Pubbl. Ven, 12 Lug 2024
L´ambito di cognizione del giudice della cautela in sede di appello
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Anna Rita Di Muccio
Il recente intervento delle Sezioni Unite si insinua nel solco tracciato da diversi orientamenti giurisprudenziali e risolve, definitivamente, un conflitto interpretativo sull´ampiezza della cognizione del giudice cautelare in sede di appello.
The scope of cognition of the precautionary judge during the appeal
The recent intervention of the United Sections enters in the path traced by the several jurisprudential guidelines and solves, definetely, an interpretative conflict concerning the extent of the cognition of the precautionary judge during the appeal.Sommario: 1. Il contesto; 2. Inquadramento sistematico: la natura giuridica dell’appello de libertate; 3. I termini del contrasto giurisprudenziale; 4. La decisione delle Sezioni Unite; 5. Conclusioni.
1. Il contesto
La decisione in esame concerne la possibilità che, nell’ambito del giudizio cautelare di appello, il giudice del riesame debba tenere conto, ai fini della propria decisione, di elementi probatori nuovi e sopravvenuti.
La questione trae origine dal rigetto dell’appello cautelare avverso l’ordinanza del giudice dell’udienza preliminare, che non aveva accolto l’istanza di revoca o di sostituzione delle misure cautelari. Il Tribunale, invero, rigettava l’appello ritenendo i verbali di prova presentati dalla difesa nel corso dell’udienza camerale estranei al devolutum. E ciò sebbene tali nuovi documenti fossero sopravvenuti rispetto al giudizio di cognizione e al relativo provvedimento impugnato.
La difesa, dunque, ricorreva per Cassazione, denunciando la violazione della legge processuale, con riferimento all’espresso rifiuto del Tribunale del riesame di esaminare tali verbali. Ad avviso della difesa, gli elementi probatori, se valutati, avrebbero sicuramente indotto il giudice a ritenere mutato il quadro cautelare. La difesa, cioè, nel sottolineare l’importanza del quantum probatorio di tali elementi sopravvenuti, censurava la decisione del Tribunale del riesame, in quanto non coerente con precedenti interpretazioni giurisprudenziali[1].
È pur vero, però, che il panorama giurisprudenziale sul punto risulta particolarmente eterogeneo, al punto tale che la prima sezione della Corte di Cassazione, ravvisando un contrasto quanto all’ampiezza della cognizione del giudice cautelare in sede di appello, rimetteva la questione al Collegio nella sua massima composizione[2].
Il tema, invero, non è nuovo e, nonostante l’intervento delle Sezioni Unite nel 2004[3], risulta ancora attuale[4].
In quell’occasione, la Suprema Corte ha ritenuto che «nel procedimento di appello, instaurato dal pubblico ministero avverso l’ordinanza del G.i.p. di rigetto della richiesta di una misura cautelare personale, è consentito al pubblico ministero di produrre documentazione relativa ad elementi probatori “nuovi”, preesistenti o sopravvenuti, sempre che tali elementi riguardino lo stesso fatto contestato con l’originaria richiesta cautelare e, in ordine ad essi, sia assicurato nel procedimento cautelare il contraddittorio delle parti anche mediante la concessione di un congruo termine a difesa»[5].
La soluzione offerta in quell’occasione appariva a rime obbligate, lasciando così la questione ancora aperta.
2. Inquadramento sistematico: la natura giuridica dell'appello de libertate
In via preliminare, nel tentativo di orientarsi nel complesso ed articolato sistema cautelare, è opportuno circoscrivere l’istituto nella sua dimensione normativa e applicativa, alla luce dei principi generali che governano il funzionamento dei rimedi in esame.
Imporre una misura cautelare significa richiamare, in primo luogo, quei principi fondamentali, costituzionali[6] e convenzionali[7], posti a tutela dei diritti inviolabili della persona.
Un sistema fondato sulla presunzione di non colpevolezza, in equilibrio con le garanzie dell’habeas corpus, tutelate anche a livello internazionale[8], ha necessità di ricercare un punto di incontro tra esigenze della singola persona ed esigenze di tutela sociale[9].
L’inevitabile contrapposizione tra esigenze diverse trova una sintesi esemplificativa nella locuzione di «necessaria ingiustizia» con cui Carrara denominava la custodia cautelare[10].
Il legislatore ha optato per la piena giurisdizionalizzazione delle misure cautelari e per l’inserimento di un dettagliato sistema di impugnazioni de libertate, che garantisce un’assoluta ed efficace tutela della libertà personale[11].
Nel sottosistema delle impugnazioni cautelari, il controllo sul merito, a conferma dell’impostazione già accolta nel 1982[12], è affidato al riesame e all’appello, a cui sia affianca, per i profili di legittimità, il ricorso per Cassazione.
Con particolare riferimento al riesame e all’appello, sebbene sul piano procedurale sussistono diverse analogie, in parte favorite dall’identica ratio, in quanto ambedue mezzi di impugnazione, essi si differenziano quanto ad oggetto devoluto e a poteri cognitivi e decisori attribuiti al giudice[13].
In particolare, il riesame[14] è un mezzo di impugnazione che può essere esperito solo dal destinatario del provvedimento cautelare o dal suo difensore, nei confronti di quei provvedimenti definibili come contra libertatem[15]. L’appello è definito, invece, come mezzo di impugnazione a carattere generale, esperibile avverso i provvedimenti limitativi della libertà personale, i provvedimenti pro libertate e, infine, i provvedimenti che applicano una misura interdittiva[16]. La regolamentazione dell’appello, contrariamente all’ampia legittimazione attiva che il legislatore vi collega, assume un carattere residuale, con riferimento, non solo, ai provvedimenti appellabili, individuati per esclusione, ma anche al dettato normativo che rimanda, in parte, alla disciplina del riesame e, in parte, alla disciplina dell’appello cognitivo[17]. La scelta del legislatore di attribuire un carattere residuale all’appello rispetto al riesame rischia di far sorgere problemi di natura pratica circa la possibilità di circoscrivere o meno alcuni provvedimenti all’interno di suddetto istituto[18]. Come agevolmente si desume dalla lettura combinata degli artt. 309, comma 1, e 310, comma 1, c.p.p., non è consentito all’imputato o all’indagato proporre istanza di riesame avverso un provvedimento applicativo di una misura interdittiva, ma solo appello[19].
È plausibile sostenere che l’appello cautelare rappresenti, con la sua disciplina in linea con quella dei mezzi di impugnazione, la regola; mentre, il riesame assume i caratteri dell’eccezionalità e dell’atipicità, considerato il suo limitato utilizzo consentito solo a determinati soggetti e con riferimento a talune decisioni[20].
L’appello cautelare, rispetto al riesame, trova fondamento nel principio del “tantum devolutum quantum appellatum”; principio, quest’ultimo, che incontra la sua radice normativa nell’articolo 597, comma 1, c.p.p.[21] e nell’articolo 581, comma 1, lett. c, c.p.p., con riferimento all’inammissibilità dell’appello nel caso di assenza dei motivi[22].
La Suprema Corte ha, però, sottolineato che la cognizione del giudice dell’appello cautelare, ex art. 310 c.p.p., si limita ai punti della decisione impugnata a cui si fa riferimento nei motivi prospettati dalle parti, nonché ai punti strettamente connessi e da essi dipendenti, ma non è condizionata dalle deduzioni in fatto e dalle argomentazioni in diritto poste dal giudice della decisione impugnata a sostegno del proprio assunto[23]. Emerge, inequivocabilmente, che l’appello, a differenza del riesame, si colloca nella fisionomia strutturale degli ordinari mezzi di impugnazione. Nella richiesta di riesame, infatti, secondo quanto disposto dai commi 6 e 9 dell’articolo 309 c.p.p., è puramente discrezionale l’indicazione dei motivi, estendendosi, comunque, il controllo del giudice all’intera situazione procedimentale[24]. Diversamente, considerato il mancato richiamo esplicito dell’art. 310 c.p.p. verso tali previsioni, appare ammissibile sostenere che nell’appello de libertate sia necessario individuare i motivi posti a sostegno della richiesta, motivi che segnano un limite insuperabile nei confronti dei poteri cognitivi e decisori del giudice[25].
Tuttavia, se la norma risulta apparentemente lineare e di facile intuizione, le maggiori incertezze interpretative nascono proprio dalla scelta del legislatore di dedicare all’istituto in esame una sola norma.
L’apparente lacuna sembra venire meno solo se si cala l’articolo 310 c.p.p. nel più ampio contesto delle norme che disciplinano i mezzi di impugnazione ordinari. Teoria, questa, da sempre sostenuta dalla dottrina e dalla giurisprudenza maggioritaria[26], che non ritiene di dover smentire il collegamento tra l’appello de libertate e quello ordinario.
La “doppia personalità” dell’appello cautelare rende vano ogni tentativo di circoscrivere e delineare i tratti fisionomici del mezzo di gravame in esame; si spiega così l’incertezza della giurisprudenza (in perenne contraddizione) quando tenta operazioni esegetiche che inevitabilmente si adattano solo all’una o all’altra “anima” dell’istituto[27].
L’appello oscilla, infatti, tra i caratteri dell’azione impugnativa, in quanto l’oggetto è individuato dalla domanda di parte, e quelli del gravame puro, dato che il giudice può pronunciarsi ex novo su tutte le questioni ipotizzabili, non essendo vincolato alle alternative prospettate con i motivi di appello[28]. Il giudice si pone, pertanto, quale figura intermedia che, pur muovendosi nella logica di controllo di una precedente decisione, deve scontrarsi anche con i principi fondanti il sistema cautelare, tra cui il favor libertatis. La decisione che è tenuto a prendere ha, infatti, per oggetto, un rapporto instabile, legato ai parametri circoscritti dalle esigenze cautelari ed ai criteri di proporzionalità, idoneità ed adeguatezza. Tale caratteristica rende ammissibile includere le ordinanze cautelari tra quei provvedimenti, rebus sic stantibus, soggetti a continue modifiche, essendo il sistema processuale stesso a imporre la necessaria e attuale corrispondenza tra lo status libertatis e le risultanze processuali[29]. Resta, però, la consapevolezza circa la difficoltà di tenere conto, da un lato, del «paradigma dell’appello in generale»[30] e, dall’altro, delle peculiarità sopra esposte circa il rimedio cautelare. Nonostante la già affermata autonomia sistematica delle misure cautelari rispetto al corpus normativo del giudizio di cognizione, l’eventuale applicabilità dei principi generali che governano l’appello ordinario ai poteri cognitivi, istruttori e decisori del tribunale della libertà in sede di appello, rende tale impugnazione permeabile rispetto alle mutazioni subite dal modello base[31].
3. I termini del contrasto giurisprudenziale
Nel reticolato delle decisioni giurisprudenziali si intravedono due orientamenti contrapposti[32].
Il primo, nonché prevalente indirizzo, seppur con motivazioni differenti poste a sostegno, riconosce al giudice de libertate la cognizione di nova, ammettendo la possibilità di valutare elementi di prova nuovi e diversi, addotti dalle parti per integrare il quadro probatorio posto a base della decisione impugnata. In argomento, parte della dottrina ritiene che la disciplina dell’appello del processo di merito potrebbe essere estesa alla disciplina in materia cautelare per tutti quegli aspetti non espressamente disciplinati dall’articolo 310 c.p.p.[33].
Invero, la dottrina e la giurisprudenza maggioritaria non hanno mai negato l’applicabilità, nei limiti della compatibilità, delle disposizioni generali in tema di impugnazioni all’appello de libertate[34]. L’apparente carenza normativa della disciplina ex art. 310 c.p.p. giustificherebbe un implicito rinvio alla disciplina dell’appello[35]. In tal caso, sarebbero riconosciuti, al giudice del tribunale del riesame in funzione di appello, tutti i poteri che rientrano nella competenza funzionale del giudice di primo grado, tra questi anche quello di poter decidere su elementi nuovi e diversi, sopravvenuti rispetto all’originario quadro cautelare.
In diverse pronunce giurisprudenziali emerge che l’appello de libertate, implicando una valutazione della prognosi cautelare, attribuisce al relativo giudice tutti quei poteri “ab origine” rientranti nella competenza funzionale del giudice di primo grado. Rientrerebbero, così, tra i poteri del giudice del tribunale del riesame in sede di appello cautelare, anche il potere di decidere, sempre nel rispetto del principio devolutivo, nell’ambito di elementi diversi e successivi rispetto a quelli utilizzati nell’ordinanza impugnata. Sarebbe applicabile l’art. 603 comma 2, c.p.p.[36].
L’appello nel processo di merito e l’appello relativo alla vicenda cautelare «partecipano alla stessa natura, poiché integrano lo stesso strumento di verifica del provvedimento del primo giudice»[37]; ne consegue l’utilizzabilità nell’appello de libertate della disciplina basilare del giudizio di secondo grado[38].
I sostenitori di tale orientamento riconoscono, alla luce della similitudine tra i due appelli, la possibilità per il tribunale della libertà, in sede di appello, di respingere la richiesta di supplemento di indagine qualora la richiesta risulti non compatibile con la natura e i tempi del giudizio incidentale[39], ovvero di accoglierla se il giudice ritiene di non poter decidere allo stato degli atti[40].
Nel solco del medesimo orientamento, ma con argomentazioni differenti, si ascrive l’interpretazione secondo cui l’ampiezza della cognizione del tribunale trova fondamento nella necessità di dover sempre garantire la permanente attualità delle condizioni che legittimano la misura cautelare, così da garantire la logica del favor libertatis, secondo cui è necessario adeguare lo status liberatis dell’imputato alle risultanze del procedimento, in base a quanto disposto dall’art. 299, commi 1 e 3 c.p.p. Non troverebbe applicazione, secondo tale indirizzo, l’art. 603, nei commi 1, 2 e 3 c.p.p., relativamente alla rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale nell’appello, in quanto l’applicazione di tali commi risulterebbe necessaria solo con riferimento alle lacune o alle contraddizioni del quadro probatorio che, se non venissero colmate, con riferimento al giudizio di secondo grado, potrebbero determinare una situazione di stallo decisorio[41]. Il principio sembrerebbe esser stato confermato dalla pronuncia delle Sezioni Unite del 2004 secondo cui non «appare utile, in proposito, richiamare in via analogica le disposizioni dei commi 1, 2 e 3 dell’art. 603 c.p.p. sulla “rinnovazione dell’istruzione dibattimentale” nell’appello cognitivo, che rivestono carattere derogatorio a fronte della presunzione di completezza del materiale probatorio già cristallizzatosi in primo grado nel contraddittorio delle parti […]»[42]. In quella sentenza, le Sezioni Unite precisano che «[…] le lacune o le contraddizioni del quadro probatorio […] si risolvono, in ogni caso, nel giudizio cautelare, secondo il criterio di prevalenza delle ragioni della libertà per il principio del favor libertatis»[43].
Secondo questo orientamento, nelle due possibili declinazioni, non sussiste un contrasto con il principio di diritto pronunciato dalle Sezioni Unite con la sentenza Donelli[44]. In quell’occasione, infatti, la Corte si è espressa “a rime obbligate”, essendo il quesito di diritto circoscritto alla sola ipotesi di appello proposto dal PM, avverso una ordinanza reiettiva della misura cautelare.
Secondo l’opposto orientamento[45], invece, nel procedimento d’appello avverso i provvedimenti di misure cautelari personali, la cognizione del tribunale è limitata ai motivi e agli elementi su cui è stata fondata la richiesta pervenuta al giudice e, sulla quale, quest’ultimo ha deciso. Si argomenta sulla non applicabilità in via analogica dell’art. 603 c.p.p. circa la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale[46], in quanto l’eventuale prospettazione di una situazione nuova, sopravvenuta, ritenuta favorevole all’imputato, deve essere oggetto di una distinta e ulteriore richiesta al giudice procedente[47]. Anche questo orientamento sembra essere in linea con l’approdo delle Sezioni Unite Donelli, specificando che in quell’occasione è stato differenziato l’appello cautelare proposto dal pubblico ministero rispetto all’appello proposto dall’imputato[48].
A sostegno di ciò, vi è, in primis, il mancato richiamo in termini di compatibilità alla disciplina dell’art. 603 c.p.p.; concorre anche l'interpretazione sistematica dell’art. 310 c.p.p., secondo cui l’appello si fonda esclusivamente sugli atti contenuti nell’ordinanza impugnata[49]. La tesi si fonda, altresì, sulla mancanza di un esplicito rinvio, nel'art. 310, all'art. 309 c.p.p., con conseguente preclusione, in sede di appello, di introduzione di elementi nuovi, dovendo, il giudice, limitarsi ad esaminare quelli già valutati dal primo giudice e non potendo compiere, quindi, attività istruttoria[50].
Parte della dottrina, inoltre, segnala un’ulteriore criticità rilevabile nell’ipotesi di ammissione di nova[51]. L’eventuale introduzione di elementi nuovi, o il compimento di attività investigative ulteriori, crea una situazione di disparità di trattamento tra le parti, potendo la difesa preferire di produrre tali elementi in sede di impugnazione, invece che procedere con una nuova istanza di revoca o sostituzione ex art. 299 c.p.p., istanza che obbliga il PM, dominus della fase delle indagini, a esprimere un parere sulla suddetta richiesta. Si esclude, pertanto, l’argomentazione circa l’applicabilità del principio del favor libertatis, potendo le parti, anzi, dovendo, formulare una nuova istanza per portare a conoscenza il giudice e la parte di eventuali elementi sopravvenuti.
4. La decisione delle Sezioni Unite
Le Sezioni Unite, nel risolvere il contrasto interpretativo, aderiscono, seppur con delle opportune precisazioni, all’ orientamento maggioritario, che apre alla possibilità per le parti, all’interno del giudizio di appello cautelare, di produrre elementi probatori “nuovi”, pur nel rispetto del contraddittorio e del principio di devoluzione.
Le Sezioni Unite precisano, anzitutto, che la decisione a cui erano giunte in precedenza nel 2004[52] non osta al ragionamento posto a sostegno della sentenza in esame. Decisione quest’ultima che negli anni è stata interpretata in modo diametralmente opposto rispetto al contenuto della pronuncia[53]. Sfruttare quanto sostenuto nella sentenza Donelli[54] per avallare l’orientamento che circoscrive la legittimità della produzione dei nova probatori esclusivamente all’ipotesi dell’appello cautelare proposto dal PM, con l’esclusione degli altri casi, rappresenta un argomento ingannevole, perché obiettivo della suddetta sentenza non era circoscrivere i poteri del giudice ad un’ipotesi specifica, quanto piuttosto riconoscere la piena compatibilità delle regole della devoluzione con la modifica dell’assetto probatorio.
L’odierno Collegio, dunque, sottolinea che la denominazione attribuita all’istituto in esame fa emergere, immediatamente, seppur implicitamente, la similarità funzionale e cognitiva dell’appello cautelare, per quanto non espressamente e diversamente regolamentato, alla disciplina dei mezzi di impugnazione di cui al Titolo II del Libro IX del codice di rito. Nella giurisprudenza di legittimità l’affinità strutturale tra l’appello incidentale e l’appello nel processo di merito rappresenta orami un principio consolidato[55], ma è altresì confermato il limite della cognizione del giudice dell’appello cautelare nei limiti dei motivi dedotti con l’impugnazione[56] e del thema decidendum sottoposto al giudice che ha adottato il provvedimento impugnato[57].
Secondo le Sezioni Unite, inoltre, il mancato rinvio dell’art. 310 c.p.p. all’art. 309, comma 9, c.p.p. non rappresenta un ostacolo alla introduzione dei nova probatori, in quanto il comma in esame attiene alla mera possibilità di presentare i nuovi elementi di prova direttamente nell’udienza in cui si decide sull’istanza di riesame. Una questione che riguarda, pertanto, solamente i termini ristretti e perentori del riesame, ma che non attiene alla possibilità di inserire nuovi elementi probatori nell’appello.
È necessario specificare, però, che l’assenza nell’art. 310 c.p.p. di una espressa possibilità per il giudice di acquisire nova probatori, non equivale ad affermare la possibilità di applicare interamente, per sopperire alle lacune normative, l’art. 603 c.p.p., considerato che l’applicazione analogica appare insostenibile alla luce della configurazione dell’appello come speciale e non come eccezionale[58].
Le Sezioni Unite, sulla scia della sentenza Donelli, escludono l’applicazione dei commi 1 e 3 dell’art. 603 c.p.p., in virtù del carattere derogatorio delle disposizioni che disciplinano la rinnovazione probatoria nel giudizio di merito con riferimento alla presunzione di completezza di tale materiale raccolto nel contradditorio tra le parti. Situazione, questa, distinta e distante dall’appello cautelare, motivo per cui le Sezioni Unite Donelli non hanno mai inteso affermare che l’art. 603 c.p.p. trovi diretta applicazione nella disciplina cautelare, quanto piuttosto che la possibilità di introdurre nuove prove è un carattere originario e tipico dell’appello e, come tale, comune a tutte le tipologie così denominate[59], fermo restando che lo stesso carattere si presenta in modi diversi e coerenti con il contesto processuale di riferimento.
Per poter ricostruire i confini dei poteri attribuiti al giudice della libertà in sede di appello, considerata la scarna disciplina del 310 c.p.p., è indispensabile osservare i principi che governano la materia cautelare, principi già richiamati dalla sentenza Donelli, ma tralasciati dalla giurisprudenza a sostegno dell’orientamento opposto. Le Sezioni Unite, richiamati i principi costituzionali e convenzionali di riferimento[60], ricordano che il sistema cautelare è ispirato alla logica del costante adeguamento allo status libertatis; il protrarsi della detenzione ante iudicium si giustifica solo laddove vi siano elementi concreti e oggettivi che devono sussistere nel tempo, affinché siano in grado di rilevare una necessità sociale idonea a prevalere sulla presunzione di innocenza, rispetto all’inviolabilità della libertà personale e sempre nel rispetto del minor sacrificio possibile[61].
La necessità di garantire e mantenere costante la sintonia tra l’intervento cautelare e la vicenda processuale, nell’ottica del costante adeguamento del primo alla seconda e della ragionevole durata della restrizione della libertà personale, appare incompatibile con la preclusione individuata da uno dei due orientamenti negativi che si può tradurre con “l’illogica imposizione”[62] della procedura ex art. 299 c.p.p. per consentire alle parti di venire a conoscenza dei nova probatori anche quando le stesse già ne dispongono nella celebrazione dell’appello cautelare. Si garantisce così al giudice la possibilità di esser messo a conoscenza di tutti gli elementi potenzialmente utili alla decisione, ancorché diversi da quelli valutati ai fini del provvedimento impugnato.
Tra le argomentazioni della Suprema Corte si apprezza una digressione argomentativa sull’ipotesi di misura interdittiva; la Corte chiarisce che in questo caso non è consentito alle parti proporre istanza di riesame, ma solo appello, con la conseguenza che sarebbe irragionevole escludere alle stesse di sottoporre al giudice elementi diversi da quelli valutati ai fini dell’emissione del provvedimento oggetto di impugnazione solo perché, a differenza di quanto espressamente sancito dal comma 9 dell’art. 309 c.p.p., l'art. 310 c.p.p. non prevede espressamente tale facoltà.
Se, afferma il Supremo Collegio, alle parti è «certamente consentito produrre elementi inediti in caso di appello proposto dal pubblico ministero avverso l’ordinanza di rigetto della richiesta cautelare e se si ammette che tale facoltà sussiste anche nell’ipotesi in cui l’impugnazione riguarda il provvedimento applicativo di una misura interdittiva, non si comprende quale sarebbe la ratio che governa il sistema qualora […] dovesse escludersi che analoga facoltà spetti in tutti gli altri casi di appello cautelare»[63].
Infine, le Sezioni Unite ribadiscono l’esclusione dei poteri istruttori in senso pieno del giudice, svolgendosi l’appello cautelare nelle forme del 127 c.p.p.[64]. Per quanto il principio di favor libertatis consente al giudice di intervenire in bonam partem, oltre i limiti derivanti dal petitum, non può desumersi come corollario il riconoscimento di poteri istruttori. L’ulteriore rinvio dell’art. 310 c.p.p., comma 2, all’art. 127 c.p.p. concerne la possibilità per le parti di presentare memorie, attraverso cui le parti veicolano non solo le proprie argomentazioni, ma qualsiasi elemento informativo che desiderano sottoporre alla valutazione del giudice, entro il termine di cinque giorni prima dell’udienza, per tutelare l’effettività del contraddittorio camerale.
Al netto delle argomentazioni, la Suprema Corte afferma il seguente principio di diritto «Nel giudizio di appello cautelare, celebrato nelle forme e con l’osservanza dei termini previsti dall’art. 127 c.p.p., possono essere prodotti dalle parti elementi probatori “nuovi” nel rispetto del contraddittorio e del principio di devoluzione, contrassegnato dalla contestazione, dalla richiesta originaria e dai motivi contenuti nell’atto d’appello».
5. Conclusioni
La decisione, che risolve una pendenza interpretativa serpeggiante da anni, risulta di particolare rilievo, soprattutto quanto agli effetti indiretti. Non si può trascurare, infatti, che il riconoscimento di un potere probatorio suppletivo in capo alle parti pone al riparo da eventuali cortocircuiti determinati dalla proposizione di nuove istanze di revoca o sostituzione della misura, ex art. 299 c.p.p. Il pregio, dunque, è quello di favorire esigenze di economia processuale e assicurare maggiore celerità al procedimento cautelare. Ed ancora, l’ampliamento della cognizione in capo al giudice dell’appello, rispetto ai nova, ha anche una finalità etica: responsabilizzare e chiarire il comportamento delle parti nel procedimento cautelare, nella prospettiva di una armonia processuale. La tesi opposta, invece, determinerebbe una serie di ostacoli all’attuazione sottesa dei principi fondanti il sistema cautelare.
Il riconoscimento della possibilità di introdurre nova risulta, dunque, coerente con la «fluidità della matematica cautelare»[65], coerenza che, «pur non essendo condizione di validità, è però, pur sempre, condizione per la giustizia dell’ordinamento»[66].
[1] Cfr. sul punto: Cass., sez. VI, 24 gennaio 2004, n. 2527; Cass., sez. IV, 24 ottobre 2022, n. 40078; Cass., Sez. Un., 31 marzo 2011, n.16085.
[2] Cfr. Cass., sez. I, 18 aprile 2023, n. 16525. La prima sezione della Corte di Cassazione formula il quesito «se, in giudizio di appello, ex art 310 c.p.p., proposto dall’imputato avverso provvedimenti in materia di misure cautelari personali, l’oggetto della cognizione è delimitato dai motivi e dagli elementi sui quali è fondata la richiesta ex art. 299 c.p.p. presentata al giudice e sui quali questi ha deciso, sicché il giudice di appello non può assumere a sostegno della decisione elementi acquisiti dalle parti successivamente all’adozione del provvedimento».
[3] Cass., Sez. Un., 20 aprile 2004, n. 18339, Donelli.
[4] Cfr. G. FALLACI, Le Sezioni Unite sui “nova” nel giudizio di appello cautelare, in La Tribuna, 2024.
[5] Cass., Sez. Un., 20 aprile 2004, n. 18339, cit.
[6] Cfr. art. 13 comma 1 Cost; art. 27 comma 2 Cost.
[7] Cfr. art. 5 Cedu; art. 6 comma 2 Cedu; art. 48 comma 1 Carta dei diritti UE.
[8] In particolare, l’art 5 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e l’art. 9 del Patto Internazionale sui diritti civili e politici. Sulle influenze che le disposizioni internazionali hanno avuto sin dall’introduzione della l. 12 agosto 1982, n. 532, sull’istituzione del Tribunale della libertà, cfr. M. CHIAVARIO, Il nuovo “riesame”: quale dosaggio di garanzie?, in Leg. Pen., 1983, p. 169.
[9] P. SPAGNUOLO, I Poteri cognitivi e decisori del tribunale della libertà investito dell’appello de libertate del pubblico ministero: i confini tra devolutum e novum, in Cass. Pen., 2004, pp. 894 ss.
[10] Così F. CARRARA, Immoralità del carcere preventivo, in Opuscoli di diritto criminale, vol. IV, M. Pacini Fazzi, Lucca, 1874, p. 300.
[11] Per un’analisi della graduale evoluzione del sistema dei controlli de libertate cfr. M. FERRAIOLI, Il riesame dei provvedimenti sulla libertà personale, Giuffrè, 1989, p. 169.
[12] Si veda la legge n. 532 del 12 agosto 1982 “Disposizioni in materia di riesame dei provvedimenti restrittivi della libertà personale e dei provvedimenti di sequestro - Misure alternative alla carcerazione preventiva”, che ha istituito i rimedi in sede cautelare, affidando gli stessi al tribunale della libertà.
[13] Cfr. P. MAGGIO, Le impugnazioni delle misure cautelari personali, Giuffrè, 2018.
[14] Cfr. M. CERESA GASTALDO, Il riesame delle misure coercitive nel processo penale, Giuffrè, 1993, p. 66. L’autore pone in rilievo una critica sull’esclusione del rimedio del riesame avverso le misure interdittive.
[15] L. CARNEROLI, Sussiste il potere del giudice di integrare o sostituire la motivazione, in Cass. Pen., 2001, p 6. Nota a sentenza Cass., sez. VI, 6 settembre 2000, n. 3088.
[16] Cfr. M. FERRAIOLI, Misure cautelari, in Enc. Giur. Treccani, vol. XX, 1996, p. 24, l’A. sottolinea che i soggetti legittimati a proporre appello sono tutti spinti da interessi differenti. Per il Pubblico ministero, infatti, vi è un interesse di appellare provvedimenti giurisdizionali che non hanno accolto una sua richiesta. Il destinatario della misura, invece, è spinto dal desiderio di vedere ripristinato il suo status liberatatis o quantomeno di veder modificata la modalità esecutiva della pena.
[17] Cfr. Relazione al progetto preliminare al codice di procedura penale. in G.U., 24 ottobre 1998, n. 250.
[18] A. FURGIUELE, L’appello cautelare, in Prove e misure cautelari, Le misure cautelari, Vol. II, Tomo II, a cura di A. SCALFATI, in Trattato di procedura penale, G. SPANGHER (diretto da), Utet Giuridica, 2008, pp. 541 ss.
[19] Cfr. ex multis, Cass., sez. VI, 23 maggio 1994, n. 2411. È emersa, chiaramente, in dottrina, una disparità di trattamento per colui che subisce una misura cautelare coercitiva rispetto ad una interdittiva, disparità che stride con la potenzialità afflittiva che ambedue le misure possono presentare. Cfr. G. DI CHIARA, Nota a Corte Costituzionale 26-1-1994, n. 5, in Foro It., 1994, 1, p. 669, secondo cui la misura interdittiva ben può apparire più gravosa e pregiudizievole di una coercitiva.
[20] A. FURGIUELE, L’appello cautelare, cit.
[21] Cfr. art. 597 c.p.p.: «[…] l’appello attribuisce al giudice di secondo grado la cognizione del procedimento limitatamente ai punti della decisione ai quali si riferiscono i motivi proposti».
[22] In senso contrario si può citare una pronuncia della Corte di Cassazione secondo cui il tribunale in sede di appello cautelare, non è vincolato al devoluto, possedendo una cognizione piena ed illimitata, in virtù dei poteri d’ufficio di cui all’art. 299, 1 e 3 comma, c.p.p., considerati come principio generale. Cass., sez. II, 14 gennaio 1991, Zacchetti, in Riv. pen., 1992, p. 512.
[23] Cass., Sez. Un., 25 giugno 1997, Gibilras, n. 208313, «Le Sezioni Unite, premessa una sintetica disamina del principio in oggetto, così come previsto dall’art. 597, 1 comma c.p.p., osservano come l’appello nel processo di merito e l’appello nel procedimento incidentale in materia di libertà personale partecipano, dunque, della stessa natura, poiché integrano lo stesso strumento di verifica del provvedimento del giudice; […conseguentemente…] va riaffermato il principio di diritto secondo il quale la cognizione del giudice dell’appello incidentale sulla libertà, di cui all’art. 310 c.p.p., è limitata ai punti della decisione impugnata attinti dai motivi di gravame (e a quelli con essi strettamente connessi o da essi dipendenti)».
Cfr. A. RICCI, Appello ex art. 310 c.p.p. e limiti alla cognizione del tribunale della libertà, in Giur. It, 1998, p. 12.
[24] Cfr. P. TONINI – C. CONTI, Manuale di procedura penale, Giuffrè, 2023.
[25] Cfr. L.CARNEROLI, Sussiste il potere del giudice di integrare o sostituire la motivazione, cit.
[26] In dottrina, tra gli altri, cfr. E. APRILE, Le impugnazioni delle ordinanze sulla libertà personale, Giuffrè, 1996, p. 127; R. MADAMA, Limiti ai poteri decisionali del tribunale della libertà in sede di appello, in Giur. it., 1997, 2, p. 557. In manualistica tra i tanti cfr. P. TONINI – C. CONTI, Manuale di procedura penale, Giuffrè, 2023; GREVI, Misure cautelari, in AA.VV., Compendio di procedura penale, a cura di G. CONSO – V. GREVI, Cedam, 2023. In giurisprudenza ex multis, Cass., sez. un., 25 giugno 1997, n. 208313, Gibilras, in Cass.pen., 1998, p. 1591, con nota di D. VICOLI, L’appello avverso ordinanze in materia di misure cautelari: fissati i poteri di cognizione e di decisione del tribunale della libertà, resta aperto il problema degli elementi nuovi.
[27] M. CERESA GASTALDO, Principio devolutivo e poteri cognitivi del tribunale nel giudizio ex art. 310 c.p.p.: ancora un tentativo (insufficiente) di rimediare alla “doppia personalità” dell’appello de libertate, in Cass. Pen. 1999, p. 2920.
[28] Cfr. P. SPAGNUOLO, I Poteri cognitivi e decisori del tribunale della libertà investito dell’appello de libertate del pubblico ministero:i confini tra devolutum e novum, cit.
[29] Cass., sez. III, 12 aprile 2023, n.15256, con nota di Scordamaglia, in Dir. Pen. Proc. 2023, 10, pp. 1306 ss.
[30] F. VIGGIANO, sub art. 310 c.p.p., in Codice di procedura penale commentato, a cura di A. GIARDA – G. SPAGNHER, Ipsoa, 2023, p. 936 ss.
[31] G. SPANGHER, Il “nuovo” giudizio di appello, in Dir. Pen. Proc, 2017, p. 1327 ss.
[32] Cfr. ex multis, Cass., sez. I, 31 marzo 2022, n. 29640; Cass., sez. II, 12 novembre 2019, n. 6400 ed altre. Contro cfr. Cass., sez. 1, 19 ottobre 2021, n. 44595; Cass., sez. VI, 23 aprile 2015, n. 23729.
[33] Nella Relazione al progetto preliminare al codice di procedura penale, cit. p. 78, si legge che l’art. 310 c.p.p. «contiene un implicito rinvio alla disciplina dell’appello, in quanto non risulti diversamente disposto, ivi compresa la previsione dell’effetto limitatamente devolutivo, tipico del mezzo di impugnazione in oggetto».
[34] In dottrina tra i tanti, F. VIGGIANO, sub art. 310 c.p.p., in Codice di procedura penale commentato, a cura di A. GIARDA – G. SPANGHER, Ipsoa, 2023, p. 891, viene, così, riaffermata l’esistenza di una continuità strutturale e funzionale dell’appello cautelare rispetto agli schemi tradizionali dell’appello sul merito.
Cfr. anche G. AMATO, sub art. 310 c.p.p., in Commentario al nuovo codice di procedura penale, a cura di E. AMODIO – O. DOMINIONI, vol. III, Giuffrè, 1990, p. 208; E. APRILE, Le impugnazioni delle ordinanze sulla lbiertà personale, cit. p. 127.
[35] Cfr. P. SPAGNUOLO, I poteri cognitivi e decisori del tribunale della libertà investito dell’appello de libertate del pubblico ministero: i confini tra devolutum e novum, cit. p. 2746.
[36] Così in Cass., sez. I, 19 ottobre 2021, n. 44595: «L’appello concernente misure cautelari personali, implicando una valutazione globale della prognosi cautelare, attribuisce al giudice “ad quem” tutti i poteri “ab origine” rientranti nella competenza funzionale del primo giudice, ivi compreso quello di decidere pur nell’ambito dei motivi prospettati e, quindi, del principio devolutivo, anche su elementi diversi e successivi rispetto a quelli utilizzati dall’ordinanza impugnata, applicandosi anche a tale procedimento l’art. 603 comma 2 e 3 c.p.p.». In precedenza Cass., sez. VI, 23 aprile 2015, n.23729; Cass., sez. VI, 21 giugno 2012, n. 34970; Cass., sez. VI, 17 aprile 2012, n. 19008.
[37] Così in Cass., sez. un., 25 giugno 1997, n. 208313, Gibilras, con nota di A. RICCI, Appello ex art. 310 c.p.p. e limiti alla cognizione del tribunale della libertà, in Giur. It, 1998, 12.
[38] F. MORELLI, L’ammissibilità di nuovi elementi probatori a carico nell’appello de libertate in Dir. Pen. Proc, 2005, 3, p. 361.
[39] Cass., sez. III, 17 gennaio 2002, n. 7674.
[40] P. MAGGIO, Le impugnazione delle misure cautelari personali, cit. pp. 413 ss.
[41] Cfr. Cass., sez. V, 6 maggio 2006, n. 24373, con nota di F. FALATO, I poteri probatori del giudice d’appello nel procedimento de libertate, in Dir. Pen. Proc., 2006, 2, p. 386.
[42] Cass., Sez. Un., 31 marzo 2004, n. 18339, cit.
[43] Cfr. Cass., Sez. Un., 31 marzo 2004, n. 18339, cit.; Corte Cost., 27 luglio 2001, n. 321, in Cass. Pen. 2001, p. 3340.
[44] Cass., Sez. Un., 31 marzo 2004, n. 18339, cit.
[45] In dottrina ex multis, D. VICOLI, L’appello avverso ordinanze in materia di misure cautelari: fissati i poteri di cognizione e di decisione del tribunale, resta aperto il problema degli elementi nuovi, cit.; L. GIULIANI, La valutazione delle esigenze cautelari da parte del tribunale della libertà quale giudice di appello, in Dir. Pen. proc., 1995. Nettamente contrario all’ipotesi di un’integrazione probatoria appare anche G. PIERRO, Il giudicato cautelare, Torino, 2000, p. 193, che pone in evidenza la specificità del rimedio ex art. 310 c.p.p.
[46] Cfr. Cass., sez. I, 23 novembre 1995, n. 2032676, Tripodi in CED; Cass., sez. IV, 18 dicembre 1996, n. 3183, Zorzenon, in Foro. It., Rep., p. 1455, in cui, pur sostenendo il divieto generale di introdurre atti e documenti nuovi in appello, la Suprema Corte pone una deroga per gli atti interni del processo.
[47] Cfr. Cass., sez. I, 31 marzo 2022, n. 29640; in precedenza Cass., sez. II, 12 novembre 2019, n. 6400; Cass., sez. VI, 29 novembre 2017, n.57262.
[48] A. ACETO, Possibile la produzione di nova in appello cautelare; le SS.UU dettano le condizione, in Il Quotidiano Giuridico, 2024.
[49] Cfr. art. 310 c.p.p. comma 2. : «[…] Dell’appello è dato immediato avviso all'autorità giudiziaria procedente che, entro il giorno successivo, trasmette al tribunale l’ordinanza appellata e gli atti su cui la stessa si fonda. Il procedimento davanti al tribunale si svolge in camera di consiglio nelle forme previste dall'articolo 127[…]» e G. SPANGHER, sub art. 17, in Modifiche al codice di procedura penale. Nuovi diritti della difesa e riforma della custodia cautelare, Padova, 1995, p. 248, osserva in chiave problematica che a tali profili formali sarebbe possibile replicare che il raccordo tra l’art. 310 c.p.p. e l’art. 593 c.p.p. potrebbe «ritenersi implicito nella comune radice dei due rimedi» e che «la trasmissione del materiale probatorio è finalizzata a porre il collegio in condizione di decidere e la difesa di esercitare il diritto di contraddittorio». In giurisprudenza, cfr. Cass., sez. V, 24 marzo 1993, n. 945, Di Livio, in Arch. n. proc.pen., 1994, p. 122.
[50] In Cass., sez. II, 18 febbraio 2020, n. 6400 (poi ripresa da Cass. sez. 1, 25 luglio 2022, n. 29640) si legge: «In tema di revoca dell’ordinanza cautelare il relativo giudizio deve essere svolto nei limiti delle richieste avanzate dall’interessato, non essendo previsto che il giudice possa, come nel caso di riesame, decidere anche per ragioni diverse, tranne ipotesi eccezionali […]».
[51] Cfr. E. APRILE, I procedimenti dinanzi al tribunale della libertà, Giuffrè, 1999, p. 235.
[52] Cfr. Cass., Sez. Un., 31 marzo 2004, n. 18339, cit.
[53] Ex plurimus, Cass., sez. VI, 7 luglio 2023, n. 34130; Cass., sez. III, 13 gennaio 2023, n. 15256; Cass., sez. II, 12 novembre 2019, n. 6400.
[54] Cfr. Cass., Sez. Un., 31 marzo 2004, n. 18339, cit.
[55] Cfr. Cass., Sez. Un., 25 giugno 1997, n. 8, cit.; Cass. sez. un. 31 marzo 2004, n. 18339, cit.
[56] G. SPANGHER, Due interventi delle Sezioni Unite in materia di procedura cautelare, in Il Quotidiano Giuridico, 2024.
[57] Cfr. Cass., Sez. Un., 9 marzo 2007, n. 10251; Cass., sez. un., 4 gennaio 1996, n.1.
[58] Cfr. In dottrina diversi autori avevano già specificato la configurabilità dell’appello cautelare come speciale e non come eccezionale. Tra i tanti vedi D. ZIGNANI, Poteri cognitivi, istruttori e decisori del tribunale della libertà quale giudice d’appello, in Dir. Pen. Proc, 2005, 1, p. 58.
[59] Cfr. A. ACETO, Posibile la produzione di nova in appello cautelare; le SS.UU. dettano le condizione, cit.
[60] Cfr. art. 13 Cost, art. 27 Cost. Cfr. Anche CEDU 4 aprile 2006, M. c. Polonia; CEDU, GC, 6 aprile 2000 L. c. Italia; CEDU 2 luglio 2009, V. c. Grecia.
[61] Cfr. A. ACETO, Possibile la produzione di nova in appello cautelare; le SS. UU. dettano le condizioni, cit.
[62] Vedi Cass., sez. un., 12 aprile 2024, n. 15403.
[63] Ibid.
[64] Cfr. A. FURGIUELE, L’appello cautelare cit.; P. MAGGIO, Le impugnazione delle misure cautelari personali, cit.
[65] Cfr. Intervista a Giorgio Spangher in il Quotidiano Giuridico, 2023.
[66] N. BOBBIO, Teoria dell’ordinamento giuridico, Giappichelli, 1960, p. 123.