Pubbl. Lun, 3 Lug 2023
Mobbing sul lavoro: un vademecum per riconoscerlo, prevenirlo e contrastarlo
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Alessandro Bofisè
Il mobbing rappresenta una gravissima forma di violenza che trova il suo habitat naturale sul posto nel lavoro e, nel lavoratore subordinato, la preda perfetta. Sono devastanti le conseguenze per chi ne è vittima, potendo, esso, causare gravi danni sia a livello fisico che psichico: è una vera e propria violazione dei diritti umani sul posto di lavoro. Questo studio si propone di fornire una guida completa, che sia utile ai lavoratori che ritengono di aver subito vessazioni sul posto di lavoro, ma anche al datore di lavoro, sul quale, ricordiamo, grava il dovere di protezione dei propri dipendenti ex art. 2087 c.c., tenendo conto del fatto che, talvolta, potrà essere egli stesso vittima di mobbing.
Workplace bullying: a handbook to recognise, prevent and fight it
Bullying represents a very serious form of violence that finds its natural habitat in the workplace and, in the employee, the perfect victim. The consequences for the victim are devastating and can include serious physical and mental damages; it is a real violation of human rights in the workplace. This study aims to provide a complete guide, which is useful to employees who believe they have suffered harassment in the workplace, but also to the employer, who has a duty to protect their employees pursuant to art. 2087 of the Italian Civil Code, taking into account the fact that, sometimes, he may himself be a victim of bullying.Sommario: 1. Definizione di mobbing; 2. Elementi costitutivi del mobbing; 3. Riferimenti normativi; 4. Tipologie di mobbing; 5. lo Straining; 6. Forme di responsabilità e oneri probatori; 7. Tipologie di danni risarcibili; 8. Azioni di contrasto al mobbing; 9. Come prevenire il mobbing; 10. Casistica sui comportamenti tipici di mobbing; 11. Conclusioni.
1. Definizione di mobbing.
In assenza di un’espressa previsione normativa, una definizione di mobbing è stata fornita dai giudici di legittimità secondo cui, tale fattispecie, può essere definita come la condotta protratta nel tempo da parte del datore di lavoro o del superiore gerarchico, nei confronti del lavoratore all’interno dell'ambiente di lavoro, che si risolve in sistematici e reiterati comportamenti ostili, di prevaricazione e vessazione, potenzialmente idonei a mortificare ed emarginare il dipendente, con conseguenze lesive del suo equilibrio psicofisico e della sua personalità[i].
La definizione fornita dai giudici di legittimità, tuttavia, sebbene meritevole di pregio, non tiene in debita considerazione tutte quelle ipotesi, non sporadiche, in cui le condotte vessatorie e persecutorie non provengano dal datore di lavoro o da altro superiore, bensì, dai colleghi della vittima appartenenti al suo stesso livello gerarchico, se non addirittura ad esso subordinati. Tale puntualizzazione si rende necessaria ai fini della corretta qualificazione della responsabilità del datore di lavoro, che più avanti affronteremo in modo più esaustivo.
Sulla scorta delle indicazioni fornite dalla giurisprudenza, e volendo fornire una definizione teorica del fenomeno in argomento che sia il più possibile completa, potremmo definire il mobbing come una grave forma di violenza sul posto di lavoro, che si sostanzia in una serie di atti o comportamenti ostili, offensivi o intimidatori ripetuti nel tempo, esercitati da un individuo, o gruppo di individui, spesso gerarchicamente superiori, a scapito di un altro lavoratore, connotati da un animo persecutorio e finalizzati all’isolamento della vittima dalla compagine lavorativa.
Al fine di confutare ogni dubbio sulla configurabilità di tale fattispecie, è bene precisare che, tra le condotte riconducibili alla nozione di mobbing, vi rientrano sia comportamenti illeciti e, dunque, autonomamente perseguibili, sia condotte di per sé lecite, il più delle volte espressione di un’esasperazione dei poteri di direzione, controllo e disciplina propri del datore di lavoro[ii].
Ebbene, affinché talune condotte, che autonomamente considerate costituiscono specifiche ipotesi di reato, possano integrare la fattispecie di mobbing, è necessario che sussistano una serie di presupposti che rappresentino espressione di un disegno unitario e che siano ripetute in modo sistematico nel tempo.
2. Elementi costitutivi del mobbing.
Ai fini della configurabilità del mobbing, i giudici di legittimità e la dottrina maggioritaria hanno fornito un valido contributo per l’individuazione degli elementi costitutivi della fattispecie in esame[iii].
In particolare, per poter parlare di mobbing occorre che il comportamento illecito presenti una serie di caratteristiche: l’elemento soggettivo, comunemente ravvisabile nella volontà persecutoria che unisce tra loro tutti gli atti o comportamenti del mobber con fine vessatorio, persecutorio o conducente all’emarginazione del dipendente[iv]; l’elemento oggettivo, rappresentato dalla reiterazione sistematica, protratta nel tempo per almeno sei mesi[v], di plurime condotte vessatorie, poste in essere direttamente dal datore di lavoro o da un suo preposto, ovvero, da altri dipendenti sottoposti al potere direttivo dei primi, ai danni del lavoratore, che raffigurano, alla luce di una valutazione complessiva, il frutto di una strategia unitaria di isolamento[vi]; la lesione alla salute, alla personalità, alla dignità o alla professionalità del dipendente; il nesso causale tra le condotte vessatorie e il pregiudizio subito dal lavoratore nella propria integrità psico-fisica e/o nella propria dignità (il danno subito dev’essere, cioè, conseguenza diretta e immediata della condotta del mobber).
3. Riferimenti normativi.
Attualmente, non esiste una disciplina specifica che regola il mobbing, tuttavia, tale fattispecie assume rilievo giuridico per effetto delle diverse norme che tutelano la salute, la sicurezza ed il benessere dei lavoratori.
In tale ottica, il mobbing assume rilievo giuridico alla stregua di plurimi riferimenti normativi, tra i quali ricordiamo l'art. 2 Cost. (diritti inviolabili dell’uomo, sia nella sua dimensione individuale che sociale), l'art. 3 Cost. (principio di uguaglianza), l'art. 4 Cost. (riconoscimento del diritto al lavoro a tutti i cittadini), l'art. 32 Cost. (diritto alla salute), l'art. 41 Cost. (libertà dell’iniziativa economica privata), gli artt. 1175 e 1375 c.c. (dovere di correttezza e buona fede), l'art. 2043 c.c. (responsabilità extracontrattuale), l'art. 2049 c.c. (responsabilità dei padroni e dei committenti), l'art. 2087 c.c. (tutela delle condizioni di lavoro), l'art. 2103 c.c. (sulla prestazione lavorativa), l'art. 15, Legge 300/1970 (Statuto dei lavoratori), che prevede la nullità di patti o atti diretti a realizzare forme di discriminazione sul luogo di lavoro, l'art. 25 e succ. del D.Lgs. 198/2006 (Codice delle pari opportunità tra uomo e donna), sul contrasto alle discriminazioni nei luoghi di lavoro;l'art. 28 del D.Lgs. 81/2008 (Testo unico per la sicurezza sul lavoro), che impone la valutazione dei rischi per la salute dei lavoratori.
Inoltre, in mancanza di una norma che disciplini dettagliatamente il mobbing, proprio a causa delle diverse forme che possono assumere i comportamenti persecutori o vessatori, il mobber potrebbe porre in essere, sussistendone i presupposti di volta in volta da accertare, condotte anche penalmente rilevanti tra le quali, a titolo meramente esemplificativo, può essere menzionato l'abuso d’ufficio (art. 323 c.p.), maltrattamenti contro familiari e conviventi (art. 572 c.p.), lesioni personali dolose o colpose (artt. 582 e 590 c.p.), violenza sessuale (art. 609-bis c.p.), violenza privata (art. 610 c.p.), minaccia (art. 612 c.p.), molestia o disturbo a persone (art. 660 c.p.).
4. Tipologie di mobbing.
Attualmente è possibile distinguere diverse tipologie di mobbing che possono essere differenziate sia dalla diversa peculiarità delle azioni vessatorie poste in essere nei confronti della vittima, che dalla natura dei rapporti intercorrenti tra i soggetti coinvolti.
Ebbene, seguendo tale opzione metodologica, è possibile distinguere diverse forme di mobbing.
Il mobbing verticale implica che i soggetti coinvolti siano collocati su livelli diversi della gerarchica aziendale. Nel caso in cui le condotte vessatorie siano poste in essere da un soggetto che occupa una posizione gerarchicamente superiore rispetto alla vittima si parlerà di mobbing verticale discendente, che trova la sua più diffusa manifestazione nell’abuso di potere[vii].
Il mobbing ascendente si incentra anche esso sui rapporti gerarchici esistenti tra gli agenti coinvolti ma, a differenza del precedente, il mobber è un lavoratore di livello inferiore che agisce ai danni di un superiore. Esso, concretamente, si sostanzia in un isolamento o sabotaggio, finalizzato alla commissione di errori la cui responsabilità è destinata a ricadere interamente sul superiore. Esempi tipici di tale forma di mobbing sono la disobbedienza e lo scavalcamento[viii].
Il mobbing orizzontale, invece, presuppone atti persecutori reiterati sul posto di lavoro ad opera di uno o più colleghi che si trovano nella stessa posizione gerarchica della vittima. In questo caso, il mobber è animato dalla volontà di indurre un altro lavoratore a licenziarsi o impedire che possa fare carriera e si manifesta, comunemente, attraverso varie forme di tipo socio-comunicativo, quali, ad esempio, calunnie, pettegolezzi, dispetti, blocco delle informazioni, etc[ix].
Volendo, ora, utilizzare un diverso approccio identificativo della fattispecie in esame, non più ancorato ai rapporti gerarchici, bensì, alle relazioni comportamentali tra gli attori coinvolti e le condotte mobbizzanti, è possibile distinguere un mobbing legato ad un conflitto interpersonale: la persecuzione origina da uno stato crescente di conflitto interpersonale e, dunque, sensibilmente più appassionante per gli attori coinvolti. Ad esso, si contrappone il mobbing predatorio, dove l’origine della condotta mobbizzante è legata a situazioni ambientali o organizzative come, ad esempio, il caso in cui il mobber desidera il ruolo ricoperto dalla vittima[x].
Il doppio mobbing: tale fenomeno si riscontra frequentemente in Italia, dove il legame famigliare è sentito e vissuto molto più intensamente rispetto alle realtà nordeuropee in cui tale fenomeno è quasi del tutto inesistente.
Il mobbing desta molta preoccupazione non solo in ambito lavorativo, ma anche nella sfera sociale, in quanto agisce in modo continuo, lento e talvolta anche infinito: la vittima finirà per sfogarsi e infondere la propria frustrazione e afflizione all’interno del proprio nucleo familiare e amicale. Alla lunga, dopo un primo periodo di conforto, tale situazione potrebbe condurre a crisi e rotture con i prossimi congiunti e conviventi o amici[xi].
E' possibile distinguere ulteriori ipotesi di mobbing, tra cui leggero e pesante, a seconda, se le vessazioni, sono velate o evidenti, ovvero, aggressive; individuale e collettivo, se la vittima, cioè, è un singolo, ovvero gruppi di lavoratori; diretto e indiretto, nel primo caso le vessazioni saranno rivolte direttamente alla vittima, nel secondo, coinvolgeranno anche il suo nucleo familiare o amicale; mobbing strategico, che si identifica nella volontà, ben delineata, di esclusione da parte dell’azienda[xii], quick mobbing, che, come abbiamo avuto modo di vedere, uno dei presupposti su cui si fonda il mobbing è la variabile temporale, cioè, per poter parlare di mobbing, occorre che le condotte vessatorie siano protratte per un periodo di almeno sei mesi. Tuttavia, è stato ipotizzato un caso in cui tale termine possa essere ridotto a tre mesi, ovvero, quando si è in presenza di attacchi particolarmente frequenti e intensi[xiii], lo Straining, di cui si parlerà nel capitolo successivo.
5. Lo straining.
Come ormai chiarito, per mobbing si intendono quei comportamenti vessatori, sistematici e reiterati nel tempo, con cui un lavoratore viene sottoposto a un livello di stress e frustrazione tale da ingenerare in esso uno stato di estremo disagio. Abbiamo anche visto che, per poter parlare di mobbing, è necessario che le vessazioni siano continue e reiterate per almeno sei mesi.
Tuttavia, nelle realtà lavorative si verificano, sovente, situazioni in cui un datore di lavoro sottopone un proprio subordinato a forme di ostilità e intimidazione senza, però, dar luogo a vere e proprie vessazioni ripetute nel tempo in modo sistematico.
Tali comportamenti, sebbene non idonei a integrare la fattispecie di mobbing, sono talmente gravi da arrecare ugualmente alla vittima una forma di stress e oppressione: questo è il caso dello straining, ovvero, una forma attenuata di mobbing.
A differenza del mobbing tipico, proprio per effetto del modo in cui viene realizzata l'azione vessatoria, a causa della sua particolare aggressività e incisività, non viene chiesta la continuità e perpetrazione delle condotte persecutorie, ritenendosi sufficiente anche una sola azione, sempre però, animata dall’intento di vessare il lavoratore[xiv]. Tale forma di mobbing trova la sua più comune materializzazione nel demansionamento, o nel trasferimento non motivato da esigenze aziendali e finalizzato esclusivamente ad arrecare un nocumento alle condizioni lavorative e personali del dipendente[xv].
La giurisprudenza di legittimità ha recentemente fornito una definizione completa della fattispecie in argomento, definendola come un: “…comportamento vessatorio nei confronti del dipendente, finalizzato a opprimerlo e mortificarlo, seppur senza carattere di continuità”[xvi].
Quindi, lo straining, al pari del mobbing, rappresenta un comportamento vessatorio, oppressivo e molesto ma, a differenza di quest’ultimo, difetta il carattere della sistematicità: le vessazioni, infatti, non sono continue e ravvicinate.
Mortificazioni, carichi di lavoro eccessivi, demansionamento[xvii], derisioni e prese in giro, si tratta di comportamenti che possono essere fonte di stress ai danni del lavoratore e sfociare anche in disturbi di tipo psico-fisico.
In tali eventualità, pur non configurandosi il mobbing, la condotta del datore di lavoro è illegittima, e il lavoratore potrà agire in giudizio per il risarcimento del danno causato da straining[xviii].
Il datore di lavoro, infatti, è responsabile ex art. 2087 c.c. della tutela dei suoi lavoratori e deve impiegare tutti gli accorgimenti adeguati per garantire loro integrità fisica e morale.
I casi più comuni di straining sono individuati nelle assegnazioni di carichi di lavoro eccessivo, attribuzione a mansioni per le quali non si ha una competenza adeguata, demansionamento, frequenti e non giustificati cambi di mansioni e qualifica, derisioni, sottrazione da ogni mansione svolta in precedenza.
6. Forme di responsabilità e oneri probatori.
Le condotte mobbizzanti possono dar luogo sia a profili di responsabilità contrattuale che extracontrattuale, con conseguente diritto della vittima al risarcimento del danno subito.
Per quanto riguarda la responsabilità contrattuale, com’è noto, questa presuppone l’inadempimento di un’obbligazione preesistente: nel caso del mobbing, ad essere inadempiuta è un’obbligazione che trova la propria fonte direttamente nella legge, ovvero, nell’art. 2087 c.c. il quale impone al datore di lavoro di adottare tutte le misure necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro[xix].
Ovviamente, il datore di lavoro risponderà in prima persona sia se ponga in essere egli stesso atti vessatori nei confronti del proprio dipendente, sia qualora non abbia adeguatamente vigilato, prevenuto e, nel caso, represso condotte mobbizzanti compiute dai suoi sottoposti e a scapito di un altro lavoratore[xx].
In tale eventualità, la vittima dovrà dimostrare i comportamenti del datore di lavoro che costituiscono inadempimento dell'obbligo di protezione ex art. 2087 c.c., nonché, il nesso di causalità fra il danno subito e le condotte mobbizzanti.
A tal fine, la giurisprudenza ha chiarito che la vittima può limitarsi a fornire la prova dell’idoneità persecutoria della condotta complessivamente posta in essere, rilevabile, anche in via presuntiva, dalle caratteristiche oggettive della stessa, quali la monodirezionalità, la pretestuosità e la permanenza nel tempo dei comportamenti vessatori[xxi].
Il datore di lavoro, dal canto suo, per superare la presunzione legale di colpa gravante ex art. 1218 c.c., dovrà fornire la c.d. prova liberatoria, vale a dire, dovrà dimostrare di aver adottato tutte le misure necessarie a tutelare la salute psicofisica del lavoratore, ovvero, di non averlo potuto fare per cause a lui non imputabili[xxii].
È bene ricordare che, nel caso di un’azione di responsabilità contrattuale, che si prescrive ex art. 2934 c.c. in dieci anni, non è necessario provare il dolo del datore di lavoro che col suo inadempimento ha provocato il danno, in quanto, toccherà a quest’ultimo dimostrare che l’inadempimento si è verificato per ragioni a lui non addebitabili.
La responsabilità extracontrattuale, sempre riferita al mobbing, ricorre quando la condotta vessatoria è posta in essere dai colleghi che si trovano sullo stesso livello gerarchico della vittima o anche dai suoi superiori, purché diversi dal datore di lavoro, sul quale, ricordiamo, gravano gli obblighi di protezione.
In tale eventualità, i comportamenti mobbizzanti sono da ricondurre alla responsabilità extracontrattuale ex art. 2043 c.c: la vittima dovrà provare, quindi, il fatto dannoso, il danno patito ed il nesso causale tra fatto e danno, nonché, sul piano psicologico, il dolo o la colpa del danneggiante.
Le due forme di responsabilità, contrattuale nei confronti del datore di lavoro ed extracontrattuale nei confronti del dipendente che materialmente pone in essere i comportamenti vessatori, possono, senza alcuna preclusione, concorrere tra di loro.
Quindi, il lavoratore vittima di mobbing potrà agire non solo nei confronti del proprio persecutore, ma anche e contemporaneamente nei confronti del datore, facendo valere, sempre sul piano extracontrattuale, la responsabilità indiretta che l’art. 2049 c.c. ricollega al fatto illecito commesso dal dipendente.
Tale ulteriore ipotesi di azione giudiziale, si va ad aggiungere o affiancare a quella di inadempimento contrattuale del datore di lavoro per mancata vigilanza o tutela nei confronti dei propri sottoposti[xxiii].
L’azione per il risarcimento del danno da responsabilità extracontrattuale, ai sensi dell’art. 2947 c.c., si prescrive in cinque anni.
7. Tipologie di danni risarcibili.
A causa delle differenti forme che possono assumere le condotte vessatorie, diversi sono i danni che può subire la vittima, potendo, questi, avere sia natura patrimoniale che non patrimoniale quali, a titolo di esempio, i costi sostenuti a seguito delle condotte vessatorie (spese mediche), o i mancati guadagni[xxiv].
Per ciò che attiene al danno patrimoniale, esso consiste nella lesione di un interesse patrimoniale della vittima, da intendere sia come diminuzione del patrimonio (c.d. danno emergente), che di mancato guadagno (c.d. lucro cessante)[xxv].
Nel caso di mobbing, le ipotesi più ricorrenti di danno patrimoniale sono il danno da demansionamento o dequalificazione professionale; il danno emergente (ad esempio, i costi sostenuti per le cure mediche necessarie a fronteggiare la malattia psico-fisica causata dal mobbing); il danno da lucro cessante (ad esempio, il mancato guadagno che la vittima avrebbe ottenuto senza il verificarsi dell'evento dannoso); il danno da dimissioni per giusta causa o da licenziamento illegittimo.
Nel caso in cui il danno patrimoniale non dovesse essere quantificabile con certezza, il Giudice potrà sempre procedere ad una liquidazione equitativa usando, come parametro di riferimento, una quota di retribuzione inerente al periodo in cui si sono verificate le condotte mobbizzanti.
Il danno non patrimoniale, invece, può essere definito come la lesione di un interesse protetto dall’ordinamento ed avente ad oggetto utilità per le quali non sussiste un mercato. La Cassazione, con un’importante pronuncia, ha definito il danno non patrimoniale come quello “…determinato dalla lesione di interessi inerenti la persona non connotati da rilevanza economica”[xxvi].
In particolare, per effetto di una lettura costituzionalmente orientata dell'art. 2059 c.c.[xxvii], può essere riconosciuta la configurabilità dei danni risarcibili anche nei casi non espressamente previsti dalla legge, purché derivanti dalla lesione dei diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione[xxviii]. È possibile considerare tale danno come una figura unitaria e aggregante delle diverse tipologie di danno al lavoratore[xxix].
Per l’effetto sono, pertanto, riconducibili nell’alveo del danno non patrimoniale il danno biologico[xxx] (cioè, quello derivante da patologie fisiche o psichiche riportate dal lavoratore e clinicamente accertate), il danno morale (consistente nella sofferenza e nel dolore patiti dal danneggiato) e il danno esistenziale (inteso quale stravolgimento delle abitudini di vita, delle relazioni e delle altre attività in cui si realizza l’uomo)[xxxi].
Sui mezzi di prova, non essendo condivisibile l'impostazione del danno in re ipsa, per il danno biologico si richiede l'accertamento medico-legale, per gli altri pregiudizi non patrimoniali, invece, si dovrà necessariamente ricorrere alla prova testimoniale, documentale e presuntiva.
Un discorso a parte dev’essere fatto, invece, per il danno esistenziale lamentato dalla vittima, da intendere quale forma di tutela svincolata dalla sussistenza o meno del danno alla salute[xxxii].
Il riconoscimento di tale tipologia di danno, considerato il suo carattere strettamente personale, presuppone delucidazioni che solo la vittima può fornire, dovendo, questa, indicare gli elementi che denotino l'alterazione delle sue abitudini di vita[xxxiii]; nonché, della sussistenza e dell’entità del pregiudizio subito, fatta salva la possibilità di ricorrere alla presunzione ex artt. 2727 e 2729 c.c.[xxxiv]
8. Azioni di contrasto al mobbing.
Considerata la complessità della materia in esame e la mancanza di una normativa specifica che detti regole chiare e precise, risulta comprensibile la difficoltà del lavoratore di riconoscere, con certezza, la sussistenza del mobbing che, a sua volta, può manifestarsi in modi e forme differenti[xxxv], talvolta anche con gesti, atti e parole di per sé innocue ma, se considerati nel loro complesso e nel lungo periodo, seriamente idonee a compromettere l’equilibrio psicofisico del lavoratore.
Il dipendente che ha subito atti di mobbing da parte del datore di lavoro o da altri colleghi ha a disposizione diversi strumenti predisposti dall’ordinamento.
Innanzitutto, la vittima può optare per la notificazione di una diffida scritta, al fine di rappresentare al datore di lavoro quanto subito indicando, in modo dettagliato e analitico, le condotte vessatorie patite, le modalità di svolgimento e il periodo in cui si sono verificati tali comportamenti, il nominativo degli autori, i danni subiti e l’invito al datore di attivarsi affinché cessino i comportamenti recriminati e provvedere al risarcimetno dei danni subiti.
Qualora la diffida non sortisca alcun apprezzabile risultato, ci si dovrà rivolgere, inevitabilmente, all’autorità giudiziaria per la richiesta di risarcimento dei danni, ovvero, affinchè il datore di lavoro si attivi per rendere sicuro il posto di lavoro.
Ai fini di un eventuale contenzioso giudiziario, la vittima dovrà dimostrare di aver subito i comportamenti mobbizzanti e che questi lungano dal costituire semplici episodi di conflittualità sul luogo di lavoro o normale esercizio dei poteri di organizzazione, direzione e controllo tipici del datore di lavoro.
Per quanto concerne l’onere della prova, si rinvia al capito 5 all’uopo dedicato;
Bisogna dimostrare, poi, di aver subito un danno alla professionalità (ad esempio, ostruzione ai fini della carriera) o alla propria persona (ansia o depressione a seguito delle condotte vessatorie) mediante apposita relazione medica.
E’ evidente, pertanto, che prima di cominciare una causa per mobbing, si dovrà aver cura di raccogliere il maggior numero di prove al fine di supportare quanto denunciato (prova testimoniale, certificati medici attestanti percosse, lesioni, attacchi di panico, annotazioni personali dettagliate descriventi fatti e date, foto, video e ogni documento utile).
La competenza a conoscere la controversia è del Giudice del lavoro territorialmente competente e l’atto introduttivo è il ricorso, che dovrà contenere la descrizione dettagliata delle condotte mobbizzanti denunciate, delle prove a sostegno dei fatti addotti con l’indicazione dei testimoni, nonché, dei danni subiti (nel caso di danni patrimoniali, ad esempio, spese mediche, visite specialistiche; in caso di danni non patrimoniali, o morali, biologici e esistenziali, invece, servirà un accertamento da parte del medico legale).
Oltre al risarcimento del danno, occorre ricordare l’obbligo di protezione dell’incolumità dei dipendenti ex art. 2087 c.c. che grava sul datore di lavoro e che legittima l’azione di adempimento[xxxvi], anche anticipabile in via cautelare, finalizzata a indurre ques'ultimo ad adottare misure idonee a contrastare e prevenire le condotte mobbizzanti perpetrate da altri lavoratori sottoposti alla sua autorità.
Nei casi più esasperati, è doveroso aggiungere che, l’inadempimento dell’obbligo di protezione gravante sul datore di lavoro potrebbe consentire al lavoratore di rifiutare l’esecuzione della propria prestazione lavorativa fino a che non siano adottate misure in grado di contenere il fenomeno dannoso. In tale ultimo caso, la vittima farà valere la c.d. eccezione di inadempimento e potrà, nei casi più estremi, presentare le dimissioni per giusta causa, con conseguente diritto di percepire un’indennità sostitutiva del preavviso con conseguente possibilità di accedere all’indennità di disoccupazione (naspi).
In particolare, l’INPS, con propria circolare[xxxvii], recependo l’indirizzo fornito dai giudici della Corte costituzionale, riconosce il pagametno dell’indennità ordinaria di disoccupazione anche nel caso di dimissioni per giusta causa, ed elenca tra le varie ipotesi proprio il mobbing[xxxviii].
Qualora si intenda perseguire penalmente l’autore delle condotte mobbizzanti si dovrà sporgere denuncia presso le autorità competenti, il magistrato designato procederà a compiere le indagini necessarie ad accertare la configurabilità della fattispecie delittuosa configurabile.
9. Come prevenire il mobbing.
L’unico strumento realmente efficace di contrasto al mobbing è la prevenzione, la quale consente di evitare che i conflitti quotidiani degenerino dando luogo a vere e proprie vessazioni del lavoratore.
Prevenire significa intervenire al fine di anticipare il fenomeno, infatti, è stato osservato che, così operando, si contrasta il fenomeno in modo più efficace, stroncandolo sul nascere[xxxix].
Intervenire prima che si verifichino condotte di mobbing vuol dire anche creare un ambiente di lavoro positivo, migliorare la qualità della vita lavorativa ed evitare il rischio di emarginazione sociale dei lavoratori.
Per prevenire il mobbing, è importante che i datori di lavoro promuovano, all’interno dell’azienda, la cultura del rispetto, della tolleranza e dell’inclusione e che garantiscano a ogni lavoratore piena uguaglianza e giustizia sociale.
Il contrasto al mobbing, quindi, passa da una mirata attività di formazione, prevenzione, gestione del conflitto e comunicazione efficace, creando un ambiente di lavoro organizzato da norme chiare, processi e procedure ben delineate[xl]. I dipendenti, inoltre, devono essere spronati a segnalare eventuali casi di mobbing senza temere potenziali ritorsioni.
Per rendere possibile tutto ciò, oltre all’istituzione del Responsabile del servizio di prevenzione e protezione, figura introdotta dal D.Lgs. 81/2008, vi sono anche specifici corsi formativi all’uopo predisposti.
Anche la Comunità europea è intervenuta con la direttiva n.391/CEE del Consiglio, del 12 giugno 1989 concernente l’attuazione di misure finalizzate a incentivare lo sviluppo della sicurezza e della salute dei lavoratori sui luoghi di lavoro, facendo gravare sui datori l’onere di garantire condizioni lavorative positive che scongiurino il verificarsi del mobbing.
Il Parlamento europeo, inoltre, ha sensibilizzato gli Stati membri ad adottare una normativa il più possibile uniforme tra i Paese membri, che preveda disposizioni specifiche per la prevenzione e il contrasto del fenomeno.
Parte della dottrina ha evidenziato, peraltro, che un ambiente di lavoro fortemente competitivo, nonché, un uso eccessivo della flessibilità dei contratti lavorativi, influiscono in modo diretto e lesivo nei rapporti sociali in azienda[xli].
Appare evidente, in definitiva, che la lotta al mobbing non può prescindere, sia da un’attività di prevenzione mirata, riconoscendo ampio spazio all’attività di informazione, sia da interventi diretti che, in qualche modo, rendano migliori le condizioni di lavoro. Infatti, nel caso in cui l’ambiente di lavoro viene vissuto in modo ostile, perde la sua funzione di integrazione sociale, divenendo potenziale fonte di rischio per il benessere dei lavoratori[xlii].
10. Casistica sui comportamenti tipici di mobbing.
Prendendo in esame la casistica giurisprudenziale degli ultimi anni, è possibile individuare, a mero titolo esemplificativo, un insieme di condotte che, andando oltre la normale conflittualità sul posto di lavoro, integrano il mobbing: derisione, insulti e comportamenti ostili di vario tipo; calunnie, molestie o minacce; umiliazioni e pressioni psicologiche; critiche continue, immotivate e/o esagerate; isolamento sociale (ad esempio, venendo escluso da riunioni, comunicazioni aziendali, aggiornamento o altre attività); aggressione sul piano fisico; violenze alla sfera sessuale; riduzione dell’autonomia del lavoratore; collocamento in postazioni di lavoro inidonee o particolarmente scomode; demansionamento e/o privazione di incarichi; sovramansionamento; trasferimento illegittimo; negazioni continue e ingiustificate di permessi e ferie; esclusioni o privazioni immotivate dai benefit aziendali spettanti; ostacolo alla carriera professionale; provvedimenti disciplinari strumentali e pretestuosi; esercizio illegittimo del potere disciplinare e/o di controllo; licenziamento ingiustificato e/o immotivato.
Sebbene lapalissiano, è opportuno puntualizzare che la gran parte delle condotte menzionate integrano specifiche ipotesi di illeciti contrattuali (com’è il caso, ad esempio, di un provvedimento disciplinare illegittimo, o del demansionamento): condotte autonomamente perseguibili qualora realizzate in modo indipendente le une dalle altre e, dunque, connaturate dalla mancanza di un fine precipuo e unicamente orientato a emarginare e vessare il dipendente.
Laddove, invece, tali illeciti siano riconducibili a un’unica strategia vessatoria, daranno luogo alla fattispecie di mobbing.
Un recente studio ha messo in relazione il mobbing e la salute dei lavoratori, ed ha dimostrato che un ambiente relazionale logorato, abbinato a un sentimento di dequalificazione e scarso attaccamento al lavoro, sono elementi rilevatori di malessere da parte del dipendente[xliii], il quale si sentirà sempre più insoddisfatto e in simbiosi con l’azienda[xliv].
11. Conclusioni.
Il mobbing può verificarsi in qualsiasi ambiente lavorativo, sia pubblico che privato e deve essere contrastato in modo immediato e preventivo, si tratta, infatti, di un problema serio che colpisce molti lavoratori. Per prevenirlo, si rende necessario promuovere una cultura aziendale fondata sul rispetto e sulla tolleranza, fornire formazione adeguata, nonché, assistenza ai dipendenti, offrendo loro adeguato supporto anche psicologico. Solo in questo modo si potrà creare un ambiente di lavoro sano, sicuro e rispettoso dei diritti umani.
I lavoratori vittime di mobbing devono, anzitutto, essere consapevoli della realtà in cui si trovano e cercare aiuto immediato da professionisti qualificati come consulenti, psicologici o avvocati del lavoro.
I soggetti perseguitati, infatti, devono conoscere i propri diritti e difenderli, ma per fare ciò, devono comprendere a fondo questo grave fenomeno sempre più diffuso, al fine di ravvisarne gli elementi costitutivi, circostanza non sempre agevole, soprattutto se si considera che non tutti gli atteggiamenti eccessivamente severi o ingiusti subiti da un lavoratore da parte di un superiore o da un collega possono essere qualificati come mobbing.
È importante, infine, denunciare il mobbing, anche se non è semplice proprio a causa del frequente timore di sentirsi umiliati e disprezzati o, peggio, di perdere il posto di lavoro. Ebbene, tutto ciò non deve far desistere la vittima dal reagire alle violenze ingiustamente subite, infatti, solo denunciando di aver subito mobbing il fenomeno può essere seriamente contrastato, depredando i datori di lavoro di quella forza assoluta che, alle volte, li induce a credere di poter trattare i propri dipendenti come oggetti privi di un’anima e una dignità.
[i] Cass. Civ. n. 3785 del 17 febbraio 2009, in www.olympus.uniurb.it.
[ii] Fattispecie da non confondere con quella dell'abuso del diritto, la quale rappresenta un’ipotesi residuale in ambito giuslavoristico a causa della sua natura tipicamente rigida, nonché dei conseguenti problemi di delimitazione del contenuto. E’ essenziale la valutazione del comportamento del datore di lavoro al fine di verificare quanto rientra nel legittimo esercizio dei poteri di quest’ultimo e ecceda e sia illegittimo, ricordiamo, infatti, che l’abuso rappresenta il limite all’assolutezza del diritto di proprietà.
[iii] Cass. Civ., Sez. Lavoro, n. 17698 del 06 agosto 2014, in www.olympus.uniurb.it.
[iv] E. PASQUALETTO, Intenzionalità del mobbing e costrittività organizzativa, in Riv. it. dir. lav., 2014, 63 ss.
[v] Cass. Civ. n. 20046 del 17 settembre 2009, in www.edotto.com.
[vi] Cass. Civ. Sez. Lavoro, n. 2142 del 27 gennaio 2017, in www.olympus.uniurb.it.
[vii] M. GIANNINI, A. DI FABIO, B. GEPPONI, La rilevazione del mobbing in ambito lavorativo: proprietà psicometriche del Negative Acts Questionnaire (NAQ) in Italia. Risorsa Uomo, 2004, 257-268.
[viii] G. TRENTINI, Oltre il mobbing: le nuove frontiere della persecutività, Milano, 2006, 15-16.
[ix] S. EINARSEN, The nature and causes of bullying at work. International Journal of Manpower, 1999, 16-27.
[x] P. G. GABASSI, Psicologia del lavoro nelle organizzazioni, Milano, 2006, 280-281.
[xi] S. CARLUCCI, Mobbing e organizzazioni di personalità. Aspetti clinici e dinamici, Milano, 2009, 52-53.
[xii] G. DE CESARE, Burn out e mobbing, Greenbooks editore, edizione digitale.
[xiii] A. GARGANI; L. SANI; D. LAZZARI; M. BACCI., Il mobbing. Dalla prevenzione al risarcimento, Perugina, 2005, 70-73.
[xiv] Cass. Civ., Sez. Lav. n. 3291 del 19 febbraio 2016, in www.olympus.uniurb.it.
[xv] ROCCHINA STAIANO, Dequalificazione professionale e mobbing. Profili applicativi, Macerata, 2006, 65-66.
[xvi] Cassazione Civile, Sez. Lav. n. 3977 del 19 febbraio 2018, n www.olympus.uniurb.it.
[xvii] Tribunale di Brescia, sentenza del 15 aprile 2011, in www.mobbing-prima.it.
[xviii] Cassazione Civile, sez. Lavoro, sentenza n. 7844 del 29 marzo 2018, in www.olympus.uniurb.it.
[xix] La dottrina rinviene nell'art. 2087 c.c. il fondamento giuridico del mobbing, connotando la responsabilità del datore di lavoro quale responsabilità contrattuale che consegue all’inosservanza di un obbligo del datore di lavoro, previsto dalla Costituzione, come limite al diritto di libertà di iniziativa privata nell'esercizio dell'impresa (art. 41, co. 1 e 2Cost.). Tale limite consiste nell'obbligo di non cagionare alcun danno alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana (artt. 32 co. 1 Cost.) e nell’onere di adottare tutte le misure necessarie a tutelare l'integrità psico-fisica del lavoratore (2087 c.c.).
Dimostrata la sussistenza dell'inadempimento, ai sensi dell'art. 1218 c.c. il lavoratore non dovrà dimostrare, a differenza di quanto avviene nel caso della responsabilità extracontrattuale, anche la sussistenza della colpa del datore di lavoro inadempiente.
[xx] Cass. Civ., Sez. laoro, n. 4222 del 03 marzo 2016, in www.olympus.uniurb.it.
[xxi] Cass. Civ., Sez. Lavoro, n. 74 del 04 gennaio 2017, in www.olympus.uniurb.it.
[xxii] Cass. Civ., sez. Lavoro, n. 2038 del 29 gennaio 2013, in www.olympus.uniurb.it.
[xxiii] Si osserva, inoltre, che parte della giurisprudenza ha ritenuto che a carico del datore di lavoro incombe una combinazione di responsabilità contrattuale, per il danno provocato alla salute, ed extracontrattuale, per omessa vigilanza sui dipendenti, ex art. 2087 c.c.
[xxiv] Sono da considerare risarcibili tutti i danni alla persona, ovvero, tutti i danni che originano da una lesione all'integrità psico-fisica e che, potenzialmente, ostacolino le attività realizzatrici della persona umana.
In tale ottica, la risarcibilità del danno alla persona trova fondamento nell'art. 2 Cost. e raggruppa due grandi categorie individuate in relazione alle conseguenze prodotte dalle lesioni: danni patrimoniali e non patrimoniali.
[xxv] R. Del Punta, Il mobbing: l’illecito e il danno, Lavoro e diritto, 2003, p. 539.
[xxvi] Cass. Civ., SS. UU., n. 26972 del 11 novembre 2008, in www.olympus.uniurb.it.
[xxvii] L’art. 2059 c.c. dispone che il danno non patrimoniale deve essere risarcito solo nei casi determinati dalla legge. In particolare, tale tipologia di danno si identifica con i pregiudizi che derivano dalla lesione dei diritti della persona e non hanno rilievo economico.
[xxviii] Corte. cost., n. 233 del 11 luglio 2003, in www.giurcost.org.
[xxix] Cass. Civ., SS.UU., n. 26975 del 11 novembre 2008, in www.dirittopenaleuomo.org.
[xxx] Le conseguenze negative del mobbing sulla salute della vittima, attengono, prevalentemente, all’aspetto psichico e psicosomatico dell’individuo. Tale concetto lo si evince soprattutto nella Sentenza della Corte cost. n. 184/1986 laddove, in più occasioni, fa espresso riferimento all’integrità psicofisica dell'offeso.
[xxxi] Il danno esistenziale rappresenta un’alterazione peggiorativa di tutte le attività realizzatrici della persona, ovvero, nell'alterazione dell’insieme di azioni, abitudini, affetti, attraverso cui l'individuo costruisce la propria identità ed esistenza. Tale tipologia di danno comprende il risarcimento di tutti i diritti costituzionalmente garantiti diversi dal diritto alla salute, indipendentemente dalle incidenze patrimoniali che la vittima lamenta.
Per quanto concerne il danno non patrimoniale, il lavoratore mobbizzato non potrà ricevere piena tutela con il risarcimento del danno morale e biologico, in quanto, tali ultime tipologie di danno, spesso, non sono riconducibili a fattispecie di reato (presupposto richiesto dalla comune interpretazione data dell'art. 2059 c.c.) né, d’altro canto, chi subisce condotte vessatorie manifesta sempre una vera e propria malattia (presupposto per il risarcimento del danno biologico).
[xxxii] M.C. Cimaglia, “Riflessioni su mobbing e danno esistenziale”, Rivista giuridica del lavoro, n. 2, 2002, p. 88.
[xxxiii] Cass. Civ., Sez. Lavoro, n. 23837 del 23 novembre 2015, in www.olympus.uniurb.it.
[xxxiv] Cass. Civ. n. 17832 del 9 settembre 2015, in www.fiscoetasse.com.
[xxxv] D. ZAPF, Organizational, work group related and personal causes of mobbing/bullying at Work,
International Journal of Manpower, 1999, 70-85.
[xxxvi] A. VALLEBONA, Mobbing senza veli”, Diritto delle Relazioni Industriali, Ancona, 2005, 1056 - 1058.
[xxxvii] Circolare INPS n. 97 del 4 giugno 2003, in www.inps.it.
[xxxviii] Corte Cost. n. 269 del 24 giugno 2002, in www.cortecostituzionale.it.
[xxxix] G. GIORGI, V. MAJER, Le variabili antecedenti al fenomeno del mobbing”, in Risorsa Uomo 2, 3/2004, 269-300.
[xl] G. NOTELAERS, S. EINARSEN, H. DEe WITTE, J. VERMUT, Estimating the prevalence of bullying at work: A latent class cluster approach, Work & Stress, vol. 20, n. 4, 2006, 288-301.
[xli] M. DEPOLO, Mobbing: quando la prevenzione è intervento, Milano, 2003, 58.
[xlii] M. DOLLARD, N. SKINNER, M.R. TUCKEY, T. BAILEY, National surveillance of psychosocial risk factors in the workplace: An international overview”, Work & Stress, vol. 1, n. 21, 2007, 1-29.
[xliii] A. AIELLO, C. NARDELLA, Il disagio lavorativo tra aspetti relazionali e sintomi sulla salute dell’individuo: Lo strumento Val.Mob.”, Congresso Nazionale delle sezioni AIP (Associazione Italiana di Psicologia), Chieti, 2012, 378.
[xliv] R. FIDA, E. NATALI, C. BARBARANELLI, F. AVALLONE, La relazione tra il bullismo al lavoro e il benessere organizzativo, Psicologia della salute, vol. 1, 2011, 33-53.