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Pubbl. Lun, 17 Lug 2023

Le nuove attribuzioni del giudice di pace alla luce della Riforma Cartabia

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Claudia Migliazza
Dottorando di ricercaUniversità degli Studi di Catanzaro Magna Græcia



In questo contributo verranno analizzate le nuove attribuzioni del giudice di pace alla luce della Riforma Cartabia, con particolare riferimento all’estensione del regime di procedibilità a querela in materia di lesioni personali con durata superiore a venti giorni ed inferiore a quaranta. Successivamente, ci si soffermerà sulla sentenza della Corte di Cassazione n. 12517/2023, la quale redime il contrasto circa il difetto di coordinamento tra il riformato art. 582 c.p. ed il d.lgs. n. 271/2000.


ENG

The new duties of the justice of the peace in the light of the Cartabia Reform

This contribution will analyze the new attributions of the justice of the peace in the light of the Cartabia Reform, with particular reference to the extension of the regime of prosecution of complaints in the matter of personal injuries with a duration of more than twenty days and less than forty. Subsequently, we will focus on the sentence of the Court of Cassation n. 12517/2023, which redeems the contrast regarding the lack of coordination between the reformed art. 582 criminal code and Legislative Decree no. 271/2000.

Sommario: 1. Come cambia il ruolo del giudice di pace alla luce della Riforma Cartabia; 2. Il delitto da lesioni personali di durata superiore a venti giorni e non eccedenti i quaranta; 3. La competenza del giudice di pace in relazione al delitto da lesioni personali: cenni sul dibattito dottrinale; 4. La sentenza della Corte di Cassazione n. 12517/2023: profilo fattuale; 4.1. Analisi delle norme di riferimento e giurisprudenza precedente; 5. La sentenza n. 12517/2023 della Corte di Cassazione e le lacune della Riforma nell’ampliamento della competenza del giudice di Pace; 6. Conclusioni: bilancio e prospettive future.

1. Come cambia il ruolo del giudice di pace alla luce della Riforma Cartabia

In sede di introduzione, occorre definire e delineare, seppur brevemente, quello che è il procedimento dinnanzi al giudice di pace.

Questo è disciplinato dal D.lgs. n. 274 del 28 agosto 200, il quale è stato introdotto al fine di diminuire il carico di lavoro del tribunale monocratico, affidando la cognizione di alcuni reati – considerati di minore gravità – ad un giudice onorario, ai sensi dell’art. 106 della Costituzione. Tale legge prevede un procedimento semplificato ispirato al principio del favor conciliationis, alla rapidità delle procedure volte alla sollecita definizione e alla certezza sul fronte di irrogazione delle sanzioni e della loro esecuzione[1].

Come è noto, di fronte al giudice di pace si osservano, in quanto applicabili, le norme contenute nel codice di procedura penale e nei titoli I e II del d.lgs. n. 271 del 28 luglio 1989, ad eccezione di talune disposizioni[2]. La competenza al giudice di Pace viene attribuita, ex art. 4, per materia[3] e, ex art. 5, per territorio, stabilendo come criterio di individuazione del giudice competente il luogo in cui il reato è stato consumato[4]. Peculiarità del procedimento di fronte al giudice di pace consta nella mancanza di previsione del G.I.P. nella fase delle indagini preliminari nonché della possibilità di esercizio dell’azione penale in tre diverse modalità, quali: la citazione in giudizio disposta dal P.M.; la presentazione immediata a giudizio dell’imputato da parte della P.G.; il decreto di convocazione delle parti emesso dal giudice di pace[5]. Per quanto attiene, poi, alle sanzioni, si rammenta che da questo non potranno essere applicate pene detentive ma soltanto pene pecuniarie, l’obbligo di permanenza domiciliare e l’obbligo del lavoro di pubblica utilità.

Alla luce di tali premesse concernenti la circoscrizione dell’ambito di azione del giudice di pace non si può non fare riferimento alle modifiche che il d.lgs. n. 150 del 10 ottobre 2022 – meglio noto come “Riforma Cartabia” – ha introdotto al processo penale italiano. Tali modifiche hanno inciso su diversi aspetti della disciplina, ossia sulla sospensione del procedimento con messa alla prova dell’imputato; sulle indagini preliminari; sulla ragionevole previsione di condanna; sul patteggiamento; sul giudizio di appello; sulle misure sostitutive della pena; sul pagamento delle pene pecuniarie; sulla giustizia riparativa; sul diritto all’oblio degli imputati e delle persone sottoposte alle indagini nonché sull’ampliamento del regime di procedibilità a querela di parte che ha inciso, anche, sulla disciplina del giudice di pace, ampliandone le attribuzioni[6].

Il procedimento dinnanzi al giudice di pace, dunque, come anticipato, è stato introdotto con una specifica ratio e la Riforma Cartabia ha voluto estendere tale ratio al fine di rendere più snello ed efficiente il sistema penale giudiziario italiano. In particolare, la legge, ha inciso, in maniera significativa, sull’estensione del regime di procedibilità a querela, in rapporto a centrali figure di reato contro la persona e contro il patrimonio nonché sul termine dell’entrata in vigore per la presentazione della querela stessa[7]. La valorizzazione della procedibilità a querela rappresenta una ragionevole strategia politico – criminale, del tutto funzionale al miglioramento dell’efficienza del processo penale per il raggiungimento della deflazione processuale e penitenziaria[8]. Tale regime riformato opera in concreto in quanto la permanenza o meno dell’illecito nella sfera del processo penale viene a dipendere da una manifestazione di volontà della persona offesa, realizzando un temperamento del principio di obbligatorietà dell’azione penale – senza incidere sui fondamenti costituzionali – in relazione a quei reati che offendono interessi individuali, di natura privatistica[9]. Inoltre, estendere l’area della procedibilità a querela significa valorizzare cause di estinzione del reato, come la remissione della querela e le condotte riparatorie ex art. 162-ter c.p., che presuppongono il risarcimento del danno o condotte riparatorie/ripristinatorie[10].

La riforma della procedibilità a querela va ad incidere anche sul ruolo del giudice di pace, in quanto – estendendo il regime ad alcuni delitti contro la persona e contro il patrimonio puniti con pena edittale detentiva non superiore nel minimo a due anni – sarà competente a conoscere, anche, ad esempio, delle lesioni lievi (ossia malattia compresa tra 21 e 40 giorni) previste dall’art. 582 c.p.[11] La novella ha generato un dibattito sul tema facendo emergere contrapposte posizioni che saranno redente dalla Corte di Cassazione con la pronuncia n. 12517/2023 di cui si dirà nel prosieguo.

La Riforma, dunque, introduce un regime più favorevole, presupponendo l’applicazione retroattiva del nuovo regime di procedibilità a querela[12] oltre che - ex art. 72, comma 1, lett. a), lett. b) e lett. c - alcune modifiche agli artt. 29, 42-bis, 55 del d.lgs. n. 274/2000, concernenti, rispettivamente, l’udienza di comparizione[13], l’esecuzione delle pene pecuniarie[14] nonché la conversione delle stesse[15].

2. Il delitto da lesioni personali di durata superiore a venti giorni e non eccedenti i quaranta

Come anticipato nel precedente paragrafo, il d.lgs. n. 150/2022 ha inciso, in maniera significativa, sulla competenza del giudice di pace in relazione al delitto da lesioni personali di durata superiore a venti giorni e non eccedente ai quaranta, divenuto procedibile a querela.

La questione relativa alla competenza del giudice di pace in materia è stata a lungo dibattuta in dottrina e giurisprudenza, fino ad arrivare alla recente pronuncia della Corte di Cassazione n. 12517/2023 che ha redento tale contrasto.

Prima di sviscerare il dibattito e la recente pronuncia della Suprema Corte, appare opportuno delineare le caratteristiche fondamentali del delitto in commento.

Il delitto da lesioni personali di durata superiore a venti giorni e non eccedente i quaranta è disciplinato dal comma 1 dell’art. 582 del codice penale, il quale dispone testualmente: «chiunque cagiona ad alcuno una lesione personale, dalla quale deriva una malattia nel corpo o nella mente, è punito, a querela della persona offesa, con la reclusione da sei mesi a tre anni».

La ratio della norma è da rinvenire nell’esigenza di tutelare l’incolumità individuale, che qui viene pregiudicata effettivamente e non solo messa in pericolo come avviene, ad esempio, nel reato di percosse previsto dall’art. 581 c.p., tutelando, quale bene giuridico, l’integrità fisica e mentale del soggetto colpito, il quale, a sua volta, è oggetto materiale del reato.

L’art. 582 c.p. disciplina, al contempo, due tipologie di lesioni personali: quella lieve e quella lievissima. Il comma 2 della norma, infatti, disciplina la cd. lesione “lievissima”, procedibile soltanto a querela di parte e configurabile nel caso in cui dalla condotta criminosa sia derivata, ai danni del soggetto passivo, una malattia di durata non superiore a venti giorni, in assenza di una delle circostanze aggravanti indicate agli artt. 583 e 585 c.p. . La lesione lieve -  quella di cui si dibatte -  invece, nasce dal combinato disposto del comma 1 dell’art. 582 c.p. e del comma 1 dell’art. 583 c.p., la quale è procedibile, anche, d’ufficio.

Il reato previsto dall’art. 582 c.p. è un reato d’evento[16], a dolo generico[17] e a forma libera, per cui la condotta tipica può consistere in qualsiasi atto, o nell’impiego di qualsiasi mezzo, lesivo dell’integrità personale altrui. Ovviamente, sia gli atti che i mezzi utilizzati devono essere contrari all’ordinamento giuridico ed il consenso della persona offesa non esclude, ex se, la punibilità della condotta lesiva[18].

Il delitto da lesione personale, poi, si considera consumato nel momento in cui si realizza l’evento tipico, costituito dall’insorgenza di una malattia nel corpo o nella mente della persona offesa, la quale sia causalmente collegata alla condotta criminosa.

La norma, dunque, fa riferimento al concetto di “malattia”, un concetto troppo ampio che ha comportato un dibattito dottrinale e giurisprudenziale che si è protratto nel tempo.

Per la giurisprudenza tradizionale, infatti, il concetto di malattia veniva identificato come qualsiasi alternazione atomica o funzionale dell’organismo, anche se localizzata, di lieve entità e non influente sulle condizioni organiche generali[19]. Tale definizione, però, è stata, successivamente, definita errata dal punto di vista medico e, pertanto, è intervenuta la giurisprudenza moderna che, al fine di restringere il campo di applicazione e, dunque, della nozione, identifica la malattia come una perturbazione funzionale, qualificata come un processo patologico, acuto o cronico, localizzato o diffuso, che implichi una sensibile menomazione funzionale dell’organismo[20].

Come anticipato, la Riforma Cartabia ha inciso in maniera significativa sul reato in esame, prevedendo, nella Relazione Illustrativa al d.lgs. n. 150/2022, l’ampliamento, per tale reato, della procedibilità a querela, rimanendo salva la possibilità di procedere d’ufficio per le lesioni gravi (superiori a 40 giorni) e gravissime, ex art. 583 c.p., nonché in tutte le altre ipotesi previste in concorrenza di aggravanti.

Trattandosi di una fattispecie di frequente contestazione, l’effetto deflattivo sul carico giudiziale – scopo centrale della Riforma – si annuncia significativo, ancor più in considerazione del fatto che viene ampliata la competenza del giudice di pace, in virtù della disciplina di cui all’art. 4 co. 1, lett. a) del d.lgs. n. 274 del 28 agosto 2000, attribuente al giudice di pace la competenza per le lesioni personali perseguibili a querela di parte.

3. La competenza del giudice di pace in relazione al delitto da lesioni personali: cenni sul dibattito dottrinale

Il dibattito sulla competenza del giudice di pace nei casi di lesione personale si è sviluppato in un contesto normativo e giurisprudenziale complesso, caratterizzato da diverse posizioni interpretative. Difatti, inizialmente, la competenza in materia di lesioni personali era attribuita ai tribunali ordinari per poi essere, in un secondo momento, estesa al giudice di pace. L’estensione, avvenuta con la L. 274/2000, aveva lo scopo di eliminare il carico giudiziale dai tribunali ordinari, in ordine a quei reati da lesione di minore gravità. Tale previsione, tuttavia, incidendo su un reato che colpisce direttamente l’individuo, ha generato un dibattito dottrinale circa l’autorità competente a decidere in materia.

Da una parte, vi è chi sostiene che tale tipologia di reato debba rientrare nella competenza del giudice di pace, in quanto tale figura istituzionale – essendo “più vicina” alla comunità – risulterebbe maggiormente in grado di valutare, in maniera più approfondita, le circostanze del caso, tenendo conto dei contesti sociali e culturali in cui si verificherebbe il fatto costituente reato[21].

Dall’altra, alcuni autori ritengono che la competenza debba, invece, essere assegnata ai tribunali ordinari, in quanto si tratta di reati incidenti sull’individuo e, quindi, ex se gravi, che richiedono un’adeguata tutela dei diritti delle vittime nonché di una maggiore capacità di valutazione delle prove dai parte dei giudici, non riconosciuta al giudice di pace[22].

Numerose sono state le pronunce sul tema e, in particolare, su una fattispecie concernente le lesioni volontarie lievissime in ambito familiare è addirittura sorta una questione di legittimità costituzionale che ha comportato l’intervento della Corte Costituzionale[23].

Il dibattito si è, poi, ulteriormente intensificato con l’emanazione del d.lgs. n. 150/2022 che ha, come detto, ampliato ulteriormente la competenza del giudice di pace, in relazione ai reati perseguibili a querela di parte. Sul punto, e con particolare riguardo al reato da lesioni personali di durata superiore a venti giorni e non eccedenti i quaranta, è intervenuta la Corte di Cassazione con la pronuncia n. 12517 del 10 gennaio 2023.

4. La sentenza della Corte di Cassazione n. 12517/2023[24]: profilo fattuale

La vicenda prende le mosse dal ricorso in Cassazione, presentato da C.G., avverso la sentenza del 06/05/2012 della Corte di Appello di Roma che aveva confermato la sentenza del 05.06.2019 del Tribunale di Roma avente ad oggetto la condanna del ricorrente, a sei mesi di reclusione ed euro 1000,00 di multa, per il reato di lesioni personali e minaccia.

La condanna era scaturita dal fatto che il ricorrente, nel corso di una lite con A.S., avesse causato lesioni al naso del resistente, afferrando e girando con forza la mano destra sul naso dello stesso, con conseguente minaccia.

Avverso tale pronuncia di condanna, C.G., per tramite del suo difensore di fiducia, propone ricorso in Cassazione adducendo due motivi, quali: vizi di violazione e violazione di legge e di motivazione[25]. Il Ricorrente, con il primo motivo, contesta la violazione del principio dell’oltre ogni ragionevole dubbio[26], contestando il mancato raffronto delle deposizioni effettuate nel corso del procedimento nonché l’erronea quantificazione dell’entità delle lesioni riportate da A.S.; con il secondo motivo, invece, viene contestata l’inflizione di una pena ingiusta dal parte della Corte di Appello di Roma e, pertanto, richiesta la riduzione della pena.

In sostanza, ciò che il Ricorrente contesta è il non aver preso in considerazione l’istituto della legittima difesa, ex art. 52 c.p., anche sotto il profilo di un eventuale eccesso colposo. E, ancora, a dire dell’imputato, erronea risulterebbe anche l’entità delle lesioni – sollevando, pertanto, una scorretta applicazione dei principi di legittimità in tema di valutazione della prova – in quanto l’unico documento proveniente da una struttura pubblica sarebbe il verbale di pronto soccorso che evidenzia, solamente, lesioni lievissime e non maggiori, come sottolineato poi, in sede di escussione, dal medico di parte.

4.1. Analisi delle norme di riferimento e giurisprudenza precedente

Come anticipato in sede di introduzione, l’art. 2, lett. b) del d.lgs. n. 150/2022 va a ridisegnare il regime di procedibilità del reato da lesione ed è proprio su tale aspetto che, nel caso di specie, la Suprema Corte si sofferma e cerca di redimere il contrasto interpretativo generato dalla stessa norma, anche in considerazione del fatto che la stessa agisce in maniera retroattiva.

La Relazione Illustrativa che accompagna la Riforma Cartabia, con riferimento al reato oggetto di questo contributo, «mira ad ampliare il regime di procedibilità a querela del delitto di lesioni personali, senza più condizionare tale regime alla durata della malattia non superiore ai venti giorni (c.d. lesioni lievissime). Ne consegue che la procedibilità a querela viene estesa alle cd. lesioni lievi (malattia compresa tra 21 e 40 giorni), mentre restano procedibili d'ufficio le lesioni gravi (comprensive dell'ipotesi in cui la malattia abbia durata superiore a 40 giorni) e le lesioni gravissime, di cui all'art. 583 c.p. E’ fatta salva la procedibilità d'ufficio anche in tutte le altre ipotesi in cui attualmente essa è prevista in presenza di concorrenti circostanze aggravanti. Secondo quanto stabilito dalla legge delega, si fa salva la procedibilità d'ufficio quando la malattia ha durata superiore a venti giorni e il fatto è commesso contro persona incapace per età o per infermità. L'intervento, limitato a ipotesi che presentano un disvalore ridotto, incentiva condotte riparatorie o risarcitorie, che favoriscono la remissione della querela o l'estinzione del reato per condotte riparatorie, ai sensi dell'art. 162 ter c.p. Trattandosi di una fattispecie di frequente contestazione, l'effetto deflattivo sul carico giudiziario si annuncia significativo, ancor più in considerazione del fatto che l'intervento di riforma comporta indirettamente un ampliamento della competenza del giudice di pace in virtù della disciplina di cui al D.Lgs. n. 28 agosto 2000, n. 274, art. 4, comma 1, lett. a), che attribuisce al giudice di pace la competenza per le lesioni personali perseguibili a querela di parte»[27].

In relazione al regime di procedibilità, la riscrittura dell’art. 582 c.p. capovolge il rapporto regola/eccezione, infatti, al comma 1 definisce quale regola la punibilità a querela del reato da lesione personale, mentre, al comma 2, l’eccezione, ossia la procedibilità d’ufficio nel caso di lesioni aggravate, ex art. 583 e 585 c.p. e, infine, determina la competenza del giudice di pace.

La Riforma, dunque, incide, in maniera significativa, sull’art. 582 c.p., dal quale emerge una peculiare natura “mista” della querela, ossia una natura sostanziale direttamente collegata a quella processuale, costituendo una condizione di punibilità e procedibilità. Tale aspetto era stato affrontato e risolto in tema di atti persecutori dalla Suprema Corte, la quale ha affermato che il mutamento nel tempo del regime di procedibilità va positivamente risolto, ai sensi dell'art. 2 c.p., alla luce della natura mista, sostanziale e processuale, dell'istituto della querela che costituisce, nel contempo, condizione di procedibilità e di punibilità[28].

La natura mista della querela rappresenta, dunque, sì condizione di procedibilità e punibilità ma anche, e al contempo, il punto di equilibrio tra la necessaria retroattività della legge penale più favorevole all’agente, con conseguente obbligo di non doversi procedere per estinzione del reato, e la necessità di scongiurare un risultato normativo nocivo per le ragioni della persona offesa per fatto “incolpevole” derivante dall’ampliamento del catalogo di reati perseguibili a querela[29]. Sul punto giova ricordare che il principio della lex mitior, principio cardine dell’ordinamento italiano, non trova direttamente disciplina nell’art. 7 della CEDU[30] né rinvio diretto alla Carta Costituzionale[31] ma è disciplinato dall’art. 2 comma 4 c.p. che prevede l’applicazione retroattiva del trattamento più favorevole per il reo. Tali mancanze nelle Carte Supreme sono addebitabili al fatto che il principio di retroattività non incide sulla libertà delle scelte dell’agente e, per cui, non svolge la funzione di orientamento dei consociati.

Dal fatto precedentemente delineato, poi, emerge come l’imputato contesti la non corretta applicazione dei principi di legittimità in tema di valutazione delle prove. Sul punto, le Sezioni Unite della Suprema Corte hanno affermato che «le regole dettate dall'art. 192, comma 3, c.p.p. non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, le quali possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell'affermazione di penale responsabilità dell'imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell'attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve in tal caso essere più penetrante e rigoroso rispetto a quello cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone»[32]. Alla luce di tale pronuncia, la Corte – nel caso in esame – ha ritenuto corretta l’applicazione dei principi di legittimità in tema di valutazione della prova nonché corretta la valutazione della credibilità della persona offesa dal reato, non potendo la stessa essere rivalutata in sede di legittimità.

Per quanto attiene, infine, il tema della legittima difesa, anche sotto il profilo di un eventuale eccesso colposo ex art. 55 c.p., la Corte afferma che lo stesso non sia supportato da concreti elementi e, pertanto, inconferente. Si rammenta, a tal proposito che, secondo giurisprudenza di legittimità, non può essere configurato l'eccesso colposo, ex art. 55 c.p., in mancanza di una situazione di effettiva sussistenza della singola scriminante, di cui si eccedono colposamente i limiti. In altre parole, l'assenza dei presupposti della scriminante della legittima difesa, ovvero del bisogno di rimuovere il pericolo di un'aggressione mediante una reazione proporzionata ed adeguata, impedisce di ravvisare l'eccesso colposo nella medesima scriminante, che si caratterizza per l'erronea valutazione di detto pericolo e della adeguatezza dei mezzi usati[33].

Alla luce di tale disamina la Corte annulla la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio, dichiara inammissibile il resto e redime, come vedremo, il contrasto dottrinale sulla competenza del giudice di pace in materia.

 

5. La sentenza n. 12517/2023 della Corte di Cassazione e le lacune della Riforma nell’ampliamento della competenza del giudice di pace

La Relazione Illustrativa della Riforma Cartabia e la Riforma stessa, come ampiamente descritto, hanno ampliato il regime di procedibilità a querela ad alcuni delitti contro la persona e contro il patrimonio puniti con la pena edittale detentiva non superiore nel minimo a due anni, senza tener conto, a tal fine, delle circostanze. Estendendo la procedibilità a querela alle lesioni lievi disciplinate dall’art. 582 c.p., amplia, contestualmente, la competenza del giudice di pace.

A tal proposito, tuttavia, occorre segnalare un difetto di coordinamento in quanto l’art. 4 del d.lgs. n. 274/2000 relativo all’art. 582 c.p. non è stato modificato e, pertanto, continua a riferirsi ancora al secondo comma dell’art. 582 c.p., il quale non individua più le ipotesi procedibili a querela, bensì le sole ipotesi procedibili d’ufficio.

L’art. 4 del d.lgs. n. 274/2000, dunque, era perfettamente aderente al disposto dell’art. n. 15 della L. n. 468/1999 – rubricato “competenza in materia penale del giudice di pace” – il quale, ancora oggi, al comma 1 e per quanto di nostra interesse, dispone: «al  giudice  di  pace  è devoluta  la  competenza per i delitti previsti dai seguenti articoli del codice penale: 581  (percosse); 582,  secondo  comma  (lesione  personale  punibile  a  querela della persona offesa)[…]», tuttavia, il comma 2 del riformato art. 582 c.p., come detto, definisce l’eccezione, ossia la procedibilità d’ufficio nel caso di lesioni aggravate, ex art. 583 e 585 c.p. e non più l’ipotesi di lesione personale punibile a querela della persona offesa. Dunque, il richiamo risulta del tutto scollegato rispetto al testo novellato, comportando una duplice interpretazione nell’applicazione della Riforma e in relazione al mancato coordinamento con il d.lgs. n. 274/2000.

Parte della dottrina preferisce una interpretazione strettamente e meramente letterale e, pertanto, in difetto di coordinazione, sostiene che la competenza del giudice di pace rimane limitata al reato di lesioni procedibile a querela, come previsto dal co. 2 dell’art. 582 c.p. e, dunque, esclusivamente per le ipotesi residuali, costituite dall’eccezione dell’eccezione, ossia per la parte in cui si prevede che «si proceda tuttavia d’ufficio se ricorre taluna delle circostanze aggravanti previste negli artt. 61 n. 11-octies, 583, 585, ad eccezione di quelle indicate nel comma 1, numero 1 e nel comma 2 dell’art. 577»[34]. Pertanto, secondo tale interpretazione, il giudice di pace non avrebbe più alcuna competenza per le lesioni in generale procedibili a querela bensì per le sole nuove ipotesi previste dal novellato articolo, ossia quelle che, in via di eccezione alla procedibilità d’ufficio, sono perseguibili a querela di parte.

A parere di chi scrive, tale interpretazione risulta contorta e infondata, in quanto andrebbe a scardinare la ratio della norma stessa nonché la previsione dell’art. 15 del d.lgs. n. 274/2000 che prevede espressamente il giudice di pace quale organo competente nelle ipotesi procedibili a querela, a prescindere dal comma di riferimento dell’art. 582 c.p. .

Difatti, il Supremo Consesso, non ha aderito a tale interpretazione meramente e strettamente letterale, favorendo l’interpretazione, che altra parte della dottrina fornisce[35], secondo cui occorre constatare un difetto di coordinamento tra la nuova formulazione dell’art. 582 c.p. ed il d.lgs. n. 274/2000, anche in considerazione del fatto che obiettivo della Riforma – sottolineato anche nella Relazione Illustrativa – è l’ampliamento della competenza del giudice di pace e non la sua riduzione. Pertanto, avallare l’interpretazione letterale significherebbe fare “un evidente passo indietro”, rispetto agli obiettivi della Riforma nonché del d.lgs. n. 274/2000 che, espressamente, devolve al giudice di pace la competenza del delitto di cui all’art. 582 c.p. quale delitto punibile a querela della persona offesa. La conseguenza sarebbe quella per cui il reato da lesione perseguibile a querela – con specifico riguardo all’ipotesi delle lesioni comprese tra i 21 e 40 giorni – non facendo parte del catalogo delle eccezioni procedibili d’ufficio nel testo riformato, rientrerebbe nella competenza del Tribunale, realizzandosi un evidente contrasto con lo scopo della Riforma di favorire, anche nel caso di specie, condotte riparatorie o ripristinatorie nell’intento della decongestione del processo penale[36]. E, ancora, aderire ad una interpretazione strettamente letterale significherebbe comportare una modifica in peius del trattamento sanzionatorio. Tale principio è stato affermato dalla stessa Corte di Cassazione, la quale, in tema di successione di leggi penali nel tempo e con riguardo al reato di percosse[37], ha affermato che «il trasferimento della competenza per materia dal giudice di pace al tribunale monocratico comporta una modifica “in peius” del trattamento sanzionatorio, ove determini l'applicazione delle sanzioni detentive in luogo delle più favorevoli sanzioni pecuniarie previste dall'art. 52 d.lgs. 28 agosto 2000, n. 274, che non può operare retroattivamente»[38]. L’inasprimento della sanzione non è assolutamente nelle finalità della Riforma Cartabia, la quale, di converso, ha dichiaratamente voluto attenuare il rigore derivante dall’obbligatorietà dell’azione penale, mediante l’ampliamento del catalogo delle fattispecie procedibili a querela, anche con chiaro intento deflattivo[39].

La Corte, poi, sottolinea che aderire a tale linea interpretativa non significa operare un’applicazione analogica estensiva – vietata, come noto, in materia penale – quanto piuttosto leggere il riferimento al comma 2 dell’art. 582 c.p. oltre il suo significato più immediato, attraverso una analisi logica e plausibile dello stesso, operando una interpretazione estensiva[40].

In definitiva, la Corte afferma il seguente principio di diritto: l'evidente difetto di coordinamento del D.Lgs. n. 274/2000, art. 4, comma 1, lett. a) con il novellato art. 582 c.p. trova ragionevole composizione sistematica attraverso la voluntas legis, attributiva della

competenza penale al giudice di pace, palesata nella legge delega n. 468/99, art. 15 - secondo cui al giudice di pace è devoluta la competenza per il delitto di cui all'art. 582 c.p. di lesione personale punibile a querela della persona offesa nonché nell’intento della riforma Cartabia - espresso nella relazione illustrativa - di determinare «un ampliamento della competenza del giudice di pace in virtù della disciplina del d.lgs. n. 274/2000, art. 4, comma 1, lett. a) che attribuisce allo stesso la competenza per le lesioni personali perseguibili a querela di parte», al di là del riferimento testuale esclusivamente al comma 2 dell'art. 582 c.p. . Ne deriva che le lesioni perseguibili a querela di parte, ex art. 582 c.p., come quelle oggetto di giudizio, superiori a venti giorni e non eccedenti quaranta giorni di malattia – in mancanza di specifiche eccezioni- sono divenute, all'esito della riforma Cartabia, di competenza del giudice di pace, sicché le pene irrogabili sono quelle previste dal D.Lgs. n. 274 dei 2000.

In altre parole, rimangono attratte nella competenza del giudice di pace le ipotesi di lesioni personali pre e post riforma e, pertanto, applicabili le pene non detentive previste dall’art. 53 del d.lgs. n. 274/2000[41]. Inoltre, si rammenta che tali discrasie potranno essere emendate in sede di decreto correttivo in quanto la delega è esercitabile entro il 2025.

E, ancora, la nuova impostazione fa conseguire il fatto che a fronte di una sopravvenuta lex mitior di carattere non solo processuale ma anche sostanziale, possa essere applicato l’art. 2 co. 4 c.p. e, dunque, l’applicazione delle pene più miti irrogate dal giudice di pace, anche quando il reato, commesso prima del 30 dicembre 2022, sia giudicato da un giudice differente.

6. Conclusioni: bilancio e prospettive future

In conclusione, alla luce di quanto sopra esposto, si può affermare che l’estensione del regime della procedibilità a querela del reato di lesioni personali di durata superiore a venti giorni ed inferiore a quaranta, estendendo al contempo la competenza del giudice di pace, comporterà una riduzione del carico di lavoro dei tribunali ordinari nonché una maggiore specializzazione dei giudici di pace in materia di lesioni personali. Tuttavia, seppur la Riforma sembra impattare su quella che è la sua finalità principale – ossia l’efficienza del processo e la sua deflazione – l’aspetto di cui discusso fino a questo momento potrebbe comportare alcune possibili conseguenze negative.

In primo luogo, alcuni giudici di pace potrebbero non essere adeguatamente preparati a gestire i procedimenti relativi a reati concernenti lesioni personali più gravi, le quali richiedono competenze specifiche. In secondo luogo, la competenza assegnata al giudice di pace potrebbe creare disparità di trattamento tra le vittime di lesioni personali, considerato che la sua competenza è legata alla procedibilità a querela (o meno) del reato. Infine, la “specializzazione” dei giudici di pace in una materia così complessa e delicata, potrebbe portare ad una riduzione dell’attenzione riservata ad altri tipi di reati rientranti nella competenza dello stesso.

In generale, la sentenza dà un apporto pratico e sostanziale in materia, colmando un vuoto normativo che avrebbe potuto creare gravi danni in tema di deflazione, in ogni caso, sarà importante monitorare l’attuazione pratica della Riforma e valutare l’impatto a lungo termine della stessa sulla giustizia penale italiana.


Note e riferimenti bibliografici

[1] S. PONTILLO, V. SALADINO, Dispensa di diritto processuale penale, I edizione, 2023, Neldiritto Editore, 250.

[2] Tra tali disposizioni rientrano quelle relative all’incidente probatorio, all’arresto in flagranza e al fermo di indiziato di delitto, alle misure cautelari personali, alla proroga del termine per le indagini, all’udienza preliminare, al giudizio abbreviato, all’applicazione della pena su richiesta, al giudizio direttissimo, al giudizio immediato e al decreto penale di condanna.

[3] Nel dettaglio, il giudice di pace è competente per una serie di delitti, consumati o tentati, contenuti nel codice penale, ossia quei delitti previsti dagli artt. 581, 582 co.2, 590, 593 co. 1-2, 595 co. 1-2, 612 co.1, 626, 627, 631, 632, 633 co.1, 635 co.1, 636, 637, 638 co.1, 639, 647 c.p., nonché per una serie di contravvenzioni, ossia quelle previste dagli artt. 689,690,691,726 co.1, 731 c.p. e, ancora, per una serie di delitti, consumati o tentati, previsti dalle leggi speciali ex art. 4 del d.lgs. n. 274/2000.

[4] A ciò si aggiunge che, qualora vi sia stata la perpetrazione di più reati tra loro connessi, la competenza sarà del giudice di pace del luogo in cui è stato commesso il primo reato o, qualora non fosse possibile, al giudice di pace del luogo in cui è iniziato il primo dei procedimenti connessi, ex art. 8.

[5] Tali disposizioni sono contenute negli artt. 20, 20-bis, 20-ter, 27 del d.lgs. n. 274/2000, come riformato dalla L. n. 94 del 15 luglio 2009, cd. “Pacchetto sicurezza”.

[6] Oltre alla previsione della procedibilità a querela con conseguente estensione delle competenze del giudice di pace, la Riforma estende il regime di procedibilità a querela anche alle ipotesi di lesioni gravi o gravissime collegate ad un incidente stradale, ex art. 590-bis c.p.; sul punto si veda O. BRUNO, L’estensione della procedibilità a querela: la ragionevolezza delle scelte, fasc. 1-2022, Giappichelli Editore, 1, in www.processopenaleegiustizia.it.

[7] Il d.lgs. n. 150/2022, infatti, all’art. 85 contiene il regime transitorio per le modifiche in tema di procedibilità a querela, tale termine decorre dalla data di entrata in vigore dello stesso decreto legislativo e la persona offesa ha avuto in precedenza notizia del fatto, mentre laddove sia stata già esercitata l’azione penale, il giudice informa la persona offesa della facoltà di esercitare il diritto di querela, entro un termine che decorre dal giorno in cui la persona offesa è stata informata; Art. 85 d.lgs. n.150/2022, in www.normattiva.it.

[8] L’estensione del regime di procedibilità – in un’ottica di deflazione processuale e penitenziaria – era già stato attuata con la L. n. 689/1981.

[9] G. L. GATTA, L’estensione del regime di procedibilità a querela nella riforma Cartabia e disciplina transitoria dopo la L. n. 199/2022, in www.sistemapenale.it, 2023, 2; C. MINNELLA, Riforma Cartabia: la procedibilità a querela delle lesioni e la competenza, 2023, in www.wolterskluwer.com.

[10] Vengono, dunque, incentivate – rispetto a determinati reati di non particolare gravità e caratterizzati da conflittualità interpersonale – forme alternative di definizione del procedimento penale vantaggiose per tutti; G. L. GATTA, op. cit., 3.

[11] L’articolo 582 c.p. viene modificato dagli artt. 2 e 3 del d.lgs. 150/2022, prevedendo che lo il reato in esso previsto diventi perseguibile a querela “salvo che ricorra taluna delle circostanze aggravanti previste negli articoli 61, numero 11-octies), 583 e 585 (ad eccezione di quelle contro ascendente o discendente, coniuge o unito civilmente, anche separati o divorziati, convivente, fratello, sorella, padre e madre adottivi, figli adottivi o affini in linea retta, che sono a querela), ovvero salvo che la malattia abbia una durata superiore a venti giorni e la persona offesa sia soggetto incapace, per età o per infermità”; in www.normattiva.it.

[12] A tal riguardo, l’art. 85 del d.lgs. n. 150/2022 stabilisce che: “per i reati perseguibili a querela della persona offesa in base alle disposizioni del presente decreto, commessi prima della data di entrata in vigore dello stesso, il termine per la presentazione della querela decorre dalla predetta data, se la persona offesa ha avuto in precedenza notizia del fatto costituente reato. Sono previste due distinte ipotesi, infatti, se la persona offesa, prima del 30 dicembre 2022, ha avuto notizia del fatto costituente reato, il termine decorre da quella data; se, invece, la persona offesa, prima del 30 dicembre 2022, non ha avuto notizia del reato commesso in un momento precedente a quella data, il termine decorrerà dalla notizia del fatto di reato.

[13] Testo riformato art. 29 d.lgs. 274/2000: “4. Il giudice, quando il reato è perseguibile a querela, promuove la conciliazione tra le parti. In tal caso, qualora sia utile per favorire la conciliazione, il giudice può rinviare l’udienza per un periodo non superiore a due mesi e, ove occorra, può avvalersi anche dell’attività dei Centri per la giustizia riparativa presenti sul territorio. In ogni caso, le dichiarazioni rese dalle parti nel corso dell’attività di conciliazione non possono essere in alcun modo utilizzate ai fini della deliberazione”; art. 72, co.1, lett. a) d.lgs. n. 150/2022, in G. L. GATTA, M. GIALUZ con la collaborazione di E. GRISONICH,  Riforma Cartabia e giustizia penale: testo coordinato delle disposizioni legislative modificate e introdotte dal d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, 145, in www.sistemapenale.it.

[14] Testo riformato, art. 42-bis d.lgs. 274/2000: “Le condanne a pena pecuniaria si eseguono a norma dell’articolo 660 del codice di procedura penale”; art. 72, co.1, lett. b) d.lgs. n. 150/2022, in G. L. GATTA, M. GIALUZ con la collaborazione di E. GRISONICH,  op. cit., 145.

[15] Testo riformato, art. 55 d.lgs. 274/2000: “1. Per i reati di competenza del giudice di pace, la pena pecuniaria non eseguita per insolvibilità del condannato entro il termine di cui all’articolo 660 del codice di procedura penale indicato nell’ordine di esecuzione si converte, a richiesta del condannato, in lavoro di pubblica utilità da svolgere per un periodo non inferiore ad un mese e non superiore a sei mesi con le modalità indicate nell’articolo 54. 2. Ai fini della conversione un giorno di lavoro di pubblica utilità equivale a 250 euro di pena pecuniaria. 3. Quando è violato l’obbligo del lavoro di pubblica utilità conseguente alla conversione della pena pecuniaria, la parte di lavoro non ancora eseguito si converte nell’obbligo di permanenza domiciliare secondo i criteri di ragguaglio indicati nel comma 5. 4. Se il condannato non richiede di svolgere il lavoro di pubblica utilità, ovvero se il mancato pagamento di cui al primo comma non è dovuto a insolvibilità, le pene pecuniarie non eseguite si convertono nell’obbligo di permanenza domiciliare con le forme e nei modi previsti dall’articolo 53, comma 1, e in questo caso non è applicabile al condannato il divieto di cui all’articolo 53, comma 3. 5. Ai fini della conversione un giorno di permanenza domiciliare equivale a 250 euro di pena pecuniaria e la durata della permanenza non può essere superiore a quarantacinque giorni. 6. Il condannato può sempre far cessare la pena del lavoro di pubblica utilità o della permanenza domiciliare pagando la pena pecuniaria, dedotta la somma corrispondente alla durata della pena da conversione espiata”; art. 72, co.1, lett. c) d.lgs. n. 150/2022, in G. L. GATTA, M. GIALUZ con la collaborazione di E. GRISONICH,  op. cit., 145.

[16] Trattandosi di un reato di evento, è configurabile il tentativo di lesione personale in uno dei suoi possibili livelli di gravità che, sulla base dei mezzi utilizzati e di tutte le circostanze concrete, risulti che la condotta dell’agente fosse idonea e diretta in modo non equivoco a commettere l’uno o l’altro tipo di lesione; Articolo 582 Codice Penale – Lesione Personale, 3-4, in www.brocardi.it.

[17] Dunque è sufficiente che sussista in capo all’agente la coscienza e volontà di ledere l’integrità personale altrui, mutando la condotta muterà anche il titolo di reato (ad esempio, se l’intenzione fosse quella di uccidere si parlerebbe di tentativo di omicidio doloso).

[18] Articolo 582 Codice Penale – Lesione Personale, 3, in brocardi.it.

[19] Tale definizione è contenuta nella Relazione Ministeriale al progetto definitivo del Codice Penale.

[20] Tra le altre e da ultimo, Corte di Cassazione, sez. IV penale, sentenza n. 22156 del 26 maggio 2016, in www.dejure.it.

[21] Tra gli altri si veda, F. CARINGELLA, L’efficienza della giustizia penale e il ruolo del giudice di pace, in Giustizia Penale, 2017, n. 4, 465-478; P. TONINI, L’introduzione del patteggiamento nel processo penale di fronte ai giudici di pace, in Rivista Italiana di Diritto e Procedura Penale, 2011, n. 2, 455-469.

[22] Si veda, tra gli altri, A. CADOPPI, Il giudice di pace e le lesioni personali: tra efficienza e tutela dei diritti, in Giurisprudenza Italiana, 2017, n. 2, 381-394.

[23] Corte Cost., sent. 7 novembre 2018 (dep. 14 dicembre 2018) n. 236, Pres. Lattanzi, Red. Amoroso, in www.dejure.it.

[24] Tutto ciò che sarà oggetto di tale paragrafo fa riferimento alla sentenza della V sezione penale n. 12517 del 10/01/2023, in www.dejure.it.

[25] I motivi per i quali è opponibile presentare ricorso in Cassazione in materia penale sono disciplinati dall’art. 606 c.p.c.

[26]Il principio, richiamato all’art. 533 c.p.c. e definito dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 7035/2013 come quel principio che “[…]trova fondamento nel principio costituzionale della presunzione di innocenza, non ha introdotto un diverso e più restrittivo criterio di valutazione della prova ma ha codificato il principio giurisprudenziale secondo cui la pronuncia di condanna deve fondarsi sulla certezza processuale della responsabilità dell’imputato”; in www.dejure.it.

[27]  In Gazzetta Ufficiale, Serie Generale n. 245 del 19 ottobre 2022 - Suppl. Straordinario n. 5.

[28] Cass. Pen. sez. V n. 44390 del 08/06/2015 in www.dejure.it; l’orientamento è stato poi, recentemente, confermato dalla sentenza n. 21700/2019 della Corte di Cassazione, affermando che “la querela è istituto di natura mista, processuale e sostanziale. La modifica del suo regime ha quindi effetto retroattivo ove sia migliorativa della posizione dell'imputato; e solo entro limiti di un procedimento ancora pendente. Non, quindi, in caso di ricorso inammissibile che, in quanto tale, non è idoneo a mantenere vivo il rapporto processuale”; in www.dejure.it.

[29] Cass. Pen. sez. V, n. 12517 del 10/01/2023, in www.dejure.it.

[30] Il quale afferma il principio di “nulla poena sine lege”, tuttavia, la Corte Edu, nella celebre sentenza n. 236/2011, meglio nota come “Sentenza Scoppola”, ha stabilito che l’art. 7 CEDU, non solo individua espressamente il principio di irretroattività della legge penale sfavorevole, ma riconosce implicitamente l’applicazione retroattiva della legge più mite.

[31] “Ciò nonostante, anche se l’applicazione della norma penale non trovi espresso richiamo nella Costituzione, i giudici della Corte Costituzionale hanno asserito che lo stesso è coperto da garanzia Costituzionale. Secondo la ricostruzione operata dalla Corte Costituzionale il fondamento normativo dell’applicazione retroattiva della legge penale più favorevole, non andrebbe rintracciato nell’art. 25 c. 2 bensì nell’art. 3 della e nell’art. 117 Cost., che rinvia alla norma interposta dell’art. 7 CEDU. Questa impostazione implica delle consegue pratico-applicative non irrilevanti, difatti, si garantisce l’uguale trattamento di simili situazioni, evitando quindi discriminazioni ingiustificate, garantisce la ragionevolezza dell’ordinamento e enfatizza la funzione general/special- preventiva”; T. J. MIRO’ D’ANIELLO, Luci e ombre sulla retroattività della legge più favorevole, 2019, in www.iusinitinere.it.

[32] Cass. Pen. Sez. Un. n. 41461 del 19.07.2012, in www.dejure.it.

[33] Cass. pen., Sez. I, 10 aprile 2013, n. 18926, in www.dejure.it.

 

[34] Cass. Pen. sez. V, n. 12517 del 10/01/2023, in www.dejure.it.

[35] Si veda, ad esempio, G. L. GATTA, op. cit., 4.

 

[36] Cass. Pen. sez. V, n. 12517 del 10/01/2023, in www.dejure.it.

[37]“la Cassazione ha chiarito che con riferimento al reato di percosse, il trasferimento della competenza, per effetto della modifica normativa, dal giudice di pace al tribunale comporta una modifica in senso peggiorativo, poiché determina l'applicazione di sanzione detentive in luogo di quelle pecuniarie. Di conseguenza la pena applicata dovrà considerarsi illegale. Per comprendere al meglio la vicenda è necessaria una breve disamina sulle modifiche normative. Ed invero, il reato di percosse era attribuito alla competenza del giudice di pace ai sensi dell'art. 4, comma 1, lett. a) d.lg. 28 agosto 2000, n. 274, in tali ipotesi si applicava la pena della multa da €258 a €2.582, anche se era il Tribunale a giudicare sul medesimo ai sensi dell'art. 63 della stessa legge. Tale norma prevede, infatti, che quando i reati indicati nell'art. 4, commi 1 e 2, sono giudicati da un giudice diverso dal giudice di pace, si osservano comunque le disposizioni del titolo II del presente decreto legislativo, nonché, in quanto applicabili, le disposizioni di cui agli artt. 33, 34, 35, 43 e 44. Successivamente, la l. 15 ottobre 2013, n. 119, pubblicata lo stesso giorno in G.U. ed entrata in vigore il giorno successivo, ha sottratto il reato di percosse alla competenza del giudice di pace in favore del Tribunale, nelle ipotesi in cui la persona offesa sia il convivente o il coniuge divorziato o un parente, tra quelli indicati nell'art. 577, comma 2, c.p. A seguito di detta modifica normativa, è applicabile, alle categorie sopra indicate, la pena alternativa, detentiva o pecuniaria, stabilità dall'art. 581 c.p. in luogo di quella pecuniaria, tutt'ora in vigore per le restanti condotte. Pertanto, l'intervento del legislatore ha determinato una modifica in senso sfavorevole del trattamento sanzionatorio, con il passaggio della pena pecuniaria a quella alternativa, della pena detentiva o pecuniaria. La Cassazione ha chiarito come trattandosi di norme che oltre ad avere un effetto processuale sulla competenza, indicono anche sul trattamento penale, sono da considerarsi norme di diritto sostanziale e non procedurale, con conseguente applicazione dell'art. 2, comma 4, c.p. Alla luce di quanto sopra la sesta sezione ha affermato che per i reati di percosse attribuiti alla competenza del tribunale e sottratti a quella del giudice di pace, commessi prima dell'entrata in vigore della l. n. 119/2013, che ha previsto la cognizione del tribunale modificando il d.lg. n. 274 del 2000 art. 4, devono continuare ad applicarsi, sulla base dell'art. 2 c.p., comma 4, le più favorevoli sanzioni indicate dall'art. 52 d.lg. n. 247/2000, trattandosi di norme penali che oltre avere un effetto processuale sulla competenza, rivestono comunque carattere sostanziale incidendo sulla pena in termini più sfavorevoli e come tali, quanto agli effetti penali sostanziali, sono certamente prive di efficacia retroattiva. Infine, la Cassazione ha rilevato come debba ritenersi illegale la pena detentiva applicata in tali evenienze dai giudici di merito, poiché prevista da una normativa penale entrata in vigore dopo la commissione del fatto”; Note giurisprudenziali alla sentenza della Cass. Pen., Sez. VI, 03 Marzo 2020, n. 13708, in www.dejure.it.

[38] Cass. Pen., Sez. VI, 03 Marzo 2020, n. 13708, in www.dejure.it.

[39] Cass. Pen. sez. V, n. 12517 del 10/01/2023, in www.dejure.it.

[40] La Corte sottolinea che piuttosto si potrebbe parlare di interpretazione analogica in bonam partem , ammessa in materia penale, che ha lo scopo di irrogare sanzioni più miti, quali sono quelle previste in capo al giudice di pace; Cass. Pen. sez. V, n. 12517 del 10/01/2023, in www.dejure.it.

[41]G. L. GATTA, op. cit., 4.