Europea con rispetto verso i diritti e i valori fondamentali. Questa è la prima iniziativa normativa di tale portata nel campo dell'IA e la sua approvazione definitiva da parte dell'Unione Europea è attesa entro la fine dell'anno.

Esso si discosta in parte dai contesti del Dma e del Dsa. Nell'intelligenza artificiale, infatti, ci troviamo di fronte a un settore ancora in fase di maturazione, e la sua regolamentazione è appena agli esordi. Questa peculiarità richiede una cautela particolare, poiché il rapido sviluppo del settore potrebbe rendere le regole obsolete o, al contrario, eccessivamente rigide, bloccando l'innovazione.

La proliferazione dei sistemi di intelligenza artificiale introduce una serie di vantaggi considerevoli, ma simultaneamente svela prospettive rischiose senza precedenti. Di conseguenza, le fresche disposizioni normative, plasmate dal principio di proporzionalità, fissano le linee guida minime affinché i sistemi di intelligenza artificiale possano agire nell'ambito europeo. Questi requisiti vengono calibrati sulla base del livello di rischio connesso a ciascun sistema, suddivisi in quattro categorie: rischio inaccettabile, rischio elevato, rischio limitato e rischio minimo o nullo. Ciascuna categoria comporta obblighi di conformità specifici e misure di sicurezza, a seconda del livello di rischio.

L'attuazione di tale regolamento è devoluta agli Stati membri, i quali dovranno attenersi sia nella fase di integrazione dei sistemi di intelligenza artificiale all'interno dei loro ordinamenti, sia in merito al funzionamento dei meccanismi di valutazione del rischio, sia prima che dopo l'adozione. In tal fine, ciascun Stato membro dovrà designare un'autorità specifica, responsabile per la notificazione delle decisioni, e tale ente, a sua volta, sarà tenuto a selezionare organi indipendenti per la revisione della conformità dei sistemi alle norme e agli obblighi posti dal regolamento. Questi organi di valutazione devono operare con indipendenza e competenza, in modo da garantire la chiarezza e l'assenza di conflitti di interesse.

In linea di massima, una valutazione di conformità è prescritta prima che un sistema di intelligenza artificiale possa essere immesso sul mercato, ma il regolamento concede agli Stati membri la facoltà di derogare da tale disposizione in circostanze eccezionali, a motivo di questioni di sicurezza pubblica, protezione della vita e salute umane, tutela ambientale o preservazione di asset industriali e infrastrutturali. Tuttavia, tali eccezioni temporanee dovranno essere notificate alla Commissione e agli altri Stati membri.

Il regolamento conferisce alle autorità competenti un assortimento di poteri allo scopo di garantire sorveglianza e controllo, comprendente l'accesso a tutti i dati e informazioni rilevanti, come ad esempio i dataset utilizzati per l'addestramento e la convalida dei sistemi di intelligenza artificiale.

Al fine di promuovere cooperazione, coordinamento e condivisione delle migliori prassi a livello europeo, il regolamento dà origine al Comitato europeo per l'intelligenza artificiale, composto da delegati degli Stati membri e della Commissione. Inoltre, si auspica l'istituzione di un archivio europeo dei sistemi di intelligenza artificiale ad elevato rischio, gestito dalla Commissione, dove tali sistemi dovranno essere registrati prima di essere introdotti sul mercato o utilizzati.

Infine, le autorità competenti sono dotate di capacità sanzionatorie, in accordo con le disposizioni stabilite da ciascun Stato membro e in linea con i criteri e le soglie definite dal regolamento, previo avviso alla Commissione.

Tra le disposizioni chiave dell'AI Act, vi è il divieto di categorizzazione biometrica basata su caratteristiche sensibili come sessualità, genere, razza o etnia. Questi divieti sono essenziali per prevenire la discriminazione e tutelare i diritti umani.

Tuttavia, una panoramica critica delle dinamiche in atto risulta ineludibile.

In primis, emerge un aspetto di notevole rilievo: la proposta di regolamento mostra una certa inerzia nell'adeguarsi alle mutevoli realtà dell'intelligenza artificiale. La classificazione dei diversi sistemi in categorie di rischio sembra inevitabilmente destinata a evolvere, come già contemplato dalla stessa proposta. Il rischio è che il quadro normativo, basato su un modello di gestione del rischio, possa risultare limitato nella sua adattabilità alle trasformazioni che caratterizzeranno questa disciplina.

Inoltre la normativa non affronta in modo esauriente le implicazioni sostanziali legate alla responsabilità per i danni causati dall'intelligenza artificiale.

In tale contesto, sebbene il regolamento europeo sull'intelligenza artificiale rappresenti un passo significativo nel contesto geopolitico, rimane una sfida sostanziale nel garantire una tutela completa dei diritti fondamentali e dei valori europei. Una prospettiva più centrata sulla sostanza, con soluzioni innovative per la responsabilità, il flusso dei dati e la tutela contro la discriminazione, potrebbe contribuire in modo più incisivo a creare un quadro normativo che affronti con successo le complessità dell'intelligenza artificiale nell'era digitale. Questo sforzo, se opportunamente intrapreso, potrebbe rappresentare un importante passo avanti verso una regolamentazione completa e ponderata di questo campo.

4. Considerazioni finali

La complessa interazione tra public e private enforcement nel contesto del mercato digitale costituisce un ambito di studio e riflessione fondamentale per comprendere l'evoluzione delle dinamiche concorrenziali in un mondo sempre più caratterizzato dalla digitalizzazione e dall'emergere dell'intelligenza artificiale.

In un'epoca dominata dall'algocrazia[16] , ci troviamo ad essere governati da un'autorità unica e impersonale: l'algoritmo. L'evoluzione tecnologica accelerata, alimentata dall'intelligenza artificiale, ha introdotto nuove sfide e opportunità tanto nel contesto democratico quanto in ambito economico-concorrenziale, richiedendo una risposta adeguata e bilanciata da parte di entrambi i sistemi di enforcement.[17]

Da un lato, il public enforcement assume un ruolo di supervisione e controllo, cercando di anticipare e prevenire eventuali abusi di posizione dominante, pratiche anticoncorrenziali o altre forme di comportamenti scorretti nel mercato digitale. L'intelligenza artificiale stessa può diventare un alleato nella sorveglianza delle attività online, consentendo alle autorità di individuare modelli di comportamento che potrebbero danneggiare la concorrenza.

Dall'altro lato, il private enforcement nel mercato digitale può essere visto come un meccanismo di “controllo dal basso”, in cui le imprese e i consumatori colpiti direttamente da pratiche anticoncorrenziali o dannose possono intraprendere azioni legali per ottenere risarcimenti. Qui, l'intelligenza artificiale può anche svolgere un ruolo nel raccogliere e analizzare dati per supportare la raccolta di prove e la valutazione del danno subito.

Tuttavia, l'interazione tra enforcement pubblico e privato nel contesto digitale non è priva di sfide. La natura globale e decentralizzata del mercato digitale può rendere più complessa l'individuazione dei soggetti responsabili e la giurisdizione competente per l'applicazione delle leggi. Inoltre, l'uso crescente dell'intelligenza artificiale solleva interrogativi sulla responsabilità legale e sulla valutazione della causalità nel caso di decisioni automatizzate che possono influenzare la concorrenza.

In questo scenario, è essenziale un approccio sinergico e coordinato tra i due sistemi di enforcement, in modo da garantire una tutela efficace della concorrenza e dei diritti dei consumatori nel contesto digitale. La condivisione di informazioni, le linee guida comuni e la cooperazione internazionale possono contribuire a superare le sfide e a massimizzare l'impatto positivo di entrambi i modelli di enforcement.

Un elemento di estrema importanza concerne inoltre la potenziale manifestazione di fenomeni di “bullismo”[18] da parte delle piattaforme digitali Over The Top le quali, avvalendosi della loro posizione predominante, potrebbero tendere a stabilire rapporti di potere squilibrati con consumatori e aziende, facendo leva su clausole contrattuali limitanti e instaurando relazioni di dipendenza economica. In aggiunta, le piattaforme potrebbero assumere comportamenti da “predatori”, acquisendo le start-up più promettenti (fenomeno delle killer acquisitions) e, in tal modo, ostacolando la nascita di possibili concorrenti.[19]

Affrontare questi problemi richiede un'adeguata regolamentazione per bilanciare il potere di queste grandi aziende, senza però soffocarne la capacità di innovazione.

In conclusione, dobbiamo affrontare con determinazione le sfide dell'era digitale, cercando un equilibrio tra regolamentazione e innovazione. È essenziale creare un ambiente favorevole alla competizione e alla nascita di nuovi concorrenti, preservando al contempo i valori democratici e la libertà di espressione nella nostra società digitale in continua evoluzione.

Note e riferimenti bibliografici

[1] Sul tema si veda L. TORCHIA, I poteri di vigilanza, controllo e sanzionatori nella regolazione europea della trasformazione digitale, in Rivista Trimestrale di Diritto Pubblico, 2022, 1101; E. CHITI E B. MARCHETTI, Divergenti? Le strategie di Unione europea e Stati Uniti in materia di intelligenza artificiale, in Riv. reg. mercati, 2020, 29 ss.; A. SIMONCINI, La co-regolazione delle piattaforme digitali, in Rivista Trimestrale di Diritto Pubblico, 2022, 1031; O. POLLICINO, I codici di condotta tra self-regulation e hard law: esiste davvero una terza via per la regolazione digitale? Il caso della strategia europea contro la disinformazione online, in Rivista Trimestrale di Diritto Pubblico, 2022, 1053.

[2] B. CARAVITA DI TORITTO, M. CONDINANZI, A. MORRONE E A. POGGI, Dove va l’Europa? Percorsi e prospettive del federalizing process europeo, in Federalismi.it, 2019, 5.

[3] D. PORENA, Rilievi ed osservazioni, in prospettiva costituzionale, sul D. Lgs. n. 3/2017 (attuazione della Direttiva 2014/104/UE in materia di “antitrust private enforcement”). Il ruolo della giurisdizione nazionale: dalla soggezione del giudice soltanto alla legge alla soggezione del giudice alla legge...ed alla Autorità antitrust?, in Federalismi.it, 2018, 3; B. CARAVITA DI TORITTO, Il fondamento costituzionale della concorrenza, in Federalismi.it, 17 aprile 2017, 2; G. M ROBERTI, La dimensione europea della politica di concorrenza, in Federalismi.it, 2012, 6 ss.; F. MUNARI, Le regole di concorrenza nel sistema del Trattato, in A. TIZZANO (a cura di), Il diritto privato dell'Unione Europea, in Trattato di diritto privato, diretto da M. BESSONE, Torino, 2006, 1451 ss.

[4] L'articolo 352 del Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea (TFUE) riveste un ruolo di particolare rilevanza nel panorama giuridico della tutela della concorrenza dell'Unione Europea, offrendo una sorta di strumento flessibile che consente di far fronte a situazioni in cui i trattati non prevedano disposizioni specifiche. Si tratta, in un certo senso, di una “clausola di flessibilità” che permette all'Unione di agire anche in ambiti non contemplati in maniera esplicita dai trattati stessi. Una sorta di baluardo contro l'inerzia normativa in un contesto di evoluzione e cambiamento costanti. L'art. 352 stabilisce che “Se un'azione dell'Unione appare necessaria per conseguire, nell'ambito delle politiche dell'Unione, uno degli obiettivi definiti nei trattati, e i trattati non hanno fornito i poteri di azione necessari, il Consiglio, su proposta della Commissione e previa approvazione del Parlamento europeo, deliberando all'unanimità dopo aver consultato la Corte di giustizia, adotta le disposizioni appropriate. L'articolo 218, paragrafo 9, del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea è applicabile a tali decisioni.” Questo articolo assume un ruolo di riserva, intervenendo in modo eccezionale nei casi in cui siano necessari interventi urgenti e cruciali per raggiungere gli obiettivi stabiliti nei trattati, ma in cui non vi siano poteri specifici attribuiti all'Unione per agire. Si può dire che l'art. 352 sia come una sorta di “extrema ratio” che permette all'Unione di superare momentaneamente i limiti dei suoi poteri istituzionali per evitare un'impasse normativa. È interessante osservare che l'uso dell'art. 352 è stato storicamente limitato, e ciò è in parte dovuto alla sua complessa procedura di attivazione. La necessità di un accordo unanime tra gli Stati membri, insieme alla consultazione della Corte di giustizia e all'approvazione del Parlamento europeo, rende il processo decisionale piuttosto oneroso e complicato. Questa rigida procedura è stata pensata per evitare abusi e garantire che l'uso dell'art. 352 sia limitato a situazioni eccezionali e ben motivate. In sintesi, l'art. 352 del TFUE rappresenta un'ancora di flessibilità all'interno di un sistema giuridico dell'Unione Europea che, sebbene altamente codificato, deve adattarsi ai mutamenti e alle sfide emergenti nel corso del tempo. La sua funzione di colmare lacune normative e di consentire all'Unione di agire in mancanza di poteri specifici è un esempio di come il diritto dell'Unione sia intrinsecamente dinamico e adattabile, pur mantenendo solide garanzie procedurali e istituzionali.

[5] Sul tema si veda in particolare M. F. CRISPINO, Il diritto antitrust tra Stati Uniti e Unione Europea, in iusinitinere.it, il 26 aprile 2019. Nell'ambito di questo saggio, l'autore si immerge in un'analisi approfondita dei sistemi antitrust sia statunitense che europeo, per esplorare le intricate trame normative che li caratterizzano. L'obiettivo principale di questo saggio è quello di scavare a fondo nelle radici, negli sviluppi storici e nelle significative divergenze che emergono tra questi due mondi normativi, i quali, sebbene possano sembrare paralleli in alcune sfaccettature, si dimostrano essere profondamente differenziati nella loro concezione e applicazione. La comparazione tra questi due sistemi non solo evidenzia i contrasti nei modelli normativi, ma mette in luce anche l'impatto di tali differenze sulle dinamiche di applicazione e sulle direzioni future dell'antitrust sia negli Stati Uniti che in Europa. Questa tendenza portò all'emanazione dello Sherman Act nel 1885, che vietava accordi restrittivi e pratiche monopolistiche. Tuttavia, il quadro normativo era inizialmente generico e fu successivamente integrato dal Clayton Act nel 1914, mirato a contrastare le concentrazioni, e dal Robinson Act, che estese i divieti dello Sherman Act alla discriminazione dei prezzi. Parallelamente, emerse la teoria della rule of reason, secondo cui le restrizioni del mercato dovevano essere valutate in base a ragionevolezza, consentendo restrizioni solo se compensavano con effetti pro-concorrenziali. Solo per le restrizioni hardcore era prevista una presunzione di illegalità. Il diritto antitrust europeo, invece, ha origine nel Trattato che istituiva la Comunità Europea nel 1957, con l'obiettivo di garantire una concorrenza non falsata nel mercato interno. La concorrenza era vista come strumento per il miglioramento della qualità della vita e l'integrazione economica. Le differenze storiche tra i due contesti hanno portato a divergenti approcci normativi. Negli Stati Uniti, l'antitrust si è focalizzato sul rimedio alle restrizioni della concorrenza, mentre in Europa è stato un mezzo per l'integrazione politica ed economica, senza tralasciare la competizione con le imprese extracomunitarie. Queste distinzioni hanno influenzato la dinamica tra enforcement privato e pubblico. Negli Stati Uniti, l'enforcement privato è stato prominente, mentre in Europa è stato integrato da un ruolo attivo delle istituzioni pubbliche. Tuttavia, le priorità stanno evolvendo: negli Stati Uniti, l'enforcement privato sta perdendo terreno, mentre in Europa il ruolo attivo dell'UE è in crescita. In sintesi, il confronto tra i sistemi antitrust americano ed europeo rivela differenze profonde nell'approccio normativo e nei risultati pratici. Mentre gli Stati Uniti hanno affrontato pratiche anticoncorrenziali attraverso l'enforcement privato, l'Europa ha privilegiato una visione più integrata dell'antitrust per promuovere l'integrazione e la concorrenza. Queste divergenze hanno influenzato il contesto attuale, in cui l'attenzione si sposta verso un ruolo più attivo dell'UE nell'antitrust.

[6] L'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) emerge nel panorama italiano come un faro di vigilanza e tutela dei principi di concorrenza e di mercato. Il suo ruolo si inquadra nel contesto di una società in continuo mutamento, in cui il giusto equilibrio tra dinamiche di mercato e salvaguardia degli interessi collettivi è fondamentale. L'AGCM ha origine nel 1990 con l'approvazione della Legge n. 287/1990 (Norme per la tutela della concorrenza e del mercato), in un momento di trasformazione e di aperture internazionali dell'economia italiana, rappresentando de facto una risposta istituzionale alle sfide di un'economia in (continua) evoluzione, caratterizzata da una crescente interconnessione con i mercati globali. Questa pionieristica istituzione assume un ruolo guida nel promuovere una concorrenza sana e responsabile, spingendo per l'equa partecipazione delle imprese e la protezione dei consumatori. L'approccio sotteso alla normativa che guida l'attività dell'AGCM è profondamente ancorato all'idea che la libera concorrenza, intrinsecamente collegata agli articoli 41 e 117 della Costituzione italiana, sia il motore di promozione dell'innovazione, della qualità dei prodotti e dell'efficienza economica. Questo principio incoraggia la diversificazione dei prodotti, offre un incentivo alle imprese inefficienti per migliorare e garantisce una distribuzione più equa del potere economico, evitando concentrazioni eccessive. L'Autorità, al fine di garantire tale concorrenza, dispone di ampi poteri investigativi, di notifica di presunta violazione e di sanzione. Il suo ruolo principale è sorvegliare le intese restrittive alla concorrenza, gli abusi di posizione dominante e le fusioni aziendali. Inoltre, l'AGCM ha una significativa responsabilità nella promozione della concorrenza stessa, contribuendo ad influenzare le normative e le politiche affinché riflettano principi di sana concorrenza. Nel corso degli anni, il legislatore ha ulteriormente potenziato l'AGCM, conferendole competenze aggiuntive. Un esempio importante è la protezione dei consumatori, che include la repressione delle pratiche commerciali scorrette previste dal Codice del consumo. Questa competenza è strettamente connessa alla tutela della concorrenza, poiché i consumatori informati e consapevoli giocano un ruolo vitale nel mantenere un mercato competitivo. Inoltre, la legge 215/2004 ha affidato all'AGCM il compito di vigilare sui conflitti di interessi, assicurando che coloro che ricoprono cariche pubbliche si dedichino esclusivamente all'interesse collettivo, evitando situazioni di conflitto. Ulteriori importanti evoluzioni normative che hanno ridefinito i poteri dell’AGCM possono rinvenirsi nel decreto legislativo 385/2021 e nella legge 118/2022: a) il Decreto Legislativo n. 385/2021 ha recepito la Direttiva (UE) n. 2019/1, denominata ECN+, portando a un ampliamento dei poteri dell'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) per affrontare intese restrittive e abusi di posizione dominante. Sebbene non direttamente riguardante le concentrazioni, tale riforma ha modificato l'approccio istruttorio e sanzionatorio dell'AGCM, con riflessi sulle operazioni di concentrazione; b) in seguito, nel 2022, è stata approvata la “legge annuale per il mercato e la concorrenza 2021” (legge 118/2022) a seguito di una Segnalazione dell'AGCM al Governo. Questa riforma ha ridefinito profondamente il quadro normativo delle concentrazioni aziendali in Italia. Tra le principali novità: una definizione più ampia di concentrazione, modifiche alle soglie per includere acquisizioni di imprese innovative di piccole dimensioni, l'introduzione di un controllo ex post entro sei mesi per operazioni di piccole dimensioni e un nuovo criterio di valutazione basato sull'ostacolo alla concorrenza sul mercato nazionale. Queste modifiche si inseriscono in un contesto di maggiore promozione della concorrenza e di potenziamento dei poteri dell'AGCM nell'interesse del mercato e dei consumatori. Per un maggior approfondimento sulle implicazioni della legislazione comunitaria sulle autorità nazionali si rinvia a F. GHEZZI, M. MAGGIOLINO, La nuova disciplina di controllo delle concentrazioni in Italia: alla ricerca di una convergenza con il diritto europeo, in Rivista delle Societa', 2023, 32; S. MARINO, Il rafforzamento dell’azione delle autorità nazionali garanti per la concorrenza: un nuovo impulso dall’unione europea, in Rivista Italiana di Diritto Pubblico Comunitario, 2019, 536.

[7] All'interno del panorama del private enforcement antitrust, quattro rilevanti episodi giuridici occupano una posizione centrale nella giurisprudenza emanata dalla Corte di Giustizia. Questi casi, noti come sentenze Courage, Manfredi, Kone e Pfeiderer, hanno agito da tessere fondamentali nel mosaico concettuale dell'illecito antitrust, delineando i contorni cruciali che successivamente hanno trovato concretizzazione nella Direttiva 2014/104/UE. Questi pronunciamenti hanno contribuito a plasmare e chiarire i fondamenti dell'applicazione privata delle norme antitrust, arricchendo il quadro normativo e procedurale e fornendo orientamenti essenziali per il perseguimento dei risarcimenti in caso di violazioni della concorrenza: i) la sentenza Courage (Corte di Giust., 20 settembre 2001, causa c-453/99, Courage Ltd v Crehan c- 453/99, in racc. 2001, i-6297) ha gettato le basi per il concetto di piena effettività del diritto antitrust dell'UE, stabilendo che gli individui danneggiati da violazioni delle norme antitrust possono intentare azioni di risarcimento nei confronti dei responsabili. Questo ha aperto la strada alla possibilità di richiedere danni derivanti da comportamenti anticoncorrenziali e ha consolidato il concetto di responsabilità civile per violazioni del diritto antitrust; ii) la sentenza Manfredi (Corte Di Giustizia, 13 luglio 2006, cause riunite da c-295/04 a c-298/04, Manfredi C. Lloyd Adriatico Assicurazioni S.P.A., In Racc. 2006, i-6619) ha ulteriormente chiarito la possibilità per le vittime di cartelli di ottenere il risarcimento integrale dei danni subiti. La Corte ha riconosciuto la legittimazione delle azioni di risarcimento collettivo e ha stabilito che i giudici nazionali devono garantire che le vittime possano ottenere una compensazione adeguata, inclusi i danni morali; iii) il caso Kone (Corte Giustizia UE , 05 giugno 2014, n.557, sez. v) ha trattato la questione della responsabilità congiunta e solidale dei membri di un cartello per i danni causati. La Corte ha affermato che i membri di un cartello sono solidalmente responsabili per i danni causati da una pratica anticoncorrenziale, consentendo così alle vittime di rivolgersi a qualsiasi membro del cartello per il risarcimento dei danni; iv) infine, la sentenza Pfeiderer (Corte Di Giustizia Ee, sentenza 14 giugno 2011, causa c-360/09, Pfleiderer V. Bundemskartellamt, in racc. 2011, 05161) ha affrontato il tema dell'accesso alle prove nel contesto delle azioni di risarcimento antitrust. La Corte ha stabilito che, se le prove di un'infrazione antitrust sono in possesso di un'autorità pubblica, i giudici nazionali possono richiedere la comunicazione di tali prove alle parti coinvolte nelle azioni di risarcimento, garantendo così un accesso equo ed efficace alle prove. In sintesi, queste sentenze hanno costituito pietre angolari nel rafforzamento del private enforcement delle norme antitrust nell'Unione Europea, consentendo alle vittime di violazioni anticoncorrenziali di ottenere un adeguato risarcimento e contribuendo a promuovere una maggiore tutela dei diritti e degli interessi dei danneggiati.

[8] C. SCHEPISI, Public e private enforcement nel settore antitrust e degli aiuti di Stato: convergenze, divergenze e circolarità di principi nel dialogo  tra i giudici e la Corte di giustizia, in rivista.eurojus.it, 2021, 128.

[9] F. GHEZZI, M. MAGGIOLINO, La nuova disciplina di controllo delle concentrazioni in Italia: alla ricerca di una convergenza con il diritto europeo, Rivista delle Società, 2023, 32. In particolare, la trasposizione della Direttiva nel contesto giuridico nazionale è stata operata mediante l'art. 6 della legge 22 aprile 2021, n. 53, comunemente nota come “legge di delegazione europea 2019”. Questa disposizione ha posto l'onere al Governo di introdurre la nuova normativa in accordo con precisi principi e criteri, tra cui l'espansione delle nuove competenze anche alle situazioni di rilevanza nazionale esclusiva. L'emanazione del decreto legislativo n. 185/2021, in vigore dal 14 dicembre 2021, ha quindi determinato una serie articolata di emendamenti che hanno profondamente influenzato sia la struttura che le competenze dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato.

[10] C. SCHEPISI, Public e private enforcement nel settore antitrust e degli aiuti di Stato: convergenze, divergenze e circolarità di principi nel dialogo  tra i giudici e la Corte di giustizia, in rivista.eurojus.it, 2021, 128; S. MARINO, Il rafforzamento dell’azione delle autorità nazionali garanti per la concorrenza: un nuovo impulso dall’Union europea, in Riv. It. Dir. Pubbl. com., 2019, 536 ss.

[11] Senza alcuna pretesa di esaustività, importanti spunti di riflessione si possono rinvenire in B. CAROTTI, La politica europea sul digitale: ancora molto rumore, in Rivista Trimestrale di Diritto Pubblico, 2022, 997; A. I. DELLA VALLE, Il Digital Market Act e il ruolo dell’Unione Europea verso un costituzionalismo digitale, Giurisprudenza Costituzionale, 2022, 1867; T. E. FROSINI, Il costituzionalismo nella società tecnologica, in Diritto dell'Informazione e dell'Informatica, 2020, 465; D. POLETTI, Il c.d. diritto alla disconnessione nel contesto dei «diritti digitali», in Responsabilita' Civile e Previdenza, 2017, 0007B.

[12] Si tratta del regolamento (Ue) 2022/1925 del Parlamento europeo e del Consiglio del 14 settembre 2022 relativo a mercati equi e contendibili nel settore digitale e che modifica le direttive (Ue) 2019/1937 e (Ue) 2020/1828 («Regolamento sui mercati digitali»).

[13] Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo a un mercato unico dei servizi digitali (legge sui servizi digitali) e che modifica la direttiva 2000/31/Ce, 15 dicembre 2020, Com(2020) 825 final.

[14] L. TORCHIA, I poteri di vigilanza, controllo e sanzionatori nella regolazione europea della trasformazione digitale,  Rivista Trimestrale di Diritto Pubblico, 2022, 1101.

[15] M. LIBERTINI, Il Regolamento europeo sui mercati digitali e le norme generali in materia di concorrenza, in Rivista Trimestrale di Diritto Pubblico, 2022, 1069.

[16] La genesi di questa locuzione è attribuibile al pensiero del sociologo della globalizzazione Aneesh Aneesh. Ne fa il suo ingresso nel dibattito accademico nel suo articolo del 2002, intitolato Technologically Coded Authority. Qui, il termine viene introdotto con precisione concettuale, indicando le “regole del codice” (o di un algoritmo) quali modello organizzativo in grado di sostituire le consuete direttive di un'istituzione. Questa intuizione, anticipatrice per molti aspetti, getta le basi per l'emergere di un sistema di governance in cui l'autorità assume una veste sempre più intrinseca e fusa con la tecnologia stessa. In un momento successivo, precisamente nel 2006, Aneesh adopera questa locuzione nel suo libro Virtual Migration, delineando scenari di governance interamente plasmati dall'informatica, dove è il linguaggio binario stesso a tessere le trame delle interazioni umane.

[17] Sul tema si veda in particolare J. DANAHER, The Threat of Algocracy: Reality, Resistance and Accommodation, in SpingerLink, 2006, 245 ss. L'analisi presente in questo saggio ha avanzato tre principali assertazioni. Inizialmente, è stata proposta l'esistenza di una genuina minaccia derivante dall'algocrazia, la quale arreca un'impronta di incertezza alla legittimità dei processi deliberativi di natura pubblica. Questa minaccia emerge in virtù dell'oscurità che avvolge taluni meccanismi di governo algocratico, e va chiaramente distinguendosi dalle inquietudini concomitanti concernenti la sfera della privacy e del dominio dei dati. In un secondo piano, si è delineato un argomento per la riflessione su come potrebbe non essere pragmatico né auspicabile opporsi frontalmente alla minaccia dell'algocrazia, ovvero sospendere in modo puntuale l'adozione dei sistemi decisionali algocratici. Le tecnologie propulsive di tale paradigma stanno subendo una progressiva diluizione delle manifestazioni tangibili, adottando una postura sempre più pervasiva. In quest'ottica, è imprescindibile bilanciare gli oneri connessi all'opacità rispetto agli ulteriori proventi, tanto strumentali quanto procedimentali. Come terza tesi di rilievo, è stata avanzata l'ardua natura di abbracciare in modo significativo la sfida imposta dall'algocrazia, ovvero elaborare modalità atte a consentire agli individui di rimanere proficuamente inseriti nel circuito partecipativo del processo decisionale. Questa prospettiva, tuttavia, deve contemperare la preservazione dei guadagni offerti dai sistemi algocratici con il vigore delle contromisure. L'ampio spettro delle soluzioni proposte varia tra l'ingenuità creativa e il raziocinio fantasioso, lasciando emergere alternative che, pur perseguendo il contenimento dell'epistocrazia, non affrontano appieno la vera essenza della minaccia algocratica. In sintesi, il sentiero più praticabile pare concretizzarsi nell'armonica congiunzione tra revisibilità e perfezionamento, intraprendendo una traiettoria che potrebbe contemplare la coabitazione tra la sapienza umana e l'apporto tecnologico, sia esso integrato o meno. Mentre il primo apporterebbe una cinta legale capace di limitare le tipologie di assetti algocratici attraverso l'affermazione del diritto e dell'opportunità di revisione umana, il secondo agirebbe quale garante dell'evitamento dell'annacquamento di questa soluzione in balia della minaccia epistocratica. Tuttavia, questa conclusione non si sottrae a un pizzico di pessimismo. Benché possa apparire relativamente agevole ridefinire il tessuto giuridico onde sancire l'irrinunciabilità della verificabilità, l'efficace creazione e la distribuzione di tecnologie di miglioramento adeguatamente contestualizzate entro i vincoli temporali prefissati rimangono dubbie nell'esito. Aggiuntivamente, la dilatazione dei sistemi algocratici, unita alla maniera in cui tali sistemi intrecciano le loro radici nei sempre più intricati ecosistemi algoritmici, potrebbe agevolmente sfuggire al controllo e alla stessa comprensione dei loro artefici umani. In questo scenario, la mera realizzazione di un elitismo epistemico individualistico potrebbe rivelarsi inadeguata. In sintesi, ci troviamo sull'orlo di plasmare un ordine di governo capace di stringere una morsa restrittiva sulle possibilità di coinvolgimento umano, senza che una soluzione pronta all'uso si profilasse all'orizzonte.

[18] M. AINIS, L’autorità Antitrust alla prova dei mercati digitali, Diritto dell'Informazione e dell'Informatica, 2022, 1.

[19] M. AINIS, L’autorità Antitrust alla prova dei mercati digitali, op. cit., 1.