ISCRIVITI (leggi qui)
Pubbl. Mar, 23 Mag 2023
Sottoposto a PEER REVIEW

Osservazioni sull´evoluzione della condizione giuridica dello straniero

Modifica pagina

Giuseppe Monaco
Professore AssociatoUniversità Cattolica del Sacro Cuore



Si afferma comunemente che il principio di uguaglianza si applichi anche allo straniero, in relazione ai diritti inviolabili, per effetto di una lettura sistematica degli articoli 2, 3 e 10 Cost. Restano però esclusi il diritto di ingresso nel territorio dello Stato e i diritti politici. L’affermazione merita un approfondimento, sotto diversi profili: per valutare le aperture in merito all’attribuzione del diritto di voto anche agli stranieri; per verificare, poi, l’effettivo godimento di libertà e garanzie, costituzionalmente riconosciute a tutti gli individui; in relazione, infine, a quelle prestazioni sociali, la cui erogazione in favore dello straniero è spesso sottoposta a condizioni ulteriori. In proposito risulta di estremo interesse l’apporto che proviene dal diritto UE.


ENG

Comments on the evolution of the legal status of foreigners

It is commonly stated that the principle of equality also applies to foreigners, in relation to inviolable rights, as a result of a systematic reading of Articles 2, 3 and 10 of the Constitution. However, the right of entry into the territory of the State and political rights remain excluded. The affirmation deserves a deepening, under various aspects: to evaluate the openings regarding the attribution of the right to vote also to foreigners; to verify, then, the actual enjoyment of freedom and guarantees, constitutionally recognized to all individuals; in relation, finally, to those social benefits, whose provision in favour of the foreigner is often subject to additional conditions. In this regard, the contribution from European Union law is of great interest.

Sommario: 1. Straniero e cittadino: principio di uguaglianza e diritti inviolabili; 2. Le esclusioni legate alla tradizionale nozione di sovranità: il diritto di ingresso nel territorio dello Stato; 3. Segue: i diritti politici; 4. Libertà personale e tutela giurisdizionale: titolarità ed effettivo godimento; 5. Diritti sociali e principio di ragionevolezza; 6. Segue: l’influenza del diritto UE e della Corte di giustizia sulla giurisprudenza della Consulta; 7. Considerazioni conclusive.

1. Straniero e cittadino: principio di uguaglianza e diritti inviolabili

Il concetto di “straniero” viene comunemente individuato in negativo, muovendo da quello di cittadino: straniero come “non cittadino”, quel soggetto, cioè, «che non ha con lo Stato italiano un rapporto giuridico e politico di appartenenza»[1]. La cittadinanza, in questo caso, è intesa nella sua accezione più tradizionale, come “appartenenza” allo Stato[2], sulla base di quanto previsto dalla L. 91/1992 in vigore, tenuto conto che la Costituzione, pur contenendo riferimenti alla cittadinanza, non ne fornisce una definizione, così come del resto non fornisce una definizione di straniero.

Il gruppo sociale cui si applica questo concetto è quello costituito a Stato, che insiste su un determinato territorio, rigorosamente delimitato da confini e che stabilisce i requisiti necessari per appartenere all’organizzazione stessa[3]. Il potere dello Stato di qualificare determinati soggetti come propri cittadini costituisce una forma di esercizio della sovranità[4]. In questo senso la cittadinanza è un concetto di diritto positivo, poiché è la legge che riconosce lo “status”, individuando le conseguenze giuridiche, in termini di diritti, doveri, obblighi o altro, che derivano da tale riconoscimento e l’individuo beneficia di tale status proprio in quanto soggetto al potere sovrano[5].

È possibile poi operare delle distinzioni tra le varie figure che rientrano nell’ambito della categoria generale degli stranieri: i cittadini di Stati membri dell’Unione europea; i cittadini di Stati di Paesi terzi; gli apolidi; coloro che godono del diritto di asilo o dello status di rifugiato o che abbiano richiesto tali benefici[6]. In questa sede ci si soffermerà sulla figura degli stranieri provenienti da Stati che non sono parte dell’Unione europea, per verificare se ed entro quali limiti si possa oggi parlare di parità di trattamento tra tali soggetti e i cittadini italiani.

Il tema dei diritti degli stranieri e dell’uguaglianza tra cittadini e non cittadini, è stato ampiamente discusso in dottrina soprattutto a partire dagli anni Novanta del secolo scorso e su alcuni aspetti si è raggiunta una certa condivisione.

Partiamo da qualche punto fermo. La nostra Costituzione dedica espressamente alla condizione dello straniero soltanto alcuni commi dell’art. 10, il che si può spiegare anche in considerazione del fatto che il nostro Paese negli anni Quaranta non era meta di importanti flussi immigratori, come oggi, e che conosceva piuttosto fenomeni di emigrazione per motivi di lavoro. L’art. 35, comma 4, Cost. muove da questa situazione e si preoccupa di riconoscere la libertà di emigrazione, nonché di garantire una tutela del lavoro italiano all’estero.

Non sono mancati tentativi di fornire una lettura differente di tale ultima disposizione, nel senso che potrebbe essere intesa come diretta a tutelare il fenomeno dell’emigrazione in generale[7], ma non è questa l’interpretazione prevalente. Quando la Costituzione è stata redatta, molte delle problematiche connesse ai fenomeni immigratori non erano immaginabili e oggi si rende necessaria una lettura attenta della Carta, che tenga conto altresì delle indicazioni provenienti dal diritto internazionale e dell’Unione europea.

L’intera parte prima è intitolata “Diritti e doveri dei cittadini”; al suo interno, peraltro, se alcuni articoli della Costituzione (artt. 16, 17, 18, 38, oltre agli articoli concernenti i rapporti politici, con esclusione dell’art. 53 sugli obblighi tributari) sembrano, almeno stando alla lettera, garantire certi diritti solo ai cittadini, altri, viceversa, si riferiscono in modo più chiaro a tutti gli individui (si pensi, a titolo esemplificativo, agli artt. 13, 14, 15, 19, 21, 24, 25), in linea con il principio personalista di cui all’art. 2 Cost. e al riconoscimento in esso contenuto dei diritti inviolabili dell’uomo.

L’art. 3 Cost. rientra tra i primi e, proprio partendo dalla proclamazione dell’uguaglianza rivolta formalmente ai soli cittadini, si è detto che «la Costituzione ammette che la cittadinanza possa giocare un ruolo diversificante nella disciplina delle situazioni giuridiche soggettive»[8]. Lo si ricaverebbe appunto dall’art. 3, oltre che dall’art. 10, co. 2, Cost., in base al quale la condizione giuridica dello straniero è rimessa alla disciplina della legge ordinaria, in conformità delle norme e dei trattati internazionali[9].

Una conferma deriverebbe dai lavori preparatori della Costituzione e in particolare dalla sostituzione del termine “i cittadini” al termine “gli uomini”, che era stato già approvato dalla prima Sottocommissione[10]. Oltre alle argomentazioni che si basano sulla lettera della Carta, si aggiunge poi una considerazione di carattere più generale e cioè che la Costituzione resta un «fatto politico», che vale in linea di principio per i soli cittadini.

Queste posizioni, che limitano l’applicazione del principio di uguaglianza ai cittadini, possono ritenersi oggi minoritarie, anche grazie alla giurisprudenza della Corte costituzionale[11]. Una lettura sistematica dell’art. 3 alla luce degli artt. 2 e 10, co. 2 – e in realtà anche del comma 1[12] – Cost. induce a ritenere che il principio di uguaglianza si applichi anche allo straniero, almeno con riferimento ai diritti inviolabili[13].

Un eventuale richiamo, poi, alla clausola di reciprocità contenuta nell’art. 16 delle “Disposizioni sulla legge in generale”[14] non consente di giustificare una diversa conclusione. Col sopraggiungere della Costituzione parte della dottrina ha ritenuto la clausola in contrasto con l’art. 10 Cost.[15], anche in ragione dei lavori preparatori[16]. Sebbene l’art. 16 non sia stato dichiarato incostituzionale - e sebbene si trovino ulteriori richiami alla reciprocità anche nel testo unico sull’immigrazione (art. 2, co. 2, del d.lgs. n. 286/1998) - il campo di applicazione risulta ora delimitato dal riconoscimento in Costituzione di diritti fondamentali agli stranieri, nonché dalle numerose convenzioni internazionali sui diritti di ciascun individuo[17].

L’applicazione del principio di uguaglianza anche agli stranieri, per quanto concerne i diritti inviolabili, in virtù di un’interpretazione sistematica degli artt. 2, 3 e 10 Cost. e la contestuale perdita di rilevanza della clausola di reciprocità di cui all’art. 16 delle preleggi possono considerarsi ormai due punti consolidati. Anche il legislatore, nel testo unico sull’immigrazione (d.lgs. n. 286 del 1998), ha enfatizzato il riconoscimento dei diritti fondamentali agli stranieri presenti nel territorio italiano[18] e ha altresì riconosciuto una serie di diritti non fondamentali agli stranieri regolarmente soggiornati.

In questa sede si intendono svolgere alcune riflessioni sull’evoluzione della condizione giuridica dello straniero, partendo da quelle situazioni rispetto alle quali si ritiene giustificabile una differenza di trattamento tra straniero e cittadino (ingresso nello Stato e diritti politici), per poi soffermarsi sulle zone grigie che ancora oggi sussistono in relazione all’effettivo godimento di quei diritti, che pure sono senz’altro riferiti a tutti gli individui, come la libertà personale. Infine, si svolgeranno alcune considerazioni sul tema di estrema attualità delle limitazioni introdotte normativamente per il godimento da parte degli stranieri di determinate prestazioni sociali, tenuto conto anche dei divieti di discriminazione espressamente enunciati in alcune disposizioni del diritto dell’Unione europea.

 

2. Le esclusioni legate alla tradizionale nozione di sovranità: il diritto di ingresso nel territorio dello Stato

La Costituzione, come detto, riferisce alcuni diritti ai cittadini, ma non sempre ciò implica una loro preclusione per gli stranieri. Si pensi alla libertà di riunione e di associazione: l’interpretazione prevalente[19] è nel senso anche il non cittadino può riunirsi e associarsi liberamente - con l’unico limite dell’associazione in partiti politici ai sensi dell’art. 49 Cost. - in considerazione, in primis, della normativa internazionale che attribuisce a tutti tali diritti. Oltretutto, come per il principio di uguaglianza, il riferimento ai cittadini di queste due libertà è il frutto di una modifica intervenuta in sede di comitato di redazione, rispetto alla formulazione elaborata dalla prima sottocommissione, che le riconosceva a “tutti”[20].

Diversa, invece, la conclusione per quanto concerne il diritto di ingresso e di soggiorno nel territorio dello Stato. In tal caso il riferimento ai cittadini contenuto nell’art. 16 Cost. viene letto in senso restrittivo, anche alla luce di quanto si ricava dall’art. 10, comma 3, Cost., che riconosce allo straniero soltanto il diritto d’asilo nel territorio italiano, a condizione che gli sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche[21]. Il diritto di risiedere nel territorio dello Stato viene infatti individuato come l’elemento caratterizzante la “cittadinanza-appartenenza”.

Solo il cittadino ha il diritto di rimanere e di rientrare nel territorio dello Stato, mentre il non cittadino può essere fermato alla frontiera e può essere espulso[22]. Posizione questa condivisa dalla giurisprudenza della Corte, che ha giustificato la disparità di trattamento ricollegando il diritto del cittadino a risiedere senza limiti di tempo nel territorio dello Stato al fatto di «rappresentare, con gli altri cittadini, un elemento costitutivo dello Stato»[23]; al contrario, l’assenza in capo allo straniero di una posizione di libertà in ordine all'ingresso e alla permanenza nel territorio italiano si spiegherebbe con la mancanza in capo allo stesso di un legame ontologico con la comunità nazionale e quindi di un nesso giuridico costitutivo con lo Stato italiano.

La Corte ha poi precisato che la diversa posizione dello straniero si spiega col fatto che «la regolamentazione dell'ingresso e del soggiorno dello straniero nel territorio nazionale è collegata alla ponderazione di svariati interessi pubblici, quali, ad esempio, la sicurezza e la sanità pubblica, l'ordine pubblico, i vincoli di carattere internazionale e la politica nazionale in tema di immigrazione»[24] e anche le ragioni della solidarietà umana non possono essere affermate al di fuori di un corretto bilanciamento dei valori in gioco, non potendo lo Stato abdicare al compito ineludibile di presidiare le proprie frontiere[25].

In sostanza, il fatto che lo straniero non sia ontologicamente legato alla nazione consente poi di limitare il suo ingresso nel territorio dello Stato, in funzione del perseguimento di molteplici interessi pubblici, tra cui sicurezza, sanità e ordine pubblico.

La discrezionalità del legislatore nella regolamentazione dell’ingresso e del soggiorno dello straniero nel territorio nazionale, per quanto ampia, in considerazione della pluralità degli interessi che tale regolazione riguarda, non è comunque assoluta, «dovendo rispecchiare un ragionevole e proporzionato bilanciamento di tutti i diritti e gli interessi coinvolti, soprattutto quando la disciplina dell’immigrazione sia suscettibile di incidere sui diritti fondamentali, che la Costituzione protegge egualmente nei confronti del cittadino e del non cittadino»[26].

Così, a titolo esemplificativo, si può ricordare la pronuncia con cui la Corte ha ritenuto che nel ragionevole bilanciamento fosse da includere un diritto fondamentale come quello di contrarre matrimonio, discendente dagli articoli 2 e 29 della Costituzione, ed espressamente enunciato nell’articolo 16 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948 e nell’articolo 12 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali[27].

3. Segue: i diritti politici

Restano fuori, poi, dall’applicazione del principio di uguaglianza tra cittadino e straniero i diritti politici. È questa almeno la tesi assolutamente prevalente. Si lega all’idea stessa di sovranità e in generale alla tradizione giuridica che distingue tra uno status civitatis e uno status personae e che individua due classi di diritti fondamentali, quelli della personalità che spettano a tutti gli esseri umani in quanto persone e quelli della cittadinanza, i diritti politici, che spettano ai soli cittadini[28].

Tale approccio si ricollega alla visione classica della cittadinanza come appartenenza allo Stato[29], nonché all’inquadramento del voto tra i diritti “funzionali”, ossia «rivolti a soddisfare non, o non esclusivamente, interessi propri di chi l’esercita bensì interessi generali»[30]. Il riferimento ai cittadini contenuto negli artt. 48 e 51, come anche nell’art. 49 sul diritto di associarsi in partiti politici[31], andrebbe, dunque, inteso come riserva agli stessi del diritto di elettorato attivo e passivo, tanto più, si è rilevato, che laddove si è inteso allargare il campo di applicazione dell’elettorato passivo al non cittadino, lo si è fatto in modo esplicito (art. 51, co. 2, Cost.), a favore degli italiani non appartenenti alla Repubblica, dando rilievo giuridico alla appartenenza alla nazione italiana[32].

Eppure, anche su questo tema si segnalano studi che giungono ad approdi differenti, secondo cui la Costituzione garantisce il diritto di voto ai cittadini, ma senza riservarlo ad essi[33] e non impedirebbe al legislatore di riconoscere il diritto di voto anche agli stranieri, muovendo da una diversa concezione di cittadinanza o di comunità politica.

È stata prospettata una diversa nozione di cittadinanza, da non intendere più come “appartenenza”, bensì come “partecipazione”. Il concetto di cittadinanza sarebbe andato incontro ad una trasformazione e sarebbe sempre meno identificabile come uno status. Oggi il concetto di cittadinanza si sarebbe riempito piuttosto di un contenuto relazionale, consistente nella partecipazione alla vita della comunità di appartenenza e sarebbe sempre meno contraddistinto da «caratteri culturali-identitari di stampo nazionale»[34].

La stessa Corte ha mostrato di guardare ad una diversa idea di comunità, quando ha riconosciuto l’infondatezza della questione relativa alla previsione dell’obbligo di leva per gli apolidi regolarmente soggiornanti in Italia[35] e quando, poi, ha ammesso anche gli stranieri allo svolgimento del servizio civile[36]. Già nella prima circostanza la Corte, pur riconoscendo che l'art. 52 Cost. si riferisce ai cittadini italiani, aveva ritenuto che tale riferimento non impedisse l'estensione di doveri e obblighi anche ai non cittadini, in forza del principio che il silenzio di una norma costituzionale non comporta divieto.

Secondo la Consulta, la partecipazione alla «comunità dei diritti» giustifica la sottoposizione a quei doveri che sono funzionali alla difesa della comunità stessa. In questa prospettiva ciò che rileva è l'essere componente di tale comunità, a prescindere dalla condizione di cittadino in senso formale e ciò comporta altresì l’illegittimità dell’esclusione dello straniero dalla possibilità di prestare il servizio civile nazionale, perché, «impedendo loro di concorrere a realizzare progetti di utilità sociale e, di conseguenza, di sviluppare il valore del servizio a favore del bene comune, comporta dunque un’ingiustificata limitazione al pieno sviluppo della persona e all’integrazione nella comunità di accoglienza»[37].

Mediante l'adempimento 'spontaneo' di un dovere si facilita la partecipazione alla vita sociale e si sviluppa il senso di appartenenza alla comunità. Diritti e doveri concorrono, in quest’ottica, alla creazione di una nuova forma di comunità di tipo inclusivo, non più basata sulla cittadinanza in senso giuridico[38].

Anche sulla scia di queste considerazioni, si è avanzata la proposta di una lettura differente dell’art. 48 Cost., partendo dal superamento dell’idea del voto come strumento di partecipazione alla sovranità statale - in connessione con il declino dello stesso concetto di “sovranità” - per qualificare piuttosto il voto come diritto o libertà individuale[39].

Questa trasformazione, secondo Angiolini, consente di utilizzare un differente criterio interpretativo: se per le funzioni pubbliche e per i poteri dello Stato il criterio è quello della tipicità, proprio come maggiore garanzia delle libertà dell’individuo e dunque «ciò che non è permesso è vietato», al contrario, di fronte a diritti e libertà le regole e i principi costituzionali possono essere interpretati «in forza del criterio per cui quello che non è vietato è permesso»[40].

E allora anche il riferimento ai cittadini nel testo dell’art. 48 Cost., in questa diversa prospettiva, non deve essere inteso come escludente qualunque possibilità di estensione del diritto di voto agli stranieri. La Costituzione ha quindi garantito che i cittadini non possono essere privati del diritto di voto, senza per questo impedire ai non cittadini di godere del diritto medesimo.

Sarebbe dunque sufficiente una previsione di legge ordinaria, a Costituzione invariata, per consentire agli stranieri di votare. In generale, «se il votare a maggioranza è solo il modo per prendere decisioni sommamente opinabili» e non più lo strumento per partecipare alla sovranità statale, allora il diritto di voto dovrebbe spettare «a chiunque possa essere investito dagli effetti di quella decisione»[41].

Nonostante gli sforzi di una parte della dottrina e le autorevoli letture proposte dell’art. 48 Cost., il dibattito non ha portato a risultati concreti sul tema dell’estensione dei diritti politici agli stranieri[42] ed anzi, la riforma costituzionale del 2000 con cui è stata istituita la circoscrizione Estero per l’esercizio del diritto di voto dei cittadini italiani residenti all’estero sembra andare piuttosto nella direzione di una riaffermazione della cittadinanza come appartenenza, sganciando il voto dall’effettivo legame con il territorio[43].

4. Libertà personale e tutela giurisdizionale: titolarità ed effettivo godimento

Che lo straniero debba godere di alcuni diritti fondamentali al pari del cittadino è una conclusione cui si è giunti più agevolmente in relazione ad alcune libertà fondamentali, in primis per quelle che la Costituzione riferisce a tutti gli individui. Si pensi, a titolo esemplificativo, alla libertà personale, il cui carattere universale, al pari degli altri diritti che la Costituzione proclama inviolabili, non può, a detta della Corte, essere scalfito.

Detta libertà «spetta ai singoli non in quanto partecipi di una determinata comunità politica, ma in quanto esseri umani» - ha affermato la Corte in una nota pronuncia[44] in cui si discuteva di trattenimento ed espulsione con accompagnamento coattivo alla frontiera - e ciò a prescindere dalla gravità dei problemi di sicurezza e ordine pubblico connessi a flussi migratori incontrollati. Stesso discorso per il diritto di difesa e per la tutela giurisdizionale, che spettano a tutti gli individui in quanto tali e che impongono, ad esempio, che il giudizio di convalida di un provvedimento di allontanamento coattivo si svolga prima dell’esecuzione del provvedimento medesimo e alla presenza dello straniero, con l’assistenza di un difensore[45].

Se non vi sono dubbi, quindi, in merito alla titolarità di questi diritti anche in capo agli stranieri, si possono avanzare perplessità[46] rispetto all’effettivo godimento degli stessi, in relazione ad alcune attuazioni concrete da parte del legislatore. Così, ad esempio, con riferimento al tema della predeterminazione legislativa dei casi eccezionali di necessità e urgenza di cui all’art. 13 Cost., per il fatto ad esempio che l’espulsione coattiva, a seguito della L. n. 189/2002, da eccezione è divenuta la regola. Inoltre, quanto alla disciplina del trattenimento dello straniero irregolarmente entrato nel territorio dello Stato, nei centri di permanenza per i rimpatri (CPR), l’art. 14 del d.lgs. 286/1998 delinea i casi in cui si può ricorrere al trattenimento, dettando poi una disciplina molto sommaria in merito ai modi del trattenimento stesso, rinviando per l’integrazione a fonti secondarie, regolamenti del governo e ministeriali.

E ciò pone più di qualche dubbio circa la reale osservanza della riserva assoluta di legge di cui all’art. 13 Cost., anche alla luce di una recente pronuncia della Corte costituzionale in tema di misure di sicurezza[47]. In tale circostanza la Consulta, premesso che la materia è coperta da riserva assoluta di legge, ha affermato che la normazione primaria dovrebbe disciplinare organicamente a livello statale la misura di sicurezza dell’assegnazione ad una REMS, precisando le ipotesi in cui sia necessario l’uso della contenzione e le modalità di esecuzione e specificando altresì i poteri dell’autorità giudiziaria e in specie della magistratura di sorveglianza, in modo uniforme sul territorio nazionale.

Nel caso delle REMS, la normazione primaria si limitava, invece, a individuare pochi e generici criteri cui la normazione secondaria dovrebbe attenersi, rinviando ad un successivo decreto la definizione dei requisiti strutturali, tecnologici e organizzativi delle residenze in questione. Troppo poco per considerare rispettate le riserve di legge di cui agli artt. 25 e 13 Cost. Discorso analogo potrebbe svolgersi per il trattenimento dello straniero in attesa di rimpatrio, in quanto la disciplina contenuta nell’art. 14, co. 2, del d.lgs. 286/1998, anche dopo le integrazioni operate con il d.l. n. 130/2020 – convertito in l. n. 173/2020 - contiene essenzialmente enunciazioni di carattere generico, inidonee a limitare la discrezionalità delle autorità amministrative nella gestione dei centri[48], mentre le indicazioni più compiute sono contenute in parte nel regolamento di attuazione (D.P.R. 394/1999) e soprattutto, alla luce del richiamo contenuto nell’art. 21, co. 8, di tale regolamento, in direttive ministeriali.

E ancora, nell’ambito della gestione degli sbarchi, il trattenimento in centri di primo soccorso e accoglienza (CPSA), si può protrarre per diversi giorni, in assenza di idonea base legislativa e di un controllo giurisdizionale, sebbene gli immigrati non siano liberi di allontanarsi dai centri stessi. Sul tema è intervenuta nel 2016 una condanna dell’Italia ad opera della Corte di Strasburgo, per violazione dell’art. 5 della CEDU, proprio perché i ricorrenti, trattenuti in un centro di accoglienza, non solo erano stati privati della libertà in assenza di base giuridica chiara ed accessibile, ma non avevano neppure potuto beneficiare delle garanzie fondamentali dell’habeas corpus.[49]

Fino al 2018, poi, anche il respingimento differito alla frontiera, con accompagnamento coattivo, sfuggiva alla garanzia della riserva di giurisdizione di cui all’art. 13 Cost. Solo a seguito di una pronuncia della Corte[50], sia pure di inammissibilità, ma in cui si riconosceva espressamente la necessità di un intervento del legislatore per disciplinare tale modalità esecutiva del respingimento in conformità all’art. 13, co. 3, Cost., il legislatore ha previsto, anche per tali provvedimenti, la convalida, secondo il procedimento già utilizzato per le ipotesi di espulsione con accompagnamento coattivo[51]. Peraltro, anche la convalida del trattenimento, come del respingimento o dell’espulsione con accompagnamento coattivo, perché possa ritenersi rispettata la riserva di giurisdizione di cui all’art. 13 Cost., non può consistere in provvedimenti che impiegano clausole di stile e che non siano fondati su motivazioni ben argomentate[52].

E stesso discorso vale per la convalida del provvedimento di proroga del trattenimento, che deve essere coerente rispetto al primo provvedimento di convalida adottato per giustificare il trattenimento e dare conto, altresì, dell'attività svolta per giustificare la richiesta di proroga[53]. Inoltre, anche rispetto a tale procedimento giurisdizionale (convalida della proroga) si applicano le garanzie del contraddittorio (partecipazione necessaria del difensore e audizione dell’interessato) che valgono per il primo giudizio di convalida[54].

Ancora oggi, dunque, nonostante i passi avanti compiuti dal legislatore su impulso della Corte – come per il giudizio di convalida in caso di espulsione con accompagnamento coattivo o di respingimento alla frontiera – sussistono ampie zone grigie, soprattutto in relazione al trattenimento degli stranieri, con particolare riguardo al rispetto della riserva assoluta di legge di cui all’art. 13 Cost. e alla sommarietà dei giudizi di convalida, che meriterebbero sicuramente un’attenzione maggiore da parte sia del legislatore che dell’autorità giudiziaria.

5. Diritti sociali e principio di ragionevolezza

In tempi recenti il dibattito sulla parità di trattamento tra straniero e cittadino si è concentrato soprattutto sui diritti sociali[55], rispetto ai quali diviene centrale - salvo che non si tratti di diritti c.d. “personalissimi”, come il diritto all’istruzione del minore o il nucleo irriducibile del diritto alla salute[56] - la differenziazione tra straniero regolarmente o irregolarmente soggiornante, nonché tra straniero con permesso di soggiorno di breve o lunga durata, titolo dal quale può ricavarsi, come si vedrà, quel radicamento territoriale dello straniero, che a volte viene richiesto dal legislatore come ulteriore condizione per il godimento di determinati benefici[57].

Secondo la Corte occorre innanzi tutto controllare se si tratti di prestazioni essenziali per la tutela dei valori coinvolti e per il «concreto soddisfacimento dei “bisogni primari” inerenti alla stessa sfera di tutela della persona umana»[58]. In tali circostanze, anche il limite delle risorse disponibili non è in grado, da solo, di giustificare una disparità di trattamento e non è pertanto legittimo subordinare al requisito della titolarità della carta di soggiorno, o del permesso di soggiorno di lunga durata, la concessione agli stranieri legalmente soggiornanti nel territorio dello Stato di una prestazione diretta a garantire la sopravvivenza dell’individuo[59].

D’altra parte, la stessa Corte, in una nota pronuncia, non ha mancato di sottolineare che, anche in relazione a diritti che non possono essere considerati fondamentali, o comunque che non configurano prestazioni essenziali e neppure scelte costituzionalmente obbligate, le decisioni del legislatore concernenti l’individuazione delle categorie di beneficiari devono essere sempre rispettose del principio di ragionevolezza[60].

In alcune circostanze il legislatore ha richiesto, per il conseguimento di determinate prestazioni, il requisito della residenza o dello svolgimento di un’attività lavorativa protratti per diversi anni all’interno dello Stato o di una regione, come dimostrazione di un qualche legame col territorio. In tali situazioni, pur non essendovi un’esplicita disparità di trattamento basata sul possesso della cittadinanza, resta la possibilità di una discriminazione indiretta a danno dello straniero[61].

La Consulta lo ha ben evidenziato in occasione del sindacato su leggi regionali in materia di politiche abitative, affermando che  la previsione dell’obbligo di residenza da un certo numero di anni nel territorio regionale, quale presupposto necessario per la stessa ammissione al beneficio dell’accesso all’edilizia residenziale pubblica, «determina un’irragionevole discriminazione sia nei confronti dei cittadini dell’Unione, ai quali deve essere garantita la parità di trattamento rispetto ai cittadini degli Stati membri (art. 24, par. 1, della direttiva 2004/38/CE), sia nei confronti dei cittadini di Paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo»[62].

La Corte, pur avendo ammesso in linea teorica che l’accesso ad un bene tendenzialmente duraturo come l’abitazione possa richiedere garanzie di stabilità[63], ha chiarito che il requisito della residenza protratta per un certo numero di anni nella regione non presenta alcuna ragionevole connessione con la ratio del servizio[64], tenuto conto  che l’edilizia residenziale pubblica è diretta ad assicurare quello che è un bisogno primario, per garantire un’esistenza dignitosa a tutti coloro che non dispongono di risorse sufficienti per provvedervi autonomamente.

Il radicamento territoriale non potrebbe comunque assumere un’importanza tale da escludere qualsiasi rilievo del bisogno ed «è irragionevole che anche i soggetti più bisognosi siano esclusi a priori dall’assegnazione degli alloggi solo perché non offrirebbero sufficienti garanzie di stabilità»[65].

Al di fuori, però, dell’ipotesi di prestazioni dirette alla soddisfazione di un bisogno primario dell’individuo, in considerazione anche della limitatezza delle risorse finanziarie, secondo la Corte rientra nella discrezionalità del legislatore decidere se restringere o persino impedire l’accesso dello straniero a provvidenze ulteriori, purché le condizioni richieste per lo straniero non siano manifestamente irragionevoli o intrinsecamente discriminatorie. Così, ad esempio, la Corte ha ritenuto non illegittima la richiesta per gli stranieri del permesso di soggiorno di lunga durata, ai fini della possibilità di percepire il reddito di cittadinanza.

Questa misura, afferma la Corte, «non si risolve in una provvidenza assistenziale diretta a soddisfare un bisogno primario dell’individuo, ma persegue diversi e più articolati obiettivi di politica attiva del lavoro e di integrazione sociale»[66]. Ne consegue che la differenziazione tra stranieri e cittadini non costituisce un’illegittima discriminazione. Non sussiste neppure la violazione del principio di ragionevolezza, dal momento che l’orizzonte temporale della misura non è di breve periodo e si può quindi giustificare la scelta di escludere dal beneficio «gli stranieri regolarmente soggiornanti, ma pur sempre privi di un consolidato radicamento nel territorio»[67].

Le argomentazioni non sono del tutto convincenti, soprattutto nel momento in cui la Corte richiama la natura polifunzionale della prestazione, destinata a perseguire anche obiettivi di politica attiva del lavoro e di integrazione sociale[68]. Il reddito di cittadinanza è infatti misura diretta a contrastare la povertà, la disuguaglianza e l’esclusione sociale, come riconosciuto dallo stesso art. 1 del d.l. n. 4/2019, e pertanto è destinato a garantire un’esistenza dignitosa a ciascun individuo, così da costituire attuazione degli artt. 2 e 3 Cost. e in particolare del principio personalista, di uguaglianza e di solidarietà[69]. Inoltre, la Consulta aveva già esaminato questioni concernenti misure c.d. “polifunzionali”, giungendo a conclusioni diverse.

Aveva, infatti, dichiarato che la presenza di ulteriori finalità non fosse di per sé ragione sufficiente per pretendere requisiti ulteriori a carico di potenziali beneficiari, nel caso di misura destinata a soggetti in condizioni economiche di estrema difficoltà[70]. Oltretutto, anche le ulteriori finalità (politica attiva del lavoro e integrazione sociale) richiamate non giustificano l’esclusione dei cittadini di paesi terzi non soggiornanti di lungo periodo dal godimento della misura. In altre circostanze, infatti, la Corte aveva mostrato di ritenere l’obiettivo di svolgere un’attività lavorativa idoneo a impedire disparità di trattamento fondate sul criterio della residenza protratta nel tempo, come nel caso dell’accesso agli asili nido, la cui funzione è proprio quella di favorire lo svolgimento di un’attività lavorativa da parte dei genitori privi di adeguati mezzi economici[71].

La Corte, dunque, difficilmente rinuncia a un sindacato sulla ragionevolezza delle scelte del legislatore di trattare in modo difforme cittadino e straniero, in merito all’erogazione di servizi e prestazioni sociali, che siano diretti a soddisfare bisogni primari o di altra natura. Tale sindacato può poi essere integrato dal riferimento ai principi di tutela della persona umana e della sua dignità, di solidarietà, di uguaglianza sostanziale, che contribuiscono a rendere più concreto il sindacato stesso sulla ragionevolezza. In rare circostanze, a fronte di prestazioni particolarmente onerose per le finanze pubbliche, la sensazione è che il sindacato sulla ragionevolezza sia a maglie più larghe e tale minor rigore venga giustificato enfatizzando la funzione della prestazione, diretta a soddisfare esigenze dei destinatari ritenute non vitali.

6. Segue: l’influenza del diritto UE e della Corte di giustizia sulla giurisprudenza della Consulta

Rispetto al tema dei diritti sociali appare, poi, sempre più rilevante l’apporto del diritto dell’Unione europea. Le più recenti sentenze della Corte costituzionale si intrecciano con pronunce della Corte di giustizia e richiamano espressamente la Carta di Nizza e il diritto derivato dell’UE. È quanto avvenuto, ad esempio, in relazione all’assegno di natalità e a quello di maternità, che la normativa nazionale riservava a cittadini italiani o europei nonché ai cittadini di Stati terzi titolari di un permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo. La Corte costituzionale si è rivolta alla Corte di Giustizia in via pregiudiziale[72] per verificare la compatibilità di detta normativa, che escludeva dal godimento del beneficio gli stranieri titolari del permesso unico di cui alla direttiva 2011/98/UE, con l’art. 34 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, in relazione al Reg. CE n. 883/2004 e alla direttiva stessa.

L’art. 34 della Carta di Nizza riconosce, innanzi tutto, il diritto di accesso alle prestazioni di sicurezza sociale e ai servizi sociali per la tutela della maternità, o in casi di malattia, infortuni sul lavoro, vecchiaia. Il paragrafo 2 precisa che «ogni individuo che risieda o si sposti legalmente all’interno dell’Unione ha diritto alle prestazioni di sicurezza sociale e ai benefici sociali conformemente al diritto comunitario e alle legislazioni e prassi nazionali».

Quanto alla direttiva 2011/98/UE - il cui ambito di applicazione riguarda i cittadini di Stati terzi che chiedono di soggiornare o che sono stati ammessi in uno Stato membro per fini lavorativi, o ai quali sia comunque consentito lavorare - nel preambolo si rammenta che l’Unione Europea è chiamata a «garantire l’equo trattamento del cittadino dei paesi terzi che soggiornano regolarmente nel territorio degli Stati membri e che una politica di integrazione più incisiva dovrebbe mirare a garantire loro diritti e obblighi analoghi a quelli dei cittadini dell’Unione».

L’art. 12 della direttiva dispone il diritto alla parità di trattamento dei lavoratori dei paesi terzi, titolari di permesso di soggiorno, rispetto ai cittadini dello Stato membro in cui soggiornano, per quanto concerne condizioni di lavoro, retribuzione, ma anche i settori della sicurezza sociale definiti nel regolamento CE n. 883 del 2004 e in particolare nell’art. 3 del regolamento che delimita il proprio ambito di applicazione ratione materiae.

La Consulta - a fronte di una questione di costituzionalità per violazione degli artt. 3, 31 e 117 Cost., quest’ultimo in riferimento a diversi articoli della CDFUE, incluso l’art. 34 - ha ritenuto che il principio di non discriminazione, nonché la tutela della maternità e dell’infanzia, già salvaguardati dalla nostra Carta costituzionale (artt. 3 e 31), dovessero essere interpretati anche alla luce delle indicazioni provenienti dal diritto dell’Unione Europea e ha quindi proposto, a sua volta, rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia.

La Corte di Lussemburgo[73] ha ritenuto innanzi tutto che entrambe le provvidenze rientrassero tra le prestazioni sociali di cui al Reg. CE n. 883/2004 e, in particolare, tra le prestazioni familiari[74] (art. 3, co. 1 lett. j) l’assegno di natalità e tra le prestazioni di maternità (art. 3, co. 1, lett b) l’assegno di maternità. I cittadini di paesi terzi di cui all’art. 3, par. 1, lett. b) e c) della Dir. 2011/98 beneficiano, dunque, del diritto alla parità di trattamento di cui all’art. 12, par. 1, lett. e) della direttiva medesima, con violazione di tale disposizione da parte di una normativa nazionale che esclude i cittadini di paesi terzi di cui all’art. 3, par. 1, lett. b) e c) della Dir. 2011/98 dal beneficio degli assegni di natalità e di maternità.[75]

La Corte costituzionale ha preso atto delle conclusioni della Corte di Lussemburgo e ha affermato che «il principio di parità di trattamento nel settore della sicurezza sociale, nei termini delineati dalla CDFUE e dal diritto derivato e poi ribaditi dalla Corte di giustizia dell’Unione Europea, si raccorda ai principi consacrati dagli artt. 3 e 31 Cost. e ne avvalora e illumina il contenuto assiologico, allo scopo di promuovere una più ampia ed efficace integrazione dei cittadini dei Paesi terzi»[76]. La Corte ha quindi svolto un classico sindacato sulla ragionevolezza, ricercando innanzi tutto la ratio degli assegni di natalità e di maternità.

Entrambe le provvidenze sono a favore di soggetti che versano in una particolare situazione di bisogno e costituiscono pertanto misura attuativa del principio di uguaglianza sostanziale, nonché dell’art. 31 Cost., nell’ottica di agevolare la formazione della famiglia e di proteggere la maternità, l’infanzia e la gioventù. La titolarità di un permesso di soggiorno di lunga durata – che peraltro presuppone il percepimento di un certo reddito - cui è agganciato il godimento delle due prestazioni, costituisce un requisito privo di ogni attinenza con lo stato di bisogno che le stesse prestazioni mirano a fronteggiare.

Oltretutto, in una sentenza di poco successiva, la stessa Corte costituzionale ha ritenuto che all’art. 12, par. 1, della dir. 2011/98/UE deve riconoscersi effetto diretto nella parte in cui prescrive l’obbligo - chiaro, preciso e incondizionato - della parità di trattamento tra le categorie di cittadini di paesi terzi individuate dalla direttiva stessa e i cittadini dello Stato membro in cui soggiornano[77]. Ora, come ha ribadito di recente la Corte di giustizia[78], il giudice nazionale è tenuto ad applicare il diritto dell’Unione europea direttamente efficace e a disapplicare una normativa interna ad esso contraria, senza dover chiedere o attendere la previa rimozione di tale normativa in via legislativa o mediante procedimento costituzionale.

Ciò costituisce applicazione del principio del primato del diritto dell’Unione, nonché espressione del principio di leale cooperazione di cui all’art. 4, par. 3, TUE. Ne consegue, come affermato dalla Corte costituzionale, che le disposizioni del diritto interno in contrasto con l’art. 12 della direttiva 2011/98/UE, la cui incompatibilità col diritto UE è già stata appurata dalla Corte di giustizia in sede di rinvio pregiudiziale, devono essere disapplicate direttamente dal giudice, senza un ulteriore passaggio innanzi alla Consulta stessa, pena l’inammissibilità della questione per difetto di rilevanza[79].

L’approccio della Consulta in queste recenti pronunce favorisce, dunque, un rafforzamento della tutela delle posizioni giuridiche degli stranieri, sfruttando la cooperazione con la Corte di giustizia e l’attenzione riposta dal diritto UE – dai Trattati e dalla Carta di Nizza, come dal diritto derivato - al divieto di discriminazioni.

 

7. Considerazioni conclusive

 

La dottrina più sensibile ha evidenziato come l’interrogativo tradizionale su quali diritti possano essere estesi anche allo straniero dovrebbe essere capovolto e riformulato nel seguente testo: «quali diritti della persona possono essere circoscritti a favore solo di alcuni, in quanto cittadini?»[80]. Tra questi ultimi vi rientrano tuttora i diritti politici, come anche il diritto di ingresso nel territorio dello Stato, ancora legati all’idea tradizionale di sovranità. Peraltro, anche in relazione all’art. 16 Cost., con riferimento all’allontanamento dello straniero privo di permesso di soggiorno, la discrezionalità del legislatore non è comunque assoluta, in quanto la regolamentazione dell’ingresso e del soggiorno deve realizzare un bilanciamento ragionevole e proporzionato di tutti i diritti e gli interessi coinvolti, soprattutto quando la disciplina dell’immigrazione incide su diritti fondamentali, come ad esempio il diritto a contrarre matrimonio.

Quanto al diritto di voto, ciclicamente si riapre il dibattitto a livello politico e dottrinale per una sua estensione in favore degli stranieri legalmente residenti nel territorio, a partire dalle elezioni amministrative, ma allo stato non pare che ci siano i presupposti per il raggiungimento della parità di trattamento in relazione ai diritti politici.

Viceversa, non sussistono dubbi circa il riconoscimento a qualunque individuo di diritti come la libertà personale, il diritto di difesa, la tutela giurisdizionale e in generale il diritto a un giusto processo. La titolarità di un diritto non è però sufficiente, se poi, in concreto, sussistono difficoltà dal punto di vista dell’effettivo godimento del diritto stesso. In particolare, la strada da percorrere è ancora lunga, se si vuole assicurare il pieno rispetto della riserva assoluta di legge e della riserva di giurisdizione, che rappresentano le due garanzie fondamentali della libertà personale di ogni individuo.

È il campo dei diritti sociali, però, quello in cui, grazie soprattutto alla giurisprudenza costituzionale, ma anche al contributo del diritto UE, si è verificata un’evoluzione più rilevante della condizione giuridica dello straniero. La tesi prevalente vuole che a fronte di un diritto fondamentale o di una prestazione diretta a soddisfare un bisogno primario, o ancora di una situazione di urgenza, trovi diretta applicazione il principio di uguaglianza; negli altri casi l’eventuale disparità di trattamento prevista a livello legislativo dovrebbe essere vagliata alla luce del principio di razionalità e di ragionevolezza. In realtà, questa prospettazione va incontro ad alcune difficoltà, a partire dalla stessa individuazione dei diritti fondamentali[81].

Oltretutto, il principio di ragionevolezza trae origine proprio dal principio di uguaglianza formale, tenuto conto che quest’ultimo richiede che a situazioni uguali corrispondano trattamenti uguali e a situazioni diverse trattamenti diversi[82] e che è proprio il criterio di ragionevolezza che può guidare la valutazione dell’omogeneità o meno tanto delle situazioni, quanto delle modalità di trattamento[83]. Lo scrutinio sulla ragionevolezza, quindi, può essere più o meno stretto, ma resta centrale nel sindacato di legittimità sulle leggi, a prescindere dalla natura fondamentale o inviolabile del diritto fatto valere[84].

Ciò che si può rilevare è piuttosto l’attenzione sempre maggiore riposta dai giudici rimettenti, e quindi dalla Corte costituzionale, nei confronti degli obblighi di solidarietà, come anche della tutela della persona umana e della sua dignità, nonché del principio di uguaglianza sostanziale; principi che non sono utilizzati solo come parametri a sé stanti, ma che servono proprio a dare sostanza alla valutazione sulla ragionevolezza della legge e sul rispetto del principio di uguaglianza[85].

Un ulteriore passo avanti nell’estensione dei diritti sociali agli stranieri regolarmente soggiornanti è stato possibile grazie all’apporto del diritto UE e agli espliciti divieti di discriminazione in esso previsti, come nel caso della Dir. 2011/98/UE. L’approccio qui è differente, non si guarda alla natura del diritto, bensì alla tipologia della prestazione, se rientra o meno tra quelle indicate nel Regolamento CE n. 883/2004. E qualora vi rientri, il giudice comune potrà applicare la norma della direttiva sopra richiamata, in quanto dotata di efficacia diretta.

La prospettiva di una costruzione di tutele sempre più integrate[86] può rafforzare la posizione dello straniero nell’ordinamento e rende sempre più difficile per il legislatore, statale o regionale, giustificare una disparità di trattamento tra straniero e cittadino ai fini del godimento di servizi e prestazioni sociali.


Note e riferimenti bibliografici

[1] Così G. D’ORAZIO, Lo straniero nella Costituzione italiana, Padova, 1992, 114. Cfr. anche E. Grosso, Straniero (status costituzionale dello), in Dig. Disc. Pubbl., XV, 1999, 158 ss.

[2] Accanto a questa accezione di cittadinanza, ne esiste una diversa, cittadinanza come “partecipazione”, sulla quale si tornerà nel prosieguo del lavoro. Cfr. infra, par. 3.

[3] Così G.U. RESCIGNO, Cittadinanza: riflessioni sulla parola e sulla cosa, in Riv. dir. cost., 1997, 39.

[4] Così E. GROSSO, Le vie della cittadinanza. Le grandi radici. I modelli storici di riferimento, Padova, 1997, 8.

[5] Cfr. E. GROSSO, Sovranità, cittadinanza, nazionalità, in Dir. Cost., 1/2018, 37. Secondo l’Autore, la distinzione tra cittadini e stranieri viene stabilita in rapporto al sovrano e l’elemento della soggezione, in questa prospettiva, prevale nettamente su quello della partecipazione al potere sovrano.

[6] Cfr. ancora E. GROSSO, Straniero, cit., 159. In senso analogo cfr. anche E. ROSSI, Da cittadini vs stranieri a regolari vs irregolari. Considerazioni sull’evoluzione della disciplina giuridica dei non cittadini nell’ordinamento italiano, in Riv. dir. cost., 2010, 99, che aggiunge alle quattro di cui sopra un’ulteriore sottocategoria, ossia gli italiani non appartenenti alla Repubblica, richiamati espressamente nell’art. 51 Cost.; P. CARROZZA, Diritti degli stranieri e politiche regionali e locali, in Metamorfosi della cittadinanza e diritti degli stranieri, a cura di Panzera-Rauti-Salazar-Spadaro, Napoli, 2016, 62-63.

[7] Cfr. E. ROSSI, Da cittadini vs stranieri a regolari vs irregolari, cit., 96. L’Autore ritiene che un’interpretazione dell’art. 35 Cost. come quella proposta possa essere giustificata anche alla luce dei lavori preparatori, dai quali emerge l’intenzione di favorire l’abolizione dei controlli e dei vincoli al libero trasferimento dei lavoratori. Per l’interpretazione più tradizionale si veda C. MORTATI, Istituzioni di diritto pubblico, II, Padova, 1976, 1057.

[8] Si tratta della nota posizione di A. PACE, Problematica delle libertà costituzionali, Padova, 1990, 144. L’Autore prende atto, comunque, che la quantità e qualità delle norme internazionali pattizie rende di fatto irrilevante, tranne che per i diritti politici, il problema teorico della tutela costituzionale dei diritti fondamentali degli stranieri.

[9] Questa posizione si riaggancia alla tesi di Esposito, secondo cui i cittadini sono eguali davanti alla legge, perché è l’ordinamento positivo a renderli tali, non perché essi siano eguali in natura. Cfr. C. ESPOSITO, Eguaglianza e giustizia nell’art. 3 della Costituzione, in ID., La Costituzione italiana. Saggi, Padova, 1954, 22 ss. Esposito aggiungeva poi una riflessione di carattere più generale e cioè che, qualora per l’ordinamento giuridico gli stranieri fossero eguali ai cittadini, «la categoria giuridica dei cittadini cesserebbe di esistere».

[10] La lettura dei lavori preparatori ha consentito, in realtà, di giungere anche a conclusioni differenti. È stata enfatizzata la scelta operata della prima sottocommissione, di riferire agli “uomini” il principio di uguaglianza e si è sostenuto che la modifica operata dal Comitato di redazione, con la sostituzione dell’espressione “cittadini” a “uomini”, fosse più che altro dettata dalla convinzione di realizzare un’opera di mero coordinamento, nei limiti delle competenze del Comitato stesso. Così M. CUNIBERTI, La cittadinanza, Padova, 1997, 129 ss. In senso analogo, cfr. C. CORSI, Stranieri, diritti sociali e principio di eguaglianza nella giurisprudenza della Corte costituzionale, in federalismi.it, 3/2014, 5-6; ID., Lo Stato e lo straniero, Cedam, Padova, 2001, 120-121. Nel senso che i lavori preparatori non possano essere considerati decisivi, cfr. G. BASCHERINI, Immigrazione e diritti fondamentali, Napoli, 2007, 111.

[11] In tal senso già la sent. 23 novembre 1967, n. 120, in cui peraltro la Corte ha utilizzato indifferentemente le espressioni diritti inviolabili e diritti fondamentali e la successiva sent. 26 giugno 1969, n. 104.

[12] Così Corte cost. 30 luglio 2008, n. 306, secondo cui «tra le norme del diritto internazionale generalmente riconosciute rientrano quelle che, nel garantire i diritti fondamentali della persona indipendentemente dall'appartenenza a determinate entità politiche, vietano discriminazioni nei confronti degli stranieri, legittimamente soggiornanti nel territorio dello Stato». Cfr. A. DEFFENU, La condizione giuridica dello straniero nel “dialogo” tra Corte costituzionale e giudice amministrativo, in Diritto costituzionale e diritto amministrativo: un confronto giurisprudenziale, a cura di Campanelli-Carducci-Grasso-Tondi della Mura, Torino, 2010, 114, nota n. 20.

[13] Cfr., tra i tanti, E. GROSSO, Straniero, cit., 162 ss.; M. LUCIANI, Cittadini e stranieri come titolari dei diritti fondamentali. L’esperienza italiana, in Riv. crit. dir. priv., 2/1992, 213 ss.; P. CARETTI, I diritti fondamentali, Torino, 2011, 95; F. BIONDI DAL MONTE, Dai diritti sociali alla cittadinanza. La condizione giuridica dello straniero tra ordinamento italiano e prospettive sovranazionali, Torino, 2013, 23 ss. In modo più esteso, cfr. M. LOSANA, «Stranieri» e principio costituzionale di uguaglianza, in Diritti uguali per tutti? Gli stranieri e la garanzia dell’uguaglianza formale, a cura di Giorgis-Grosso-Losana, Milano, 2017, 70 ss.

[14] La clausola, come noto, ricollega il riconoscimento dei diritti civili allo straniero a condizione di reciprocità e sconta il contesto storico in cui è stato redatto il codice civile, incluse le sue disposizioni preliminari. Il principio di reciprocità, che il codice civile del 1865 non prevedeva, è stato introdotto nel codice del 1942, approvato durante il regime fascista.

[15] Cfr. P. BARILE, Le libertà nella Costituzione. Lezioni, Padova, 1966, 115; ID., Diritti dell’uomo e libertà fondamentali, Bologna, 1984, 33; P. CARETTI, I diritti fondamentali, cit., 96, che definisce ormai «inoperante» la clausola di reciprocità prevista dall’art. 16 delle preleggi. Cfr. anche A. MORRONE, Le forme della cittadinanza nel Terzo Millennio, in Quad. cost., 2/2015, 311. Diversamente, secondo Mortati, pur con le cautele necessarie dovute al sopravvenuto art. 10 Cost., alla condizione di reciprocità restava subordinata l’attribuzione discrezionale di tutti quei diritti diversi dai diritti politici e non rientranti neppure tra quelli concernenti «la tutela delle esigenze essenziali della persona umana», (ossia quelli di cui agli artt. 13, 14, 15, 19, 21, co. 1, 32, 33). Così C. MORTATI, Istituzioni, cit., 1154.

[16] Il riferimento è alle dichiarazioni degli on. Della Seta e Moro, nella seduta pomeridiana del 28 marzo 1947 della prima sottocommissione, secondo i quali la condizione giuridica dello straniero non avrebbe dovuto essere condizionata dalla reciprocità, in forza di un superiore criterio etico.

[17] Cfr. M. LUCIANI, Cittadini e stranieri, cit., 222; V. ONIDA, Lo Statuto costituzionale del non-cittadino, in AA.VV., Lo statuto costituzionale del non cittadino. Atti del XXIV Convegno annuale dell’A.I.C., Cagliari, 16-17 ottobre, 2009, Napoli, 2010, 10 ss.; A. PUGIOTTO, «Purché se ne vadano». La tutela giurisdizionale (assente o carente) nei meccanismi di allontanamento dello straniero, in AA.VV., Lo statuto costituzionale del non cittadino, cit., 337.

[18] Secondo l’art. 2, co. 1, del d.lgs. n. 286/1998 «allo straniero comunque presente alla frontiera o nel territorio dello Stato sono riconosciuti i diritti fondamentali della persona umana previsti dalle norme di diritto interno, dalle convenzioni internazionali in vigore e dai principi di diritto internazionale generalmente riconosciuti». Questa disposizione, secondo una certa dottrina, sarebbe inutile, dal momento che è la stessa Costituzione a sancire i diritti inviolabili dell’uomo. Così A. ALGOSTINO, La condizione degli stranieri in Italia fra diritti universali e difesa della fortezza, in Dir. pubbl. comp. eur., 2003, 625. Si veda, però, A. PACE, Dai diritti del cittadino ai diritti fondamentali dell’uomo, in Rass. Parl., 3/2010, 671-672, secondo il quale la Corte «non ha più avuto remore ad applicare agli stranieri extracomunitari le norme costituzionali della Parte prima della Costituzione», proprio dopo l’intervento del legislatore col d.lgs. n. 286/1998, invocando lo stesso Testo Unico a supporto della propria decisione.

[19] Cfr. P. BARILE, Diritti dell’uomo, cit., 32; C. CORSI, Lo Stato e lo straniero, cit., 223 ss.; A. ALGOSTINO, I diritti politici dello straniero, Napoli, 2006, 222 ss.

[20] Cfr. M. CUNIBERTI, La cittadinanza, cit., 133 ss., il quale evidenzia peraltro come, diversamente dal principio di uguaglianza, vi fosse poi stato in Assemblea un intervento per tornare alla formulazione originaria della disposizione sulla libertà di associazione, con risposta negativa dell’On. Tupini, secondo cui il riconoscimento agli stranieri di associarsi per fini politici propri avrebbe potuto rappresentare un pericolo per il paese. L’Autore evidenzia altresì l’incongruenza tra il riconoscere la libertà di associazione sindacale a tutti i lavoratori, a prescindere dalla cittadinanza, e il riferire la previsione generale della libertà di associazione ai soli cittadini. La spiegazione sarebbe appunto da individuare nel carattere strettamente politico della limitazione introdotta.

[21] Cfr. L. PALADIN, Diritto costituzionale, Padova, 1998, 613.

[22] Cfr. G.U. RESCIGNO, Cittadinanza: riflessioni, cit., 41; L. MONTANARI, La giurisprudenza costituzionale in materia di diritti degli stranieri, in federalismi.it, 2/2019, 65; M. CUNIBERTI, Espulsione dello straniero e libertà costituzionali, in Dir. pubbl., 2000, 817 ss., il quale peraltro propone di rovesciare la prospettiva: se il potere dello stato di impedire l’ingresso dello straniero costituisce il nucleo duro del complesso di situazioni soggettive che si fanno risalire al possesso della cittadinanza, al contempo proprio «in quanto si gode di una libertà di soggiorno (sia pur parzialmente) garantita dall’ordinamento (anche attraverso la tutela di altri beni ed interessi comunque collegati alla presenza del soggetto sul territorio, quali l’integrità dei legami familiari, una posizione lavorativa, ecc.) allora si è (almeno parzialmente) cittadini» (819).

[23] Cfr. la sent. 23 luglio 1974, n. 244.

[24] Cfr. la sent. 24 febbraio 1994, n. 62.

[25] Così la sent. 21 novembre 1997, n. 353.

[26] Così la sent. 18 luglio 2013, n. 202. Si veda anche la sent. 24 luglio 2019, n. 194, relativa alle modifiche apportate dal d.l. n. 113/2018 alla disciplina della c.d. “protezione umanitaria”. La Corte ribadisce in via di principio che, in materia di rilascio del permesso di soggiorno, il legislatore statale, pur godendo di ampia discrezionalità, in quanto collegata al bilanciamento di molteplici interessi pubblici, è comunque tenuto al rispetto degli obblighi internazionali e costituzionali, incluso il criterio di ragionevolezza intrinseca. Sul tema cfr. A. DEFFENU, La condizione giuridica dello straniero, cit., 112-113.

[27] Così la sent. 25 luglio 2011, n. 245.

[28] Cfr. L. FERRAJOLI, Dai diritti del cittadino ai diritti della persona, in La Cittadinanza. Appartenenza, identità, diritti, a cura di Zolo, Roma-Bari, 1994, 265 ss. L’Autore richiama la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789, che all’art. 6 attribuisce ai cittadini il diritto di concorrere, personalmente o mediante loro rappresentanti, alla formazione della legge, quale espressione della volontà generale e di accedere alle cariche e agli uffici pubblici. Analogamente, poi, tutte le Costituzioni dell’Ottocento e del Novecento avrebbero attribuito i diritti politici ai cittadini.

[29] Riecheggiano le teorie di Schmitt, quando distingue nettamente i “diritti democratici” del cittadino, anch’essi fondamentali, dagli altri diritti individualistici di libertà, affermando che i primi non possono essere riconosciuti agli stranieri, «poiché altrimenti cesserebbe l’unità e la comunità politica». Tra questi diritti democratici sarebbe inclusa anche l’eguaglianza davanti alla legge. Cfr. C. SCHMITT, Dottrina della Costituzione (1928), Milano, 1984, 226-227.

[30] Così C. MORTATI, Istituzioni di diritto pubblico, I, Padova, 1991, 437. L’idea del voto come esercizio di una funzione pubblica risente della dottrina tedesca dei diritti pubblici soggettivi (G. JELLINEK, Sistema dei diritti pubblici subiettivi, Milano, 1912). La letteratura sul tema è sconfinata. Per tutti, in Italia, si veda S. ROMANO, La teoria dei diritti pubblici subbiettivi (1897), ora in ID., Gli scritti nel Trattato Orlando, Milano, 99 ss., il quale conveniva che solo il cittadino potesse partecipare al governo e all’amministrazione del suo Stato e quindi godere dei diritti politici, e che pertanto gli stranieri non potessero partecipare «all’esercizio di diritti sovrani» (78).

[31] Cfr. C. ESPOSITO, I partiti nella Costituzione italiana, in ID., La Costituzione italiana, cit., 221-222.

[32] Cfr., in tal senso, G. D’ORAZIO, Lo straniero nella Costituzione italiana, cit., 311. Si veda anche F. LANCHESTER, Voto (diritto di): a) diritto pubblico, in Enc. Dir., XLVI, Milano, 1993, 1124.

[33] Cfr. E. GROSSO, Cittadini per amore, cittadini per forza: la titolarità soggettiva del diritto di voto nelle Costituzione europee, in Dir. pubbl. comp. eur., 2000, 519; ID., Straniero, cit., 175; R. CHERCHI, I diritti dello straniero e la democrazia, in Cos’è un diritto fondamentale?, a cura di Baldini, Napoli, 2017, 226 ss.; M. LUCIANI, Cittadini e stranieri, cit., 225. La posizione di Luciani in altri scritti appare, in realtà, più strutturata. Secondo l’Autore, l’affermazione per cui la sovranità appartiene al popolo, contenuta nell’art. 1 Cost., costituisce un ostacolo al riconoscimento agli stranieri di diritti politici che implichino l’esercizio della sovranità (intesa come il potere di dare la legge a ciascuno e a tutti), mentre non vi sarebbe alcun ostacolo al riconoscimento ai non cittadini del diritto di voto in elezioni locali o comunque in consultazioni in cui non si compiano atti di sovranità. Così M. LUCIANI, Intervento, in AA.VV., Lo statuto costituzionale del non cittadino, cit., 423.

[34] Cfr. B. CARAVITA DI TORITTO, I diritti politici dei non cittadini”. Ripensare la cittadinanza: comunità e diritti politici, in AA.VV., Lo statuto costituzionale del non cittadino, cit., 149 ss. L’Autore mette in luce il processo di radicale trasformazione della cittadinanza, al pari di altri istituti dello Stato moderno. Per un ripensamento del concetto di cittadinanza, che si fondi non su legami di sangue, bensì sulla valorizzazione del legame di fatto esistente tra individuo e Stato e quindi sulla partecipazione di tutti coloro che sono attivi e presenti all'interno dello spazio sociale alla costruzione di una «comunità di cittadini», cfr. F. Biondi Dal Monte, Dai diritti sociali alla cittadinanza, cit., 267 ss. Si veda anche P. CARROZZA, Diritti degli stranieri e politiche regionali e locali, cit., 67, che parla di cittadinanza come «condivisione volontaria di un comune status di diritti, di cui le libertà civili, i diritti di partecipazione politica e i diritti sociali sono necessariamente parte, indissolubilmente gli uni con gli altri», sulla scia di Habermas e della sua tesi della cittadinanza politica come «lo status che risulta contenutisticamente definito dai diritti e doveri del cittadino». Cfr. J. HABERMAS, Morale, diritto, politica, Torino, 1992, 112. Sull’opportunità di preservare il concetto di cittadinanza almeno in un senso minimo cfr. A. MORRONE, Le forme della cittadinanza, cit., 316. La nozione di cittadinanza ha una sua valenza identificativa in relazione a forme di organizzazione politica e, secondo l’Autore, «è, e resta, sempre un concetto politico. Identifica un popolo e uno stato e, quindi, i valori fondamentali di quel popolo e di quello stato» (314).

[35] Cfr. la sent. 18 maggio 1999, n. 172.

[36] Cfr. la sent. 25 giugno 2015, n. 119. In precedenza, cfr. la sent. 17 dicembre 2013, n. 309. Anche in tale circostanza la Corte ha sottolineato come l'apertura allo straniero regolarmente soggiornante del servizio sociale volontario, strumento di realizzazione del principio di solidarietà sociale, avrebbe rafforzato le esigenze di integrazione nella comunità e di sviluppo della persona umana.

[37] Così ancora la sent. n. 119/2015 cit.

[38] Sul tema cfr. E. GROSSO, I doveri costituzionali, in AA.VV., Lo statuto costituzionale del non cittadino, cit., 273-274; ID., Sull'obbligo di prestazione del servizio di leva da parte degli apolidi. Spunti di riflessione verso possibili nuove concezioni della cittadinanza, in Giur. cost., 1999, 1711 ss. L’Autore sottolinea come il superamento della teoria dei diritti pubblici subbiettivi, cui è legata l'idea di cittadinanza quale rapporto di tipo 'verticale' tra cittadino e autorità, consenta di sviluppare una seconda accezione di cittadinanza, come «insieme di rapporti di tipo orizzontale tra appartenenti alla medesima comunità», che trovano il loro fulcro nella partecipazione alla vita della comunità stessa. Cfr. anche G. Berti, Cittadinanza, cittadinanze e diritti fondamentali, in Riv. dir. cost., 1997, 11 ss., che propone una relativizzazione del concetto di cittadinanza, derivante dalla proclamazione in Costituzione di diritti universali: la condizione del cittadino viene così ad essere agganciata ad un ordine che va ben oltre le frontiere dello Stato nazionale. La cittadinanza 'costituzionale' non è più da intendersi come immedesimazione nello Stato, bensì come 'rapporto', in contrapposizione alla cittadinanza come 'appartenenza'.

[39] Cfr. V. ANGIOLINI, Democrazia, uomini e cittadini, in Democrazia, rappresentanza, responsabilità, a cura di Carlassare, Padova, 2001, 43 ss.

[40] Criterio impiegato dalla Corte nella citata sent. n. 172/1999.

[41] Così ancora V. ANGIOLINI, Democrazia, uomini e cittadini, cit., p. 48. Per considerazioni in parte analoghe cfr. A. ALGOSTINO, I diritti politici dello straniero, cit., 155 ss. Secondo Algostino, in realtà, una rilettura della Costituzione alla luce dei diritti umani universali e del principio democratico, non solo consentirebbe, ma imporrebbe il riconoscimento dei diritti politici agli stranieri, perché la democrazia, per la sua stessa natura, non può ancorarsi a criteri escludenti, «ma richiede che tutti coloro che vivono dove essa vige abbiano il diritto di parteciparvi» (263).

[42] Al limite la Corte ha riconosciuto la legittimità di quelle norme statutarie con cui alcune regioni hanno voluto garantire a tutti i residenti nel territorio regionale i diritti di partecipazione alla vita pubblica locale, incluso il diritto di voto nei referendum e nelle altre forme di consultazione popolare. Cfr. in tal senso la sent. 6 dicembre 2004, n. 379, relativa allo statuto della Regione Emilia-Romagna e, sulla stessa linea, la sent. 22 luglio 2005, n. 300, sempre nell’ottica di consentire forme di partecipazione alla vita pubblica locale dei cittadini stranieri soggiornanti regolarmente nel Paese. Il tutto, peraltro, in linea con quanto previsto dall’art. 2, co. 4, del d.lgs. n. 286/1998.

[43] Si vedano in tema le considerazioni di G. BASCHERINI, Immigrazione e diritti fondamentali, cit., 403.

[44] Cfr. la sent. 10 aprile 2001, n. 105.

[45] Cfr. la sent. 15 luglio 2004, n. 222. In precedenza, in merito al diritto di difesa, cfr. l’ord. 6 dicembre 2001, n. 385.

[46] Cfr. Cfr. A. PUGIOTTO, «Purché se ne vadano», cit., 337; M. SAVINO, Lo straniero nella giurisprudenza costituzionale: tra cittadinanza e territorialità, in Quad. cost., 1/2017, 56 ss. In precedenza, su questi temi, con particolare riferimento alla previsione di una convalida dopo l’avvenuta espulsione, ai sensi dell’art. 2 del d.l. 4 aprile 2002, n. 51, si può vedere G. MONACO, Accompagnamento coattivo alla frontiera dello straniero: riserva di giurisdizione e potere di convalida, in Diritto pubblico, 2/2002, 645 ss.

[47] Il riferimento è alla sent. 27 gennaio 2022, n. 22. Sulla disciplina delle REMS e la possibile violazione della riserva assoluta di legge, cfr. G. MONACO, REMS: riserva di legge e competenze del Ministro della giustizia. Dopo un’ampia istruttoria, ancora una pronuncia di incostituzionalità accertata ma non dichiarata. Osservazioni su Corte cost. n. 22/2022, in Osserv. cost., 3/2022, 276 ss.

[48] Cfr. L. MASERA, L’incostituzionalità dell’art. 14 d.lgs 286/98 nella parte in cui non contiene una disciplina sufficientemente precisa dei “modi” di trattenimento nei CPR, in Quest. Giust., 10/5/2022. In precedenza, cfr. A. PUGIOTTO, La galera amministrativa degli stranieri e le sue incostituzionali metamorfosi, in Quad. cost., 3/2014, 580 ss.; A. DI MARTINO, La disciplina del «C.I.E.» è incostituzionale. Un pamphlet, in Dir. pen. cont., 11/5/2012.

[49] Cfr. Corte EDU, Grande Camera, 15 gennaio 2016 causa Khlaifia c. Italia. Secondo i giudici di Strasburgo, questa ambiguità legislativa ha dato luogo a numerose situazioni di privazione della libertà de facto, in quanto il trattenimento in un CSPA sfugge al controllo dell’autorità giudiziaria. Il d.l. n. 13/2017 ha poi introdotto l’art. 10 ter nel d.lgs. n. 286/1998, in base al quale lo straniero rintracciato in occasione dell'attraversamento irregolare della frontiera interna o esterna ovvero giunto nel territorio nazionale a seguito di operazioni di salvataggio in mare è condotto per le esigenze di soccorso e di prima assistenza presso appositi punti di crisi, c.d. hotspot, al cui interno si svolgono altresì le operazioni di identificazione. In caso di rifiuto dello straniero di sopporsi all’identificazione si prevede la possibilità di trattenimento fino a 30 giorni nei centri di cui all’art. 14 del d.lgs. n. 286/1998.

[50] Si tratta della sent. 20 dicembre 2017, n. 275. Sul tema del respingimento differito cfr. S. ROSSI, Respingimento alla frontiera e libertà personale. Il monito della Corte e le scelte del legislatore, in Riv. AIC, 1/2019, 208 ss. In precedenza, cfr. già P. BONETTI, Ingresso, soggiorno e allontanamento. Profili generali e costituzionali, in B. NASCIMBENE (a cura di), Diritto degli stranieri, Padova, 2004, 280 ss.

[51] Con il d.l. n. 113/2018, convertito nella L. n. 132/2018.

[52] Cfr. M. BENEVENUTI, Il trattenimento degli stranieri nei Centri di permanenza per i rimpatri e la c.d. direttiva Lamorgese. Problemi vecchi e prospettive nuove per i provvedimenti di convalida dei giudici di pace, in Quest. Giust., 13/2/2023.

[53] Cfr. da ultimo Cass. sez. I civ., ord. 20 febbraio 2023, n. 5200.

[54] Cfr. Cass. II civ., 3 settembre 2020, n. 18321. Su questi temi cfr. anche Corte EDU, Sez. I, 6 ottobre 2016, causa Yaw e altri c. Italia. La Corte EDU non solo ribadisce che nel giudizio di convalida della proroga di un trattenimento occorre informare interessati e difensori, ma stabilisce altresì che, in caso di detenzione illegale, anche se si tratti di detenzione ammnistrativa, gli interessati hanno diritto alla riparazione del danno subito.

[55] Per un approfondimento del tema si rinvia a G. MONACO, Prestazioni sociali e parità di trattamento tra cittadini italiani e cittadini di Paesi terzi. Due prospettive differenti e complementari, in federalismi.it, 8/2023, 185 ss.

[56] Cfr. la nota sent. 17 luglio 2001, n. 252.

[57] Per una sistematizzazione della giurisprudenza costituzionale che si è formata in tema di accesso degli stranieri alle prestazioni sociali, si veda M. SAVINO, Lo straniero nella giurisprudenza costituzionale, cit., 58 ss. Secondo l’Autore la Corte delinea una distinzione tra quattro categorie di prestazioni sociali: quelle “personalissime” riconducibili al nucleo irriducibile del diritto alla salute o all’istruzione dei minori, che devono essere assicurate a tutti; le prestazioni dirette a soddisfare bisogni primari (diritto all’alloggio, assistenza ad invalidi e inabili), da garantire a tutti gli stranieri regolarmente presenti nel territorio italiano; le prestazioni diverse da quelle personalissime e che non rispondono a bisogni primari, per l’accesso alle quali si può giustificare la richiesta di condizione di durata del soggiorno, a conferma del radicamento territoriale; infine le prestazioni che fuoriescono dall’area della doverosità costituzionale, per le quali resta fermo il controllo sulla ragionevolezza della legge e delle eventuali restrizioni.

[58] Così la sent. 28 maggio 2010, n. 187. 

[59] Così la sent. 19 luglio 2013, n. 222.

[60] Cfr. la sent. 2 dicembre 2005, n. 432, concernente il diritto alla circolazione gratuita sui servizi di trasporto pubblico di linea a favore, tra l’altro, delle persone totalmente invalide per cause civili, che la legge regionale della Lombardia, oggetto della questione, riservava ai cittadini italiani, escludendo dunque dalla provvidenza gli stranieri pur residenti in Regione. Il requisito della cittadinanza, secondo la Corte, appariva ultroneo ed incoerente rispetto ad una misura sociale che vedeva negli invalidi al 100% i destinatari della stessa. Da ciò la violazione dell’art. 3 Cost., in quanto dalla norma impugnata non si riusciva ad enucleare una ratio che non fosse quella di discriminare gli stranieri in quanto tali.

[61] In tal senso C. CORSI, La trilogia della Corte costituzionale: ancora sui requisiti di lungo-residenza per l’accesso alle prestazioni sociali, in Le Regioni, 5-6/2018, 1170. Cfr. anche S. MABELLINI, Il “radicamento territoriale”: chiave d’accesso e unità di misura dei diritti sociali?, in Consulta Online, 2/2022, 806.

[62] Cfr. la sent. 11 giugno 2014, n. 168.

[63] Cfr. la sent. n. 222/2013, cit.

[64] Cfr. la sent. 9 marzo 2020, n. 44. In tale pronuncia la Consulta dichiara l’illegittimità della legge regionale lombarda che aveva richiesto come requisito per accedere al beneficio dell’alloggio di edilizia residenziale pubblica quello della residenza (o dell’occupazione) ultraquinquennale in regione. Analogamente, con la sent. 29 gennaio 2021, n. 9, la Corte ha colpito una legge regionale dell’Abruzzo che individuava la residenza protratta per dieci anni in un comune della regione non come requisito d’accesso, bensì come meccanismo premiale ai fini dell’assegnazione di un alloggio di edilizia residenziale pubblica. Il peso eccessivo assegnato al radicamento territoriale nel punteggio ha indotto la Corte a individuare un’irragionevole discriminazione di tutti coloro, cittadini italiani, UE o di Stati terzi, che risiedono in Abruzzo da meno di dieci anni, rispetto ai residenti da più di dieci anni. Secondo la Consulta, la bussola che deve guidare il legislatore nell’erogazione di prestazioni e servizi connessi a bisogni vitali dell’individuo deve essere il «pieno sviluppo della persona umana», ai sensi dell’art. 3, comma 2, Cost.

[65] Così ancora la sent. n. 44/2020 cit.

[66] Cfr. la sent. 25 gennaio 2022, n. 19.

[67] Così ancora la sent. n. 19/2022, cit. in senso analogo cfr. la sent. 17 febbraio 2022, n. 34, sul reddito di inclusione.

[68] Sul tema cfr. M. ROMA, La Corte costituzionale su reddito di cittadinanza e reddito di inclusione. Bisogni primari degli individui e limite delle risorse disponibili, in Consulta Online, 2/2022, 731 ss.; D. LOPRIENO, Riflessioni sul reddito di cittadinanza e gli stranieri alla luce della sent. n. 19 del 2022 della Corte costituzionale, in Osserv. cost., 3/2022, 252 ss.

[69] Per una valorizzazione - nell’ottica del rafforzamento delle tutele dello straniero - del principio della dignità di ciascun uomo, come valore da tutelare in sé, come anche del principio di solidarietà, cfr. F. BIONDI DAL MONTE, I diritti sociali degli stranieri. Politiche di appartenenza e condizioni di esclusione nello stato sociale, in I diritti sociali dal riconoscimento alla garanzia. Il ruolo della giurisprudenza, a cura di Cavasino-Scala-Verde, Napoli, 2013, 231 ss.; S. MABELLINI, Il “radicamento territoriale”, cit., 816.

[70] Si pensi alla sent. 20 luglio 2018, n. 166, concernente una misura nazionale di sostegno per il pagamento del canone di locazione, a favore di soggetti che si trovino in una condizione di indigenza qualificata, che dichiara l’illegittimità della norma, per violazione dell’art. 3 Cost., in quanto introduce un’irragionevole discriminazione a danno dei cittadini di Stati terzi laddove richiede solo ad essi il requisito della residenza da dieci anni nel territorio nazionale o da cinque anni nella medesima regione. In questa sentenza la Corte afferma che «la circostanza che plurime siano le esigenze che il contributo può soddisfare non esclude che tra queste ve ne siano di decisive per chi versi in una situazione di indigenza, sì da incontrare gravi difficoltà nel corrispondere il canone di locazione per la casa». In senso analogo anche la sent. 16 dicembre 2011, n. 329, concernente l’erogazione di un’indennità di frequenza per i minori invalidi, provvidenza “polifunzionale”, in quanto diretta a soddisfare bisogni non solo sul versante della salute e delle ridotte capacità di guadagno, ma anche su quello delle esigenze formative e di assistenza dei minori colpiti da patologie invalidanti e appartenenti a nuclei familiari in condizioni economiche disagiate.

[71] Cfr. la sent. 25 maggio 2018, n. 107.

[72] Con ord. 30 luglio 2020, n. 180.

[73] Così Corte di Giustizia, Grande sezione, sent. 2 settembre 2021, nella causa C-350/20, O.D. e altri.

[74] Per prestazioni familiari si intendono, ai sensi dell’art. 1, lett. z) del Reg. CE n. 883/2004, tutte le prestazioni in natura o in denaro destinate a compensare i carichi familiari e cioè un contributo pubblico al bilancio familiare.

[75] In precedenza, ad analogo risultato la Corte di giustizia era pervenuta con riferimento all’assegno a favore dei nuclei familiari con almeno tre figli minori (ANF), anch’esso qualificato come prestazione di sicurezza sociale, quale prestazione familiare ai sensi dell’art. 3, par. 1, lett. j) del regolamento n. 883/2004. Ne conseguiva il contrasto con l’art. 12 della dir. 2011/98 di una normativa nazionale che impediva al cittadino di paese terzo titolare di un permesso unico di beneficiare della prestazione. Così la sentenza della Corte di giustizia, 21 giugno 2017, nella causa C-449/16, Del Rosario Martinez Silva.

[76] Così la sent. n. 54/2022, cit.

[77] Cfr. la sent. 11 marzo 2022, n. 67.

[78] Così la sent. della Corte di Giustizia 22 febbraio 2022, nella causa C-430/21, RS.

[79] Cfr. la sent. n. 67/2022 cit.

[80] Così A. PUGIOTTO, «Purché se ne vadano», cit., 337.

[81] Sul punto si veda R. CHERCHI, I diritti dello straniero e la democrazia, cit., 193-194, nota n. 15, che individua un elenco di diritti riconosciuti allo straniero, tra i quali, oltre al diritto alla vita e alcune libertà come la libertà personale, di corrispondenza, di manifestazione del pensiero, anche diritti sociali, come il diritto alla salute o all’istruzione. Cfr. anche A. RUGGERI, I diritti sociali al tempo delle migrazioni, in Osserv. cost., 2/2018, 5 ss., che evidenzia come il problema dell’individuazione dei diritti inviolabili coinvolga principalmente i cd. diritti “nuovi”, quale ad esempio il diritto alla genitorialità.

[82] Come affermato dalla Corte fin dalla sentenza 26 gennaio 1957, n. 3. In argomento cfr. A. CERRI, L’eguaglianza nella giurisprudenza della Corte costituzionale, Milano, 1976, 43 ss.

[83] Cfr. M. LUCIANI, Cittadini e stranieri, cit., 217; M. LOSANA, «Stranieri» e principio costituzionale di uguaglianza, cit., 78. In generale cfr. A.S.  AGRò, Art. 3, 1° comma, in G. BRANCA (a cura di), Commentario della Costituzione, Bologna-Roma, 1975, 141 ss.; L. PALADIN, Corte costituzionale e principio generale d’eguaglianza: aprile 1979 – dicembre 1983, in AA.VV., Scritti sulla giustizia costituzionale in onore di Vezio Crisafulli, I, Padova, 1985, 605 ss. Il profilo soggettivo dell’uguaglianza ha perso gradualmente rilevanza nella giurisprudenza della Corte. Sul tema cfr. già A. CERRI, L’eguaglianza nella giurisprudenza, cit., 62 ss.

[84] In tal senso già M. CUNIBERTI, La cittadinanza, cit., 161 ss. In tempi più recenti cfr. anche G. ROMEO, Il cosmopolitismo pragmatico della Corte costituzionale tra radicamento territoriale e solidarietà, in Riv. AIC, 1/2018, 2.

[85] Cfr. F. SORRENTINO, L’eguaglianza nella giurisprudenza della Corte costituzionale, cit., 127.

[86] Cfr. la sent. n. 67/2022, cit., in cui la Corte riconosce che il sistema accentrato di costituzionalità non è alternativo a un meccanismo diffuso di attuazione del diritto europeo, «ma con esso confluisce nella costruzione di tutele sempre più integrate».