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Pubbl. Mar, 22 Ago 2023

I principi alla base dell´istituzione, organizzazione e gestione dei servizi pubblici locali alla luce del D.lgs. n. 201/2022

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Aurora Ricci
Funzionario della P.A.Università degli Studi di Perugia



L´elaborato analizza il quadro dei principi sottesi agli snodi amministrativi fondamentali concernenti l´istituzione, la regolazione e la gestione dei servizi pubblici locali alla luce del recente decreto di riordino, d.lgs. n. 201/2022


ENG

The principles underlying the establishment, organization and management of local public services in the light of Legislative Decree no n. 201/202

The paper analysis the framework of the principles underlying the fundamental administrative junctions concerning the establishment, regulation and management of local public services in the light of the recent decree of reorganization, Legislative Decree no n. 201/2022

Sommario: 1. Introduzione. 2. La nozione di servizio pubblico locale: gli approcci dottrinari e l’influenza del diritto comunitario. 3. Inquadramento del recente D.lgs. n. 201/2022 recante il riordino della disciplina dei servizi pubblici locali aventi rilevanza economica 4. I principi generali posti a fondamento del recente D.lgs. n. 201/2022 e in particolare i principi normativi alla base dell’istituzione del servizio pubblico locale. 5. I principi normativi alla base dell’erogazione del servizio pubblico locale di interesse economico. 6. Le forme di gestione dei servizi pubblici locali e la relativa discrezionalità nella scelta dell’ente locale. 7. La motivazione progressiva che caratterizza la disciplina dei servizi pubblici locali e i rapporti con il terzo settore alla luce del principio di sussidiarietà orizzontale. 8. Conclusioni.

1. Introduzione

Il presente elaborato inquadra la nozione di servizio pubblico locale alla luce del contesto dottrinale, nonché del quadro normativo nazionale e comunitario di riferimento e si propone di analizzare gli aspetti salienti del recente decreto di riordino della normativa in tema di servizi pubblici locali recata dal d.lgs. n. 201/2022.

In particolare, verranno esaminati i principi normativi di ispirazione della predetta novella in relazione ai singoli snodi amministrativi attinenti all'istituzione, regolazione e gestione dei servizi pubblici locali. 

Verranno, inoltre, poste in evidenza le innovazioni apportate dal predetto intervento legislativo rispetto al precedente quadro normativo.

Un aspetto di dettaglio sarà, infine, dedicato al quadro degli oneri motivazionali caratterizzanti le singole scelte amministrative poste in essere dalla Pubblica Amministrazione in relazione all'istituzione, erogazione e gestione dei servizi pubblici locali.

2. La nozione di servizio pubblico locale: gli approcci dottrinari e l’influenza del diritto comunitario

I servizi pubblici locali rappresentano una delle peculiarità del moderno Stato Sociale, il quale ha il compito di garantire l’erogazione uniforme su tutto il territorio nazionale di una serie di servizi di utilità sociale in favore dei propri cittadini.

L’art. 112 del Testo unico sugli enti locali (TUEL) cita solo in via indiretta i servizi pubblici locali prevedendo che “Gli enti locali, nell'ambito delle rispettive competenze, provvedono alla gestione dei servizi pubblici che abbiano per oggetto produzione di beni ed attività rivolte a realizzare fini sociali e a promuovere lo sviluppo economico e civile delle comunità locali”. A fronte dello scarno dettato normativo, la dottrina dominante1 ha individuato l’elemento qualificante i predetti servizi: i medesimi sono configurabili quali attività che tendono a soddisfare in via immediata e diretta i bisogni essenziali della comunità di riferimento.

Il fondamento costituzionale dei servizi pubblici è stato rinvenuto dalla dottrina tradizionale nell’art. 43 Cost. che fa riferimento alle nozioni di “servizi pubblici essenziali” e di “attività aventi carattere di preminente interesse generale”. Tali attività possono essere oggetto di una “riserva originaria” o di una “riserva derivata” da parte della pubblica autorità. 

Ulteriori fondamenti costituzionali sono stati, altresì, rinvenuti negli artt. 41, comma 3 Cost. e 118 Cost.

Ciò posto, in dottrina si sono sostenuti nel tempo due diversi approcci alla tematica dei servizi pubblici.

In particolare, secondo una risalente impostazione di stampo soggettivo, lo svolgimento delle attività di utilità sociale era un compito riservato al c.d. Stato “gestore” operante in via monopolistica.

Per contro, secondo una più recente concezione oggettiva1, formatasi con l'avvento delle privatizzazioni negli anni '90 ed il contestuale emergere del fenomeno delle Authorities, oltre che in ossequio al principio di sussidiarietà orizzontale ex art. 118, comma 4, Cost., lo Stato assume la nuova veste di “regolatore” della materia, a tutela della concorrenza ed a garanzia della massima accessibilità dei servizi.

Oggi, pertanto, ciò che rileva non è tanto la natura pubblica del soggetto erogatore dell’attività di pubblico interesse, bensì la soddisfazione concreta dei bisogni della comunità di riferimento1.

L’impostazione oggettiva dei servizi pubblici locali risente anche dell’influenza comunitaria in materia. Il diritto comunitario, infatti, pur sottolineando l’importanza delle finalità sociali che tali attività tendono a soddisfare, stabilisce che la disciplina dei servizi pubblici deve rispettare le regole della concorrenza ai sensi dell’art. 106, secondo comma, del TFUE, purché tali regole non ostacolino l’adempimento della specifica missione pubblica del servizio.

A livello europeo, inoltre, i servizi pubblici locali vengono distinti in servizi di rilevanza economica e servizi non economici: i primi mirano a soddisfare i bisogni fondamentali di una data comunità, mentre i secondi non possono essere classificati come attività economiche.

La terminologia viene poi modificata con l’avvento delle direttive europee n. 23, 24 e 25 del 2014. Oggi si discorre, infatti, di servizi di interesse economico generale (SIEG) e della più ampia categoria dei servizi di interesse generale (SIG)2

3. Inquadramento del D.lgs. n. 201/2022 recante il riordino della disciplina dei servizi pubblici locali aventi rilevanza economica

La disciplina dei servizi economici di interesse locale è stata significativamente innovata per effetto della recente attuazione della legge delega sulla riforma dei servizi pubblici locali avvenuta con D.lgs. 23 dicembre 2022, n. 201.

Il decreto in questione reca disposizioni per il riordino della disciplina dei servizi pubblici locali di interesse economico generale, in attuazione della delega conferita al Governo dall’articolo 8 della legge 5 agosto 2022, n. 118 (Legge annuale per il mercato e la concorrenza 2021).

L'intervento sui servizi pubblici locali costituisce anche attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza –PNRR. Il Piano prevede infatti, entro dicembre 2022, sia l’approvazione della legge della concorrenza 2021, sia l’“entrata in vigore di tutti gli strumenti attuativi per l'effettiva attuazione e applicazione delle misure derivanti dalla legge annuale sulla concorrenza 2021”.

Sul punto, è d’uopo rilevare che le disposizioni vigenti inerenti alla materia dei servizi pubblici locali di rilevanza economica generale, si sono stratificate nel tempo, con interventi non omogenei tra loro dovuti anche alla necessità di armonizzare la normativa nazionale con i principi dell’ordinamento UE, ma anche conseguenti ad esiti referendari e a pronunce della Corte costituzionale1

Un tentativo di riordinare la materia era stato compiuto con la delega contenuta nell’articolo 19 della c.d. legge Madia (L. 7 agosto 2015, n. 124, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche) per l’adozione di un Testo unico dei servizi pubblici locali. Lo schema di decreto, sul quale le Camere avevano espresso il proprio parere, non ha tuttavia concluso il proprio iter, alla luce della sopravvenuta giurisprudenza costituzionale (sentenza n. 251 del 2016) sulle forme di coinvolgimento delle regioni nel percorso istitutivo.

Il D.lgs. n. 201/2022, alla luce di quanto affermato dal legislatore delegato (art. 8, legge n. 118/2022), si pone il fine di riordinare la disciplina in materia, anche tramite l'adozione di un apposito Testo unico, coordinandola con la normativa in materia di contratti pubblici e di società a partecipazione pubblica per gli affidamenti in autoproduzione, oltre che con le discipline settoriali.

4. I principi generali posti a fondamento del recente D.lgs. n. 201/2022 e in particolare i principi normativi alla base dell’istituzione del servizio di interesse economico generale di livello locale

I principi generali della nuova normativa in tema di servizi di interesse economico generale di livello locale sono richiamati dall’art. 3 del recente D.lgs. 201/2022, con particolare riguardo all’istituzione, alla regolazione e alla gestione dei servizi pubblici in esame.

Ad una prima disamina della norma in commento, emerge, in primo luogo, la rilevanza assegnata espressamente al principio della centralità del cittadino e dell’utente.

In particolare, il comma 1 dell’articolo 3 stabilisce che i servizi di interesse economico generale di livello locale rispondono alle esigenze delle comunità di riferimento e alla soddisfazione dei bisogni dei cittadini e degli utenti, nel rispetto dei principi di sussidiarietà e proporzionalità.

Il successivo comma 2 prevede che l’istituzione, la regolazione e la gestione dei servizi pubblici di interesse economico generale di livello locale rispondano a determinati principi esplicitamente enucleati dalla disposizione in esame. A titolo esemplificativo, vengono richiamati i seguenti principi: concorrenza, sussidiarietà, anche orizzontale, efficienza nella gestione, efficacia nella soddisfazione dei bisogni dei cittadini, produzione di servizi quantitativamente e qualitativamente adeguati, proporzionalità e adeguatezza della durata, trasparenza.

Infine, il comma 3 stabilisce che nell’organizzazione e nella erogazione dei servizi di interesse economico generale di livello locale è assicurata la centralità del cittadino e dell’utente, anche favorendo forme di partecipazione attiva.

Dalla disposizione in commento, nonché dalla sistematica analisi del rinnovato quadro normativo di riferimento, emerge, innanzitutto, una sorta di progressione nella scelta della motivazione affidata all’ente locale che deve valutare se istituire o meno il servizio pubblico di interesse economico.

In particolare, il “servizio pubblico di interesse economico” è definito come un’attività economica che, se fosse erogata in assenza dell’aiuto pubblico, non sarebbe remunerativa in quanto risulta gravata da una serie di obblighi di servizio pubblico, oppure che sarebbe tale, ma senza il rispetto di una serie di canoni, quali l’universalità, l’imparzialità, canoni tariffari, che, invece, devono essere necessariamente rispettati.

Inoltre, sono qualificabili come “servizi di interesse economico generale” o “servizi di rilevanza economica” i servizi erogati o suscettibili di essere erogati dietro corrispettivo sul mercato, che tuttavia non sarebbero svolti senza un intervento pubblico o sarebbero svolti a condizioni differenti in termini di accessibilità fisica ed economica, continuità, non discriminazione, qualità e sicurezza.

In altri termini, il primo principio che viene in rilievo in materia di servizi pubblici di rilevanza economica è il seguente: se il servizio viene erogato senza ausilio pubblico, o il medesimo non è remunerativo o, per renderlo remunerativo, non possono essere soddisfatti certi canoni di accessibilità, continuità, economicità, qualità, sicurezza e non discriminazione. Pertanto, se si ha interesse a che vengano soddisfatti detti canoni, occorrono l’intervento pubblico e l’aiuto pubblico.

La prima scelta che deve operare l’ente locale in relazione al servizio pubblico di interesse locale attiene, quindi, alla sua istituzione: lasciare al libero mercato l’erogazione del servizio o assumerlo.

L’ente locale deve, in primo luogo, decidere se istituire o meno il servizio pubblico, cioè assumerlo, oppure affidarsi a quella che è l’autonoma iniziativa dei cittadini, delle imprese, delle associazioni, anche eventualmente con apposite agevolazioni, ma senza istituire il servizio pubblico. In quest'ultimo caso, infatti, l’ente ritiene che il mercato, lasciato libero, se del caso con degli ausili, è comunque in grado di soddisfare adeguatamente i propri bisogni.

Al riguardo, il principio normativo operante in materia, è che, per soddisfare i bisogni delle autonomie locali, gli enti locali favoriscono – in attuazione del principio di rilievo costituzionale di sussidiarietà orizzontale ex art. 118, comma 4, Cost. - l’autonoma iniziativa dei cittadini1.

Quindi, di norma, l’ente locale non istituisce il servizio pubblico e lascia lo svolgimento di tali attività, aventi rilevanza economica e dirette a soddisfare anche interessi generali, alla libera iniziativa.

Per contro, se l’ente locale decide di istituire il servizio pubblico deve motivare tale scelta. In proposito, l’art. 10 comma 4 del D.lgs. n. 201/2022 dispone che: “I servizi di cui al comma 3 sono istituiti in esito ad apposita istruttoria, sulla base di un effettivo confronto tra le diverse soluzioni possibili, da cui risulti che la prestazione dei servizi da parte delle imprese liberamente operanti nel mercato o da parte di cittadini, singoli e associati, e' inidonea a garantire il soddisfacimento dei bisogni delle comunita' locali.”
Pertanto, il mercato viene lasciato libero, tuttavia, può risultare che tale libertà non garantisca il soddisfacimento dei bisogni della comunità e dei cittadini, ovvero che il servizio non sia remunerativo e che, per esserlo, occorra l’intervento pubblico. Di conseguenza, l’ente locale decide di istituire formalmente il servizio con apposita delibera con cui assume il servizio pubblico di interesse locale2.

Una volta istituito si applica una disciplina pubblica, ovvero i gestori vengono regolamentati, controllati e gli si impongono obblighi, intervenendo con apposite compensazioni per controbilanciare i maggiori costi e i minori ricavi.

5. I principi normativi alla base dell’erogazione del servizio pubblico locale di interesse economico

Successivamente all’istituzione del servizio pubblico locale di interesse economico, l’ente locale deve poi porsi il problema di come erogare il predetto servizio. A tal fine, vengono in rilievo i due modelli alternativi della concorrenza nel mercato (art. 12 e s.s.) o della concorrenza per il mercato (art. 13 e s.s.)1

In particolare, si potrebbe operare secondo la logica dell’accesso libero del mercato della concorrenza: l’ente pubblico si preoccupa soltanto di regolare e controllare l’erogazione del servizio in conformità alle proprie condizioni, ma chi ha interesse ad erogarlo può effettuare il servizio. In tal caso, si configura la concorrenza nel mercato1. Al riguardo, si precisa sin da ora che la disciplina delineata dal D.lgs. n. 201/2022 assegna, tra i due modelli sopra richiamati, una preferenza per il modello della concorrenza nel mercato.

Sul punto, l’articolo 12 del nuovo T.U., rubricato “Obblighi di servizio pubblico”, prevede che gli enti locali verifichino la possibilità di assicurare il servizio di interesse economico generale attraverso l’imposizione di obblighi di servizio a uno o più operatori, senza limitare il numero di soggetti abilitato a svolgere il servizio.

Gli obblighi di servizio si sostanziano nell’obbligo per gli operatori di prestare determinati servizi nell’ambito di un’attività quali, a titolo esemplificativo, la garanzia di determinati orari di apertura, o di fornitura del servizio a fasce di popolazione  socialmente deboli o residenti in aree interne.

L’imposizione degli obblighi di servizio si qualifica, quindi, come la modalità per garantire la fruizione del servizio pubblico di interesse generale di livello locale che non altera l’assetto di mercato nel settore interessato, a differenza di quanto avviene con il riconoscimento di diritti speciali o esclusivi di cui all’articolo 13 o con l’affidamento in esclusiva del servizio di cui agli articoli 14 e seguenti.

Diversamente, operando secondo il modello della concorrenza per il mercato, l’ente locale può limitare gli operatori abilitati ad erogare il servizio pubblico attribuendo loro diritti speciali o esclusivi. 

L’articolo 13 del decreto in commento, in particolare, consente l’attribuzione di diritti speciali o esclusivi solo in conformità con il diritto dell’Unione europea e se indispensabile, in assenza di misure alternative meno restrittive della libertà d’impresa, all’adempimento della funzione affidata al gestore del servizio pubblico locale di rilevanza economica1.

In altri termini, la concorrenza per il mercato corrisponde all’attribuzione di diritti speciali esclusivi, per cui si fa una gara per vedere chi deve entrare nel mercato, ma poi esso si chiude e si avrà solo un operatore che svolgerà il servizio pubblico locale.

L’ente locale attribuisce i predetti diritti esclusivi o speciali sulla base di un’analisi economica di cui deve dare conto in maniera puntuale, unitamente alla propria valutazione circa la necessità di attribuire tali diritti, nella delibera con cui istituisce, ai sensi dell’art. 10, comma 4, il nuovo servizio economico di interesse generale.

6. Le forme di gestione dei servizi pubblici locali e la relativa discrezionalità nella scelta dell’ente locale

Nell’ipotesi in cui si opti per la concorrenza per il mercato e quindi per l’attribuzione di diritti speciali o esclusivi, occorre scegliere il monopolista o l’oligopolista del mercato che erogherà il servizio pubblico nel mercato. A tal fine, soccorrono varie modalità di affidamento tradizionalmente impiegate per la gestione dei servizi pubblici1 e che vengono riproposte dal recente D.lgs. n. 201/2022.

In dettaglio, ai sensi del comma 1 dell’art. 14 del decreto in esame, l’ente locale o gli altri enti competenti, possono provvedere all’organizzazione del servizio mediante quattro modalità di gestione alternative, nel rispetto dei principi e dei limiti stabiliti dal diritto dell’Unione europea.

In particolare, si può operare, in primo luogo, mediante l’affidamento a terzi tramite procedura ad evidenza pubblica: si effettua la gara nell’ambito della quale vengono stabilite le condizioni e si crea le remuneratività che altrimenti non sussisterebbe.

In relazione a tali procedure, l’art. 15 del D.lgs. n. 201/2022 da una parte, si limita a richiamare l’applicazione della disciplina in materia di Contratti pubblici, con particolare riguardo ai contratti d'appalto e di concessione di cui all'art. 3, co. 1, lett. dd), del D.Lgs. n. 50/2016, come modificato dal D.Lgs. n. 56/2017.

Dall’altra parte, l’articolo in commento stabilisce, con una disposizione innovativa, che, quando è possibile in relazione alle caratteristiche del servizio da erogare, sia favorito il ricorso a concessioni di servizi rispetto al modello dell’appalto di servizi, in modo da assicurare l’effettivo trasferimento del rischio operativo in capo all’operatore1.

In alternativa, il secondo modello di gestione del servizio pubblico locale contemplato dall’art. 16 del D.lgs. n. 201/2022 è quello dell’affidamento a società mista, secondo le modalità previste dal diritto dell’UE e richiamando in proposito l’applicazione delle disposizioni del Testo unico delle società a partecipazione pubblica (D.Lgs. n. 175/2016).

In particolare, la disposizione rinvia alla procedura stabilita dall’articolo 17 del richiamato Testo unico per la scelta del socio privato.

Al riguardo si rammenta, infatti, che, in base al T.U., le società a partecipazione mista pubblico-privata sono costituite per la realizzazione e gestione di un’opera pubblica ovvero per l’organizzazione e gestione di un servizio d’interesse generale, attraverso un contratto di partenariato con un imprenditore che sia stato selezionato con le modalità previste dai commi 1 e 2 dell'articolo 17 del T.U..1

Si tratta di una forma di cogestione: l’ente locale sceglie il partner privato, il socio operativo (non quello finanziario), che entra in società per erogare un servizio pubblico. Tale ingresso è strumentale all’erogazione del servizio, tant’è che è temporaneo. Viene in rilievo una forma di partenariato pubblico-pubblico istituzionale (non sociale, in quanto si tratta di un servizio economico), di esternalizzazione.

Tale socio entrerà in società acquisendo una parte del capitale per poi, una volta terminato l’affidamento, uscire dalla società con tale capitale e occorrerà espletare un’altra gara scegliendo un altro socio operativo. La predetta gara si qualifica come gara a doppio oggetto, ovvero comprendente tanto la scelta del socio, quanto il contestuale affidamento del servizio, che ne costituisce l’oggetto principale.

In tal modo, si configura un modulo organizzativo di affidamento del servizio pubblico locale diverso rispetto all’esternalizzazione. Invero, nell’ipotesi di affidamento a società mista, viene espletata una gara avente ad oggetto l’affidamento in partenariato di un servizio, ovvero la cogestione di un servizio.

Diversamente dall’ipotesi di affidamento diretto all’esterno, si sceglie un operatore economico con il quale effettuare una gara. L’oggetto principale è l’affidamento del servizio e ciò che risulta precluso è costituire una società ed affidare direttamente il servizio. 

Inoltre, con disposizioni di carattere innovativo rispetto al vigente quadro normativo, il comma 2 della disposizione in commento disciplina l’ipotesi della cessione della partecipazione pubblica. In particolare, si stabilisce che l’ente locale può cedere in tutto o in parte la propria partecipazione nelle società miste mediante procedure ad evidenza pubblica (e non solo, come previsto a legislazione vigente, “nel rispetto dei principi di pubblicità, trasparenza e non discriminazione”). 

Inoltre, in caso di cessione della partecipazione pubblica, non vi sono effetti diretti sulla durata delle concessioni e degli affidamenti in essere.

Non solo: ai sensi dell’art. 17 del decreto in commento si può, inoltre, intervenire con il modulo gestorio dell’affidamento in house che abbisogna, tuttavia, di una specifica motivazione.

Al riguardo, si segnala che la nuova disciplina sui servizi pubblici locali supera le diffidenze e lo sfavor che hanno da sempre caratterizzato il ricorso al c.d. in house providing. Si tratta di un istituto di derivazione comunitaria e di conio pretorio traente origine dalla nota sentenza Teckal della Corte di Giustizia dell’Unione europea che ne ha enucleato i requisiti fondamentali.

L'in house è stato, poi, recepito dalle direttive europee in materia di concessioni e appalti dei settori ordinari e speciali (acqua, energia, trasporti e servizi postali)1, successivamente fatte proprie dal D.lgs. 50/2016.

In particolare, viene in rilievo una modalità peculiare di gestione del servizio pubblico che viene affidato dalla pubblica amministrazione nei confronti di una società equiparabile, dal punto di vista sostanziale, ad una propria articolazione (in house). L’in house providing, dunque, è un affidamento effettuato senza alcuna gara.

In primo luogo, l’art. 17 del decreto in esame al primo comma richiama i limiti e le modalità già previsti e stabiliti in materia di Contratti pubblici e di cui al Testo unico in materia di società partecipate.

Sul punto, l'art. 192 del Codice dei Contratti pubblici disciplina il regime speciale degli affidamenti in house1, prevedendo l'istituzione presso l'ANAC dell'elenco delle amministrazioni aggiudicatrici e degli enti aggiudicatori che operano mediante affidamenti diretti nei confronti di proprie società in house.

In coerenza con le norme del Codice dei contratti pubblici, l’articolo 16 del Testo unico in materia di società partecipate disciplina le società in house stabilendo che queste ricevono affidamenti diretti di contratti pubblici dalle amministrazioni aggiudicatrici che esercitano su di esse il controllo analogo o da ciascuna delle amministrazioni che esercitano su di esse il controllo analogo congiunto.

La medesima disposizione conferisce agli statuti delle società in house la facoltà di derogare ad alcune disposizioni del codice civile, nonché dispone che gli statuti debbano prevedere che oltre l’80 per cento del fatturato di tali società sia effettuato nello svolgimento dei compiti a esse affidati dall’ente pubblico o dagli enti pubblici soci.

Il D.lgs. n. 201/2022 prevede, tuttavia, un atteggiamento più restrittivo rispetto al vigente Codice dei Contratti pubblici per l’affidamento in house nell’ambito di servizi o forniture. Difatti, si affida in house un servizio pubblico locale che, sebbene consentito dal legislatore, richiede una particolare motivazione, non meramente enunciativa, bensì rafforzata e qualificata. 

Al riguardo, si precisa che non occorre dimostrare che il mercato fallisce, che non c’è possibilità di farlo fare ai privati. Si deve però dimostrare che il ricorso all’in house è preferibile, in quanto si è in grado di raggiungere standard qualitativi migliorativi ed obiettivi quali socialità, universalità, tutela dell’ambiente, accessibilità dei servizi1.

In proposito, considerato che le formulazioni del comma 2 dell’articolo 17 del decreto in esame e del comma 2 dell’articolo 192 del Codice dei Contratti pubblici non sono del tutto sovrapponibili, sembrerebbe che le prime siano applicabili nel caso di affidamenti in house sopra soglia, mentre per i contratti sottosoglia continuerebbero a trovare applicazione le disposizioni del Codice dei Contratti.

Un’ulteriore forma gestoria cui può farsi ricorso per l’affidamento del servizio pubblico locale, limitatamente ai servizi diversi da quelli a rete, è la gestione in economia, ovvero la gestione diretta da parte dell’ente, oppure l’azienda speciale.

Quest’ultima un tempo era prevista ed è tuttora prevista nell’art. 114 del TUEL (D.lgs. n. 267/2000). Oggi costituisce una struttura interna dell’ente locale. Inoltre, anche nella prassi le aziende speciali stanno diventando appetibili: si tratta di una forma di autoproduzione diversa dall’in house, che si attua tramite una propria struttura operativa non avente la formale qualità soggettiva che caratterizza la società in house, ma che incontra, rispetto ad essa, meno limiti. Pertanto, è vista con un certo interesse da parte degli enti locali.

Queste quattro possibilità – esternalizzazione totale, esternalizzazione parziale e quindi cogestione con la scelta del socio, in house e azienda speciale – sono le modalità di affidamento nel caso in cui si scelga la concorrenza per il mercato o nessuna concorrenza in quanto si ricorre all’autoproduzione.

7. La motivazione progressiva che caratterizza la disciplina dei servizi pubblici locali e i rapporti con il terzo settore alla luce del principio di sussidiarietà orizzontale

Premessa questa disamina in punto di modalità di affidamento dei servizi pubblici locali in base al nuovo impianto normativo, occorre precisare ulteriormente il quadro degli oneri motivazionali ricadenti sulla stazione appaltante.

In particolare, dal dettato normativo sopra ricostruito è dato desumere il ricorso ad una motivazione progressiva dei tre snodi fondamentali inerenti rispettivamente l’istituzione del servizio pubblico, la sua apertura o meno alla concorrenza, la scelta della modalità di affidamento del medesimo.

Quanto al primo rilevante passaggio amministrativo, l’ente locale deve decidere se istituire il servizio pubblico oppure non istituirlo lasciandolo libero il mercato che, con qualche ausilio, è in grado di soddisfare i suoi bisogni. Istituire significa, anche quando apro alla concorrenza, effettuare la regolazione, la vigilanza e il controllo. Inoltre, anche se viene istituito il servizio pubblico sussistono degli obblighi e vi è un mercato regolato con un livello di regolazione che muta a seconda del servizio (servizio a rete, servizio non a rete).

Nel caso di servizio a rete, ad esempio, interviene la regolazione affidata alle Autorità indipendenti. Per contro, nei servizi non a rete si configura un affidamento a specifiche strutture che si trovano presso la Presidenza del Consiglio1.

Il secondo step attiene, invece, alla scelta tra concorrenza per il mercato e nel mercato, con il riconoscimento di diritti esclusivi oppure no e in tal caso è indispensabile specificare un’apposita motivazione.

Infine, la terza scelta concerne le modalità di affidamento del servizio pubblico locale, ovvero se affidarlo ad un terzo mediante gara, oppure ad una società mista con gara a doppio oggetto, o ancora tramite il ricorso all’autoproduzione, mediante società in house, oppure ad un’azienda speciale, che torna ad essere un’alternativa concreta perché presenta meno limiti dell’in house. Anche in tal caso, l’ente locale deve motivare la propria scelta in ordine alla modalità di affidamento.

In particolare, ai sensi del comma 2 dell’articolo 14 del decreto in esame, l’ente locale e gli altri enti competenti devono tener conto di numerosi elementi ai fini della scelta della modalità di gestione, su cui fondare una adeguata motivazione.

Nel dettaglio, dovranno essere presi in considerazione una serie di aspetti: a titolo esemplificativo, le caratteristiche tecniche ed economiche del servizio da prestare; la situazione delle finanze pubbliche, dei costi per l’ente locale e per gli utenti; i risultati prevedibilmente attesi in relazione alle diverse alternative, nonché i risultati della eventuale gestione precedente del medesimo servizio sotto svariati profili.

Non solo. Prima dell’avvio della procedura di affidamento del servizio, l’ente locale o gli altri enti competenti sono tenuti a dare conto delle verifiche compiute in sede di istruttoria in un’apposita relazione nella quale sono evidenziate, altresì, le ragioni e la sussistenza dei requisiti previsti dal diritto dell’Unione europea per la forma di affidamento prescelta. La relazione di affidamento dovrà inoltre indicare e motivare gli obblighi di servizio pubblico, ove previsti, e le eventuali compensazioni economiche, inclusi i relativi criteri di calcolo, anche al fine di evitare sovracompensazioni1.

Nell’ambito del nuovo Testo unico sui servizi pubblici locali vi è, inoltre, un’apertura al terzo settore. Invero, l’articolo 18, in attuazione dei principi di solidarietà e di sussidiarietà orizzontale, prevede che gli enti locali possano attivare con enti del Terzo settore rapporti di partenariato per la realizzazione di specifici progetti di servizio o di intervento funzionalmente riconducibili al servizio pubblico locale (non a rete) di rilevanza economica.

La norma in commento estende, pertanto, anche al servizio pubblico locale di rilevanza economica l’utilizzo della co-progettazione, della coprogrammazione e dunque del partenariato come modalità consueta di attivazione di rapporti collaborativi fra P.A. ed ETS1.

Ai sensi del comma 2 dell’art. 18 del T.U. in esame la scelta di attivare rapporti di partenariato con ETS, deve essere motivata, nell’ambito di un’apposita relazione con specifico riferimento alla sussistenza delle circostanze che, nel caso concreto, determinano la natura effettivamente collaborativa del rapporto e agli effettivi benefici che tale soluzione comporta per il raggiungimento di obiettivi di universalità, solidarietà ed equilibrio di bilancio (rafforzamento del principio di sussidiarietà), nel rispetto dei principi di trasparenza, imparzialità, partecipazione e parità di trattamento.

8. Conclusioni

Il novum legislativo oggetto della presente disamina ha sicuramente il pregio di porre fine ad una disciplina stratificata e frastagliata, oggetto di molteplici interventi normativi succedutisi nel corso del tempo, rispondendo compiutamente all’esigenza di sistematizzare e razionalizzare una materia complessa e ricca di tecnicismi.

Non solo: l’impianto normativo in commento va sicuramente salutato con favore anche laddove costituisce attuazione dei principi costituzionali e di stampo europeista in tema di concorrenza, proporzionalità, sussidiarietà orizzontale e trasparenza.

In chiave critica, tuttavia, non può sottacersi come tale riordino anziché semplificare, implicherà ulteriori oneri a carico degli enti locali, soprattutto in materia di analisi a supporto della scelta della forma di gestione e in tema di monitoraggio e controllo degli affidatari, aspetti, questi ultimi, per i quali gli enti locali sono spesso privi delle competenze aziendalistiche necessarie.


Note e riferimenti bibliografici

1. Per un approfondimento si veda R. GAROFOLI, G. FERRARI, Manuale di diritto amministrativo, X ed., Roma, 2016/2017; G. CAIA, I servizi pubblici locali nella dimensione della concorrenza, in Rapporto "L'attuazione del federalismo fiscale in Emilia-Romagna, Veneto e Puglia: le opinioni e le attese dei responsabili dei servizi finanziari degli enti locali", Bologna, 2012, 121–134; M.  DUGATO, I servizi pubblici locali, in Trattato di diritto amministrativo a cura di Cassese, Parte Speciale, vol I., Milano, 2003.

2. Si veda, al riguardo, D. SORACE, I servizi pubblici economici nell’ordinamento nazionale ed europeo alla fine del primo decennio del XXI secolo, in Dir. Amm., fasc. 1, 2010.

3. Alla concezione oggettiva aderisce anche il Consiglio di Stato con sent. 16.03.2009 n. 1555 in www.giustizia-amministrativa.it, che ha precisato che “Per identificare giuridicamente un servizio pubblico, non è indispensabile, a livello soggettivo, la natura pubblica del gestore, mentre è necessaria la vigenza di una previsione legislativa che, alternativamente, ne preveda l’istituzione e la relativa disciplina, oppure che ne rimetta l’istituzione e l’organizzazione all’Amministrazione. Oltre alla natura pubblica delle regole che presiedono allo svolgimento delle attività di servizio pubblico e alla doverosità del loro svolgimento, è ancora necessario, nella prospettiva di un’accezione oggettiva della nozione, che tali attività presentino carattere economico e produttivo (e solo eventualmente costituiscano anche esercizio di funzioni amministrative), e che le utilità da esse derivanti siano dirette a vantaggio di una collettività, più o meno ampia, di utenti (in caso di servizi divisibili) o comunque di terzi beneficiari (in caso di servizi indivisibili”.

4. Il D.lgs. 2016 n. 175, recante Testo unico sulle società partecipate, all’art. 2, comma primo, lett. i) definisce i servizi pubblici locali di interesse economico generale (SIEG) come quei “servizi di interesse generale erogati o suscettibili di essere erogati dietro corrispettivo economico su un mercato”. Il medesimo articolo definisce, invece, i servizi di interesse generale (SIG) come quelle “attività di produzione e fornitura di beni o servizi che non sarebbero svolte dal mercato senza un intervento pubblico o sarebbero svolte a condizioni differenti in termini di accessibilità fisica ed economica, continuità, non discriminazione, qualità e sicurezza, che le amministrazioni pubbliche, nell'ambito delle rispettive competenze, assumono come necessarie per assicurare la soddisfazione dei bisogni della collettività di riferimento, così da garantire l'omogeneità dello sviluppo e la coesione sociale, ivi inclusi i servizi di interesse economico generale.” I SIG, pertanto, comprendono quelle attività di interesse generale con riferimento alle quali vi sono specifici obblighi di servizio pubblico da parte del gestore; in tale categoria generale, quindi, rientrano tanto le attività economiche quanto i servizi non economici.

5. In particolare, la prima disciplina interna dei servizi pubblici locali è stata recata dal titolo V (artt. 112 e seguenti) del TUEL di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000. L’art. 112 individua i servizi pubblici nella “produzione di beni ed attività rivolte a realizzare fini sociali e a promuovere lo sviluppo economico e civile delle comunità locali”. L’art. 113, recante disposizioni in materia di gestione delle reti ed erogazione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, è stato oggetto degli interventi modificativi e parzialmente abrogativi di seguito indicati. La legge 28 dicembre 2001, n. 448, ha modificato l’art. 113 del Tuel e vi ha inserito l’art. 113-bis, introducendo la distinzione tra servizi “di rilevanza industriale” e servizi “privi di rilevanza industriale”, assoggettando i primi al regime di concorrenza attraverso l’espletamento di gare con procedure ad evidenza pubblica, e prevedendo, per i secondi, l’affidamento diretto. La disciplina dei servizi pubblici locali è stata successivamente modificata dal decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 dicembre 2003, n. 350, il quale ha sostituito, alla distinzione tra servizi pubblici di rilevanza industriale/non di rilevanza industriale, quella tra servizi pubblici “a rilevanza economica” e servizi pubblici “privi di rilevanza economica”, "con ciò mostrando l’intento di superare la distinzione dei servizi pubblici basata esclusivamente sul modo tecnico in cui il servizio pubblico viene prodotto, cioè sul suo carattere strutturale e di produzione" (Corte dei conti, parere n. 195 del 2009). La Corte Costituzionale, con sentenza n. 272 del 2004, ha successivamente dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 113-bis del Tuel in materia di servizi privi di rilevanza economica, in quanto tali servizi non attengono alla tutela della concorrenza (come invece i servizi di rilevanza economica) e perciò la relativa disciplina non spetta alla competenza statale ai sensi dell'art. 117 della Costituzione. Ciò ha determinato di fatto una sorta di vuoto di disciplina dei servizi privi di rilevanza economica, che non è stato successivamente colmato. In questo quadro si è inserito l'art. 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008, (conv. L. n. 133 del 2008), con l’obiettivo di introdurre una (parziale) liberalizzazione del settore, con incentivazione della gestione in concorrenza dei servizi, sostituendo la normativa precedente, anche settoriale. A tal fine, è stato previsto: il principio della procedura ad evidenza pubblica come regola generale per gli affidamenti dei servizi pubblici a rilevanza economica; la possibilità di affidamento a una società mista a condizione che venisse espletata una gara «a doppio oggetto», per l’affidamento del servizio e per la scelta del socio privato, con una partecipazione non inferiore al 40 per cento e l'attribuzione di specifici compiti operativi; l'eccezione dell'affidamento in house, subordinato a un parere (non vincolante) dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato e all'esistenza di «situazioni eccezionali che, a causa di peculiari caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del contesto territoriale di riferimento, non permettessero un efficace e utile ricorso al mercato»3 . Il comma 11 dell’art 23-bis ha, inoltre, disposto l’abrogazione tacita delle disposizioni dell'art. 113 del Tuel nelle parti incompatibili con le nuove disposizioni. L’intera disciplina prevista dall'art. 23-bis, è stata travolta dagli esiti delle consultazioni referendarie del 12 e 13 giugno 2011, aventi ad oggetto quattro quesiti, tra cui uno di abrogazione dell'art. 23-bis del D.L. 112/2008 sui servizi pubblici locali. Successivamente, il Governo è intervenuto sulla materia con l’articolo 4 del decreto-legge n. 138 del 2011 (conv. L. 148/2011), prevedendo una nuova disciplina generale dei servizi pubblici locali che, tuttavia, a differenza della precedente escludeva espressamente il settore idrico. Quanto al campo di applicazione delle nuove regole si prevedeva una clausola di generale applicazione ai servizi pubblici locali di rilevanza economica, con prevalenza sulle relative discipline di settore incompatibili. Su tale normativa riproduttiva della disciplina oggetto del richiamato referendum è intervenuta la Corte costituzionale, che, con sentenza n. 199 del 2012, ha dichiarato l’illegittimità delle disposizioni adottate con l’art. 4 del D.L. n. 138/2011, in quanto dirette sostanzialmente a reintrodurre la disciplina abrogata dalla volontà popolare e così in contrasto con il divieto desumibile dall'art. 75 Cost.. In particolare, a seguito di questo intervento della Corte, il riferimento generale per la disciplina applicabile nell'ordinamento italiano in materia di affidamento del servizio è tornato ad essere rappresentato dalla normativa europea (direttamente applicabile) relativa alle regole concorrenziali minime per le gare ad evidenza pubblica che affidano la gestione di servizi pubblici di rilevanza economica (Corte cost., sentenza n. 24 del 2011). Caducata tutta la normativa adottata con l’art. 4 del D.L. 138/2011 e le successive modifiche, sono rimaste in vigore alcune disposizioni in materia che riguardano la scelta delle modalità di affidamento del servizio, che è rimessa dall’articolo 34 del decreto-legge n. 179 del 2012 (convertito da L. n. 221/2012) all'ente di governo dell'ambito o bacino territoriale, al quale partecipano obbligatoriamente gli enti locali, sulla base di una relazione, da rendere pubblica sul sito internet dell'ente stesso, che deve dare conto "delle ragioni e della sussistenza dei requisiti previsti dall'ordinamento europeo per la forma di affidamento prescelta e che definisce i contenuti specifici degli obblighi di servizio pubblico e servizio universale, indicando le compensazioni economiche (se previste)". Pertanto, la scelta della modalità di affidamento risulta rimessa alla valutazione dell'ente locale, nel presupposto che la discrezionalità in merito sia esercitata nel rispetto dei principi europei; di concorrenza, di libertà di stabilimento e di libera prestazione dei servizi. Da tale disciplina sono stati espressamente esclusi i servizi di distribuzione di gas naturale e di distribuzione di energia elettrica, nonché quelli di gestione delle farmacie comunali. Gli enti di governo sono tenuti ad inviare le relazioni all'Osservatorio per i servizi pubblici locali, istituito presso il Ministero dello sviluppo economico, che provvede a pubblicarle nel proprio portale telematico contenente dati concernenti l'applicazione della disciplina dei servizi pubblici locali di rilevanza economica sul territorio (art. 13, co. 25-bis, D.L. 23 dicembre 2013, n. 145, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 9/2014). Disposizioni particolari sono state stabilite per gli "affidamenti diretti" (cioè senza gara) in essere alla data di entrata in vigore del D.L. n. 179/2012 (18 ottobre 2012), anche se non conformi alla normativa europea articolo 34, comma 22, del decreto-legge n. 179 del 2012, come sostituito dall’articolo 8 della legge n. 115 del 2015).

6. L’articolo 10 del D.lgs. 201/2022 prevede che gli enti locali e gli altri enti competenti, oltre ad assicurare la prestazione dei servizi di interesse economico generale di livello locale ad essi attribuiti dalla legge, possono, nell’ambito delle rispettive competenze, istituire ulteriori servizi di rilevanza economica, previa verifica che l’attività delle imprese sul mercato o dei cittadini, singoli o associati, sia inidonea a soddisfare i bisogni della collettività. A tal fine, è prevista una delibera di istituzione del servizio, che deve dare conto degli esiti dell’istruttoria. Il comma 1 ribadisce in primo luogo che gli enti locali e gli altri enti competenti assicurano la prestazione dei servizi di interesse economico generale di livello locale ad essi attribuiti dalla legge. Ai sensi del comma 2 per il soddisfacimento dei bisogni delle comunità locali, l’ente locale deve favorire l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, e delle imprese ai fini del soddisfacimento dei bisogni delle comunità locali, anche con apposite agevolazioni e semplificazioni. Tale disposizione richiama con riferimento alla disciplina dei servizi pubblici locali, l’applicazione del principio di sussidiarietà orizzontale di cui all’articolo 118, quarto comma, Cost.. In particolare, la richiamata disposizione costituzionale prevede che Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l'autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà. Al contempo, l’articolo in esame riconosce che gli enti locali hanno la facoltà di istituire servizi di interesse economico generale diversi da quelli già previsti dalla legge, che ritengono necessari per assicurare la soddisfazione dei bisogni delle comunità locali (comma 3).

7. Il comma 5 dell’art. 10 in esame richiede che la deliberazione di istituzione del servizio dia adeguatamente conto degli esiti dell’istruttoria e la stessa può essere sottoposta a consultazione pubblica prima della sua adozione. In particolare, come emerge dalla lettura delle disposizioni successive, ove dall’istruttoria emerga la necessità di istituire il servizio pubblico, nella deliberazione si dovrà dare adeguata motivazione o dell’imposizione di obblighi di servizio pubblico o della necessità di attribuire diritti speciali o esclusivi a uno o più operatori. Inoltre, ai fini dell’istituzione di un nuovo servizio di livello locale l’istruttoria è il presupposto logico e giuridico delle ulteriori scelte poste in capo all’ente locale, che sono regolamentate negli articoli successivi.

8. In particolare, nei casi in cui dall’istruttoria svolta non risulti necessaria l’istituzione di un servizio pubblico, l’ente locale può comunque assumere iniziativa a tutela degli utenti (articolo 11 del D.lgs. 201/2022). Nei casi in cui invece risulti necessaria l’istituzione di un servizio pubblico, l’ente locale deve verificare se la prestazione del servizio può essere assicurata senza restrizioni del numero di operatori sul mercato, ma solo attraverso l’imposizione di obblighi di servizio pubblico con adeguate compensazioni (c.d. concorrenza nel mercato – art. 12 del D.lgs. 201/2022). Ove l'ente locale verifichi che la prestazione del servizio può essere assicurata solo mediante l’attribuzione di diritti speciali o esclusivi (art. 13 del D.lgs. 201/2022), procede ai sensi degli articoli 14 e ss.

9. L’articolo specifica che l’istituzione di un servizio pubblico di interesse generale di livello locale aggiuntivo rispetto a quelli previsti dalla legge (ai sensi dell’articolo 10, comma 3) avviene perché tale istituzione è ritenuta necessaria all’esito della verifica prevista dall’articolo 10, comma 4. Quest'ultima disposizione fa riferimento ad un’apposita istruttoria, avviata anche su richiesta di cittadini e imprese, da cui risulti, dopo un confronto tra le varie soluzioni possibili, che la prestazione di servizi da parte delle imprese liberamente operanti sul mercato o da parte di cittadini, singoli e associati, non risulta idonea a soddisfare i bisogni. Della decisione dell’assolvimento dei servizi di interesse economico generale attraverso l’imposizione di obblighi di servizio deve essere dato adeguatamente conto nella deliberazione di istituzione del servizio medesimo prevista dall’articolo 10, comma 5. La disposizione appare riconducibile, anche sulla base della relazione illustrativa, all’attuazione del principio di delega di cui alla già richiamata (anche per questo si rinvia alla scheda relativa all’articolo 10) lettera a) del comma 2 dell’articolo 8, principio relativo all’individuazione, delle attività di interesse generale il cui svolgimento è necessario al fine di assicurare la soddisfazione delle esigenze delle comunità locali.

10. Sul punto, si rammenta che ai sensi dell’articolo 2, comma 1, lettere e) ed f), il diritto, concesso da un’autorità competente mediante una disposizione legislativa, regolamentare o amministrativa, compatibilmente con la disciplina dell’Unione europea, si definisce “diritto esclusivo” quando produce l’effetto di riservare a un unico operatore economico l’esercizio di un’attività in un ambito determinato, mentre è qualificabile come “diritto speciale” quando produce l’effetto di riservare a due o più operatori economici l’esercizio di un’attività in un ambito determinato.

11. Per un approfondimento delle modalità di gestione dei servizi pubblici locali si veda G. CAIA, Modi di gestione dei servizi pubblici locali, in Libro dell'Anno del Diritto, 2012, Roma, 321-325; G. Caia, Procedure per l'affidamento dei servizi pubblici locali, in Libro dell'Anno del Diritto, 2012, ROMA, 326 - 330.

12. In proposito, è d’uopo precisare che il rapporto di concessione di pubblico servizio si distingue dall’appalto di servizi per l’assunzione da parte del concessionario del c.d. “rischio operativo” (sul punto si veda Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 2426/2021): “mentre l’appalto ha struttura bifasica tra appaltante ed appaltatore ed il compenso di quest’ultimo grava interamente sul primo, nella concessione, connotata da una dimensione triadica, il concessionario ha rapporti negoziali diretti con l’utenza finale, dalla cui richiesta di servizi trae la propria remunerazione”. In sintesi, l’appalto di servizi comporta un corrispettivo che è versato direttamente dall’amministrazione aggiudicatrice al prestatore di servizi, mentre nella concessione di servizi il corrispettivo della prestazione di servizi consiste nel diritto di gestire il servizio, o da solo o accompagnato da un prezzo, e la concessionaria non è direttamente retribuita dalla amministrazione aggiudicatrice, ma ha il diritto di riscuotere la remunerazione presso terzi. Nel D.Lgs. n. 50/2016, alla lettera vv) dell’art. 3 si definisce “concessione di servizi” il “contratto a titolo oneroso stipulato per iscritto in virtù del quale uno o più stazioni appaltanti affidano a uno o più operatori economici la fornitura e la gestione di servizi diversi dall’esecuzione di lavori di cui alla lettera II) riconoscendo a titolo di corrispettivo unicamente il diritto di gestire i servizi oggetto del contratto o tale diritto accompagnato da un prezzo, con assunzione in capo al concessionario del rischio operativo legato alla gestione dei servizi”. Pertanto, nella concessione di servizi è centrale l’elemento del “rischio operativo” che sussiste qualora l’aggiudicatario rinvenga il proprio profitto direttamente nei pagamenti ai quali sono tenuti gli utenti dei servizi. In tal senso l’art. 3, con la lett. zz), specifica che “Si considera che l’operatore economico assuma il rischio operativo nel caso in cui, in condizioni operative normali, per tali intendendosi l’insussistenza di eventi non prevedibili, non sia garantito il recupero degli investimenti effettuati o dei costi sostenuti per la gestione dei lavori o dei servizi oggetto della concessione. La parte del rischio trasferita all’operatore economico deve comportare una reale esposizione alle fluttuazioni del mercato tale per cui ogni potenziale perdita stimata subita dall’operatore economico non sia puramente nominale o trascurabile”.

13. In base alla disciplina richiamata, nella società mista pubblico privata la quota di partecipazione del soggetto privato non può essere inferiore al 30 per cento. Inoltre, la procedura di selezione pubblica del medesimo deve svolgersi nel rispetto delle procedure di evidenza pubblica a norma del Codice dei contratti pubblici e avere quale oggetto, al contempo, la sottoscrizione o l’acquisto della partecipazione societaria da parte del socio privato e l’affidamento del contratto di appalto o di concessione oggetto esclusivo dell’attività della società mista (cd. "gara a doppio oggetto") (comma 1). In base al comma 2, il socio privato deve possedere i requisiti di qualificazione previsti da norme legali o regolamentari in relazione alla prestazione per cui la società è stata costituita, nonché i necessari requisiti di qualificazione generali e speciali di carattere tecnico ed economico-finanziario, da specificare nel bando di gara unitamente al criterio di aggiudicazione. Il bando di gara oltre all’oggetto dell'affidamento e ai richiamati requisiti di qualificazione dei concorrenti, deve contenere criteri di aggiudicazione idonei a garantire una valutazione delle offerte in condizioni di concorrenza effettiva e un esito della procedura che realizzi un vantaggio economico complessivo per l'amministrazione pubblica che ha indetto la procedura. I criteri di aggiudicazione possono contemplare anche aspetti qualitativi ambientali e sociali collegati all'oggetto dell'affidamento o relativi all'innovazione.

14. La giurisprudenza europea e quella nazionale hanno elaborato gli indici identificativi da utilizzare per verificare la legittimità del ricorso all'in house providing: la totale partecipazione pubblica; il controllo analogo, anche congiunto nel caso di affidamento in house in favore di società partecipata da più enti pubblici; la prevalenza dell'attività con l'ente affidante. La formulazione della disciplina dell'in house recata dalle citate direttive ha quindi recepito la giurisprudenza della Corte di Giustizia sui requisiti dell’in house, introducendo, tuttavia, alcune innovazioni, che sono state illustrate, tra gli altri, nel parere del Consiglio di Stato n. 298/2015.

15.  In particolare, all'articolo 192, comma 2, del D.Lgs. 50/2016 si dispone che ai fini dell'affidamento in house di un contratto avente ad oggetto servizi disponibili sul mercato in regime di concorrenza, le stazioni appaltanti effettuano preventivamente la valutazione sulla congruità economica dell'offerta dei soggetti in house, avuto riguardo all'oggetto e al valore della prestazione, dando conto nella motivazione del provvedimento di affidamento delle ragioni del mancato ricorso al mercato, nonché dei benefici per la collettività della forma di gestione prescelta, anche con riferimento agli obiettivi di universalità e socialità, di efficienza, di economicità e di qualità del servizio, nonché di ottimale impiego delle risorse pubbliche. In proposito, la Corte costituzionale, nella sentenza 100 del 2020, nel dichiarare l'infondatezza di una questione di legittimità promossa nei confronti di tale disposizione, precisa che il maggior rigore contenuto nell'art. 192 per gli affidamenti in house non si pone in contrasto con la disciplina europea che, essendo diretta a favorire l'assetto concorrenziale del mercato, costituisce solo un minimo inderogabile da parte degli Stati membri. Nello stesso senso si esprime il Consiglio di Stato (si cfr. sent. 2102 del 12 marzo 2021) sottolinea come la motivazione rafforzata richiesta per l'autoproduzione "risponde agli interessi costituzionalmente tutelati della trasparenza amministrativa e della tutela della concorrenza".

16.  Sul punto, l’art. 17 comma 2 del decreto in commento prevede che la scelta del modello in house sia assunta nel rispetto di un preciso obbligo motivazionale qualora si tratti di affidamenti in house di importo superiore alle soglie di rilevanza europea in materia di contratti pubblici (di cui all’articolo 35 del Codice dei contratti pubblici). In tali casi, infatti, fatto salvo il divieto di artificioso frazionamento delle prestazioni, la deliberazione di affidamento del servizio deve spiegare le ragioni del mancato ricorso al mercato ai fini di un’efficiente gestione del servizio, illustrando i benefici per la collettività della forma di gestione prescelta con riguardo agli investimenti, alla qualità del servizio, ai costi dei servizi per gli utenti, all’impatto sulla finanza pubblica, nonché agli obiettivi di universalità, socialità, tutela dell’ambiente e accessibilità dei servizi, anche in relazione ai risultati conseguiti in eventuali pregresse gestioni in house.

In aggiunta, per i servizi pubblici locali a rete con importo superiore alla soglia europea, la delibera deve contenere in allegato un piano economico finanziario. Esso deve indicare la proiezione, su base triennale e per l’intero periodo di durata dell’affidamento, dei costi e dei ricavi, degli investimenti e dei relativi finanziamenti, nonché la specificazione dell’assetto economico-patrimoniale della società, del capitale investito e dell’ammontare dell’indebitamenti, da aggiornare ogni triennio. Il piano deve essere asseverato da un istituto di credito, da una società di servizio iscritta all’albo degli intermediari finanziari, da una società di revisione oppure da revisori legali.

Inoltre, il decreto introduce un meccanismo di stand still: il contratto di servizio non può essere stipulato se non sono trascorsi 60 giorni dalla pubblicazione della delibera di affidamento alla società in house sul sito dell’Anac. Questa clausola vale per tutte le ipotesi di affidamento senza gara di servizi pubblici locali di importo superiore alle soglie europee, compresi gli affidamenti in materia di trasporto pubblico locale e di distribuzione dell’energia elettrica e del gas.

17. Il D.lgs. 201/2022 prevede all’art. 6 una netta separazione fra le funzioni di regolazione, di indirizzo e controllo e quelle di gestione dei servizi pubblici locali “a rete”, intendendo per tali i servizi suscettibili di essere organizzati tramite reti strutturali o collegamenti funzionali necessari tra le sedi di produzione o di svolgimento della prestazione oggetto di servizio. La separazione viene garantita dal divieto per gli enti di governo dell’ambito e per le Autorità specificamente istituite per la regolazione e il controllo dei servizi pubblici locali di partecipare, sia direttamente che indirettamente, al capitale dei soggetti incaricati della gestione del servizio. Si tratta però di una regola generale piuttosto debole, in quanto sono previste diverse eccezioni, fra cui: non si considerano partecipate indirettamente le società formate o partecipate dagli Enti locali ricompresi nell’ambito; gli Enti locali titolari del servizio e a cui spettano le funzioni di regolazione possono assumere anche la gestione del servizio, sia direttamente che per mezzo di un soggetto partecipato, a patto però che le strutture, i servizi, gli uffici e le unità organizzative dell’ente ed i loro dirigenti e dipendenti preposti alle funzioni di regolazione non svolgano alcuna funzione o compito inerente alla gestione e il suo affidamento.

18. Viene in tal modo superata con disposizioni più stringenti la vigente normativa sulla scelta delle modalità di affidamento per i servizi locali di rilevanza economica (art. 34, co. 20 ss., del D.L. n. 179 del 2012, convertito da L. n. 221/2012 e art. 3-bis, co. 1-bis, quarto, quinto e sesto periodo, D.L. n. 138 del 2011), attualmente rimessa all'ente di governo dell'ambito o bacino territoriale sulla base di una relazione che deve dare conto "delle ragioni e della sussistenza dei requisiti previsti dall'ordinamento europeo per la forma di affidamento prescelta e che definisce i contenuti specifici degli obblighi di servizio pubblico e servizio universale, indicando le compensazioni economiche (se previste)". Le sopra richiamate disposizioni sono di conseguenza abrogate ai sensi dell’articolo 36, co. 1, lett. f) e h), del decreto in esame.

19. L’articolo risponde a quanto previsto dall’art. 8, comma 2, lettera o), della legge n. 118 del 2022 che, fra i principi e i criteri direttivi della delega, prevede la razionalizzazione del rapporto tra la disciplina dei servizi pubblici locali e la disciplina per l'affidamento dei rapporti negoziali di partenariato regolati dal D. Lgs. 117 del 2017 (Codice del Terzo settore, d’ora in poi CTS), e agli indirizzi della giurisprudenza costituzionale. In particolare sul punto si cfr. la sentenza della Corte costituzionale n. 131 del 2020, pubblicata sulla G.U. n. 27 del 1° luglio 2020, che sottolinea come l’art. 55 del CTS realizzi per la prima volta in termini generali una vera e propria procedimentalizzazione dell’azione sussidiaria, realizzando “una delle più significative attuazioni del principio di sussidiarietà orizzontale valorizzato dall’art. 118, quarto comma, Cost.”. La Corte ritiene che in tal modo si instauri, tra i soggetti pubblici e gli ETS, un canale di amministrazione condivisa, alternativo a quello del profitto e del mercato: la ‘coprogrammazione’, la ‘co-progettazione’ e il ‘partenariato’ (che può condurre anche a forme di ‘accreditamento’) si configurano come fasi di un procedimento complesso, espressione di un diverso rapporto tra il pubblico ed il privato sociale, non fondato semplicemente su un rapporto sinallagmatico (contratto a prestazioni corrispettive). Il modello configurato dall’art. 55 CTS, infatti, si basa sulla convergenza di obiettivi e sull’aggregazione di risorse pubbliche e private per la programmazione e la progettazione, in comune, di servizi e interventi diretti a elevare i livelli di cittadinanza attiva, di coesione e protezione sociale, secondo una sfera relazionale che si colloca al di là del mero scambio utilitaristico. La Corte inoltre evidenzia che “lo stesso diritto dell’unione … mantiene, a ben vedere, in capo agli stati membri la possibilità di apprestare, in relazione ad attività a spiccata valenza sociale, un modello organizzativo ispirato non al principio di concorrenza, ma a quello di solidarietà”.