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Pubbl. Ven, 21 Apr 2023

La figura del dolo: problemi irrisolti

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Sarah Otera
AvvocatoUniversità degli Studi di Trento



L´articolo intende analizzare uno degli elementi psicologici più complessi ricompresi nell´ordinamento penalistico italiano: il dolo. L´analisi muoverà dal rapporto tra dolo e colpa, tra dolo e tentativo, cogliendo ulteriori importanti aspetti da noti casi giudiziari dei nostri giorni. Il breve articolo, in conclusione, darà una disamina dei problemi tuttora irrisolti riguardanti questa figura dottrinale e giurisprudenziale di ampio respiro.


ENG

The figure of malice: unsolved problems

The article intends to analyze one of the most complex psychological elements included in the Italian criminal law system: the malice. The analysis will start from the relationship between malice and guilt, malice and attempt, taking further important aspects from well know judicial cases of our day. The short article, in conclusion, will give an examination of the still unresolved problems concerning this wide-ranging doctrinal and jurisprudential figure.

Sommario: 1. Considerazioni introduttive; 2. L’art. 42 c.p. e l’elemento soggettivo; 3. Dolo e colpa: una dicotomia insanabile; 4. Il dolo e il tentativo; 5. Le figure di dolo: il dolo eventuale e il suo rapporto con la colpa cosciente; 6. Prova della causalità individuale e configurabilità del delitto di epidemia dolosa; 7. Dolo eventuale e reato omissivo; 8. Conclusioni.

1. Considerazioni introduttive

Il presente articolo, senza alcuna presunzione di completezza, intende sviluppare un’analisi incentrata su una delle figure portanti dell’intero ordinamento penalistico italiano: il dolo. Ne emerge la necessità, quindi, di pensare, o meglio di ripensare, l’intervento penalistico del legislatore del ’30 riferito alla causazione di un evento offensivo e alla lesione di un bene giuridico tutelato.

Dapprima, l’analisi muoverà, quindi, dall’individuazione delle caratteristiche principali della figura del dolo, fino all’esame dei suoi connotati più delicati con riferimento in particolare alla modulazione dell’intensità del dolo e, in seguito, alla condotta contrassegnata da dolo eventuale. Successivamente, ci si riferirà alla forma meno grave di colpevolezza nonché ad un criterio eccezionale di imputazione soggettiva del fatto tipico: il reato colposo.

Quest’ultimo, diversamente dal dolo, opera solo se espressamente previsto dalla legge. Da ultimo, il presente studio si propone di affrontare la problematica della configurabilità del delitto di epidemia dolosa, di cui all’art. 438 c.p., come manifestazione concreta del riferimento ad una condotta dolosa, riportando uno dei casi giurisprudenziali dell’attualità che hanno maggiormente interessato e sconvolto l’opinione pubblica dagli anni 2000 ai giorni nostri: il contagio di HIV di 37 persone per opera di un giovane di origini siciliane. In conclusione, alla luce di questa delicata narrazione, si tireranno le somme sul tema dell’imputazione dolosa, tenendo in considerazione la personalità della responsabilità penale tra tipicità e colpevolezza e, quindi, partendo dall’analisi dell’art. 27 della Carta Costituzionale italiana[1], articolo di natura draconianamente severa.

2. L’art. 42 c.p. e l’elemento soggettivo

La tematica in esame è stata oggetto di studio e approfondimento da parte della dottrina e della giurisprudenza penalistiche, ricevendo da esse pari attenzione. Rubricato Responsabilità per dolo o per colpa o per delitto preterintenzionale. Responsabilità obiettiva, l’art. 42 c.p. al secondo comma certifica la preminenza del dolo come elemento distintivo dell’illecito penale, escludendo le ipotesi di delitto colposo o preterintenzionale.

Prova lampante di questa affermazione, ne è il fatto che gli illeciti colposi e preterintenzionali devono essere espressamente previsti dal legislatore, ad esempio l’omicidio colposo, di cui all’art. 589 c.p., o le lesioni personali colpose di cui all’art. 590 c.p., o morte o lesioni colpose in ambito sanitario di cui all’art. 590 sexies c.p., introdotto dalla L. n. 24/2017, la c.d. Gelli-Bianco, o, infine, i delitti colposi di danno di cui all’art. 449 c.p.

Negli ultimi anni si è, tuttavia, assistito alla nascita di nuove figure delittuose di natura prettamente colposa, che denotano un’intenzione del legislatore di conferire una sempre maggiore importanza all’illecito colposo. Imputabilità e colpevolezza sono, infatti, istituti ben distinti nel diritto penale: la capacità di intendere e di volere, cioè l’imputabilità, attiene alle condotte psichiche del soggetto, e costituisce un suo status estraneo al fatto-reato, essendo rilevante solo ai fini della capacità giuridica penale[2].

Invece, la coscienza e la volontà attengono al criterio normativo in base al quale al soggetto imputabile può essere attribuito in concreto la causalità psichica di una determinata condotta penalmente rilevante, ed è inerente al concetto di reato di cui costituisce l’aspetto soggettivo, secondo la fondamentale duplicazione del dolo e della colpa[3]. Ci si permette di ricordare che, in tema di preterintenzione, il cui delitto per eccellenza è l’omicidio preterintenzionale, secondo l’indirizzo più recente, l’elemento soggettivo del delitto non è costituito da dolo e responsabilità oggettiva, né dal dolo misto a colpa, ma unicamente dal dolo di percosse o lesioni, in quanto la disposizione di cui all’art. 43 c.p. assorbe la prevedibilità di evento più grave nell’intenzione del risultato[4]. Secondo il successivo art. 43 c.p. “il delitto è doloso, o secondo l’intenzione, quando l’evento dannoso o pericoloso, che è il risultato dell’azione od omissione e da cui la legge fa dipendere l’esistenza del delitto, è dall’agente preveduto e voluto come conseguenza della propria azione od omissione”. Il dolo va distinto, quindi, in dolo generico e dolo specifico. Il primo esprime la semplice coscienza e volontà del voler perseguire un illecito, mentre il secondo esprime la volontà precipua di voler ottenere quel risultato successivo.

Si fa l’esempio di scuola del furto di cui all’art. 624 c.p., connotato dal dolo specifico. Il dolo va, inoltre, ulteriormente distinto, in dolo comune, che concerne le attività rischiose, giuridicamente non autorizzate e dolo speciale (o professionale) che riguarda, invece, le attività rischiose giuridicamente autorizzate. Il tema della volontà nel dolo è da comprendersi volgendo l’attenzione ai fenomeni psichici di sintesi, come la percezione, la coscienza e gli atti umani, in cui interagiscono tra loro le varie facoltà, in specie, la memoria, l’intelligenza e la volontà[5].

L’intenzionalità è stata condotta ad una nuova luce dalla scienza penalistica contemporanea, intendendola come dimensione attiva della mente precedente agli atti di coscienza in contrapposizione al modello rappresentazionale, ponendo nuovamente al centro l’agire umano.

La centralità della volontà nel dolo, ribadita dalla sentenza della Suprema Corte di Cassazione del 24 aprile 2014, impone di focalizzare l’importanza del dinamismo mentale della persona diretta all’offesa del bene giuridico tutelato, seguendo il principio di offensività[6], tutelato dalla Carta Costituzionale all’art. 27, al primo comma, che deve sempre essere garantito. Occorre, di conseguenza, rilevare che i fenomeni psichici sono intenzionali. In tal senso, l’intenzionalità, come capacità originaria dell’uomo di relazionarsi all’oggetto, deve essere sempre riferita ad un soggetto. La percezione è un fenomeno, di conseguenza, il quale implica necessariamente un giudizio cosciente del soggetto agente. Coscienza e volontà, dunque, che devono coesistere nell’intenzione, nel sentire dell’agente. Tenuto conto di ciò, si possono riportare due considerazioni aggiuntive. Una prima concerne la complessità dell’atto volitivo, in cui il volere è costituito da un processo che si estende in una sequenza di momenti cognitivi e volitivi[7]. Una seconda, invece, concerne la riscoperta dell’intenzionalità come caratteristica fondamentale degli atti umani, nonché come direzionalità del soggetto verso l’oggetto[8].

Il dolo, ampliando l’indagine verso nuove problematiche, risulta compatibile con il vizio parziale di mente, essendo l’imputabilità e la colpevolezza, come richiamato all’inizio del presente paragrafo, ontologicamente distinte. In ipotesi di reato commesso da seminfermo di mente va comunque accertata la sussistenza dell’elemento psicologico, atteso che quest’ultimo non incompatibile con il vizio parziale di mente, residuando pur sempre, anche nello status di incompatibilità diminuita, la capacità di intendere e di volere, la cui diminuzione può avere rilevanza nei reati a dolo specifico, ma non in quelli caratterizzati da dolo generico[9].

La differenza dottrinale e concettuale tra le due forme di dolo risulta necessaria anche nell’applicazione delle cosiddette cause di giustificazione, voce dell’antigiuridicità, rappresentate dalla scriminante regina, la difesa legittima, di cui all’art. 52 c.p., la quale richiede un giudizio di valutazione da effettuarsi ex ante[10], circa l’attualità del pericolo ed i presupposti applicativi. Si intende, nel paragrafo che segue, muovere l'analisi su altro elemento psicologico: la colpa.

3. Dolo e colpa: una dicotomia insanabile

La discrasia insanabile tra le figure oggetto del presente paragrafo è stata da sempre a sua volta oggetto di numerosi tentativi di avvicinare le due immagini di natura teorica e applicativa. Tentativi, ci si permette di sostenere alla luce di questa narrazione, che non sono riusciti nell’annoso intento di risolvere la complessità e l’enorme divario da sempre esistente tra le due figure. La colpa è, per scelta legislativa, definita con la formula “contro l’intenzione”. Di conseguenza, questa formulazione ne indaga il connotato oppositivo a sua maestà il dolo, caratterizzato, di contro, da coscienza e volontà nel voler determinare l’azione od omissione.

La ridotta differenza sanzionatoria tra le condanne per delitti dolosi o colposi e lo stigma sociale derivante da una condanna per dolo risulta particolarmente evidente nella dicotomia di cui si rimanda l’analisi nel successivo paragrafo 5, cioè quella esistente tra dolo eventuale e colpa cosciente. Seguendo, infine, la teoria generalpreventiva risulta evidente come non conti tanto il profilo sanzionatorio quanto piuttosto la qualificazione astratta del fatto[11].

Una delle sentenze di discrimen che hanno segnato un prima e un dopo è stata la sentenza Thyssenkrupp, assai lucida e profonda nell’opera di sistemazione del travagliato percorso dottrinale e giurisprudenziale che ha condotto alla puntualizzazione di alcuni principi fondamentali in tema di dolo e colpa. Nell’ipotesi di dolo eventuale, infatti, l’agente nel perseguire il proprio obiettivo, viola contestualmente delle regole precauzionali dirette ad evitare la realizzazione dell’evento collaterale previsto e non voluto[12].

Per comprendere a fondo il dolo è, però, necessario analizzare il tema del comportamento alternativo lecito, che costituisce un importante capitolo della teoria della colpa. Così, la moderna dottrina penalistica è concorde nel ritenere che, per muovere un rimprovero a titolo di colpa al soggetto agente per l’evento da lui materialmente causato, non è sufficiente accertare che la condotta dell’agente sia stata condicio sine qua non del risultato lesivo, ma anche della contrarietà della condotta stessa al dovere di diligenza[13].

L’imputazione colposa presuppone un quid pluris: oltre al nesso causale tra condotta ed evento, deve sussistere uno specifico legame tra la condotta contrassegnata dalla violazione del dovere di diligenza e il risultato lesivo da essa materialmente cagionato[14]. Diversamente dalla logica seguita nell’attribuzione di responsabilità dolosa, per aversi responsabilità colposa è necessario che la violazione della regola cautelare di condotta, in cui sia stata ravvisata l’essenza del delitto colposo, abbracci tutti gli elementi del fatto tipico[15].

Si fa l’esempio in tema di colpa professionale dell’attività sanitaria, in cui lo specialista chiamato ad effettuare un esame diagnostico invasivo, prescritto dal medico di medicina generale, che comporti un ineliminabile quoziente di rischio per il paziente, deve preliminarmente procedere all’inquadramento anamnestico e clinico del paziente e alla valutazione dell’adeguatezza dell’esame richiesto rispetto alle patologie sospettate, alle condizioni fisiche ed alla sintomatologia lamentata, nonché agli esiti di eventuali esami già svolti[16].

Nei reati colposi, infatti, riportando un classico esempio, “perché la violazione dei doveri di vigilanza spettanti al genitore sul figlio minore importi la responsabilità penale del primo per gli eventi di danno cagionati dal secondo, occorre che essa integri gli estremi della negligenza o della imprudenza, nel senso che gli atti compiuti dal minore per effetto della detta violazione devono essere, in concreto, conseguenza della inesperienza o incapacità di esso minore le quali ultime, essendo necessarie per configurare la colpa del padre, devono essere provate dall’accusa[17]”.

L’esempio degli esercenti responsabilità genitoriale, che i genitori rappresentano per i figli minori, è calzante tutte le volte in cui emerge il tema di una posizione di garanzia esercitata da un soggetto nei confronti di un altro, in questo caso il minore. La tematica, tuttavia, del ruolo del garante potrebbe essere estesa anche all’elemento del dolo.

4. Il dolo e il tentativo

Il delitto tentato è compatibile solo con i delitti, collocati nel secondo libro del codice del ’30. Sarebbe, infatti, un errore cosmico per un giurista affermare l’esistenza del reato tentato, dal momento che esso è del tutto incompatibile con le contravvenzioni, contenute nel terzo libro. Il tentativo è, altresì, configurabile solo con il dolo, mai con la colpa né con la preterintenzione. Con questi ultimi elementi soggettivi, infatti, non può essere compatibile e non vi sono previsioni legislative che individuino fattispecie criminose in tal senso.

Detto ciò, il dolo del tentativo è un dolo assai forte, dinamico come dinamico è il momento che precede la consumazione e che si colloca in un range temporale che va dal momento dell’inizio dell’attività punibile esattamente al momento precedente la consumazione. In questo range si colloca il delitto tentato. Problemi irrisolti riguardano la compatibilità del tentativo con la figura più debole di dolo: il dolo eventuale.

Da ultimo, la giurisprudenza ha inteso escluderne la configurabilità proprio con l’elemento soggettivo del dolo eventuale[18], il quale esprime un conflitto con la direzione non equivoca degli atti compiuti e, pertanto, può perché possa aversi tentativo possibile è necessario dimostrare la sussistenza del dolo diretto, o intenzionale, in relazione all’elemento della direzione non equivoca verso un dato evento preso in considerazione dalla norma incriminatrice specifica[19].

Nel delitto tentato il dolo deve essere diretto, in quanto soltanto da tale specie di elemento psicologico, non realizzandosi alcun evento, è possibile dedurre l’inequivoca direzione degli atti concretizzati dall’agente verso l’evento non realizzatosi per cause indipendenti dal suo comportamento, così come espressamente voluto dal legislatore con l’espressione “diretti in modo non equivoco a commettere un delitto” usata nel primo comma dell’art. 56 c.p. per qualificare gli atti, già di per sé idonei, posti in essere dall’agente del delitto tentato[20]. “Il dolo eventuale, pertanto, è incompatibile con la direzione non equivoca degli atti compiuti e perché possa aversi tentativo è necessario dimostrare la sussistenza del dolo diretto, od intenzionale, in relazione all’elemento della direzione non equivoca verso un dato evento preso in considerazione dalla norma incriminatrice specifica[21]”.

Sarebbe oltremodo incongruo, del resto, ipotizzare la coesistenza del dolo eventuale con due figure dottrinali e applicative assai complesse: la desistenza volontaria ed il recesso attivo. Il tentativo è configurabile con i cosiddetti reati di pericolo, essendo ben possibile che atti idonei e diretti in modo non equivoco cagionino un pericolo che invece non sorge[22].

5. Le figure di dolo: il dolo eventuale e il suo rapporto con la colpa cosciente

Il dolo eventuale, che ricorre quando l’agente si sia chiaramente rappresentato la significativa possibilità di verificazione dell’evento concreto[23], ha un elemento volitivo che, seppur presente e seppur elemento che lo distingue rispetto alla colpa cosciente, è assai depotenziato. In altri termini, esso è in qualche misura debole e il confine con la colpa cosciente è tuttora incerto, e non è stato superato soprattutto dalla dottrina. La sentenza risolutiva sull’argomento è stata la celeberrima sentenza Thyssenkrupp di cui si segnalano alcuni fondamentali passaggi di seguito.

Nello specifico, la vicenda aveva riguardato un disastroso evento verificatosi nello stabilimento torinese dell’acciaieria appartenente e gestita dalla società Thyssenkrupp che aveva registrato la morte di alcuni operai a seguito di un incendio, riconosciuto come esito di responsabilità dolosa.

Tralasciando la vicenda processuale, merita, innanzitutto, chiarezza la differenza concettuale tra dolo eventuale e colpa cosciente, secondo un criterio d’imputazione saldamente ancorato ai fatti, potendosi accertare l’atteggiamento psichico, rendendo il dovuto tributo all’autentica sostanza del principio di determinatezza quale fondamentale articolazione del principio di legalità[24].

Nel dolo eventuale l’atteggiamento psichico è assimilabile a quello propriamente volontaristico, un germe che presta ossequio alla lettera dell’art. 43 c.p., di cui si è cercato di tracciare gli elementi distintivi nel precedente paragrafo 2. L’autentico significato dell’inciso “secondo l’intenzione”, che non solo qualifica il dolo, ma nelle diverse ulteriori modulazioni dell’”oltre” e del “contro” proprie della preterintenzione e della colpa qualifica i restanti elementi soggettivi, è da leggersi rimarcando e sottolineando la netta differenza con l’illecito colposo e preterintenzionale. Sul riconoscimento di uno stato psicologico proprio del dolo eventuale fondamentale è stata la sentenza Thyssenkrupp, chiarissima nel prendere le distanze da qualsiasi normativizzazione del dolo con cui questo sarebbe ricondotto alla produzione consapevole di un rischio giudicato grave[25].

La Suprema Corte, nell’espressione della propria funzione nomofilattica, finalizzata cioè alla certezza del diritto, ha inteso individuare una differenza qualitativa tra dolo eventuale e colpa cosciente, sottolineando l’inadeguatezza sia delle ricostruzioni di tale distinguo riferibili alla c.d. teoria della rappresentazione, sia di quelle riferibili alla teoria del consenso, o meglio fondate sull’accettazione del rischio.

Fermo che sia nella colpa cosciente che nel dolo eventuale ci si muove da un’avvenuta previsione del fatto offensivo il cui realizzarsi è reso possibile dalla condotta, spesso si è ritenuto che il distinguo tra le due categorie stia nell’atteggiamento di maggiore o minore indifferenza assunto dal soggetto agente circa l’attivazione di un simile rischio[26].

Parola o formula magica sembra, pertanto, essere stata rappresentata dal riconoscimento della definizione dell’accettazione del rischio, posto che anche colui che agisce in colpa accetta, indubitabilmente di produrre un rischio. Ma, come rilevato da numerosi autori, la suddetta formula dell’accettazione dell’evento non riesce a cogliere, in realtà, alcuna dimensione psicologica rilevante ai fini dell’imputazione soggettiva penale.

Nel caso in cui il soggetto agente non abbia neanche previsto che la sua condotta avrebbe potuto cagionare un evento del tipo di quello verificatosi ci si muove nell’ambito della colpa incosciente, anch’essa elaborata dalla dottrina penalistica.

La Suprema Corte ha inteso affiancare la formula di Frank, quale criterio di definizione del dolo eventuale ed il suo rapporto con gli indici del relativo accertamento, alla già citata sentenza Thyssenkrupp.

Ne deriva che gli indicatori del dolo eventuale di cui parlano le Sezioni Unite al n. 51 della sentenza non rappresentano affatto criteri di identificazione del dolo eventuale paralleli alla formula di Frank e da quest’ultima autonomi, bensì sono, di contro, serventi rispetto alla formula di Frank[27]. Le sentenze che si sono susseguite, con riferimento innanzitutto alla sentenza Nocera, hanno inteso rafforzare la componente volitiva del dolo eventuale, evocando la controversa formula di Frank, ed alimentando il dibattito dottrinale e giurisprudenziale, da ultimo demandato e rimesso alle Sezioni Unite. Il tema del confine tra dolo eventuale e colpa cosciente vive una stagione di attualità come in un “doppio binario”. A ciò si aggiunge l’espansione del dolo eventuale in alcuni ambiti come ad esempio l’attività medica[28].

E ancora. Secondo le Sezioni Unite, il dolo eventuale ricorre quando l’agente si sia chiaramente rappresentata la significativa possibilità di verificazione dell’evento concreto e ciò nonostante, dopo aver considerato il fine perseguito e l’eventuale prezzo da pagare, si sia determinato ad agire comunque, anche a costo di causare l’evento lesivo, aderendo ad esso, per il caso in cui si verifichi; ricorre invece, la colpa cosciente quando la volontà dell’agente non è diretta verso l’evento ed egli, pur avendo concretamente presente la connessione causale tra la violazione delle norme cautelari e l’evento illecito, si astiene dall’agire doveroso per trascuratezza, imperizia, insipienza, irragionevolezza o altro biasimevole motivo[29].

In conclusione, il tema che risulta è assai delicato ed è giunto ad una soluzione che per parte della dottrina è stata insufficiente ma che, ad oggi, resta l’unica disponibile.

6. Prova della causalità individuale e configurabilità del delitto di epidemia dolosa

In tema di epidemia dolosa, di cui si intende affrontare le dinamiche e i meccanismi principali in modo da coglierne la fondamentale importanza con riferimento all’elemento psicologico, l’evento tipico del reato consiste in una malattia contagiosa che, per la sua spiccata diffusività, si presenta in grado di infettare, nel medesimo tempo e nello stesso luogo una moltitudine di destinatari, recando con sé, in ragione della capacità di ulteriore espansione e di agevole propagazione, il pericolo di contaminare una porzione ancor più vasta di popolazione; ne consegue che le forme di contagio per contatto fisico tra agente e vittima, sebbene di per sé non estranee alla nozione di “diffusione di agenti patogeni” di cui all’art. 438 c.p. non costituiscono, di regola, antecedenti causali di detto fenomeno[30].

La Corte, nella pronuncia sopra riportata nei suoi estremi, in applicazione del principio, ha escluso che integrasse gli estremi del delitto in parola la condotta dell’imputato che aveva consapevolmente trasmesso il virus dell’HIV, da cui era affetto, ad una trentina di donne con le quali aveva avuto rapporti sessuali non protetti nel corso di un periodo di nove anni, rilevando come il numero cospicuo, ma non ingente, delle stesse e l’ampiezza dell’arco temporale in cui si era verificato il contagio, unitamente al numero altrettanto cospicuo di donne che, pur congiuntesi senza protezione con l’imputato, non era rimasto infettato, deponesse per il difetto della connotazione fondamentale del fenomeno epidemico della facile trasmissibilità della malattia ad un numero potenzialmente sempre più elevato di persone.

Al riguardo, l’autore F. Lazzeri sottolinea come in tempi recenti la vicenda in esame abbia destato un certo clamore, non prima che sconcerto, nello specifico, di un giovane uomo accusato di aver infettato con HIV alcune decine di persone con le quali aveva avuto rapporti sessuali non protetti pur essendo perfettamente consapevole della propria sieropositività[31].

Si tratta, infatti, di un giovane di origini siciliane, condannato, infine, per il delitto di epidemia dolosa, ex art. 438 c.p., a ventiquattro anni di reclusione per evidenti ragioni politico-criminali. L’uomo aveva frequentato un numero molto alto di donne, omettendo quasi sempre di informarle circa la propria sieropositività e intrattenendo con loro rapporti sessuali che – talora dietro sua richiesta espressa o persuasione – avvenivano senza alcun tipo di protezione[32]. Restano ad oggi alcuni interrogativi irrisolti sul caso.

7. Dolo eventuale e reato omissivo

L’omissione, valutabile a partire dalla clausola di equivalenza alla luce della quale “non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire equivale a cagionarlo[33]”, impone di elaborare un ulteriore chiarimento circa il rapporto tra colpa cosciente e dolo eventuale con riguardo alla condotta omissiva.

Quest’ultima, se motivata da mere ragioni di indisponibilità a tenere la condotta doverosa oppure da finalità autonome e ulteriori rispetto ad esse, deve essere tenuta distinta in quanto il non-fare, l’inerzia, possono essere ben svincolati dal perseguimento di finalità attive ed essere, al contrario, motivati dalla volontà di non agire, cioè di non modificare in senso attivo il proprio trovarsi dinanzi ad un contesto che lo richiederebbe[34].

Ci si permette di sottolineare come, il legislatore abbia inteso porre alla base del rimprovero omissivo una logica di equivalenza rispetto al rimprovero doloso o colposo commissivo.

Tuttavia, l’individuazione del tempus commissi delicti e del locus commissi delicti incontrano delle differenze, tra addebito commissivo e addebito omissivo, che non possono non essere considerate e che consacrano il successo della “teoria della colpevolezza” nell’ignorantia legis, nell’error aetatis, nelle interpretazioni oggettivanti di colpa, dolo e scusanti e della prevenzione generale[35].

La causalità omissiva, dunque, richiede non solo l’individuazione della differenza concettuale tra omissione propria e impropria, ma anche l’affermazione di principi e regole rientranti nella comune esperienza, preesistenti al giudizio, che consentano di affermare che la condotta dovuta, se attuata, avrebbe impedito il verificarsi dell’evento con un grado di certezza che deve, in ogni caso, essere molto elevato, non potendo essere assoluto[36]. In caso di condotta omissiva, dunque, il giudice è sempre tenuto ad accertare, attraverso un ragionamento adeguato e logicamente coerente, che se l’azione doverosa omessa fosse stata realizzata, si sarebbe impedita la verificazione dell’evento di reato che solo in tal modo può essere oggettivamente imputato alla condotta omissiva dell’agente[37].

In altri termini, il legame tra la causalità omissiva e l’elemento psicologico non può essere presunto né dato per scontato, ma va individuato per il tramite di un giudizio ipotetico secondo una valutazione probabilistica, idonea ad impedire l’evento stesso, stabilendo il nesso causale in base alla clausola di equivalenza[38].

8. Conclusioni

Alla luce delle considerazioni riportate in precedenza, e delle irrisolte questioni concernenti l’elemento psicologico del dolo, risulta doveroso rimarcare l’assoluto dominio che questa figura assume nell’ordinamento penalistico italiano come fosse dotato di una prestanza fisica a sé di tutto rispetto.

Ad oggi, restano ancora dubbie l’insuperabile diversità strutturale della forma eventuale rispetto alla definizione codicistica del dolo, la non configurabilità del dolo eventuale rispetto al delitto tentato, la difficile modulazione dell’intensità del dolo e i suoi rapporti con la formula dell’accettazione del rischio validi per il dolo eventuale connotato da un elemento volitivo deficitario, l’annoso e insanabile binomio tra i due elementi soggettivi per eccellenza: il dolo e la colpa.

A questi si aggiungono la necessità di ripensare l’intervento penalistico riferito alla causazione di un evento offensivo non voluto e il cui realizzarsi non sia certo, il contenuto del nesso normativo tra colpa ed evento e il requisito della concretizzazione del rischio, accertabile, infine, per il tramite di una valutazione ex post[39], il sempre valido utilizzo del principio di colpevolezza e del suo disvalore sociale che si distanzia dalla “normale motivabilità” mediante le norme dell’ordinamento. Il dolo si conferma, tuttavia, e proprio in ragione di certe precedenti argomentazioni, l’elemento psicologico per eccellenza, in completa adesione alla tesi paradigmatica secondo cui il dolo è la manifestazione precipua nonché categorica della coscienza e volontà del soggetto agente.

Esso ha assunto in una coordinata progressione giurisprudenziale e dottrinale, di cui si è cercato di riportare gli estremi, un valore rigoroso di largo e stimabile apprezzamento, lungi, però, dal voler fornire una risposta unidirezionale, priva di inevitabili contraddizioni ed obbligatoria nella sua espressione più profonda.


Note e riferimenti bibliografici

[1] Nella Costituzione italiana, l’art. 27 non è sinonimo di principio di colpevolezza, che ricomprende, invece, detto principio come sua componente. Neanche il principio nullum crimen sine culpa assorbe la colpevolezza-principio ma ne fa parte, pur assumendo una certa autonomia. Dunque, le tre parole che conglobano la responsabilità penale personale sono la colpevolezza, il rimprovero, la morale.

[2] Art. 27 Cost.: “La responsabilità penale è personale”.

[3] In tal senso, Cass., Sez. III, 1973, n. 5351. Non è affatto anacronistica la pronuncia, che ha, invece, dettato i confini degli elementi soggettivi di riferimento affrontati nel presente articolo.

[4] In tal senso, Cass., Sez. V, 2016, n. 44986. 

[5] M. RONCO, Riflessioni sulla struttura del dolo, in Riv. it. dir. proc. pen., 2015, 2, 589 ss.

[6] Il suddetto principio di offensività si lega al principio di colpevolezza di cui all’art. 27 della Carta Costituzionale italiana e in virtù del quale sono stati elaborati il principio della personalità della responsabilità penale, di cui al primo comma, nonché il finalismo rieducativo della sanzione, di cui al terzo comma.

[7] M. RONCO, Riflessioni sulla struttura del dolo, in Riv. it. dir. proc. pen., 2015, 2, 589 ss.

[8] Ibid.

[9] Cass., Sez. VI, 2000, n. 9202.

[10] Cass., Sez. IV, 2018, n. 24084. 

[11] K. SUMMERER, La pronuncia delle Sezioni Unite sul caso Thyssenkrupp, profili di tipicità e colpevolezza al confine tra dolo e colpa, nota a Cass., Sez. un., 2014, n. 38343, 490 ss.

[12] Ibid., 490 ss.

[13] L. GIZZI, Il comportamento alternativo lecito nell’elaborazione giurisprudenziale, in Cass., 2005, 12, 4107.

[14] Ibid.

[15] Ibid.

[16] Cass., Sez. IV, 2022, n. 30051.

[17] Cass., 1958, 58, II, 940.

[18] Cass., Sez. VI,  2012, n. 14342.

[19] Cass., Sez. I, 1992, n. 9887. Tale pronuncia ha determinato una virata in favore dell’incompatibilità della figura del dolo eventuale rispetto al tentativo. Di contro, la precedente pronuncia a Sez. un., che si riporta di seguito, riconosceva la linea essenziale del dolo eventuale anche come configurabile e ipotizzabile rispetto al delitto tentato. In tal senso, Cass., Sez. un., 1983, Basile, 84, 493.

[20] Cass., Sez. I, 1995, n. 1639.

[21] Cass., Sez. I, n. 9887, 1992. La pronuncia, di cui si riporta la massima, ha inteso escludere l’applicabilità del dolo eventuale al delitto tentato.

[22] Cass., 1995, n. 4169.

[23] Cass., Sez. un., 2014, n. 38343.

[24] M. RONCO, Riflessioni sulla struttura del dolo, in Riv. it. dir. proc. pen., 2015, 2, 589 ss.

[25] L. EUSEBI, Formula di Frank e dolo eventuale, in Cass. Sez. un., 2014 (Thyssenkrupp), in Riv. it. dir. proc. pen., 2, 2015, 623 ss.

[26] Ibid.

[27] Ibid.

[28] Cass., Sez. V, 2021, n. 4854. In tema di elemento soggettivo del reato, la distinzione tra dolo eventuale e colpa cosciente rileva solo nel caso in cui la condotta dell’agente riguardi un’attività lecita seppure rischiosa e non, invece, laddove si versi in ipotesi di attività illecita atteso che, in tal caso, è esclusa, alla base la stessa configurabilità dell’osservanza o meno di regole cautelari. 

[29] In tal senso, Cass., Sez. un., 2014, n. 38343. La nota sentenza Thyssenkrupp, a cui ci si riferirà in seguito, ha tracciato il famoso discrimen tra dolo eventuale e colpa cosciente, chiarendo il difficile ed annoso dibattito tra le due figure.

[30] Cass., Sez. I, 2019, n. 48014.

[31] F. LAZZERI, Prova della causalità individuale e configurabilità del delitto di epidemia in un caso di contagi plurimi da HIV tramite rapporti sessuali non protetti, nota a Cass., Sez. I, 2019, n. 48014. L’autore riferisce che dagli accertamenti tecnici che portavano alla formulazione dei capi d’accusa, era stato individuato un totale di 37 persone infette dal medesimo virus di cui era portatore l'imputato, contagiate in via diretta o anche indiretta – come avvenuto per 8 uomini e, in un caso, anche per un bambino, nato da madre divenuta sieropositiva a seguito di rapporti con l’imputato.

[32] Ibid.

[33] Art. 40 c. 2 c.p.

[34] L. EUSEBI, Formula di Frank e dolo eventuale, in Cass., Sez. un., 2014 (Thyssenkrupp), in Riv. it. dir. proc. pen., 2015, 2, 623 ss.

[35] M. DONINI, La personalità della responsabilità penale tra tipicità e colpevolezza, in Riv. it. dir. proc. pen., 2018, 3, 1577.

[36] Cass., Sez. IV, 2000, n. 10780.

[37] Cass., Sez. V, 1998, n. 10929.

[38] Ibid.

[39] Cass., Sez. IV, 2020, n. 1096. Nella pronuncia, di cui si propongono i riferimenti, la Corte si è espressa nel senso che ai fini dell’addebito penale, la colpa ha non solo un versante oggettivo, incentrato sulla condotta posta in essere in violazione di una norma cautelare, ma anche un versante soggettivo, connesso alla possibilità dell’agente di osservare la regola cautelare.