Pubbl. Gio, 6 Apr 2023
Reddito di cittadinanza e false dichiarazioni: rimessione alle Sezioni Unite
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Andrea Primavilla
L´articolo propone un commento all´ordinanza 1 ottobre 2022 (dep. 20 gennaio 2023), n. 2588 con la quale è stata rimessa alle Sezioni Unite la seguente questione: “se integrano il delitto di cui all´art. 7 d.l. 28 gennaio 2019 n. 4, convertito con modificazione nella legge 28 marzo 2019 n.26: a) Le false indicazioni od omissioni di informazioni dovute, anche parziali, dei dati di fatto riportati nell´autodichiarazione finalizzata all´ottenimento del reddito di cittadinanza, indipendentemente dalla effettiva sussistenza delle condizioni di reddito per l´ammissione al beneficio, ovvero b) Se il mendacio o le omissioni dichiarative rilevino nei soli casi in cui l´intento dell´agente sia solo quello di conseguire, per il tramite delle stesse, un beneficio altrimenti non dovuto”.
Citizenship income and false declarations: transfer to the United Sections
The article proposes a comment on the ordinance of 1 October 2022 (dep. 20 January 2023), n. 2588 with which the following question was referred to the United Sections: ”if the crime referred to in art. 7 legislative decree 28 January 2019 no. 4, converted with amendment into law no. 26 of 28 March 2019is integrated by: a) False indications or omissions of information , even partial, referred of the facts reported in the self-declaration aimed at obtaining citizenship income, regardless of the actual existence of the income conditions for admission to the benefit, or b) Whether the mendacity or omissions are relevant only in cases where the petitioner´s intention is only to obtain, through them, a benefit otherwise not due” .Sommario: 1. Questione di fatto e di diritto; 1.2 Lo stato dell’arte; 2. Il primo orientamento: lesione del principio antielusivo; 3. Il secondo orientamento: un caso di falso innocuo; 4. Spunti ricostruttivi; 4.1 La proiezione finalistica tra astrazione e concretezza; 4.2 Il bene giuridico tutelato quale valore “pragmatizzante”; 4.3 Il sistema dei controlli 5. Attuale (ir)rilevanza della questione: l’abrogazione del d.l. 4/2019 ex l. 197/2022; 6. Conclusioni.
1. Questione di fatto e di diritto
L'ordinanza in esame trova la propria scaturigine da una delle multiformi casistiche sotto le quali possono manifestarsi le vicende penalmente rilevanti relative al reddito di cittadinanza. In particolare, nel caso di specie, veniva contestato all’indagato di non aver indicato, in seno all’ISEE allegato alla domanda per l’ammissione al reddito di cittadinanza, la titolarità di una quota di proprietà al 50% di sette terreni, quantificabile in oltre € 22.000.
Tale omessa indicazione, secondo l’impianto accusatorio, integrava automaticamente l’illecito di cui all’art. 7 d.l. 4/2019, poichè la fattispecie criminosa, pacificamente “incasellabile” nella categoria dei reati contro la fede pubblica, si perfezionerebbe con la sola presentazione dell’atto deliberatamente mendace o incompleto.
Coerentemente a siffatta convinzione, nel corso delle indagini non venivano effettuati accertamenti dai quali venisse dimostrato che la dichiarazione formalmente corretta, sarebbe stata ostativa rispetto al conseguimento del reddito di cittadinanza, che nel caso concreto veniva erogato all’indagato nella misura di € 4.431,78.
La difesa, nell’atto di ricorso in Cassazione, deduceva la circostanza – invero già portata all’attenzione sia del Tribunale di Ragusa, sia della Corte d’Appello – per cui la falsa attestazione oggetto dell’imputazione non sarebbe stata nei fatti rilevante ai fini dell’erogazione del contributo previdenziale e che pertanto la condotta de qua, in mancanza di puntuali verifiche in tal senso svolte dall’accusa, dovesse ritenersi concretamente inoffensiva. Il reato in esame, in altri termini, poteva essere qualificato come un reato di pericolo concreto e non presunto. In altri termini, pur volendo ritenere che il falso rilevi a prescindere dalla concreta lesione del bene finale che la veridicità del documento mira a tutelare, sarebbe comunque necessaria la sua concreta idoneità ad aggredire quel bene.
1.2 Lo stato dell’arte
Per fornire un quadro quanto più chiaro possibile delle coordinate entro le quali ci si deve muovere, si ritiene preliminarmente opportuno delineare in maniera estremamente sintetica l’iter previsto per richiedere l’erogazione del reddito di cittadinanza. Il richiedente deve innanzitutto compilare una DSU (dichiarazione sostitutiva unica) per poter formare il proprio ISEE (indicatore situazione economica equivalente). Una volta in possesso dell’ISEE del proprio nucleo familiare, questo viene allegato ad una domanda per l’accesso alla misura del reddito inviata ai competenti uffici dell’INPS i quali, dopo una verifica circa la regolarità formale della domanda e la sussistenza dei requisiti di legge, erogano il reddito di cittadinanza nella misura di volta in volta prevista1.
La norma incriminatrice di riferimento è appunto l’art. 7,1 d.l. 4/2019 che risulta così formulato “Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, al fine di ottenere indebitamente il beneficio di cui all'articolo 3, rende o utilizza dichiarazioni o documenti falsi o attestanti cose non vere, ovvero omette informazioni dovute, è punito con la reclusione da due a sei anni”.
Il problema che si è tuttavia posto, sul quale si è imperniato il contrasto giurisprudenziale che ha motivato la rimessione della questione alle Sezioni unite, è che, nella pratica, non è infrequente che le dichiarazioni falsamente attestate o le informazioni omesse non siano in concreto rilevanti ai fini dell’erogazione del reddito di cittadinanza.
Ciò avviene, in sostanza, nel caso in cui le dichiarazioni falsamente attestate o le informazioni omesse non comportano un superamento delle soglie reddituali fissate come limite per l’erogazione della misura assistenziale.
Nei suoi primi arresti giurisprudenziali in tema di reati connessi al reddito di cittadinanza2, la stessa terza Sezione ha avuto modo di affermare come «integrano il delitto di cui all’art. 7 D.L. 4/2019 le false indicazioni o le omissioni, anche parziali, dei dati dichiarati, indipendentemente dalla effettiva sussistenza delle condizioni di reddito per l'ammissione al beneficio ovvero indipendentemente dall'accertamento dell'effettiva sussistenza delle condizioni per l'ammissione al beneficio ed è pertanto legittimo il sequestro preventivo della carta reddito di cittadinanza. Il generale dovere di lealtà dei cittadini verso l'amministrazione consente l'anticipazione della tutela penale attraverso l'utilizzazione dello strumento del reato di pericolo»3.
Successivamente due sentenze “gemelle” della medesima Sezione4 hanno rigettato i ricorsi presentati da marito e moglie, ai quali veniva contestato di aver, in concorso tra loro, attestato falsamente lo stato di disoccupazione del marito che in realtà, alla data di presentazione delle domande per il reddito di cittadinanza, svolgeva attività lavorativa per un importo pari a € 180,00 settimanali. I giudici, nell’adottare tali decisioni, richiamano le considerazioni che dottrina e giurisprudenza avevano sviluppato negli anni in tema di reati contro la fede pubblica. Segnatamente, viene riaffermata la natura plurioffensiva dei reati di falso, i quali non offendono solamente il bene giuridico finale nei confronti del quale l’atto falso o mendace si pone in rapporto di strumentalità, ma che si riverberano sul rispetto del generale “principio antielusivo”5.
Al fine di corroborare tali considerazioni, viene specificamente richiamata la giurisprudenza in tema di false dichiarazioni nella richiesta di ammissione al gratuito patrocinio ex art. 95 D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115; così «lasciando intendere che la realizzazione di una falsità da parte del soggetto richiedente integra il reato de quo a prescindere dall’effettiva sussistenza delle condizioni previste dalla legge per l’erogazione del beneficio»6. La Corte ribadisce quindi come il reato di cui all’art. 7,1 d.l. 4/2019 sia un reato di condotta e di pericolo, per la cui integrazione non è richiesto che le false od omesse dichiarazioni rilevino, in concreto, sull’erogazione del reddito di cittadinanza, non ritenendo ostativo a tale interpretazione né l’inciso “al fine di ottenere indebitamente il beneficio” né tanto meno la formulazione “informazioni dovute e rilevanti ai fini della revoca o della riduzione del beneficio”.
A tale indirizzo ermeneutico si conformano, pur nella diversità delle fattispecie le pronunce successive7 fino a quando, sempre la terza Sezione – in una nuova composizione del collegio – torna ad occuparsi della questione. Con un revirement sorprendente, la terza Sezione sposa l’opposta teoria, di stampo marcatamente sostanzialista, affermando il necessario rapporto di strumentalità che deve rinvenirsi tra le condotte ex art. 7,1 e l’indebita percezione del reddito. La pronuncia8, a voler esser precisi, rigetta le doglianze sollevate dall’imputata avverso l’applicazione di una misura cautelare reale. Ciò avviene solo perché, nel caso di specie, il giudizio sull’incidenza delle informazioni omesse sulla percezione del reddito – e cioè lo stato detentivo del padre dell’indagata che si sarebbe protratto fino al luglio 2027 – doveva ritenersi assolto positivamente sulla base delle risultanze investigative. E se è vero che in materia di misure cautelari reali è sufficiente il fumus commissi delicti senza che si debbano ricercare gravi indizi di colpevolezza9, i giudici non si lasciano sfuggire una censura all’orientamento fin’ora assolutamente prevalente affermando come «il Tribunale di Ragusa [...] erroneamente, ad avviso di questo collegio, ha ritenuto non necessaria una specifica indagine in ordine alla legittimità sostanziale dell’accesso […] al beneficio del “reddito di cittadinanza”, cioè in ordine alla sussistenza delle condizioni reddituali necessarie».
La posizione adottata in questa pronuncia – rimasta abbastanza isolata, ad onor del vero – ha manifestato comunque un’intrinseca solidità strutturale che ha recentemente indotto la terza sezione della Cassazione, in una composizione ancora differente, a rimettere la questione alle Sezioni unite, con ordinanza nr. 25588 del 11/01/2023, affinché risolvessero il contrasto sopra esposto. Per meglio comprendere l’antinomia registratasi tra i due indirizzi della Cassazione, è tuttavia opportuno esaminare in maniera più approfondita le coordinate di riferimento di entrambi gli orientamenti.
2. Il primo orientamento: lesione del principio antielusivo
Il primo orientamento maturato in seno alla giurisprudenza di legittimità, sino alla citata Cass. Pen. Sez. III, n. 44366 del 15/09/2021, Giulino, RV. 282336-01, sembrava invero destinato a cristallizzarsi come ius receptum. E questo non solo perché ad analoghe – e pressoché indiscusse – conclusioni era giunta la richiamata giurisprudenza in tema di falso per l’ammissione al gratuito patrocinio, ma pure perché si diceva che in fondo tale posizioni costituissero il logico sviluppo dei criteri elaborati in via dottrinale e giurisprudenziale in tema di reati contro la fede pubblica.
Il punto di riferimento nell’interpretazione della questione è indubbiamente la sentenza delle Sezioni Unite nr. 46982 del 18/12/2007. La vicenda processuale originava dal ricorso presentato da una società che, dopo aver presentato un esposto-denuncia contro ignoti, avanzava opposizione ex art. 410 c.p.p. a fronte della richiesta di archiviazione presentata dal PM, senza che tuttavia il G.I.P. fissasse udienza camerale per decidere sull’archiviazione stessa. Il punto sul quale sussisteva un contrasto giurisprudenziale era, in estrema sintesi, se i delitti di falso potessero intendersi quali delitti plurioffensivi, tali da esprimere una capacità lesiva, anche solo potenziale, di più beni giuridici: quello strumentale della veridicità dell’atto e quello, finale, del bene che la falsificazione dell’atto è orientata a conseguire o evitare10.
Parte della giurisprudenza, opinando in senso difforme, sosteneva invece che «il bene giuridico protetto nelle falsità documentali sia la fede pubblica e in essa si esaurisca»11, ritenendo quindi legittimo l’operato del G.I.P. che aveva disposto l’archiviazione con sentenza emessa de plano.
Le Sezioni unite, ripercorso il dibattito in materia e valorizzando i profili sostanziali della fattispecie di falso, hanno sposato definitivamente una concezione plurioffensiva dei reati di falso, osservando che «il falso non risulti quasi mai fine a se stesso, costituendo, il più delle volte, solo il mezzo per conseguire altro obiettivo che costituisce il vero scopo rispetto alla "immutatio veri". Ed è stato quindi sottolineato che, se il perseguimento di tale fine si riflette in modo incisivo sulla sfera giuridica di un soggetto, non è possibile ignorare, sul piano giuridico, tale ulteriore conseguenza, e non consentire, al soggetto che quella "immutatio veri" ha concretamente subito, di dialogare nel processo con una veste qualificata»12. Se ne desume pertanto «che ai delitti contro la fede pubblica debba riconoscersi, oltre ad un'offesa alla fiducia che la collettività ripone in determinati atti, simboli, documenti, etc. - bene oggetto, senza dubbio, di primaria tutela dei delitti in argomento - anche una ulteriore e potenziale attitudine offensiva, che può rivelarsi poi concreta in presenza di determinati presupposti avuto riguardo alla reale e diretta incidenza del falso sulla sfera giuridica di un soggetto il quale, in tal caso, è di conseguenza legittimato a proporre opposizione contro la richiesta di archiviazione»13.
Tali considerazioni sono confluite in maniera abbastanza lineare nelle pronunce che per quasi tre anni, a partire dal 2019, si sono occupate dei falsi in materia di reddito di cittadinanza14, nelle quali veniva affermato come, per l’art. 7 d.l. 4/2019 «la punibilità del reato di condotta si rapporta, ben oltre il pericolo di profitto ingiusto, al dovere di lealtà del cittadino verso le istituzioni dalle quali riceve un beneficio economico». In sostanza i riferimenti alle finalità “di ottenere indebitamente il beneficio” o piuttosto “alle informazioni dovute e rilevanti” devono essere intesi «come diretti a qualificare i dati che sono in sé rilevanti ai fini del controllo, da parte dell’amministrazione erogante, sulla sussistenza dei presupposti per la concessione e il mantenimento del beneficio e a differenziarli da quelli irrilevanti, senza che possa essere lasciata al cittadino beneficiario la scelta su cosa comunicare e cosa omettere»15.
Il meccanismo normativo veniva ulteriormente esplicato chiamando in causa il principio antielusivo (cfr. Cass. Pen. Sez. IV, sent. nr. 18107 del 16/03/2019 rv. 269806) in virtù del quale proprio il trattamento favorevole che lo Stato si accinge ad erogare al cittadino genera in capo a quest’ultimo un onere di veridicità e lealtà particolarmente rigoroso, tale per cui le falsità/omissioni a questi imputabili sarebbero già di per sé stesse idonee a ledere questo rapporto fiduciario “rafforzato” con l’istituzione pubblica.
3. Il secondo orientamento: un caso di falso innocuo
La tesi opposta si fonda invece su una lettura più stringente del principio di offensività, che indurrebbe a ritenere punibili ex art. 7 d.l. 4/2019 solo quelle condotte cui effettivamente segua l’erogazione del reddito di cittadinanza. Secondo questa impostazione, al netto della (ormai) conclamata natura plurioffensiva dei reati contro la fede pubblica, non potrebbero parimenti dirsi superate le categorie dogmatiche del falso innocuo e, soprattutto, del falso grossolano16. La posizione è ben espressa da un’ulteriore pronuncia della Cassazione17, richiamata nella stessa ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite. Punto nevralgico del ragionamento addotto sia da quest’ultima sentenza, sia da Cass. Pen. Sez. III, n. 44366 del 15/09/2021, Giulino è la piena valorizzazione dell’espressione “al fine di ottenere indebitamente il beneficio economico”. Si afferma, in altri termini, che «la finalizzazione della condotta non può ridursi alla verifica dell'atteggiamento psicologico tenuto dal soggetto agente, indipendentemente dall'idoneità della condotta nel perseguire l'obiettivo descritto dalla norma (id est, l'indebito ottenimento della prestazione), risultando più aderente ad una concezione del principio di offensività coerente con i canoni costituzionali […] lettura della fattispecie incriminatrice in termini di reato di pericolo concreto, dovendosi apprezzare la capacità della condotta nell'incidere sulla rappresentazione, falsata e astrattamente idonea ad attribuire all'agente il possesso di requisiti mancanti per fruire della misura in esame»18.
È la stessa ordinanza di remissione che peraltro riporta le considerazioni svolte da queste due pronunce, le quali ribaltano i termini del paragone con la disciplina delle falsità nelle dichiarazioni per l’ammissione al gratuito patrocinio. Viene infatti affermato che tra le due discipline, nonostante una certa somiglianza tra le due fattispecie di cui agli artt. 7 d.l. 4/2019 e 95 D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, vi sarebbe una differenza strutturale proprio perché in questa norma mancherebbe una previsione di dolo specifico orientato al conseguimento del beneficio19.
Tali conclusioni sarebbero ulteriormente corroborate dal fatto che la trasmissione all’autorità giudiziaria degli atti e della documentazione relativi a controlli svolti da Comuni, INPS, Agenzia delle Entrate, Ispettorato Nazionale del Lavoro è prevista per i soli casi in cui siano emerse irregolarità e nei quali, tuttavia, sia stato conseguentemente accertato l’illegittimo godimento del Rdc (ex art. 7,14). In breve: qualora si sposasse la tesi della rilevanza penale del “mero falso” nella dichiarazione, non essendo prevista la trasmissione per casi di irregolarità nei quali però i richiedenti non abbiano in conclusione percepito il reddito, si ammetterebbe che enti pubblici a conoscenza di fatti costituenti reato perseguibile d’ufficio potrebbero scegliere di non informare l’autorità giudiziaria.
4. Spunti ricostruttivi
4.1 La proiezione finalistica tra astrazione e concretezza
Nell’analizzare le prospettive di risoluzione della questione, si ritiene opportuno partire proprio dall’analisi del reato e, segnatamente, dell’inciso “al fine di ottenere indebitamente il beneficio economico”. La fattispecie di cui all’art. 7,1 d.l. 4/2019 è indubbiamente un reato di condotta e di pericolo20, caratterizzato da un dolo specifico che in questa sede appare convincentemente riconducibile nella sottocategoria del “dolo differenziale”21. La finalità sarebbe, in altri termini, quella di circoscrivere una speciale fattispecie di falso rispetto a quelle generiche rinvenibili nel codice, prevedendo per la stessa un trattamento sanzionatorio assai più rigido.
La formulazione della norma comunque resta connotata da una sua intrinseca infelicità. Da un lato la delimitazione del campo applicativo mediante l’introduzione di una clausola finalistica appare inevitabile: si sarebbe potuta formulare la norma circoscrivendone l’applicazione ai falsi o alle omissioni “rinvenibili nella richiesta presentata per l’ammissione al reddito” o utilizzando espressioni ancora più “vaghe”. Tuttavia sarebbe comunque rimasto sempre il rischio di inserirvi un elemento richiamante il dolo specifico, a costo di sacrificare una quota più o meno ampia di tassatività e determinatezza della fattispecie.
Dall’altro l’espressione, soprattutto nell’interpretazione che ne fa la giurisprudenza dalla quale è scaturito il contrasto che fonda l’ordinanza di remissione, è inutile: chiunque presenti la richiesta per accedere al beneficio lo fa con questo animus, a prescindere che concretamente vi possa accedere o meno, rientrando al più quest’ultimo caso in un’ottica di dolo eventuale22. Si tratterebbe pertanto «di un delitto la cui soglia di consumazione è anticipata alla mera condotta, che si realizza con l’utilizzazione di dichiarazioni o documenti mendaci, anche omissive. Non si richiede l’erogazione della misura che invece rileva dal punto del dolo specifico ossia della direzione dell’elemento soggettivo (al fine di)»23.
Di contro, ritenendo necessario che le falsità/omissioni influenzino in concreto l’erogazione del beneficio, si rischierebbe di trasferire un elemento espressamente descritto come psicologico (il fine), in un elemento oggettivo della fattispecie (il profitto che devo ottenere) il cui conseguimento verrebbe quasi a costituire l’evento della condotta di falsa attestazione24. In breve: se il legislatore avesse voluto creare una norma a disvalore d’evento lo avrebbe dovuto fare adottando una diversa formulazione inserendo apertamente il conseguimento del reddito o come condizione obiettiva di punibilità o, meglio ancora, come evento in senso naturalistico in rapporto di causalità con le attestazioni mendaci o incomplete.
4.2 I risvolti pratici nella tutela del bene pubblico
Per quanto riguarda la dimensione applicativa della questione, la stessa assume rilevanza in due situazioni: a) richiedente che ha diritto al beneficio ma presenta una dichiarazione falsa/inesatta a fronte della quale comunque viene erogato l’emolumento; b) richiedente che non ha diritto al beneficio ma presenta una dichiarazione falsa/inesatta che comunque non riesce a fargli erogare il reddito di cittadinanza. Se si volessero far rientrare i casi sub a nella categoria del falso innocuo o inutile, in quanto carenti di offensività, il problema principale sarebbe appunto il dover sovvertire l'insegnamento tradizionale sulla plurioffensività dei reati di falso (e qui non resta che attendere la pronuncia delle Sezioni Unite).
Per le condotte sub b la questione è diversa. Ancorché le situazioni, in concreto esprimano un disvalore praticamente nullo – beninteso, ove se ne voglia ancorare l'offensività all’effettivo ottenimento del reddito, per cui chi ha diritto lo ottiene, chi non ha diritto non lo ottiene – la condotta di chi, non avendo diritto alla misura, presenti comunque una richiesta “irregolare”, indubbiamente esprime una messa in pericolo di un bene giuridico particolarmente rilevante. Si rischierebbe cioè di lasciare “scoperti” dalla minaccia della sanzione penale tutti coloro che, consci di non avere diritto alla misura, decidessero di provare a conseguirla indebitamente, ottenendo una sorta di depenalizzazione del tentativo25.
E tuttavia questa soluzione potrebbe mal conciliarsi, quantomeno a livello di coerenza sistemica, con l’ineludibile esigenza di tutelare la spesa pubblica riservata alle fasce più deboli rispetto a tentativi di appropriarsene da parte di chi non ne avrebbe diritto.
La piena valorizzazione del bene giuridico fede pubblica potrebbe ancora permettere una risposta differenziata, sul piano dogmatico, delle diverse ipotesi di falso “ininfluente” commesso dall’avente diritto (casistica sub a). Prendiamo quindi come riferimento la condotta, che ipotizziamo sussumibile nello schema dell’art. 7, di Tizio, che avrebbe in concreto diritto a vedersi erogato il reddito di cittadinanza.
A questo punto è dirimente un indagine sull’animus del dichiarante: perché questi avrebbe presentato una domanda “irregolare”, pur avendo diritto alla misura? O lo ha fatto a1) perché, conscio di avere diritto, ha omesso informazioni che egli riteneva irrilevanti, oppure a2) perché serbava il dubbio che, fornendo un’attestazione completa e veritiera della propria situazione patrimoniale, non avrebbe conseguito il reddito, o, ancora, a3) perché riteneva erroneamente di non aver diritto alla misura e sperava di conseguirla mediante la falsa dichiarazione.
Qualora si volesse optare per una ricostruzione incentrata sul bene giuridico “finale” (l’erogazione della misura spettante), si fornirebbe una soluzione indifferenziata a condotte che esprimono un disvalore variegato. La casistica “a1” costituisce probabilmente un’ipotesi di errore sulla portata dell’obbligo dichiarativo da parte di un soggetto che comunque potrebbe dirsi in buona fede, mentre le casistiche sub “a2” e “a3”, descrivono un soggetto che in virtù di un errore o un dubbio (al quale comunque il) sulla spettanza della misura, decida di dichiarare una falsità contra ius. Sono forme di manifestazione del reato nelle quali la violazione degli obblighi dichiarativi fissati ex lege è dall’agente voluta e rappresentata come illecita.
Sui profili di colpevolezza, si ritiene che tutte queste condotte finirebbero comunque per rientrare nel campo applicativo dell’art. 5 c.p., vista la linea interpretativa dettata dalla giurisprudenza prevalente che ha praticamente «vanificato la portata dell’art. 47 comma 3 c.p.»26.
Tuttavia, si potrebbe osservare, se l’intento era quello di fornire una risposta sanzionatoria meno indistinta rispetto al “mai punibile” del falso concretamente ininfluente, valorizzando l’autonomia del bene giuridico “fede pubblica”, si finirebbe semplicemente per affermare la punibilità (quasi) incondizionata di tutte queste condotte.
Invece lo step successivo dovrebbe essere il recupero di quella giurisprudenza che, in materia di false dichiarazioni per l’accesso al gratuito patrocinio, aveva spostato l’indice della punibilità su una verifica del coefficiente psicologico del dichiarante in relazione alle falsità.
Il riferimento è ad una pronuncia del 2018 che, dopo aver ribadito gli stringenti approdi giurisprudenziali in tema di errore sulla legge extrapenale in relazione ai reati di falso, passa ad affermare come «non può ritenersi l'assoluta irrilevanza della inidoneità della falsa dichiarazione a determinare effetti favorevoli al dichiarante, perché essa può rappresentare, in via astratta, segno di una condotta colposa, come tale estranea al dolo. La necessità del dolo generico esclude che si possa rispondere per un difetto di controllo, che in termini giuridici assume necessariamente le fattezze della condotta colposa, salva l'emersione di un dolo eventuale. Dolo eventuale che tuttavia non può essere evocato alla stregua di una formula "di chiusura", per sottrarsi al puntuale accertamento giudiziario»27. La concreta rilevanza penale delle condotte di falso andrebbe più convincentemente accertata in concreto, caso per caso, tramite un’indagine «volta a ricostruire l'iter e l'esito del processo decisionale, può fondarsi su una serie di indicatori, tra i quali si pongono anche il fine della condotta e la compatibilità con esso delle conseguenze collaterali»28.
4.3 Il sistema dei controlli
Per concludere, residua la questione del “sistema dei controlli” evidenziato nell’ordinanza di rimessione29. Si diceva, sintetizzando, che il d.l. 4/2019 prevedesse un sistema di trasmissioni automatiche di documenti all’A.G. solo nel caso in cui dal controllo delle posizioni dei percettori fosse emersa l’indebita percezione del reddito di cittadinanza e non la mera irregolarità formale.
L’argomento appare spinoso ma potrebbe risolversi leggendo il comma 14 dell’art. 7 in un’ottica di deflazione dell’azione penale e di coerenza interna del sistema giuridico. L’obbligo di trasmissione della documentazione è infatti circoscritto alle sole ipotesi di indebito conseguimento accertato quale conseguenza delle falsità o delle informazioni omesse in sede di presentazione della domanda.
Sarebbero pertanto escluse da questo obbligo di trasmissione all’A.G. sia la documentazione in cui l'indebita percezione – al netto delle falsità eventualmente attestate – dipenda da errori dell’ente erogatore sia, soprattutto, la documentazione relativa a percettori sulle cui posizioni gli organi competenti ivi menzionati stiano ancora facendo verifiche. La disposizione in esame potrebbe quindi esprimere un vincolo circa l’accertamento definitivo sulla correlazione tra eventuali irregolarità nella domanda e la percezione indebita del reddito di cittadinanza, senza che gli uffici di Procura debbano trovarsi ad aprire indagini con esiti potenzialmente divergenti da quelli del relativo procedimento amministrativo30. Immedesimandosi per un momento nel percettore tacciato di aver indebitamente goduto del beneficio in esame, se ne potrebbe facilmente avvertire la potenziale – e crescente – sfiducia nell’ordinamento che da un lato contesta un’indebita percezione nell’an o nel quantum e, parallelamente – magari prima ancora che ci si possa difendere nelle opportune sedi – finisce per avviare un’indagine sui medesimi fatti. Se è vero che la posizione del quisque de populo va tenuta in una considerazione sempre relativa, onde evitare (rectius: limitare) fenomeni di populismo giuridico, l’esigenza di garantire una coerenza di fondo al sistema giuridico, specialmente ove questo svolga anche attività punitiva, è stata evidenziata a più riprese dalla dottrina più attenta31.
5. Attuale (ir)rilevanza della questione: l’abrogazione del d.l. 4/2019 ex l. 197/2022
La questione sinora descritta rischia tuttavia di perdere la propria rilevanza giuridica. Nelle more del giudizio pendente di fronte alle sezioni unite è infatti stata promulgata la L. 29 dicembre 2022, n. 197 (c.d. legge bilancio 2023) che all’art. 1 comma 318, ha disposto l’abrogazione del d.l. 4/2019 a far corso dal gennaio 2024. Dai primi commenti32 alla novella legislativa, emerge la necessità di misurarsi con le numerosi questioni di diritto intertemporale che la stessa pone, e che di seguito si tenterà di compendiare, meritando le stesse un’analisi ben più approfondita.
Va innanzitutto compreso se la legge di bilancio, pacificamente inquadrabile in questo caso quale norma abrogatrice, debba ritenersi operante già da ora o solo a partire dalla sua entrata in vigore differita (alla data del 01/01/2024). Ci si chiede quindi se le condotte poste in essere nell’arco temporale che va dalla pubblicazione della l. 197/2022 all’abrogazione del d.l. 4/2019, siano ancora inquadrabili nelle fattispecie di cui all’art. 7 commi 1 o 2 oppure no; rispondere in maniera affermativa significherebbe ammettere che un soggetto sia punito per una condotta che potrebbe essere ritenuta non più illecita nel giro di un anno, aprendo a questioni di legittimità costituzionale subito dopo la formale abrogazione della norma. La giurisprudenza sul punto è divisa. Un primo orientamento, che fa capo a Cass. Pen. Sez. I, sent. n. 53602 del 18/05/2017, Carè, (Rv. 271639)33, sposa una visione “sostanzialista” della successione di leggi in ossequio al favor rei, individuando in qualsiasi fenomeno di esplicita successione normativa il presupposto per un’automatica applicazione della lex mitior ex art. 2,4 c.p.. Nel caso di specie la Corte giunge ad affermare che «in tema di abolitio criminis, è legittima la sentenza d'appello che non confermi la condanna per un reato che, al tempo della decisione, risulti abrogato, nonostante al momento della adozione della decisione non sia ancora interamente decorso il periodo di vacatio legis ai sensi dell'art. 10 delle preleggi e dell'art. 73, comma 3, Cost., in quanto la funzione di garanzia per i consociati, che è perseguita dalla previsione del suddetto termine volto a permettere la conoscenza della nuova norma, non comporta anche il perdurante dovere del giudice di applicare una disposizione penale ormai abrogata per effetto di una successiva norma già valida»34.
La giurisprudenza di legittimità giunge invece a considerazioni opposte – che si ritiene in questa sede di condividere – nella recente pronuncia Cass. Pen., Sez. V, sent. n. 45104 del 4/11/2022, Cipolla. L’iter argomentativo ha l’indubbio merito di restituire centralità all’attività del legislatore, riconoscendo che il periodo di vacatio legis (forse, in riferimento all’abrogazione differita del d.l. 4/2019 sarebbe più corretto parlare di dilatio legis) non abbia una funzione meramente formale, ma costituisca piuttosto un momento genetico della norma durante il quale è concesso al legislatore modificarla o, addirittura, abrogarla prima della sua entrata in vigore35. La necessità di limitare le possibilità del sindacato del giudice, pure se in bonam, ai casi di successione “non immediata” di norme, discende proprio dal rispetto del principio di riserva di legge; la sentenza “Cipolla” evidenzia infatti come nel valutare l’applicabilità della lex mitior non si può fare a meno di rispettare la voluntas legis, soprattutto nei casi in cui «è il legislatore che ha statuito un differimento temporale [...] sulla base di una norma che il giudice non può certo disapplicare»36.
La questione ancora più importante, ai fini dell’attesa pronuncia delle Sezioni unite oggetto della presente trattazione, è capire se ed in quali termini la l. 197/2022 dia luogo ad un’abolitio criminis ex art. 2,2 c.p. o se piuttosto si assista ad un fenomeno di abrogatio sine abolitione riconducibile all’art. 2,4 c.p..
Dottrina e giurisprudenza hanno dato, negli anni, un contributo fondamentale nel perimetrare efficacemente i contorni di questo meccanismo che, a livello concettuale, si impernia sulla distinzione tra norma e disposizione37; va verificato se il legislatore, nella sua attività, abbia inteso rimuovere dall’ordinamento una specifica disposizione di legge o se invece abbia voluto espungere dall’area del penalmente rilevante una specifica fattispecie. Ciò che si rivela dirimente, e questo ce lo dice anche la giurisprudenza, è effettuare tra le due fattispecie un «confronto strutturale tra fattispecie legali astratte»38, il quale tuttavia non preclude una valutazione sul «bene giuridico protetto [...] idonea ad evidenziare aspetti formalmente non espliciti della stessa struttura del reato»39.
Il punctum pruriens è capire quale sia il reato “generale” rispetto al quale l’art. 7 d.l. 4/2019 si poneva in rapporto di specialità e soprattutto quale reazione potrebbe riscontrarsi nella giurisprudenza penale. Le tematiche, apparentemente diverse, potrebbero invece condividere un particolare trait d’union. La prima disposizione che viene alla mente – anche solo guardando alla formulazione letterale – è l’art. 316-ter c.p., rispetto al quale l’art. 7 costituisce chiaramente una specificazione; ed è proprio in punto di formulazione che si gioca una partita decisiva sul piano della punibilità. Entrambe le fattispecie si aprono infatti con una clausola di riserva: quella dell’art. 7 è generica (“salvo che il fatto non costituisca più grave reato”), quella dell’art. 316-ter invece in espresso favore dell’art. 640-bis c.p.. Il trend accusatorio registrato, ancorché non in maniera uniforme ed al netto di alcune critiche di matrice prevalentemente dottrinale, è stato in ogni caso quello di contestare congiuntamente i reati di cui all’art. 7 d.l. 4/2019 e art. 640 bis c.p. in maniera congiunta, spesso legati dal vincolo della continuazione ex art. 81,2 c.p.40. I giudizi relativi a false dichiarazioni per il conseguimento del reddito continuano - e continueranno anche post riforma - ad essere ricondotti nel campo applicativo del 640 bis c.p.41 con la differenza che in questo caso ci si trova pacificamente di fronte ad un reato di danno contro il patrimonio nel quale la condotta ingannatrice della fede pubblica è solo strumentale rispetto al bene giuridico tutelato, non assumendo valore proprio. Il passaggio da una norma incriminatrice a tutela della fede pubblica ad una che presidia il patrimonio pubblico, escluderebbe la rilevanza penale delle falsità e delle omesse indicazioni concretamente irrilevanti ai fini dell’ erogazione del reddito a meno che non venga contestata anche una ulteriore ipotesi di falso ex 483 c.p..
A conclusioni ancor più favorevoli si giunge anche ove si prenda in considerazione l’art. 316-ter c.p. che, per pacifico insegnamento di dottrina e giurisprudenza, assorbe il reato di falso ex art 483 in quanto questo ne costituisce una modalità consumativa42. Riflettendo sulla concreta punibilità delle condotte di falso, in riferimento all’art. 316-ter, va inoltre tenuto a mente che «la giurisprudenza ha escluso ai fini della integrazione del reato di cui all’art. 316-ter c.p. che la soglia di rilevanza penale possa essere computata tenendo conto dell’entità dell’intero contributo erogato, rilevando al contrario l’ammontare di ciascun rateo»43. Poiché la legge fissa la somma massima erogabile mensilmente in € 780,00 (€ 9.360 annui), diviene de facto impossibile applicare il primo comma della norma che quindi vedrà limitato il suo potenziale sanzionatorio alla mera contravvenzione amministrativa di cui 316-ter,2.
6. Conclusioni
Quale panorama normativo ci si può quindi aspettare nei mesi a seguire? A prescindere dal filone ermeneutico che le Sezioni unite sceglieranno di seguire, il trattamento sanzionatorio delle condotte di falsità irrilevanti ai fini dell’indebita erogazione del reddito di cittadinanza sembra andare incontro ad un significativo ridimensionamento.
Se le Sezioni unite sposeranno la tesi tradizionale della plurioffensività dei reati di falso, ritenendo quindi penalmente rilevanti le falsità inidonee ad incidere sul conseguimento del reddito, troverà applicazione l’art. 7 fino alla data del 1/01/2024, dopo la quale le medesime condotte saranno sanzionate secondo il più favorevole art. 483 c.p., con il solo limite delle sentenze passate in giudicato. Se invece venisse accolto l’orientamento minoritario dal quale è scaturito il contrasto giurisprudenziale in esame, le false/omesse dichiarazioni irrilevanti ai fini dell’erogazione del reddito diverrebbero fatto penalmente lecito e si potrebbe assistere al venir meno dell’intera punibilità della categoria dei falsi “inoffensivi” (sarebbe probabilmente più corretto parlare di falsi “mono-offensivi”) rispetto al bene finale44.
1Per una spiegazione più precisa e dettagliata si vedano le “Linee guida per la definizione degli strumenti operativi per la valutazione multidimensionale e per la definizione dei patti per l’inclusione sociale” pubblicate dal Ministero del Lavoro nell’agosto 2019, disponibili online su https://lavoro.gov.it/.
2Cass. Pen. Sez. III, n. 5289 del 25/10/2019, Sacco, Rv. 278573 e Cass Pen. Sez. III, n. 30302 del 15/09/2020, dep. 2/11/2020.
3Ibidem.
4Cass. pen., sez. III, nn. 5289 e 5290 del 10/02/2020.
5E cioè sul rispetto di un rapporto di fiducia e lealtà intercorrente tra il cittadino e lo Stato, che risulta ancor più meritevole di tutela nel momento in cui le istituzioni interessate stiano erogando un trattamento favorevole, patrimoniale o assistenziale, verso il soggetto. Se nel settore penale l’affermazione di tali riflessioni, vista l’anticipazione della tutela che esse comportano, ha richiesto più tempo e non è ancora scevra da dibattiti, nel settore tributario costituisce ormai un patrimonio acquisito cfr. BETTI R., SBARAGLIA G., L’abuso del diritto in materia tributaria: la giurisprudenza comunitaria, in Il fisco n. 39/2011, fascicolo n. 1, pagg. 6381 e seguenti.
6GIRALDI A., Reddito di cittadinanza e simbolismo strumentale: un’auspicabile deframmentazione del diritto penale, in Connessioni di diritto penale, a cura di MASSARO A., RomaTrE-Press, Roma 2020, pp. 96-106.
7Ex multis Cass. Pen. Sez. III, n. 5309 del 24/09/2021, Tuono; Cass. Pen. Sez. III, n. 1351 del 25/11/2021, Lacquaniti.
8Cass. Pen. Sez. III, n. 44366 del 15/09/2021, Giulino, RV. 282336-01.
9Acquisizione ormai pacifica sia in giurisprudenza (Cass. Pen., sez. V, n. 8217 del 15/01/2018 e Sez. III, n. 58008 del 11/10/2018) che in dottrina, cfr. MORSELLI C., Le Sezioni Unite riaffermano il modello dell’appello cautelare incondizionato avverso il sequestro preventivo, senza effetti preclusivi per omesso riesame, in Processo penale e giustizia, nr. 3/2019, pp 684-715.
10In tale senso, ex multis, Cass. Pen,. Sez. V, n. 28712 del 04/07/2005, p.o. Moscato ed altri, dep. 29/07/2005, rv. 232205 e Sez. V, 13/06/2006, p.o. Ziino, dep. l’11/09/2006, rv. 235146, nella quale si afferma come «la facoltà di proporre opposizione alla richiesta di archiviazione spetta anche al denunziante qualora, in relazione al caso concreto, si accerti che la falsità abbia leso anche la sfera giuridica dei soggetti nei cui confronti l'atto, il documento o la falsa dichiarazione vengono fatti valere, trattandosi di reati plurioffensivi», imponendo una verifica caso per caso circa la concreta offensività espressa dal falso. Da ultimo la sentenza Ongaro (Sez. V, 19 settembre p.o. in proc. Ongaro 2005, dep. il 22 novembre 2005, rv. 232442), la quale, in tema di commercio di prodotti con segni falsi, sosteneva che «il titolare del marchio contraffatto è persona offesa dal reato posto che la norma di cui all'art. 474 cod. pen., oltre alla fede pubblica, tutela anche il diritto all'esclusiva del legittimo titolare: ne consegue che questi, nell'ipotesi di richiesta di archiviazione, ha diritto a ricevere l'avviso di cui all'art. 408 cod. proc. Pen».
11Così Cass. Pen. SS. UU. Sent. nr. 46982 del 18/12/2007 richiamando poi la giurisprudenza attestatasi su queste posizioni: Cass. Pen. Sent. Zaccaria Sez. V, 19/09/2005, p. o. in proc. Zaccaria, dep. il 16/12/2005, rv. 233208; sentenza Erdas, Sez. V, 17/02/2005, dep. il 24/03/2005, n. 11669, rv. 231497; sentenza Scarano, Sez. V, 19/11/2005, p.o. in proc. Scarano, dep. il 16/12/2005, rv. 233204 e, da ultimo segnalando la anche la sentenza Reggiani (Cass. Pen. Sez. V, 15/01/2007, dep. 9/022007, rv. 235864), la quale, in tema di falso in testamento olografo, afferma che nei delitti contro la fede pubblica «deve comunque ritenersi che, solo quando si tratti di reati non perseguibili d'ufficio, il riconoscimento della legittimazione a proporre la querela possa comportare l'equiparazione del danneggiato alla persona offesa anche ai fini processuali», valorizzando il regime di procedibilità della specifica fattispecie di falso.
12Cass. Pen. SS. UU. Sent. nr. 46982 del 18/12/2007.
13Ibidem.
14In primis la già menzionata Cass. Pen. Sez. III, n. 5289 del 25/10/2019, Sacco, Rv. 278573, richiamata sistematicamente dalle pronunce che l’hanno seguita.
15Ibidem.
16Per la distinzione dogmatica cfr. MANNA A., Aspetti problematici dei delitti di falso, in Arch. Pen. nr. 3, 2021 «Il falso grossolano è quel falso che, proprio per la sua “fattura”, non è capace di ingannare alcuno [...] Innocuo è un falso che riguarda un documento che non ha idoneità ad aggredire gli interessi dallo stesso potenzialmente minacciati, per cui la disposizione necessita dell’ancoraggio al caso concreto per inverarsi in norma (non punibile)» mentre il c.d. falso inutile afferisce le falsificazioni di atti o documenti «che sono irrilevanti od ininfluenti ai fini della decisione che, nel caso concreto, si deve assumere».
17Cass. Pen., Sez. II, Sent. Nr. 29910 del 08/06/2022 richiamata nella stessa ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite.
18Ibidem.
19«Muovendo proprio dal raffronto tra la disciplina in materia di gratuito patrocinio (art. 95 del d.P.R. n. 115 del 2002) che mai richiama una finalità ulteriore rispetto alla mera consapevolezza e volontà di rendere una falsa dichiarazione, e la norma de qua che richiede, invece, che attraverso tale condotta si sia perseguito il fine di accedere "indebitamente" ad un beneficio, si afferma che attraverso l'espresso utilizzo dell'avverbio suddetto il legislatore abbia inteso "fare riferimento non tanto ad una volontà dell'agente di accesso al beneficio messa in atto non iure, cioè in assenza degli elementi formali che avrebbero consentito l'erogazione, quanto ad una volontà diretta ad un conseguimento di esso contra jus, cioè in assenza degli elementi sostanziali per il suo riconoscimento» così l’ordinanza in commento.
20Oltre che la giurisprudenza prevalente, anche parte della dottrina si è spesa a favore della ricostruzione quale reato di pericolo presunto.
21Espressione derivante dai più recenti approdi dogmatici in materia, si rimanda a MARINO G.,Il "filo di Arianna”. Dolo specifico e pericolo nel diritto penale della sicurezza, in Dir. Pen. Cont., fascicolo 6/2018, pp 40-64. In tal senso sembrano peraltro esprimersi pure i lavori preparatori al d.l. 4/2019, cfr. Dossier parlamentare del 21/03/2019 D.L. 4/2019 – A.S. 1018-B, online su https://documenti.camera.it/.
22Sulla compatibilità tra reati di falso e dolo eventuale si veda CATERINI M., Il dolo eventuale e l’errore su norma extrapenale nei reati di falso ideologico, in Indice penale, Vol. 10, nr. 1/2007 , pp. 93-128 il cui contributo tratteggia anche alcune problematiche, che potrebbero acquisire ulteriore rilevanza, in riferimento alla conoscibilità della legge extrapenale che concorre a definire la falsità o l’omissione.
23In tal senso RIVERSO R., Reddito di cittadinanza: assistenza alla povertà o governo penale dei poveri?, in Questionegiustizia.it, 6 giugno 2019.
24Pure in questo senso sarebbero rinvenibili alcune, deboli, argomentazioni, tra le quali si veda il Dossier parlamentare del 21/03/2019 D.L. 4/2019 – A.S. 1018-B cit. che apre il paragrafo dedicato all’art. 7 in questo modo «L’articolo 7 stabilisce le sanzioni penali per l’indebita percezione del Reddito di cittadinanza nonché le cause di decadenza, ovvero di riduzione del medesimo». Si potrebbe comunque obiettare che i propositi che – in un giudizio di stampo probabilistico – possono aver animato il legislatore, trovano comunque un ostacolo nella formulazione testuale della norma.
25E, paradossalmente, questo non avverrebbe qualora si optasse per la ricostruzione inizialmente elaborata dalla giurisprudenza, in quanto si potrebbe recuperare la dottrina tradizionale (cfr. MARINUCCI G., DOLCINI E., GATTA G.L., Manuale di diritto penale, XI ed., Giuffrè, Milano, 2022, pp. 572-573), fortemente critica circa la possibilità di ipotizzare tentativi nei reati a dolo specifico, nei quali il disvalore venga proprio espresso dal fine perseguito. Mentre il problema si può porre sopratutto ove “l’indebito conseguimento” venga traslato – più o meno espressamente – nell’alveo degli elementi oggettivi della fattispecie.
26Espressione di GIOVAGNOLI R., Manuale di diritto penale parte generale, II ed., Ita Edizioni, Torino, 2021, p. 584. Si veda anche Cass. Pen., Sez. VI, sent. n. 33590 del 03/09/2012 (ud. 15 giugno 2012) in https://www.giurisprudenzapenale.com/. Pertanto l’agente vedrà esclusa la sua colpevolezza solo in caso di errore scusabile (o inevitabile) nei modi e termini sanciti dalla celebre sentenza nr. 364’/88 della Corte Costituzionale; tale principio peraltro vale anche in caso di dubbio «sull’esistenza o sui contenuti del precetto» (MARINUCCI, DOLCINI, GATTA, Manuale, cit., p. 469 con la giurisprudenza ivi richiamata), come nel caso sub “a2”.
27Cass. Pen. Sez. IV, sent. nr. 4623 del 31/01/2018.
28Ibidem richiamando, con i dovuti distinguo, gli insegnamenti delle Sezioni Unite nella vicenda Thyssenkrupp.
29Vedi supra §3.
30Soprattutto considerando che questo iter amministrativo di controllo e, quindi, di recupero delle somme indebitamente percepite, può protrarsi nel tempo soprattutto ove sul punto si sviluppi contenzioso. Si segnala, in questa rivista, CROCE G., La giurisdizione sull'azione di recupero in caso di indebita percezione del reddito di cittadinanza in Riv. Cammino Diritto, Fasc. 03/2023.
31Ed invero il penalista dovrebbe avere a cuore il fatto che l’irrogazione di una sanzione avvenga tramite meccanismi giuridici quanto più coerenti possibili, a vantaggio della “comprensibilità” della stessa, indice del relativo potenziale rieducativo. La tensione tra questa esigenza e quella, opposta, di rispettare la “specificità” delle varie branche del diritto è stata abbondantemente trattata in dottrina, cfr. RUGGERI S., I rapporti fra processo penale e altri procedimenti nell’unità dell’ordinamento giuridico, in Dir. Pen. Cont., rivista trimestrale, nr. 4/2015 o CASSATELLA A., Altre note sulle ripercussioni del giudicato amministrativo nel processo penale, in AA. VV., P.A. Persona e Amministrazione vol. X, nr. 1/2022, Urbino University Press, 2022, pp. 59-76.
32GATTA G.L., Reddito di cittadinanza e "abrogatio per aberratio" delle norme penali: tra abolitio criminis e possibili rimedi, in Sist. Pen., fascicolo nr. 3/2023 che esprime un giudizio abbastanza negativo sia sul contenuto della norma che sulla tecnica di legiferazione: «Sembra evidente che l’abrogazione delle norme sanzionatorie di corredo alla disciplina del reddito di cittadinanza sia imputabile a una svista del legislatore, nell’ambito di un provvedimento monstre che, come da prassi ormai invalsa, conta più di novecento commi di un unico articolo, frutto dell’approvazione con il voto di fiducia di un maxi-emendamento del Governo».
33Più recentemente, in senso tendenzialmente conforme, Cass. Pen. Sez. II, sent. nr. 2100 del 19/01/2023.
34 Cass. Pen. Carnè, cit. riportata in GATTA G.L., Abolizione reddito, cit.
35 Situazione peraltro recentemente verificatasi in relazione all’erronea abolizione dell’art. 5 l. 283/1962, vicenda della quale si era occupata Cass. Pen. Sez. III, sent, n. 34395 del 16/06/2021 Dragoti, Rv. 282365, anticipando per certi versi la sentenza “Cipolla”.
36 Anche perché, a meno che essa contrasti con il diritto comunitario, se la norma sulla vacatio fosse sospettata di essere costituzionalmente illegittima, andrebbe sollevata questione di legittimità costituzionale, altrimenti il mero contrasto (presunto) con l’art. 2 c.p. si risolverebbe a favore della norma che disponga la vacatio o per gerarchia (nel caso, ad esempio, dell’art. 73 cost.) o per specialità (come nel caso della legge 197/2022 qui in esame).
37 Si rimanda in particolare a GAMBARDELLA M., Lex mitior e giustizia penale, I ed., Giappichelli, Torino, 2013 che analizzando analiticamente il fenomeno, giunge ad una chiarissima definizione dell’abrogatio sine abolitione quale «espressa abrogazione di una disposizione da cui si ricavava una norma speciale quando nel sistema è presente un’altra disposizione esprimente una norma generale che riespande la sua portata applicativa, così da comprendere la classe dei fatti prima riconducibili alla lex specialis eliminata».
38 Così Cass. Pen. Sez. Un., sent. 24668 del 26/02/2009, “Rizzoli”, nella quale, i giudici di legittimità, superando una volta per tutte il criterio del “prima punibile, poi punibile, quindi sempre punibile”, hanno richiamato la necessità di una valutazione incentrata sulle fattispecie astratte affermando che «L’abrogazione di una norma incriminatrice determina certamente una situazione di c.d. abrogatio sine abolitione, se la scelta legislativa mantiene fermo il disvalore delle classi di fatti conformi alla detta norma, riportandole implicitamente alla disciplina prevista da altra norma preesistente, in rapporto di specialità con la prima».
39 Sent. cit. La valutazione circa l’identità del bene giuridico tutelato tra la norma abrogata e quella “generale” quale criterio per stabilire se vi fosse stata abrogatio sine abolitione è stata storicamente tacciata di eccessiva indeterminatezza. Tuttavia le Sezioni unite “Rizzoli” non lo propongono quale soluzione interpretativa “autonoma”, ma come ulteriore elemento valutativo da tenere in considerazione. In senso analogo GAMBARDELLA M., Lex mitior, cit..
40 Si segnala, per il pregio argomentativo, Sent. 1461/2022 Tribunale di Palermo, Ufficio G.U.P., del 24/11/2022 (dep. 20/01/2023).
41 Non è affatto sopito il dibattito sulla natura di fattispecie autonoma o piuttosto di circostanza aggravante del reato di cui all’art. 640 c.p., sulla questione si rimanda in ogni caso alla nota sentenza “Fedi” (Cass. Pen. SS. UU. sent. 26351 del 10/07/2002).
42 Cass. Pen. SS. UU. Sent. n. 7537 del 16/12/2010 – dep. 25/02/2011, “Pizzuto” e SS. UU., n. 16568 del 19/04/2007, “Carchivi”, Rv. 235962.
43 AFFINITO R., CELLINI M. M., Il reddito di cittadinanza tra procedimento amministrativo e processo penale, in Sist. Pen., Fascicolo 9/2021, pp. 5-18
44 È proprio questa considerazione che induce a ritenere che le Sezioni unite non smentiranno la rilevanza di punire il falso “in quanto tale”, nel rispetto del generale principio antielusivo. Altrimenti si finirebbe per creare un overruling giurisprudenziale in bonam in grado di incidere su una mole colossale di processi pendenti.
Bibliografia
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