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Pubbl. Gio, 8 Giu 2023

La normativa sul whistleblowing alla luce del decreto 23/2023 attuativo della direttiva UE 2019/1937

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Angela Chianese



Analisi della normativa relativa all´istituto del ”Whistleblowing” nell´ordinamento italiano a partire dalla legge Severino fino al decreto 23/2023 in attuazione della direttiva Ue 2019/1937. La disciplina sul Whistleblowing come misura per ostacolare il fenomeno corruttivo.


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The legislation on Whistleblowing in the light of decree 23/2023 implementing the EU directive 2019/1937

Analysis of the legislation releted to the instrument of ”Whistleblowing” in the Italian legal system from Severino´s law until the decree 23/2023 implemented the EU directive 2019/1937. The regulation of Whistleblowing like a measure to suceed in hindering the corruptive phenomenon.

Sommario: 1. Un nuovo modo di intendere la corruzione;  2. Le origini della disciplina del cd. Whistleblowing; 3. Il faticoso recepimento della direttiva UE 2019/1937;  4. Conclusioni.

1. Un nuovo modo di intendere la corruzione

A partire dalla legge 3/2019, con la cd. legge Spazzacorrotti, si è cercato di prendere atto del cambiamento del fenomeno della corruzione disciplinando sia misure di prevenzione che di repressione. In un primo momento la corruzione era vista come un fenomeno individuale, nascosto e pulviscolare ma è dagli anni ’80 che ha assunto dimensioni sistemiche andando ad inquinare il tessuto economico del Paese non permettendone lo sviluppo e il corretto funzionamento.
Con il termine corruzione si indica il fenomeno della maladministration, volendo indicare tutte le condotte illecite a prescindere dalla rilevanza delle stesse come fattispecie penali focalizzando l’attenzione sull'utilizzo della funzione pubblica per perseguire un proprio interesse.[1]
Nel sistema emerge  la mancanza della cultura della legalità, di un sistema di accesso che garantisca la trasparenza, di misure idonee a prevenire il fenomeno mediante dei piani di prevenzione della corruzione realizzati ad hoc dalle singole amministrazioni in base alle proprie specificità e ai settori esposti maggiormente a rischio.

Tra le varie misure messe in campo per contrastare il fenomeno della corruzione vi è la disciplina del whistleblowing. Con termine whistleblower si identifica colui che, come se fosse un poliziotto o arbitro, soffia nel fischietto segnalando o tentando di fermare un’azione illegale. In altri termini, è il soggetto che venuto a conoscenza di una condotta illecita commessa da altri sul luogo di lavoro la segnala a chi di dovere.

Lo scopo della normativa è quello di garantire e tutelare il dipendente, pubblico o privato, che denunci l'illecito commesso da un suo collega ovvero da un superiore e che coinvolga la propria azienda, e ciò con garanzia di riservatezza e di tutela da atti di ritorsione o discriminazione o da altra misura ritorsiva.
Si punta a far emergere il cd. numero oscuro della corruzione, in quanto molto spesso gli illeciti riguardano più soggetti che si fanno manforte sul silenzio e sulla complicità dell’altro.

La disciplina ha trovato ingresso nel nostro ordinamento in ritardo, rispondendo ad impulsi provenienti dal diritto sopranazionale come la Convenzione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite contro la corruzione, adottata dalla Assemblea generale dell’ONU il 31 ottobre 2023. In realtà negli Stati Uniti la prima disciplina in materia risale al 1863 con il False Claims Act, meglio noto come Lincoln Law. A livello globale, si sono poi diffusi due contrapposti modelli. Un primo, ed invero meno diffuso, modello, in cui è prevista l’elargizione in favore del segnalante di un premio solitamente parametrato all’importo ‘‘recuperato’’ a seguito della segnalazione. E un secondo modello che si limita a prevedere, di contro, forme di tutela in favore del segnalante atte essenzialmente a evitare che lo stesso possa subire ritorsioni a causa della segnalazione. Quest’ultimo modello è stato adottato dall’Italia, anche se in tal modo ha disatteso le raccomandazioni formulate dalla Commissione per lo studio e l’elaborazione di proposte in tema di trasparenza e prevenzione della corruzione nella pubblica amministrazione che aveva sottolineato l’importanza di introdurre un sistema premiale per il lavoratore che segnala gli illeciti.

2. Le origini della disciplina del cd. Whistleblowing

Originariamente nel nostro ordinamento era assente una normativa in materia di whistleblowing. Pertanto, al fine di proteggere i dipendenti che divulgavano fatti riguardanti condotte illecite veniva richiamato l’art. 10 della CEDU nella parte in cui tutela la libertà d’espressione, dovendosi intendere la libertà di opinione, di comunicare e ricevere informazioni senza che vi sia l’interferenza dell’autorità pubblica. Tale riferimento era chiaramente inadeguato a garantire una tutela piena ed effettiva al segnalante.

Il punto di svolta si ha con la legge Severino che introduce l’istituto del whistleblowing all’art. 54bis del decreto legislativo 165/2001 ovvero nel Testo Unico sul pubblico impiego. La norma mira a tutelare il dipendente pubblico che nell’interesse dell’integrità della pubblica amministrazione, segnala al responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza ovvero all’Autorità nazionale anticorruzione (ANAC), o denuncia all’autorità giudiziaria ordinaria o a quella contabile, condotte illecite di cui è venuto a conoscenza in ragione del proprio rapporto di lavoro.
Occorre da subito fare una precisazione: come specificato dalla norma, il dipendente non può agire per un proprio interesse ma deve effettuare la segnalazione nell’interesse dell’integrità della pubblica amministrazione. In sostanza, si vuole evitare che il lavoratore denunci l’illecito solo per ottenere un vantaggio personale e pertanto viene ripudiato il cd. sistema premiale. Inoltre, è previsto un duplice apparato di tutela: viene garantita ex ante e a priori la riservatezza dell’identità del segnalante prevedendo inoltre il divieto di adozione di misure ritorsive e discriminatorie nei confronti del medesimo nonché ex post, ove tali misure vengano concretamente adottate, gli atti aventi ad oggetto tali misure devono essere dichiarati nulli.

Anche in sede processuale il segnalante è tutelato: sarà infatti onere del datore di lavoro, in caso di controversie legate all'irrogazione di sanzioni disciplinari o altro tipo di provvedimenti a carico del denunziante, successivi alla presentazione della segnalazione, provare che tali misure sono fondate su ragioni estranee alla segnalazione stessa. Peraltro, il segnalante che venga licenziato a seguito della segnalazione deve essere reintegrato nel posto di lavoro, per espressa previsione normativa.[2]
La legge Severino può essere definita come il primo passo verso la cultura della legalità. Tuttavia, la disciplina presenta dei limiti. In primo luogo, l’ambito di applicazione era limitato al settore pubblico quasi come se il legislatore fosse meno interessato al settore privato.

In secondo luogo, entrando nel merito della disciplina, sebbene in linea di principio la norma prevede che l'identità del segnalante non possa essere rivelata, vengono posti dei limiti. In particolare, l’identità è coperta dal segreto nei limiti di cui all'art. 329 codice di procedura penale ossia nei procedimenti penali fino alla chiusura delle indagini preliminari; nei procedimenti che si svolgono dinanzi alla Corte dei conti è riservata solo sino alla chiusura della fase istruttoria. Mentre nel procedimento disciplinare la tutela dell’identità è subordinata alla condizione che la contestazione dell'addebito disciplinare sia fondata su accertamenti distinti e ulteriori rispetto alla segnalazione, anche se conseguenti alla stessa e nel medesimo procedimento disciplinare può essere rivelata con il consenso del segnalante ogniqualvolta in cui la conoscenza dell'identità del segnalante sia indispensabile per la difesa dell'incolpato.

Con la legge n. 179/2017 la normativa, inizialmente prevista solo per i dipendenti pubblici, è stata estesa anche ai dipendenti del settore privato, nonché ai lavoratori e collaboratori a qualsiasi titolo di imprese fornitrici di beni o servizi che realizzano opere in favore dell'amministrazione pubblica. Anche se l'approccio è decisamente meno stringente e più programmatico, in questo modo, il legislatore ha colmato il vuoto di tutela esistente nel sistema.

Tuttavia, diversamente dal settore pubblico, la legge non dettava una disciplina ad hoc ma si limitava a prevedere interventi di revisione dei già esistenti modelli di organizzazione previsti dalla legge 231/2001 ovvero la legge in materia di responsabilità amministrativa delle pubbliche amministrazioni. Tuttavia è solo nel 2002, con l'introduzione del SarbanesOxleyAct (SOX), normativa di diritto statunitense, con cui viene disciplinato per la prima volta la c.d. whistleblowingprotection a tutte le aziende USA quotate alla borsa di New York, anche all'estero e quindi anche in Italia. Più precisamente, per effetto del SOX, tutte le società quotate o da quotarsi su mercati americani hanno dovuto dotarsi di procedure per la ricezione ed il trattamento di denunce di irregolarità o illeciti, pervenute in via confidenziale o anonima dai propri dipendenti e ciò garantendo nel contempo la massima tutela a favore degli autori delle denunce, i quali non potevano essere sospesi, licenziati e/o discriminati. 

In particolare, viene disposto che i modelli di organizzazione, gestione e controllo devono prevedere uno o più canali che consentano ai lavoratori di presentare, a tutela dell’integrità dell’ente, segnalazioni circostanziate di condotte illecite fondate su elementi di fatto precisi e concordanti o di violazioni del modello di cui siano venuti a conoscenza in ragione delle funzioni svolte. Tali canali devono essere in grado di garantire la riservatezza dell’identità del segnalante.

3. Il faticoso recepimento della direttiva UE 2019/1937

Nel 2019 la Commissione europea ed il Consiglio hanno adottato la direttiva 2019/1937 riguardante la protezione delle persone che segnalano violazioni del diritto dell’Unione. Nonostante il termine per il recepimento della direttiva fosse di due anni, in Italia l’attuazione è avvenuta in ritardo mediante l’approvazione del decreto 23/2023, pubblicato in Gazzetta lo scorso 15 marzo 2023. Ciò ha costituito motivo di avvio di una procedura d’infrazione nei confronti del nostro Stato.[3]
Il ritardo ha dato vita a critiche da parte del Presidente dell’ANAC che ha sottolineato come alla data di scadenza per il recepimento non fosse stato avviato alcun iter normativo. Anche Transparency International è intervenuta nel coro di polemiche lamentando il  mancato coinvolgimento degli stakeholder nel processo elaborazione della normativa di attuazione.

Ad oggi, il decreto in esame non si limita a dare attuazione alla direttiva ma mira a raccogliere in un unico testo normativo l’intera disciplina del whistleblowing, andando a porre un freno all’eccessiva frammentazione della disciplina. Le disposizioni normative nazionali che regolano la materia vengono infatti abrogate e la relativa disciplina, adattata alle previsioni di cui alla direttiva, viene trasposta all’interno del nuovo decreto. Le disposizioni ivi contenute avranno effetto dal 15 luglio 2023 ad eccezione dei soggetti del settore privato che abbiano impiegato una media di lavoratori subordinati inferiore a duecentocinquanta per i quali gli obblighi decorreranno a partire dal 17 dicembre 2023.

L’ambito di applicazione oggettivo della disciplina di cui al decreto è più ampio rispetto a quello della direttiva, limitato alle sole violazioni di disposizioni dell’Unione europea inerenti ad una serie di settori specificamente indicati tra i quali: appalti pubblici, sicurezza dei trasporti, tutela dell’ambiente, salute pubblica, protezione dei consumatori, tutela della vita privata e protezione dei dati personali. Esercitando la facoltà attribuitagli della direttiva che permette agli Stati membri di estendere la protezione prevista dal diritto nazionale relativamente a settori o atti non contemplati dalla direttiva stessa legislatore italiano ha esteso l’applicazione della disciplina di cui al decreto, oltre che alle segnalazioni inerenti violazioni del diritto dell’Unione Europea, anche alle segnalazioni inerenti violazioni del diritto interno, sempre se lesive dell’interesse pubblico o dell’integrità dell’amministrazione pubblica o dell’ente privato, e di cui il segnalante sia venuto a conoscenza in un contesto lavorativo pubblico o privato.

Anche l’ambito soggettivo è stato esteso: nella definizione di «soggetti del settore pubblico» vengono oggi espressamente ricomprese, oltre alle amministrazioni pubbliche di cui all’art. 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165/2001, agli enti pubblici economici e alle società a controllo pubblico, già indicati all’art.54 bis del medesimo decreto, anche le autorità amministrative indipendenti di garanzia, vigilanza o regolazione, gli organismi di diritto pubblico, i concessionari di pubblico servizio e le società in house, anche se quotate. Ciò in applicazione del concetto di pubblica amministrazione a geometrie variabili.[4]

Invece, sono inseriti nella definizione di «soggetti del settore privato» tutti coloro che hanno impiegato, nell’ultimo anno, la media di almeno cinquanta lavoratori subordinati, con contratti di lavoro a tempo indeterminato e determinato, nonché i soggetti che, pur non avendo raggiunto il predetto requisito dimensionale, rientrano comunque nell’ambito di applicazione del decreto legislativo n. 231/2001 e adottano i modelli di organizzazione e gestione ivi previsti, ovvero operano nell’ambito di determinati e specifici settori tassativamente indicati, quali servizi, prodotti e mercati finanziari, sicurezza dei trasporti e tutela dell’ambiente.

Giova inoltre rilevare l’estensione della platea dei soggetti interessati dalla tutela per la segnalazione degli illeciti: la normativa trova applicazione nei confronti di tutti i lavoratori del settore pubblico e privato e anche di altre categorie, quali volontari o tirocinanti, ovvero gli azionisti e le persone con funzioni di amministrazione, direzione, controllo, vigilanza o rappresentanza, anche qualora tali funzioni siano esercitate in via di mero fatto. La tutela per i predetti soggetti trova applicazione anche quando il rapporto giuridico non è ancora iniziato, se le informazioni sulle violazioni sono state acquisite durante il processo di selezione o in altre fasi precontrattuali, o successivamente allo scioglimento del rapporto di lavoro, se le informazioni sulle violazioni sono state acquisite nel corso dello stesso.

Altra novità prevista dal decreto concerne l’applicazione delle misure di protezione oltre che al segnalante, anche ai facilitatori cioè a coloro che assistono il segnalante nel processo di segnalazione e che operano all’interno del medesimo contesto lavorativo, alle persone del medesimo contesto lavorativo del segnalante ad esso legate da uno stabile legame affettivo o di parentela entro il quarto grado, nonché ai colleghi di lavoro che lavorano nel medesimo contesto lavorativo del segnalante e che hanno con detta persona un rapporto abituale e corrente. In sostanza, si crea una sorte di rete di protezione intorno al segnalante.

Il legislatore pone inoltre un limite temporale in quanto la segnalazione deve avere un riscontro nel termine di tre mesi e ciò per garantire tempi celeri nella definizione del procedimento.

4. Conclusioni

Come emerge dall’analisi svolta, la disciplina del whistleblowing cerca di contemperare due opposte esigenze: da un lato, la protezione del dipendente che ritenga di avere informazioni su condotte illecite avvenute all’interno dell’azienda e dall’altro, la protezione degli altri dipendenti coinvolti nel procedimento che potrebbero subire dei danni in caso di denunce mendaci. Nella faticosa ricerca di un punto di equilibrio era intervenuta anche la Corte di Cassazione stabilendo alcuni principi tra cui la possibilità di effettuare denunce anonime ma anche che le stesse non possono essere da sole supporto probatorio per assumere la fondatezza del comportamento denunciato, essendo piuttosto idonee a fondare un dovere di attivazione di indagine.[5]

Ad oggi la disciplina del whistleblowing è destinata ad avere un ruolo centrale nel nostro ordinamento e non può sicuramente essere trascurata anche per l’attuale campo di applicazione, sempre più esteso.
Tuttavia, si ritiene di condividere quanto affermato dal Garante della privacy: il sistema a tutela del whistleblower non è un mero adempimento amministrativo, ma richiede specificità, effettività e personalizzazione.[6]

 

 


Note e riferimenti bibliografici

[1] Sul concetto di corruzione amministrativa si rinvia a Cifarelli C., Corruzione amministrativa e controlli: spunti di riflessione in Amministrazione in cammino, 2013 e a R. CANTONE, Introduzione, in R. CANTONE (a cura di), Segnalazione di illeciti e tutela del dipendente pubblico. L’Italia investe nel whistleblowing, importante strumento di prevenzione della corruzione, p. 1, in www.anticorruzione.it

[2] Zambelli A., Whistleblowing e sanzioni applicabili nei confronti del datore di lavoro in Guida al lavoro, n. 48, 2018

[3] Procedura della Commissione europea n. 2022/0106

[4] In base alla logica delle geometrie variabili, quello dell’ente pubblico non è uno status permanente, bensì flessibile: un ente può essere considerato pubblico solo settorialmente, in relazione a determinati ambiti di disciplina.

Tale nozione flessibile di PA costituisce applicazione del principio europeo dell’effetto utile, in base al quale nel caso concreto occorre prediligere l’interpretazione normativa che meglio consente di realizzare le finalità perseguite dalla norma comunitaria.

[5] Cass. Sent. n. 6501/2013

[6] Con il provvedimento n.134 del 7 aprile 2022 il Garante della Privacy ha emesso un’ordinanza di ingiunzione nei confronti di una azienda ospedaliera per il mancato rispetto delle regole del GDPR e Codice in materia di sistemi software per le denunce anonime nell’ambito dei sistemi che presidiano i modelli di organizzazione adottati ex D.Lgs. 231/2001.