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Pubbl. Ven, 2 Giu 2023

Il multiforme istituto del diritto d´accesso, con particolare riguardo al c.d. accesso difensivo in corso di causa

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Aurora Ricci
Funzionario della P.A.Università degli Studi di Perugia



L´elaborato analizza le varie forme del diritto d´accesso, soffermandosi in particolare sul c.d. accesso difensivo, nonché sulla valutazione operata dal giudice in ordine al medesimo. Infine, si affronta la tematica dell´accesso difensivo espletato in corso di causa alla luce di una recente sentenza dell´Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato.


ENG

The multiform institution of the right of access, with particular regard to the c.d. defensive access in lawsuit

The paper analyzes le various forms of the right of access, focusing in particular on the c.d. defensive access, as well as the assessment made by the court in relation to the same. Finally, the issue of defensive access completed during the proceedings is addressed in the light of a recent decision of the Plenary Assembly of the Council of State.

Sommario: 1. Le molteplici forme del diritto d’accesso quale precipitato del principio di trasparenza e strumento di controllo dell’agere democratico della P.A. 2. L’istituto del c.d. accesso difensivo e valutazione del collegamento sussistente tra esigenze difensive e documenti oggetto dell’ostensione (Cons. Stato, Ad. Plen., sent. n. 4/2021). 3. L’accesso difensivo in corso di causa (Cons. Stato, Ad. Plen., sent. n. 4/2023). 4. Conclusioni.

1. Le molteplici forme del diritto d’accesso quale precipitato del principio di trasparenza e strumento di controllo dell’agere democratico della P.A

Le riforme che hanno interessato il diritto amministrativo negli ultimi anni sono state orientate a rendere conoscibile e comprensibile l’azione amministrativa nell’ottica della valorizzazione dei principi di buon andamento e imparzialità ex art. 97 Cost., al fine di consentire ai privati un controllo sul perseguimento dei fini istituzionali della Pubblica Amministrazione e sul corretto utilizzo delle risorse pubbliche, contribuendo a rendere la P.A. una vera e propria casa di vetro secondo l’antica idea di Filippo Turati.

In tal senso, un ruolo cardine è assolto dal principio di trasparenza, annoverato tra i principi fondamentali dell’azione amministrativa ai sensi dell’art. 1 della L. 241/90 come novellato dalla L. 15/2005, innalzato al livello essenziale delle prestazioni ex art. 117 comma 2 lett. m) Cost. per opera della L. 190/2012, cd. Legge Anticorruzione, attualizzato ad opera del cd. Decreto Trasparenza D.lgs. 33/2013 e ulteriormente rafforzato in virtù del D. Lgs. 97/2016, ispirato ai c.d. Foia statunitensi, nel senso di consentire forme diffuse di controllo da parte dei cittadini sull’operato della P.A.

In tale nuova visione della trasparenza dell’azione amministrativa si inscrive lo strumento attuativo principe della trasparenza medesima[1], ovvero il diritto di accesso nelle sue molteplici forme[2]: il diritto d’accesso c.d. endoprocedimentale ex art. 10 della L. 241/90, quale diritto dei destinatari dell’avvio del procedimento di presentare memorie scritte e documenti nel corso dello stesso; il diritto d’accesso documentale disciplinato dagli artt. 22 e ss. della L. 241/90, quale diritto degli interessati di prendere visione ed estrarre copia dei documenti amministrativi; il diritto d’accesso civico introdotto dal D. Lgs. 33/2013, art. 5, nella forma semplice, quale contraltare dell’obbligo della PA di pubblicare sui propri siti istituzionali informazioni, dati e documenti relativi alla propria organizzazione e azione e il diritto d’accesso civico generalizzato introdotto per effetto delle modifiche del D. Lgs. 97/2016 al D. Lgs. 33/2013, quale diritto di chiunque di conoscere informazioni e dati detenuti dalle PA ulteriori rispetto a quelli oggetto di pubblicazione.

La differenza fondamentale tra accesso documentale e accesso civico consiste nella diversa legittimazione attiva, essendo il primo correlato alla sussistenza di un interesse diretto concreto e attuale corrispondente alla situazione giuridica tutelata e collegata al documento di cui si chiede l’ostensione, mentre il secondo è riconosciuto a chiunque a prescindere dalla sussistenza di tale posizione giuridica differenziata, fermo il rispetto degli interessi pubblici e privati contemplati dall’art. 5 bis del D. Lgs. 33/2013.

La finalità dell’accesso documentale ex artt. 22 e ss. della L. 241/90 è, infatti, ben differente da quella sottesa all’accesso generalizzato ed è quella di porre i soggetti interessati in grado di esercitare al meglio le facoltà – partecipative e/o oppositive e difensive – che l’ordinamento attribuisce loro a tutela delle posizioni giuridiche qualificate di cui sono titolari; di converso, il diritto di accesso generalizzato, oltre che quello “semplice”, è riconosciuto proprio “allo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico”.

Tale diversa finalità si riverbera anche sul diverso ambito delle tutele, poiché nel caso dell’accesso documentale il bilanciamento dei contrapposti interessi può consentire un accesso più in profondità ai dati pertinenti, mentre nel caso dell’accesso generalizzato le esigenze di controllo diffuso del cittadino devono consentire un accesso meno in profondità (se del caso, in relazione all’operatività dei limiti), ma più esteso, avendo presente che l’accesso in questo caso comporta, di fatto, un’ampia conoscibilità (e diffusione) di dati, documenti e informazioni.

Per quanto concerne i limiti al diritto di accesso documentale, occorre precisare che l’art. 24 della L. 241/1990 individua i suddetti limiti distinguendoli in tassativi ed eventuali, a seconda che siano previsti direttamente dalla legge a tutela di interessi pubblicistici non derogabili dalla PA (documenti coperti dal segreto di Stato, relativi a procedimenti tributari, agli atti normativi, amministrativi generali, di pianificazione e programmazione, documenti relativi a procedure selettive riguardanti informazioni psicoattitudinali) o dalla P.A. medesima mediante regolamento per tutelare taluni interessi primari quali la sicurezza nazionale, la politica monetaria e valutaria, la riservatezza.

L’art. 24, comma 7, prevede, inoltre, come regola l’accesso documentale nella forma dell’accesso c.d. difensivo, individuandolo come controlimite, allorché l’accesso sia strumentale alla cura o difesa dei propri interessi giuridici.

In relazione, per contro, all’accesso civico, l’art. 5 bis del D. Lgs. 33/2013 evidenzia che la regola della generale accessibilità è temperata dalla previsione di eccezioni poste a tutela di interessi pubblici e privati che possono subire un pregiudizio dalla diffusione generalizzata di talune informazioni.

In particolare, dalla disamina della predetta norma, in particolare dalla lettura dei commi 1, 2 e 3, si possono distinguere due tipi di eccezioni, assolute o relative, al ricorrere delle quali, le amministrazioni, rispettivamente, devono o possono rifiutare l’accesso generalizzato. Nel dettaglio, l’accesso generalizzato è escluso nei casi indicati al comma 3 dell’art. 5 bis (segreto di Stato; negli altri casi di divieto di accesso o divulgazione previsti dalla legge) ovvero nei casi in cui una norma di legge, sulla base di una valutazione preventiva e generale, per tutelare interessi prioritari e fondamentali, dispone la non ostensibilità di dati, documenti e informazioni ovvero la consente secondo particolari condizioni, modalità e/o limiti.

Al di fuori dei casi sopra indicati, possono ricorrere, invece, limiti (eccezioni relative o qualificate) posti a tutela di interessi pubblici elencati al comma 1 dell’art. 5 bis del Decreto trasparenza (sicurezza pubblica e l’ordine pubblico, sicurezza nazionale, la difesa e le questioni militari, le relazioni internazionali, la politica e la stabilità finanziaria ed economica dello Stato) e privati (la protezione dei dati personali, in conformità con la disciplina legislativa in materia, la libertà e la segretezza della corrispondenza, gli interessi economici e commerciali di una persona fisica o giuridica, ivi compresi la proprietà intellettuale, il diritto d’autore e i segreti commerciali) elencati al comma 2 dell’art. 5-bis.

In tali ipotesi, il legislatore non opera, come nel caso delle eccezioni assolute, una generale e preventiva individuazione delle esclusioni all’accesso generalizzato, ma rinvia ad un’attività valutativa che deve essere effettuata dalle amministrazioni con la tecnica del bilanciamento, caso per caso, tra l’interesse pubblico alla disclosure generalizzata e la tutela di altrettanto validi interessi considerati dall’ordinamento. L’amministrazione, cioè, è tenuta a verificare, una volta accertata l’assenza di eccezioni assolute, se l’ostensione degli atti possa determinare un pregiudizio concreto e probabile agli interessi indicati dal legislatore mediante un’operazione di bilanciamento condotta alla luce dei principi di ragionevolezza e di proporzionalità, che tenga conto anche dell’interesse alla conoscenza del richiedente.

2. L’istituto del c.d. accesso difensivo e valutazione del collegamento sussistente tra esigenze difensive e documenti oggetto dell’ostensione (Cons. Stato, Ad. Plen., sent. n. 4/2021)

L’accesso documentale quando è preordinato al perseguimento di finalità difensive[3] assume particolari connotati, nel senso che si configura quale fattispecie autonoma di accesso qualificato in quanto finalizzato alla tutela giurisdizionale della situazione legittimante dell’istante, nonché rafforzato, perché si connota quale strumento ostensivo prevalente sulla riservatezza in un’ottica gradata. Invero, se vengono in rilievo dati personali semplici, è sufficiente dimostrare il nesso di strumentalità tra la documentazione oggetto dell’ostensione e la cura o difesa in giudizio di un proprio interesse giuridico.

Diversamente, se si tratta di dati sensibili, occorre l’ulteriore tassello della comprova del nesso di stretta indispensabilità, mentre se vengono in rilievo dati c.d. sensibilissimi, è richiesta la sussistenza, oltre alla stretta indispensabilità, anche del c.d. diritto di pari rango, cioè che l’accesso sia strumentale alla tutela di un diritto di rango almeno pari alla riservatezza, che in tal caso viene in gioco al massimo livello.

Pertanto, l’accesso difensivo è caratterizzato da una forza espansiva idonea a superare le ordinarie preclusioni che si frappongono alla conoscenza degli atti amministrativi, nonché risulta connotato da una forte limitazione sul piano motivazionale, ovvero dall’onere di dovere dimostrare la necessità della conoscenza dell’atto o la sua stretta indispensabilità, nei casi in cui l’accesso involga dati sensibili o giudiziari, per la cura o per la difesa in giudizio di un proprio interesse giuridico. In relazione a tale tipologia di accesso, infatti, la P.A. è tenuta a verificare la correlazione tra gli atti oggetto di accesso e la possibilità di una tutela giurisdizionale, non potendo effettuare un giudizio prognostico sull’effettiva utilità rispetto alla tutela del bene della vita.

Ne consegue che, anche sul piano delle finalità perseguite, nell’accesso difensivo la conoscenza dell'atto non è destinata a consentire al privato di contribuire a rendere l'esercizio del potere trasparente e imparziale, ma rappresenta lo strumento per la cura e la difesa dei propri interessi giuridici.

In relazione all’accesso con finalità difensive occorre, peraltro, dare atto del dibattito pretorio ricomposto dall’Adunanza Plenaria con pronuncia n. 4 del 2021 – Presidente Patroni Griffi – Estensore Nocelli[4], in ordine al problema della motivazione dell’istanza di accesso e del sindacato esercitabile sulla relativa motivazione.

In particolare, il dibattito in questione è stato caratterizzato da una rigida polarizzazione tra due orientamenti fra loro confliggenti: secondo, infatti, un primo indirizzo ermeneutico era sufficiente, ai fini dell’accoglimento dell’istanza di accesso, che la documentazione richiesta avesse semplicemente attinenza con il processo, non potendo la P.A. valutare la fondatezza o meno delle pretese azionate dal privato, né tantomeno la validità della strategia processuale prescelta.

Per converso, secondo un diverso orientamento giurisprudenziale, era necessaria una valutazione più rigorosa dell’istanza di accesso, tanto da gravare il richiedente dell’onere di provare la specifica connessione con gli atti reputati rilevanti ai fini difensivi, anche mediante il ricorso ad elementi induttivi, sebbene espressi, e logicamente intellegibili in termini di consequenzialità rispetto alle deduzioni difensive.

Nel ricomporre il suesposto conflitto, l’Adunanza Plenaria, con la pronuncia sopra richiamata, ha precisato che l’accesso ai documenti va consentito anche quando la relativa istanza è preordinata alla loro utilizzazione in un giudizio, senza che sia possibile operare ex ante alcuna valutazione in ordine all’ammissibilità ovvero alla fondatezza della domanda che sia stata proposta o che si intenda proporre, il cui apprezzamento spetta soltanto al giudice investito della questione, salvo il caso di una evidente, assoluta, mancanza di collegamento tra il documento e le esigenze difensive e, quindi, in ipotesi di esercizio pretestuoso o temerario dell’accesso difensivo stesso per la radicale assenza dei presupposti legittimanti previsti dalla l. n. 241/1990.

Il Supremo Consesso della giustizia amministrativa si sofferma poi sulla rilevanza della motivazione in materia di accesso difensivo, precisando che non è sufficiente che la relativa istanza contenga un riferimento generico a non meglio precisate esigenze probatorio-difensive, ma richiedendo una puntuale motivazione che evidenzi il collegamento tra il documento di cui si chiede l’ostensione e l’esigenza di tutela della situazione legittimante l’accesso.

Sul punto, se da un lato, la Plenaria sembra richiedere una motivazione rafforzata al privato, e dall’altro lato, pretendere o giustificare da parte dell’Amministrazione un sindacato più penetrante su questa correlazione, in realtà la giurisprudenza amministrativa ha continuato ad affermare che, in materia di accesso difensivo, l’Amministrazione, così come il giudice dell’accesso, non sono facoltizzati né a sindacare la strategia processuale della parte che chiede l’accesso, né ad ergersi a giudice della pretesa sostanziale che il privato intende far valere in giudizio.

In particolare, si ribadisce che la valutazione della pertinenza del documento rispetto all’esigenza difensiva deve essere effettuata in astratto, prescindendosi da ogni accertamento in ordine alla fondatezza della pretesa sostanziale, alla luce dei documenti acquisibili mediante l’accesso.

In tal senso, l’accesso documentale difensivo potrà essere negato allorquando emerga una manifesta pretestuosità della pretesa, ovvero un’evidente assenza di collegamento con l’esigenza difensiva, o ancora qualora si tratti di istanza genericamente motivata, ma risulta precluso in radice ogni sindacato in merito alla strategia processuale veicolata per il tramite dell’istanza d’accesso[5]

3. L’accesso difensivo in corso di causa (Cons. Stato, Ad. Plen., sent. n. 4/2023)

Premesso l’inquadramento sull’accesso documentale difensivo in generale, si evidenzia che l’art. 116, comma 2, del Codice del processo amministrativo consente di esercitare il diritto di accesso documentale anche in corso di giudizio, prevedendo la possibilità di proporre il ricorso contro il diniego d’accesso mediante un’istanza presentata al giudice del processo amministrativo già pendente. In tal caso, viene richiesto all’Amministrazione un documento che è connesso con un giudizio che ho incardinato davanti al giudice amministrativo. 

Siffatta connessione richiama la strumentalità con l’esigenza difensiva che deve sempre caratterizzare l’accesso difensivo e che è qualificata, nel senso che deve trattarsi di un’esigenza difensiva “connessa” con l’azione che ho già proposto di fronte al giudice amministrativo.

Peraltro, diverse sono le ipotesi di strumentalità dell’accesso in corso di causa rispetto a quello già pendente, in quanto l’ostensione del documento connesso può essere preordinata non soltanto ad una migliore difesa in quel medesimo giudizio, ma anche alla valutazione relativa alla necessità di continuare quel giudizio, o alla necessità di proporre domande ulteriori o all’impugnativa di provvedimenti connessi a quello già oggetto di gravame.

Pertanto, mentre in un accesso documentale difensivo tout-court, io posso far valere qualsiasi esigenza difensiva, anche non correlata ad un processo amministrativo pendente o da iniziare, o anche collegata a qualsiasi processo, anche non amministrativo e anche non pendente, per contro nella fattispecie in commento, l’esigenza difensiva deve essere correlata alla domanda che ho proposto in quel processo o a domande correlate, venendo, quindi, in rilievo una connessione qualificata.

Con particolare riguardo, poi, alla vexata quaestio che si è posta recentemente in seno alla giurisprudenza amministrativa, occorre evidenziare che ai sensi dell’art. 116, comma 2, c.p.a. è possibile impugnare il diniego d’accesso mediante un’istanza al giudice del processo principale già pendente e, al riguardo, la norma in questione dispone che il giudice si pronuncia con “ordinanza”. In tal senso, la problematica che si è posta in giurisprudenza in relazione all’accesso documentale esercitato in corso di causa attiene all’identificazione della natura giuridica della predetta ordinanza con la quale il giudice del processo principale decide la contestazione relativa al diniego d’accesso.

In tal caso, è d’uopo precisare che il diniego si impugna non con un ricorso autonomo, ma con un’istanza depositata presso la segreteria del giudice amministrativo di fronte al quale pende il ricorso principale. Invero, di regola l’accesso in caso di diniego è governato da un rito speciale e camerale che si conclude con una sentenza in forma semplificata formalmente di annullamento del diniego, ma contestualmente di condanna dell’Amministrazione ad un facere, consistente nell’ostensione del documento denegato al privato. Pertanto, l’atto conclusivo del giudizio in materia d’accesso è una sentenza, che come tale è appellabile e ottemperabile. Per converso, nella fattispecie delineata dall’art. 116, comma 2, del c.p.a., viene in rilievo un’ordinanza della quale non è, peraltro, nemmeno espressamente prevista né l’appellabilità, né l’ottemperabilità.

Tale problematica ha dato luogo ad un contrasto interpretativo relativo alla natura della predetta ordinanza, ovvero se la stessa abbia o meno un valore decisorio, oppure un valore istruttorio, o un valore variabile, istruttorio o decisorio, a seconda della valutazione concretamente effettuata dal giudice, con conseguente rimessione della questione all’Adunanza Plenaria.

L’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato del 24 gennaio 2023, n. 4 – Presidente Maruotti, Estensore Lopilato[6], si è pronunciata, quindi, sulla natura dell’ordinanza resa nel corso del processo di primo grado sull’istanza di accesso documentale ai sensi dell’art. 116, secondo comma, c.p.a., affermandone la valenza decisoria con conseguente appellabilità innanzi al Consiglio di Stato, in quanto decide definitivamente il rapporto controverso, che è quello concernente l’accesso, che comunque si connota quale rapporto autonomo rispetto al rapporto principale.

Invero, anche se l’accesso è una situazione strumentale finalizzata alla tutela di altre situazioni giuridiche soggettive, tuttavia con tale ordinanza il giudice amministrativo decide definitivamente sull’accesso poiché nel momento in cui lo concede, ad esempio annullando il diniego e ordinando l’ostensione, quella è un’ordinanza che produce effetti irreversibili sia per l’Amministrazione che deve consentire l’ostensione del documento, sia per il controinteressato. In particolare, la natura decisoria dell’ordinanza che esamina l’istanza di accesso proposta nel corso del processo di primo grado ai sensi dell’art. 116, secondo comma, c.p.a., viene affermata alla stregua di una serie di argomentazioni.

In primo luogo, sulla base del criterio di interpretazione letterale, giacché l’art. 116 c.p.a. prevede, al comma 2, che: “il ricorso di cui al comma 1” può essere proposto con istanza in pendenza di giudizio, il che evidenzia, stante il rinvio effettuato all’accesso richiesto con ricorso autonomo, la sostanziale unitarietà del rimedio. Non solo, si precisa che l’istanza deve essere notificata all’Amministrazione e agli eventuali controinteressati, che potrebbero anche essere diversi dalle parti già evocate in giudizio, il che sta a significare come il rispetto delle regole del contraddittorio sia coerente con la logica della natura decisoria dell’ordinanza.

Alla stregua di un’interpretazione storica, si considera, inoltre, che le norme vigenti non qualificano più l’ordinanza in esame come ordinanza istruttoria, come avveniva in passato. Anche l’applicazione del criterio di interpretazione sistematica orienta poi il Supremo Consesso che evidenzia che il Codice del processo amministrativo ha disciplinato distintamente la fase dell’istruttoria e l’istanza di accesso in corso del giudizio, con la conseguenza che non si possono sovrapporre gli istituti in esame.

Ancora, alla luce di un’interpretazione costituzionalmente orientata, il Collegio ritiene, da un lato, che è necessario assicurare il diritto di difesa dei controinteressati e della stessa pubblica amministrazione, qualora nel corso del processo sia emessa un’ordinanza che accolga il ricorso ex art. 116, comma 2, c.p.a. e consenta l’ostensione dei documenti richiesti; dall’altro, il principio del doppio grado di giudizio impone, in presenza di provvedimenti aventi contenuto decisorio, di consentire alle parti di proporre appello.

Pertanto, l’Adunanza plenaria precisa che l’ordinanza, che esamina l’istanza di accesso proposta nel corso di giudizio, ha valenza decisoria, anche perché, incide su situazioni giuridiche diverse rispetto a quelle oggetto del giudizio principale, così come avviene nel caso di ricorso proposto in via autonoma, evidenziandone una serie di peculiarità. In particolare, in questo caso, viene in rilievo un’ipotesi di un accesso difensivo “qualificato” dalla circostanza che la documentazione richiesta deve essere strumentale alla tutela delle situazioni giuridiche che sono state fatte valere in uno specifico processo amministrativo in corso di svolgimento.

Si tratta di una “strumentalità in senso ampio”, in quanto la valutazione che deve essere effettuata dal giudice non è soltanto volta a verificare la possibile rilevanza del documento per la definizione del giudizio, ma può servire anche per risolvere in via stragiudiziale la controversia, per proporre una nuova impugnazione ovvero ancora una diversa domanda di tutela innanzi ad altra autorità giudiziaria.

Non solo, la norma in commento consente al giudice di non decidere in ordine all’istanza di accesso con ordinanza, ma di deciderla con la sentenza che definisce il giudizio. Questa previsione si spiega proprio nell’ottica della connessione della domanda con il giudizio in corso, che potrebbe indurre il giudice della causa principale a rinviare, ad esempio, la decisione incidentale sull’accesso al momento di adozione della sentenza, qualora ritenga che quella documentazione non risulti necessaria ai fini della definizione del giudizio.

4. Conclusioni

Il presente elaborato, oltre ad aver messo in luce la poliedricità dell’istituto dell’accesso, quale motore principale nell’attuazione del fondamentale canone della trasparenza dell’azione amministrativa, nonché quale strumento finalizzato a prevenire il malaffare amministrativo nell’ottica del controllo democratico dell’agere della PA, evidenzia la multiforme natura dell’accesso anche in considerazione dei diversi ambiti in cui viene invocato e delle finalità per le quali viene azionato. Ciò consente di sottolineare le peculiarità dell’accesso difensivo autonomo rispetto alle altre forme di accesso.

Al riguardo, si segnala il pregio dell’orientamento condiviso dall’Adunanza Plenaria con la sentenza n. 4/2021, giacché l’adesione all’indirizzo pretorio ex adverso formatosi, che reputava, invece, legittimo per la P.A. valutare la fondatezza delle pretese azionate dal privato, nonché la validità della strategia processuale prescelta dal medesimo, avrebbe implicato un’ardita dilatazione del concetto di discrezionalità amministrativa, con un pericoloso sconfinamento dell’autorità pubblica in ambiti alla stessa costituzionalmente preclusi, anche in considerazione del principio di separazione dei poteri e di effettività della tutela giurisdizionale.

Nonostante l’autonomia dell’accesso difensivo comune, non possono, tuttavia, sottacersi i profili differenziali rispetto al diverso strumento del c.d. accesso difensivo in corso di causa promosso ai sensi dell’art. 116, comma 2, c.p.a., alla luce delle peculiarità di siffatto istituto ben poste in evidenza dall’Adunanza Plenaria con la recentissima sentenza n. 4/2023, della quale si condivide l’impianto argomentativo. Invero, a parere dello scrivente, nell’ipotesi dell’accesso azionato ex art. 116, comma 2, del c.p.a., viene in rilievo un accesso connotato dalla circostanza che la documentazione richiesta debba essere strumentale alla tutela delle situazioni giuridiche che sono state fatte valere in quello specifico processo amministrativo, connessione, tuttavia, da intendersi in senso ampio, ovvero comprensiva della facoltà di proporre domande connesse o dell’impugnativa di ulteriori provvedimenti connessi.

La seconda peculiarità dello strumento in esame risiede nel fatto che il giudice può non decidere sull’istanza di accesso con ordinanza, bensì determinarsi con la sentenza che definisce il giudizio. Invero, tali circostanze, unitamente al dato decisivo rappresentato dalla potenziale idoneità di siffatta ordinanza ad incidere definitivamente su situazioni giuridiche sostanziali facenti capo all’Amministrazione e ai controinteressati, depongono, indubbiamente, in favore del riconoscimento della natura decisoria del provvedimento in questione. 


Note e riferimenti bibliografici

[1] L’accesso è una species del più ampio genus della trasparenza. Come evidenziato in dottrina, non sono figure coincidenti, in quanto la trasparenza rispetto all’accesso documentale, ha un ambito applicativo più ampio, perché riguarda l’organizzazione amministrativa in generale e non solo il procedimento amministrativo. In tal senso, si veda M.A. SANDULLI, Accesso alle notizie e ai documenti amministrativi, in Enciclopedia del diritto, Milano, Giuffrè, 2000.

[2] La dottrina sul diritto di accesso è copiosa: si vedano, ex plurimis, V. PARISIO, La tutela dei diritti di accesso ai documenti amministrativi e alle informazioni nella prospettiva giurisdizionale, in Federalismi.it, 2018, 11; M.A. SANDULLI, Accesso alle notizie e ai documenti amministrativi, in Enciclopedia del diritto, Milano, Giuffrè, 2000, 1; F. FRANCARIO, Il diritto di accesso deve essere una garanzia effettiva e non una mera declamazione retorica, in Federalismi.it, 2019;  M. CLARICH, Diritto d'accesso e tutela della riservatezza: regole sostanziali e tutela processuale, in Dir. proc. amm., 1996, 3, 43 ss.; F. PATRONI GRIFFI, La trasparenza della pubblica amministrazione tra accessibilità totale e riservatezza, in Federalismi.it, 2013, 8; A. PAJNO, Il principio di trasparenza alla luce delle norme anticorruzione, in Riv. giust. civ., 2015, 2, 213-246.

[3] A. SIMONATI, M. CALABRÒ, Le modalità di esercizio del diritto di accesso e la relativa tutela, in M.A. SANDULLI (a cura di), Codice dell’azione amministrativa, Milano, 2017, 1320 ss. 18.1.

[4] 4 Cons. Stato, Ad. plen., 18 marzo 2021, n. 4, in giustizia-amministrativa.it. Sul punto, si rinvia ai recenti scritti riuniti nel fascicolo a cura di V. PARISIO, I diritti di accesso davanti al giudice amministrativo, in Il diritto dell’economia, 2022, 1, 199 ss., passim.

[5] Si veda anche T.A.R. Roma, sez. II, 13 aprile 2021, n. 4301, in giustizia-amministrativa.it, ove si legge che, alla luce dei principi stabiliti dall’Adunanza Plenaria n. 4/2021, “si deve rilevare che le difese svolte da Roma Capitale circa l’infondatezza della tesi difensiva che la società ricorrente vorrebbe sostenere attraverso l’acquisizione della documentazione di cui chiede l’accesso, sono del tutto ultronee rispetto alle valutazioni che sono rimesse alla discrezionalità della pubblica amministrazione in sede di delibazione dell’istanza di accesso difensivo”, dovendo la P.A. limitarsi a valutare la sussistenza della necessaria strumentalità tra la documentazione richiesta e la situazione finale che l’istante intende tutelare, senza svolgere giudizi prognostici sulla fondatezza delle azioni che nella fattispecie l’interessato potrà decidere di intraprendere. Contra, Cons. Stato, sez. VI, 07 marzo 2022, sez. V, 03 agosto 2021, n. 5712, in giustiziaamministrativa.it che ha evidenziato come la natura strumentale dell’accesso difensivo comporta che la necessità del documento vada valutata verificando se esso sia effettivamente il necessario tramite per acquisire la prova “e ciò mediante un giudizio prognostico ex ante”; dovendo, pertanto, l’istanza dell'interessato essere puntuale e specifica e non limitarsi a dedurre un generico riferimento a esigenze difensive.

[6] Cons. Stato, Ad. plen., 24 gennaio 2023, n. 4, in giustizia-amministrativa.it.