Pubbl. Ven, 10 Mar 2023
Il mancato ricorso alla definizione stragiudiziale non giustifica la compensazione delle spese
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Francesco Maria Gesuito
Un commento della recente ordinanza Cass. civ. Sez. VI - Lavoro, ud. 29/09/2022 dep. 25/11/2022, n. 34830, con la quale si afferma che la possibilità, per la parte ricorrente, di esperire un tentativo preventivo, mediante un istituto deflattivo previsto dall´ordinamento, che possa favorire la composizione della lite gratuitamente, non è fattispecie che rientra nella nuova categoria, introdotta dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 77 del 2018, delle ”gravi ed eccezionali ragioni” per cui poter compensare le spese di lite, derogando al principio generale di soccombenza.
Lack of the out-of-court definition does not justify the compensation for legal expenses
A comment on the recent ordinance of the Supreme Court of Cassation of 25 November 2022, n. 34830, which states that the possibility for the recurrent to make a preventive attempt, through a deflective institution provided by law, that can facilitate the settlement of the dispute free of charge, is not a case that falls into the new category, introduced by the judgement of the Constitutional Court, n. 77 of 2018, of the ”serious and exceptional reasons”, for which to be able to compensate the costs of the controversy, derogating from the general principle of soccombenza.Sommario. 1. Introduzione ed iter processuale dell'ordinanza in commento; 2. La disciplina delle spese del processo nell'ordinamento giuridico italiano; 3. La compensazione delle spese; 3.1. Il revirement della Corte Costituzionale, sentenza n. 77 del 2018; 4. L'ordinanza 25 novembre 2022, n. 34830, la decisione della Suprema Corte; 5. Conclusioni.
1. Introduzione ed iter processuale dell'ordinanza in commento
La recente ordinanza della Suprema Corte di Cassazione, sezione VI, in commento, la n. 34830 del 25 novembre 2022, assume notevole importanza riguardo l’argomento della compensazione delle spese di lite.
A seguito della decisione della Corte Costituzionale n. 77 del 2018, infatti, è sorta dell'incertezza riguardo il predetto istituto, in particolare per l’introduzione della nuova causa che permette al Giudice di derogare al principio generale della soccombenza, e cioè la ricorrenza di “gravi ed eccezionali ragioni”, per le quali è possibile compensare le spese del giudizio.
Per quanto riguarda l'iter processuale culminato nell'ordinanza oggetto di commento, va rilevato che il Giudice di prime cure aveva deciso per la compensazione delle spese e che la Corte di Appello di Roma aveva respinto la pretesa del soccombente in primo grado, al contempo confermando la statuizione del Tribunale riguardo alle spese. Il soccombente in appello ha, di conseguenza, proposto ricorso per Cassazione, che è stato accolto. I giudici di legittimità hanno quindi rinviato alla Corte di Appello di Roma, in diversa composizione, per la determinazione delle spese.
Nello specifico, la pronuncia in commento si è dichiarata a favore del ricorrente, giudicando la fattispecie relativa alle spese non rientrante tra i motivi per i quali è ammissibile la compensazione delle stesse, in deroga al principio della soccombenza che prevede, invece, che le spese del processo siano imputate alla parte soccombente.
2. La disciplina delle spese del processo nell'ordinamento giuridico italiano
Il ricorso all’Autorità Giudiziaria è un diritto fondamentale di ogni cittadino, come tale costituzionalmente previsto e tutelato[1]; inevitabilmente l’esercizio di tale diritto, però, comporta dei costi, tanto per lo Stato che per i soggetti agenti e resistenti.
I costi di un giudizio si dividono in spese legali e spese processuali: le prime sono le spese che ciascuna parte deve versare, anticipatamente, al legale che la assiste e difende nel corso del giudizio, quantificabili sulla base di parametri stabiliti dalla legge[2]; le seconde sono spese legate all’attività degli organi giurisdizionali, agli adempimenti necessari nel corso del procedimento giudiziario. Aspetto fondamentale relativo ai costi di un giudizio, oltre ad individuare in che tipi di spese si sostanziano, è identificare il soggetto, o i soggetti, di volta in volta, tenuti a versarli.
In origine, a regolare tale aspetto era l’art. 90[3] del Codice di procedura civile, il quale è stato però successivamente abrogato dal d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, che ne ha sostituito la disciplina con quanto previsto al suo art. 8, il quale dispone che: “Ciascuna parte provvede alle spese degli atti processuali che compie e di quelli che chiede e le anticipa per gli atti necessari al processo quando l’anticipazione è posta a suo carico dalla legge o dal magistrato. Se la parte è ammessa al patrocinio a spese dello Stato, le spese sono anticipate dall’erario o prenotate a debito, secondo le previsioni della parte III del presente testo unico.”.
Questa disposizione prevede, dunque, che le spese processuali tout court siano anticipate dalle singole parti, in relazione agli atti compiuti nel proprio interesse.
Tale previsione può essere considerata quale regola c.d. provvisoria, in quanto la divisione delle spese dalla stessa disposta riguarda l’attivazione e la pendenza del giudizio, in attesa del provvedimento del Giudice; al termine dello stesso, sarà l’Autorità Giudiziaria a decidere il computo e la divisione delle spese, imputandole a carico di una sola delle parti o, in compensazione, ad entrambe.
Nello specifico, è l’art. 91 c.p.c. a regolare l’imputazione delle spese, da parte dell’Autorità Giudiziaria, in capo alle parti, stabilendo quanto segue: “Il giudice, con la sentenza che chiude il processo davanti a lui, condanna la parte soccombente al rimborso delle spese a favore dell'altra parte e ne liquida l'ammontare insieme con gli onorari di difesa. Se accoglie la domanda in misura non superiore all’eventuale proposta conciliativa, condanna la parte che ha rifiutato senza giustificato motivo la proposta al pagamento delle spese del processo maturate dopo la formulazione della proposta, salvo quanto disposto dal secondo comma dell’articolo 92. Le spese della sentenza sono liquidate dal cancelliere con nota in margine alla stessa; quelle della notificazione della sentenza, del titolo esecutivo e del precetto sono liquidate dall'ufficiale giudiziario con nota in margine all'originale e alla copia notificata.
I reclami contro le liquidazioni di cui al comma precedente sono decisi con le forme previste negli articoli 287 e 288 dal capo dell'ufficio a cui appartiene il cancelliere o l'ufficiale giudiziario. Nelle cause previste dall'articolo 82, primo comma, le spese, competenze ed onorari liquidati dal giudice non possono superare il valore della domanda.”.
Quello appena esposto è il cd. principio della soccombenza, ai sensi del quale il Giudice adito, al termine di ogni grado di giudizio, condanna la parte che risulta soccombente al pagamento di tutte le spese, processuali e legali, proprie e della controparte vittoriosa.
Tale principio rappresenta la regola generale[4] ma, visto il carattere stringente ed incisivo della norma, il legislatore ha previsto determinate fattispecie in cui, per una migliore corrispondenza della regola astratta e generale al caso concreto, tale principio può essere derogato; segnatamente, si tratta dei seguenti casi: rifiuto ingiustificato della proposta conciliativa, condanna alle spese per singoli atti, violazione dell’art. 88 c.p.c., compensazione delle spese.
Quest’ultima ipotesi è quella rilevante per il commento dell’ordinanza in oggetto.
3. La compensazione delle spese
La compensazione delle spese, che può essere parziale o totale, ai sensi dell’art. 92 c.p.c., può essere disposta dal Giudice nelle tassative ipotesi previste dal citato articolo, e precisamente: in caso di soccombenza reciproca, di assoluta novità della questione trattata, di mutamento della giurisprudenza rispetto a questioni dirimenti.
Quest’ultima ipotesi è stata più volte modificata[5] dal legislatore, da ultimo sostituendo la vecchia previsione delle “gravi ed eccezionali ragioni”, che a sua volta aveva sostituito la precedente espressione che richiedeva la ricorrenza di “giusti motivi”.
Queste modifiche segnalano la volontà del legislatore di soddisfare la medesima esigenza, e cioè quella di contrastare la prassi, eccessivamente diffusa, di compensare le spese di giudizio, soprattutto se si considera che la regola generale è appunto quella della soccombenza e che la compensazione è una deroga, ed inoltre che il principio della soccombenza ha anche un importante effetto deflattivo, scoraggiando i consociati dal coltivare cause infondate.
3.1. Il revirement della Corte Costituzionale, sentenza n. 77 del 2018
In totale controtendenza con le modifiche susseguitesi nel tempo ad opera del legislatore, e la relativa ratio, è intervenuta la Corte Costituzionale con sentenza del 19 aprile 2018, n. 77, con la quale ha affermato che le ipotesi in cui il Giudice può dichiarare la compensazione delle spese non sono più limitate ai casi di soccombenza reciproca ovvero di assoluta novità della questione trattata o mutamento della giurisprudenza, come stabilito, da ultimo, dall’art. 13 del D.L. n. 132/2014, ma prevedendo che la deroga al principio generale della soccombenza è ora consentito anche in presenza di “gravi ed eccezionali ragioni” , desunte dalla peculiarità del caso concreto.
Il profilo, evidentemente, necessita pur sempre di motivazione esauriente circa la sussistenza dei suddetti requisiti, pena la nullità della sentenza per violazione dell’art.132, comma 2, n. 4 c.p.c.
La Corte Costituzionale, quindi, è intervenuta in modo deciso ed incisivo sul dibattuto, e più volte novellato, argomento della compensazione delle spese, controvertendo quanto previsto dalla riforma del 2014, che limitava fortemente la possibilità di compensazione fra le parti all’esito del giudizio civile, per affidare al giudice, ed in particolare a quello del lavoro, uno strumento efficace di adeguamento del regolamento delle spese alle particolarità del caso concreto.
4. L'ordinanza del 25 novembre 2022, n. 34830, la decisione della Suprema Corte
La Suprema Corte di Cassazione, nell’ordinanza in commento, sottolinea come a partire dal predetto arresto della Corte Costituzionale, sia da considerare, oggi, la sussistenza di “altre analoghe gravi ed eccezionali ragioni” quale ulteriore motivo, in aggiunta a quelli previsti dall’art. 92 c.p.c., in ragione del quale il Giudice può decidere di compensare le spese.
Tale disposizione è sicuramente una norma elastica e che va specificata in via interpretativa dal Giudice di merito; per restringere e specificare il ventaglio di fattispecie concrete ascrivibile a tale nuovo criterio, la Corte Costituzionale ha indicato come “grave ed eccezionale ragione” ogni possibile situazione che, partecipando della stessa ratio che sottende le ipotesi tipizzate, esprima un “sopravvenuto mutamento del quadro di riferimento della causa che altera i termini della lite senza che ciò sia ascrivibile alla condotta processuale delle parti”[6], il riferimento è dunque alle circostanze che si verificano nel corso del processo e che siano eventi “del tutto imprevist(i) ed imprevedibil(i) per la parte che agisce o resiste in giudizio”.
Quanto alla fattispecie in oggetto, la Suprema Corte di Cassazione ha stabilito che non integra le caratteristiche appena esposte, necessarie affinché si possa parlare di “gravi ed eccezionali ragioni” , l’ipotesi discussa in controversia, e cioè la mancata adozione ad opera della parte, risultata poi vittoriosa, di un istituto processuale civile che in chiave preventiva avrebbe potuto favorire la composizione della lite gratuitamente.
Si tratta, nella controversia in oggetto, di un istituto deflattivo meramente facoltativo, di conseguenza la parte è libera di scegliere se servirsene o adire direttamente l’Autorità Giudiziaria; una volta che la parte abbia scelto di intraprendere l’iter giudiziale e la lite arrivi all'esito finale della decisione, l'alea del processo deve gravare sulla parte totalmente soccombente, come normale complemento dell'accoglimento della domanda, salvo, ben inteso, la ricorrenza delle ipotesi eccettuative, tra le quali, anche considerando l’ampliamento di ipotesi a seguito della pronuncia della Corte Costituzionale, a giudizio della Cassazione, non rientra la possibilità che la controversia ben poteva definirsi gratuitamente in sede amministrativa.
5. Conclusioni
In conclusione, la richiamata pronuncia della Corte Costituzionale, ampliando, con una norma elastica, le possibilità di deroga al principio della soccombenza, ha dato vita ad un’incertezza che, vista anche la genericità dell'espressione interpolata, può essere risolta solo relativamente al caso concreto. È, quindi, inevitabile che solo con il tempo e di volta in volta si potranno considerare incluse o meno nella definizione di “gravi ed eccezionali ragioni” le singole fattispecie, lasciando che sia il Giudice del caso concreto a decidere se sia o meno corretto addivenire alla compensazione delle spese o all'applicazione del principio generale di soccombenza.
[1] Art. 24 Cost. il quale dispone che “Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi. La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento. Sono assicurati ai non abbienti, con appositi istituti, i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione. La legge determina le condizioni e i modi per la riparazione degli errori giudiziari.”.
[2] D.M. 10 marzo 2014, n. 55, come da ultimo modificato dal Decreto del Ministero della Giustizia 13 agosto 2022, n. 147.
[3] Il quale disponeva che “Salve le disposizioni relative al gratuito patrocinio, nel corso del processo ciascuna delle parti deve provvedere alle spese degli atti che compie e di quelli che chiede, e deve anticiparle per gli altri atti necessari al processo quando l'anticipazione è posta a suo carico dalla legge o dal giudice.”.
[4] Come confermato anche da diverse e recenti pronunce della Suprema Corte quali, ex multis: Cass. Civ. Sez. VI, n. 3308/2023; Cass. Civ. Sez. II, n. 37825/2022; Cass. Civ. Sez. I, n. 21823/2021.
[5] Da ultimo con disposizione prevista dall’art. 13, comma 1, del D.L. n. 132 del 2014, convertito, con modificazioni, nella L. n. 162 del 2014 (Misure urgenti di degiurisdizionalizzazione ed altri interventi per la definizione dell’arretrato in materia di processo civile).
[6] Così ha affermato la Corte Costituzionale in motivazione della citata sentenza n. 77 del 2018.