Pubbl. Ven, 26 Mag 2023
Riforma Cartabia: la nuova normativa sul mediatore penale nei programmi di giustizia riparativa
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Gemma Colarieti
Una breve guida alle disposizioni del nuovo d.lgs. 150/2022 attuativo della riforma Cartabia sulle funzioni e la formazione del mediatore penale nei programmi di giustizia riparativa. Le prospettive dell´istituto.
Cartabia reform: the new legislation on the criminal mediator in the restorative justice programmes
A brief guide to the provisions of the new legislative decree 150/2022 implementing the Cartabia reform on the functions and training of the criminal mediator in restorative justice programmes. The perspectives of the institution.Sommario: 1. La giustizia riparativa: il ruolo chiave dei mediatori penali; 2. Formazione dei mediatori esperti in programmi di giustizia riparativa e requisiti per l'esercizio dell'attività; 3. Brevi riflessioni sull’istituto della giustizia riparativa.
1. La giustizia riparativa: il ruolo chiave dei mediatori penali
Il d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150[1], in attuazione della legge delega 134 del 2021, la cosiddetta “riforma Cartabia”, agli artt. 42-67 contiene una serie di disposizioni ad hoc per la disciplina organica della giustizia riparativa, un istituto finalizzato al raggiungimento di quegli obiettivi di semplificazione, accelerazione e maggiore efficienza del procedimento penale, come stabilito dal PNRR, il Piano Nazionale Ripresa e Resilienza.
L’istituto della giustizia riparativa, la cui entrata in vigore è stata differita dal d.lgs. 31 ottobre 2022, n. 162, al 30 dicembre 2022, è caratterizzato dalla partecipazione attiva e volontaria di tutti i soggetti che hanno interesse ad accedere ai programmi di giustizia riparativa, in particolare la vittima e l’autore del reato, o presunto tale, a meno che dallo svolgimento del programma possa derivare un pericolo concreto per i partecipanti.
Non sono previste preclusioni allo svolgimento dei programmi riparativi in base allo stato o al grado del procedimento, né tantomeno in base alla fattispecie di reato per cui si procede o alla sua gravità.
Figura chiave e imprescindibile per il raggiungimento degli esiti riparativi è il mediatore penale, il cui intervento, ai sensi dell’art. 54 del d.lgs. 150 del 2022, è richiesto anche nel corso dell’attività preliminare al primo incontro tra i partecipanti al programma di giustizia riparativa.
Il mediatore, nel corso degli incontri preliminari con ciascuno dei partecipanti, deve fornire le informazioni previste dall'articolo 47, comma 3, cioè una “informazione effettiva, completa e obiettiva sui programmi di giustizia riparativa disponibili, sulle modalità di accesso e di svolgimento, sui potenziali esiti e sugli eventuali accordi tra i partecipanti”, oltre che delucidazioni sulle garanzie e i doveri previsti nel decreto a fronte della partecipazione al programma di giustizia riparativo. Il mediatore deve inoltre raccogliere il consenso e vagliare le possibilità che il programma riparativo, se instaurato, possa produrre esiti favorevoli e meno dispendiosi, anche in termini di attività processuale.
Quanto all’attività svolta nel corso del programma riparativo vero e proprio, l’art. 55 del d.lgs. 150/2022 dispone che il mediatore debba assumere una condotta rispettosa, non discriminatoria ed equidistante rispetto ai partecipanti, garantendo tempi adeguati alle necessità del caso e debba inviare comunicazioni sullo stato e i tempi del programma riparativo predisposto, se sollecitato dall’autorità giudiziaria chiamata a valutare l’esito dello stesso. La partecipazione dei mediatori è funzionale anche ad assistere nella fase esecutiva degli accordi i partecipanti al programma riparativo nel caso in cui si raggiunga un esito simbolico, cioè la riparazione consista in dichiarazioni o scuse formali, impegni comportamentali anche pubblici o rivolti alla comunità, accordi relativi alla frequentazione di persone o luoghi.
In buona sostanza, la figura del mediatore costituisce un “ponte” tra la fase risolutiva stragiudiziale della controversia e gli effetti della stessa ai fini del procedimento penale. Infatti, il mediatore redige una relazione circa le attività svolte e l’esito del programma riparativo, comprese informazioni in merito alla mancata effettuazione del programma, l'interruzione dello stesso o il mancato raggiungimento di un esito riparativo.
Questa relazione è trasmessa all'autorità giudiziaria procedente affinchè possa valutare lo svolgimento del programma e l’eventuale esito riparativo per le determinazioni di competenza, anche ai fini di cui all’art. 133 c.p. In ogni caso la mancata effettuazione del programma, l'interruzione dello stesso o il mancato raggiungimento di un esito riparativo non possono comunque produrre effetti sfavorevoli nei confronti della persona indicata come autore dell'offesa.
2. Formazione dei mediatori esperti in programmi di giustizia riparativa e requisiti per l'esercizio dell'attività
In considerazione della specificità e della necessità del ruolo dei mediatori alla luce del nuovo istituto della giustizia ripartiva, il d.lgs. 150/2022 dedica appositamente il Capo IV alle disposizioni circa la formazione e i requisiti per essere mediatore in ambito penale.
In particolare, ai sensi dell’articolo 59 del presente d. lgs., la formazione è necessaria per assicurare “l'acquisizione delle conoscenze, competenze, abilità e dei principi deontologici necessari a svolgere, con imparzialità, indipendenza, sensibilità ed equi prossimità, i programmi di giustizia riparativa.”
L’attività formativa, inziale e continua, deve avere una durata di almeno 240 ore, di cui di cui 1/3 dedicato alla formazione teorica e 2/3 a quella pratica, seguite da almeno 100 ore di tirocinio presso uno dei Centri per la giustizia riparativa.
A questa attività funzionale a conseguire il titolo, deve fare seguito un aggiornamento teorico e pratico annuale di almeno 30 ore, oltre che la formazione continua, che consiste in uno scambio di prassi nazionali, europee e internazionali.
Per formazione teorica, ai sensi del comma 5 dell’articolo 59 del d.lgs. 150/2022, si intende l’acquisizione di conoscenze su principi, teorie e metodi della giustizia riparativa, nozioni basilari di diritto penale, diritto processuale penale, diritto penitenziario, diritto minorile, criminologia, vittimologia e ulteriori materie correlate.
La formazione pratica, invece, mira a sviluppare capacità di ascolto e di relazione e a fornire competenze e abilità in grado di far fronte agli effetti negativi dei conflitti, soprattutto a tutela di vittime, minorenni e le altre persone vulnerabili.
Della formazione pratica e teorica si occupano i Centri per la giustizia riparativa e le Università che operano in collaborazione, secondo le rispettive competenze.
Infatti, i Centri per la giustizia riparativa sono specializzati nella formazione pratica, che viene impartita attraverso mediatori esperti, i quali abbiano un'esperienza almeno quinquennale nei servizi per la giustizia riparativa e siano in possesso di comprovate competenze come formatori.
Naturalmente, è possibile diventare mediatore impegnato nei corsi di giustizia riparativa e regolarmente iscritto nell’apposito elenco a condizione di possedere un titolo di studio non inferiore alla laurea e superare una prova di ammissione culturale e attitudinale.
3. Brevi riflessioni sull’istituto della giustizia riparativa
A fronte di questa panoramica della disciplina della mediazione penale secondo il d.lgs. attuativo della riforma Cartabia, è importante precisare che nel nostro ordinamento vi sono state pregresse esperienze di mediazione penale, nella giustizia ordinaria e, soprattutto, nei processi nei confronti dei minori, a tutela dei quali è di preminente importanza il principio della “minima offensività del processo”, cioè della riduzione degli interventi giudiziari, in particolare di quelli di natura coercitiva e restrittiva, al minimo indispensabile.
Il diffondersi della cultura della giustizia riparativa, in cui si colloca la mediazione penale, è iniziato a partire dalla metà degli anni ’70 in ambito internazionale e sovranazionale e ha trovato traduzione normativa in Italia con il D.P.R. n. 448 del 22 settembre 1988, Approvazione delle disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni.
La disciplina italiana in materia in alcuni casi ha preceduto la stessa elaborazione dei principi contenuti in importanti carte internazionali, come la Convenzione ONU sui diritti del fanciullo firmata a New York nel 1989.
Già all’epoca era chiaro che i programmi riparativi costituiscono una alternativa alla funzione punitiva della pena nella misura in cui sia reo che vittima, opportunatamente coinvolti, possono ottenere dei benefici. Nonostante figurino esperienze riparative anteriori alla riforma Cartabia, tuttavia, solo con la legge delega 134 del 2021 si è balenato di mettere a disposizione risorse economiche e di personale per realizzare il progetto ambizioso di permettere a coloro i quali esprimono il consenso di intraprendere programmi di giustizia riparativa, dunque percorsi di giustizia “alternativa”.
La possibilità di usufruire dell’istituto della giustizia riparativa, senza limitazioni ma, anzi, con l’aiuto di un personale che va appositamente specializzato, è sintomo delle aspettative riposte dai promotori della riforma sullo strumento innovativo della giustizia riparativa, da molti operatori del diritto considerato il risultato meglio riuscito di questo intervento riformatore che per la prima volta interviene in maniera sistematica su tutta la giustizia penale, in particolare sul codice di procedura penale, mai ritoccato in maniera organica dall’anno della sua entrata in vigore, il 1988.
La giustizia riparativa suscita attenzioni e curiosità anche per un altro ordine di ragioni: è un istituto che si può immettere in qualsiasi momento del processo penale per “far deragliare” il percorso in un campo stragiudiziale, che guarda a nuove prospettive, tanto che è richiesta, per la formazione del personale addetto ai programmi di giustizia riparativa, una formazione non solo giuridica, bensì finalizzata ad una “riparazione” effettiva e sotto ogni aspetto della vittima.
La progressiva affermazione anche nel nostro ordinamento giuridico di mezzi e tecniche della giustizia riparativa sembra seguire l’evoluzione delle politiche criminali degli ultimi anni e, allo stesso tempo, è vista come la conseguenza della necessità, sempre più avvertita, di cercare modelli alternativi di giustizia utili a fronteggiare la crisi, in termini di legittimazione, efficienza e razionalità, dell’intero sistema del controllo penale.
È stata graduale l’evoluzione, a partire dagli anni Settanta, delle politiche criminali tendenti all’affermazione di un diritto penale orientato all’integrazione sociale e caratterizzato dal progressivo spostamento da un modello meramente retributivo-repressivo ad uno ispirato ai principi della prevenzione, dell’inserimento sociale e della individualizzazione delle misure punitive.
L’affermazione di modelli alternativi di giustizia, ed in particolare di modelli consensuali di gestione dei conflitti penalmente rilevanti, è da molti considerata una delle conseguenze principali del mutamento degli scenari socio-politico-istituzionali in seguito alla crisi del sistema di Welfare State[2].
La dottrina ha osservato che uno dei possibili motivi di interesse per le pratiche di mediazione penale è il fallimento del progetto prettamente giustizialista, che sarebbe dovuto essere risolutivo del problema sociale della violenza, della insoddisfazione delle vittime dei crimini. Il connubio “diritto e sovranità” oltre a rivelarsi inefficace quanto ai profili prima analizzati, per di più, procurava una compressione ingiustificata dei diritti del reo o presunto tale.
A tale situazione deve attribuirsi anche il crescente emergere della vittimologia come autonomo campo di conoscenza[3], rispondente all’esigenza di riconoscere alla vittima un ruolo determinante e non più marginale nell’analisi della vicenda penale[4].
Alla luce di tali premesse, è comprensibile che l’affermazione di modelli alternativi di giustizia sia vista da taluni come una “via d’uscita”[5], capace di soddisfare sia le esigenze garantistiche che di responsabilizzazione, in prospettiva risocializzante, degli autori di reato, per i quali i vari strumenti di diversion costituiscono uno sbocco per sottrarsi alla esperienza pregiudizievole del procedimento penale e del suo eventuale esito sfavorevole, dato che in questo tertium genus la risposta ad un reato non deve e non può esaurirsi nella inflizione, in capo all’autore, di quel male ulteriore, rispetto al danno cagionato, rappresentato dalla sanzione penale[6] .
Deve essere superata la stretta logica espressa dal brocardo latino poena est malum passionis quod infligitur propter malum actionis[7] e andare dunque oltre, per perseguire ulteriori e più complesse finalità che non riguardano più solamente il classico dualismo Stato/autore del reato, ma che coinvolgono anche altri soggetti.
Obiettivo primario del modello della giustizia riparativa diventa la presa in carico, da parte dell’ordinamento, delle necessità della vittima del reato, necessità che non si esauriscono nel diritto, seppur fondamentale, alla riparazione del danno subito, ma che possono attenere anche all’esigenza di essere ascoltata, assistita e coinvolta[8], così come l’auto-responsabilizzazione del reo, la presa in carico, da parte di quest’ultimo, delle conseguenze globali del reato, il coinvolgimento della comunità nel processo di riparazione, l’orientamento delle condotte dei consociati mediante il rafforzamento degli standard morali collettivi, il contenimento del senso di allarme sociale.
Consentire che all’interno dell’ordinamento giuridico le conseguenze di un reato vengano affrontate con gli strumenti tipici della giustizia riparativa significa, pertanto, rivalutare il ruolo della persona offesa, restituendo ad essa e all’autore del crimine la gestione della controversia.
Dunque, gli autori di reato sono sollecitati al confronto con le conseguenze delle loro azioni, in ottica maggiormente rieducativa e responsabilizzante e, inoltre, nell’ambito della giustizia penale minorile, gli strumenti riparativi rispondono al fine di consentire una rapida estromissione del minore dal circuito penale ed agevolarne il processo educativo.
Le vittime del reato, invece, tramite l’ascolto, possono esprimere e superare il proprio disagio in termini di emozioni e di vissuti di paura e di rabbia e possono ottenere la riparazione ai danni subiti tramite il contributo dell’autore stesso del reato.
Affinchè la giustizia riparativa possa produrre gli esiti sperati, è necessario che il mediatore debba “collocarsi in posizione equidistante rispetto alle parti in causa”, e soprattutto non debba svolgere “una funzione giudicante, né sul piano giuridico né su quello morale: il mediatore non ha il compito di prendere una decisione o di trovare una soluzione al conflitto, mentre è invece utile che ne espliciti i termini, al fine di facilitare uno scambio fra le parti fondato sull'ascolto delle reciproche ragioni.
Si tratta di prevedere uno spazio (sia fisico che temporale) finalizzato al ristabilimento di un ordine che risulti condiviso, contrattato fra le parti in causa piuttosto che sovradeterminato”, secondo quando rilevato da un documento curato dall'Ufficio Centrale per la Giustizia Minorile.
Inoltre, la giustizia riparativa, attraverso la mediazione, è in grado di rimediare, almeno in parte, alle disfunzioni giudiziarie in relazione ai costi, ai tempi, alla flessibilità e all’attitudine deflattiva[9].
Al di là delle digressioni sulle ragioni storiche, sociali o contingenti dell’affermazione del modello di giustizia riparativa, soprattutto in riferimento alla recente riforma Cartabia, vanno evitati facili entusiasmi, idealizzazioni[10] o strumentalizzazioni[11] della disciplina, dato che sarebbe illusorio ritenere che l’introduzione di tecniche consensuali di regolamentazione di conflitti possa, da sola, costituire una risposta efficace alle disfunzioni del sistema giudiziario[12] ; così come, d'altronde, sarebbe piuttosto semplicistico e riduttivo imputare la crisi della giustizia penale a mere inefficienze organizzative, da ritenere erroneamente arginabili ricorrendo agli strumenti riparativi stragiudiziali, puntando su un cosiddetto diritto penale minimo, a cui dunque si deve ricorrere come extrema ratio[13].
La disciplina della giustizia riparativa come innovata dalla recente riforma Cartabia costituisce un modello realmente alternativo e produttivo di un “nuovo ordine sociale” per la collettività, valido strumento di politica criminale, in senso coerente con le istanze del diritto penale minimo e complessivamente può essere ricondotto “a sistema” con i principi costituzionali in tema di funzione della pena e di garanzie individuali di diritto penale, sostanziale e processuale.
Tuttavia, i più attenti critici hanno espresso perplessità sulla compatibilità del ricorso a programmi di giustizia riparativa in ogni stato e grado del procedimento penale con il principio della presunzione di innocenza fino a condanna definitiva di cui all’articolo 27 comma 2 della Costituzione, dato che il nuovo articolo 129-bis c.p.p. consente all’autorità giudiziaria di poter “disporre anche d’ufficio, l’invio dell’imputato e della vittima del reato al Centro per la giustizia riparativa di riferimento, per l’avvio di un programma di giustizia riparativa”, dunque l’utilizzo di forme di giustizia riparativa anche al di fuori della tipica fase dell’esecuzione penale, a maggior ragione se il ricorso alla giustizia riparativa avviene nella fase delle indagini preliminari, in un momento del processo penale in cui può essere pregiudicato anche il diritto al silenzio dell’indagato.
Infatti, se l’incontro di mediazione, secondo alcuni, implica un’ammissione di responsabilità da parte dell’indagato, questi ha diritto a non rendere dichiarazioni contra se. Per superare questo empasse la disponibilità dell’indagato a mediare non può essere intesa come ammissione di colpevolezza e, naturalmente, bisogna assicurare il pieno rispetto del carattere confidenziale dell’incontro di mediazione e non utilizzabilità delle dichiarazioni rese in quella sede, altrimenti la giustizia riparativa da risorsa anche per l’indagato/imputato, ne causerebbe un nocumento.
Si è obiettato anche il rapporto tendenzialmente alternativo tra la giustizia riparativa e il procedimento penale, tale per cui alcuni ritengono che la giustizia riparativa “è tanto più efficace quanto meno si confonde ed interagisce con le regole ed i principi del processo”[14]. Questa idea potrebbe porsi in contrasto col principio costituzionale di obbligatorietà dell’azione penale. Si tratta di rilievo a prima vista fondato, soprattutto se si considera che la mediazione nasce e si afferma in ordinamenti a discrezionalità accusatoria, in cui il pubblico ministero può subordinare la decisione sull’esercizio dell’azione penale all’esito della procedura di mediazione. Tuttavia, tale contrasto non appare insuperabile.
Al riguardo, occorre distinguere preliminarmente tra mediazione “extraprocessuale” e mediazione “processuale”, dal momento che solo nel primo caso si intravedono rischi di collisione con l’articolo 112 della Costituzione.
Preso atto di queste “ombre” sulla riforma della mediazione penale, va tenuto conto che le vere potenzialità di questa riforma della giustizia riparativa potranno esplicarsi ed essere dunque dimostrate solo al momento della effettiva attuazione di questi programmi di giustizia riparativa, con tutte le incognite sulla capacità logistica di far fronte alla operatività, ad esempio, dei neoistituiti Centri di giustizia riparativa.
Altro aspetto critico consiste nei rischi di strumentalizzazione da parte del reo degli strumenti di giustizia riparativa al solo scopo di evitare trattamenti più severi. A questa riflessione si è obiettato che, a fronte di una risocializzazione che resta inefficace, varrebbe comunque la pena provare tale alternativa[15] ed inoltre, si è suggerito di far fronte a tale rischio sia assicurando la serietà degli interventi di giustizia riparativa che predisponendo programmi di verifica empirica, ad esempio sui livelli di recidiva[16], come peraltro auspicato in sede internazionale dai Basic principles on the use of restorative justice programmes in criminal matters[17], così da evidenziare che i benefici effetti di deflazione del carico giudiziario riconosciuto agli strumenti di giustizia riparativa debbano essere considerati come un effetto secondario ed eventuale.
Queste considerazioni non sminuiscono, in definitiva, la portata delle novità introdotte dalla riforma Cartabia in ambito riparativo. Ci si rende conto della portata della restorative justice soprattutto se si confronta questo strumento con la pena, che, anziché condurre ad una sintesi tra le istanze della vittima del processo e della vittima del reato, acuisce la “radicalizzazione” del conflitto di cui il reato è espressione.
A contrario, il punto di forza della teoria riparatrice è la presa d’atto del conflitto, anziché della sua negazione, come nel modello retributivo, per cui insieme alla decarcerizzazione e alla deistituzionalizzazione si punta soprattutto sulla risocializzazione.
La ricostruzione dei legami sociali, grazie all’aiuto di figure e istituti ad hoc, e le modalità di attuazione della pena adattate alle differenti tipologie di autori di reato e devianti rispondono all’esigenza di prevenzione generale e speciale[18], non limitata solo al risarcimento del danno della vittima del reato, per ottenere un effetto generale positivo intesa nelle sue tre componenti di orientamento culturale (effetto socio-pedagogico, rafforzamento della fiducia dei consociati ed effetto di pacificazione) in termini di pacificazione e riconciliazione. Inoltre, la riforma sulla mediazione penale mira a produrre effetti positivi anche in termini specialpreventivi, in quanto consente di instaurare un rapporto diretto con la vittima, che non rimane anonima.
[1] www.def.finanze.it
[1] SCARDACCIONE-BALDRY-SCALI, La mediazione penale, Milano, 1998, p. 2 ss.; SCARDACCIONE, Nuovi modelli di giustizia: giustizia riparativa e mediazione penale, in Rassegna penitenziaria e criminologica, 1997, p.1-2, 10; CERETTI, Progetto per un Ufficio di mediazione penale presso il tribunale per i minorenni di Milano, in Pisapia-Antonucci (a cura di), La sfida della mediazione, cit., p. 86 ss.; MOSCONI, La mediazione. Questioni teoriche e diritto penale, in Pisapia (a cura di), Prassi e Teoria della mediazione, p. 3 ss. Sulle ripercussioni della crisi dello Stato sociale in rapporto alle tendenze della politica criminale in Italia, vedi BRICOLA, Crisi del welfare state e sistema punitivo, in Pol.dir., 1982, p. 1, 65 ss. Per una attenta analisi della crisi attuale dei valori alla base dello Stato sociale di diritto nelle democrazie occidentali, cfr. per tutti, HABERMAS, Lo stato-nazione europeo. Passato e futuro della sovranità e della cittadinanza, in L’inclusione dell’altro. Saggi di teoria politica, Milano, 2008, p. 117 ss.
[1] BANDINI, Vittimologia, in Enc.dir., XVLI, Milano, 1993, p. 1008 ss. Sulla ‘scoperta’ della vittima in criminologia, v. FORTI, L’immane concretezza cit., p. 252 ss.; ROXIN, Risarcimento del danno e fini della pena, in Rivista italiana di diritto processuale penale, 1987, p. 9, in cui osserva che: “L'interesse per la vittima, fino ad oggi scarsamente considerata dal diritto penale, ha conosciuto nel dibattito degli ultimi anni una rinascita senza confronto. Le ragioni sono molteplici: la forza esemplare del movimento che in America si batte a favore del risarcimento, la delusione per gli scarsi risultati ottenuti in sede di trattamento risocializzante degli agenti di reato e soprattutto l'ascesa della vittimologia a ramo scientifico autonomo. A ciò si aggiunge-anche volendo escludere ogni questione teorica - la crescente consapevolezza dell'ingiustizia sociale di un sistema punitivo che trascuri del tutto gli interessi della vittima”. Con specifico riferimento al ruolo della vittima nella restorative justice, cfr. MANNOZZI, La giustizia senza spada, cit., 46 ss.
[1] ROXIN, La posizione della vittima nel sistema penale, in Ind.pen., 1989, p. 5 ss.; DEL TUFO, Vittima del reato, in Enc.dir., XLVI, Milano, 1993, p. 996 ss.; ID., La vittima di fronte al reato nell’orizzonte europeo, in Fiandaca-Visconti (a cura di), Punire, mediare, riconciliare, Torino, 2009, p. 107 ss.
[1] MOSCONI, La mediazione. Questioni teoriche e diritto penale, in Pisapia (a cura di), Prassi e Teoria della mediazione, p. 7.
[1] WRIGHT, Justice for Victims and Offenders: A Restorative Response to Crime, 1996, p. 112, 1996; MANNOZZI, La giustizia senza spada. Uno studio comparato su giustizia riparativa e mediazione penale, cit, p. 61.
[1] GROTIUS, De jure belli ac pacis. Libri tres. In quibus ius naturae & Gentium: item iuris publici praecipua explicantur, Lib. II, Cap. XX, Parigi, 1625.
[1] MANNOZZI, La giustizia senza spada. Uno studio comparato su giustizia riparativa e mediazione penale, Milano, 2003 p. 61; PATANÈ, Ambiti di attuazione di una giustizia conciliativa alternativa a quella penale: la mediazione, in Mestiz (a cura di), Mediazione penale: chi, dove, come e quando, Roma, 2004, p. 21.
[1] VIANELLO, Mediazione penale e diritto tra informalità e formalizzazione, in PISAPIA G. (a cura di), Prassi e Teoria della mediazione, p. 140 s.
[1] CERETTI, Mediazione: una ricognizione filosofica, in Picotti L. (a cura di), La mediazione nel sistema penale minorile (pp. 19-61), Padova, 1998, p, 57 rileva che è importante «pensare alla mediazione non come a una modalità capace di attivare ‘speranze messianiche di cambiamento e redenzione’, non come a una o, peggio, la soluzione a quei problemi che la giustizia ordinaria non ha saputo e non sa risolvere, ma semplicemente come a una modalità cognitivamente più aperta e disponibile rispetto a quella che conduce alla sanzione penale – a passare dal momento distruttivo a quello curativo, ad accogliere il disordine che le società odierne esprimono. L’invito è di dare vita a progetti (sia nel mondo della giustizia penale che in campo sociale) capaci di confrontarsi concretamente con questi concetti».
[1] MESSNER, Mediazione penale e nuove forme di controllo sociale, in Dei delitti e delle pene, 2000, p. 3, 103 ss., in cui manifesta il rischio che la mediazione penale si inserisca in una politica penale in cui l’orientamento alla vittima produce un ripiegamento su posizioni conservatrici e rischia di legittimare un intervento penale simbolico-repressivo.
[1] BOUCHARD, Mediazione: dalla repressione alla rielaborazione del conflitto, in Dei delitti e delle pene, 1992, p. 2, 193.
[1] BARATTA, Principi del diritto penale minimo. Per una teoria dei diritti umani come oggetti e limiti della legge penale, in Dei delitti e delle pene, 1985, p. 3, 443 ss.; FERRAJOLI, Diritto e ragione. Teoria del garantismo penale, Roma-Bari, 2004, p. 80 ss. e 325 ss.
[1] RUGGIERI, Obbligatorietà dell’azione penale e soluzioni alternative nel processo penale minorile, in Picotti (a cura di), La mediazione nel sistema penale minorile, cit., p. 198.
[1] ROXIN, Risarcimento del danno e fini della pena, 1987, p. 20.
[1] BATTISTIN, La mediazione e i suoi attori: l’esperienza della Catalogna, in Pisapia (a cura di), Prassi e Teoria della Mediazione, p. 27.
[1] ECOSOC Res. 2000/14, U.N. Doc. E/2000/INF/2/Add.2 at 35 (2000), cit., par. V. 22, 5.
[1] EUSEBI, Dibattiti sulle teorie della pena e “mediazione”, in Rivista italiana di diritto e procedura penale, 1997, p. 81 ss.
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· MAGLIARO L., La vittima del reato nel processo penale, in Giliardi G. (a cura di), Gli speciali di Questione Giustizia. L’eredità di un giudice. Scritti per Carlo Maria Verardi, 2019.
· MAGLIONE V.-MAZZEI B., Nella riforma penale la sfida per riparare il dolore delle vittime, in Il Sole 24 ore, 20 gennaio 2022.
· MARENGHI F., Riforma penale e disciplina organica della giustizia riparativa, in www.altalex.it, 7 novembre 2022.
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