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Pubbl. Gio, 4 Mag 2023

Murales su facciata: serve il titolo abilitativo edilizio

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Alessia Maggio
AvvocatoUniversità degli Studi di Salerno



L’elaborato si propone di analizzare le coordinate ermeneutiche tracciate dalla recentissima pronuncia del Consiglio di Stato n. 1289, adottata lo scorso 7 febbraio 2023, intervenuta sulla qualificazione edilizia di un dipinto murale realizzato sulla facciata di un fabbricato, a sua volta, ubicato nel centro storico del Comune di Napoli. La realizzazione di un’opera sulla facciata di un edificio, sito in un centro storico unico per ricchezza e stratificato di arte e cultura, difatti, ne trasforma l’aspetto esterno in modo duraturo, assumendo le vesti di un intervento edilizio di straordinaria manutenzione ed imponendo il rilascio di un titolo abilitativo.


ENG The current paper aims to analyze the hermeneutic coordinates traced by the truly recent ruling of the Council of State n. 1289, adopted on the last 7th of February 2023, and focused on the building requalification of a mural painting built upon an house facade as it is located into the historical center of the Naples’ Municipality. In this light, a work of art creation when related to the facade of a building, and especially when it is sited in a such historical spot as unique as richness and layered in historicity, full of arts and cultures, as matter of fact, might turn it into a lasting good, assuming so guises and characteristics of an extraordinary maintenance building intervention and therefore requiring the release of a qualifying licence.

Sommario: 1. Premessa. 2. Il perimetro normativo: l’art. 3 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380.  2.1. Il titolo abilitativo, l’abusivismo edilizio e l’ordine di demolizione. 3. La qualificazione edilizia di un dipinto murale: le coordinate ermeneutiche tracciate dal TAR Campania. 4. La decisione del Consiglio di Stato, Sent. n. 1289/2023 del 7 febbraio 2023.

1. Premessa

Non è la prima volta che la Street-Art fa discutere un’aula di Giustizia.

In passato, difatti, i Giudici del Supremo Consesso si erano già interrogati sulla qualificazione dell’opera, al fine di identificarne l’eventuale pregio artistico e/o la rilevanza penale della condotta [1].

Questa volta, però, il vulnus investe la qualificazione edilizia dell’opera realizzata, ponendo un interrogativo a cui i Giudici di Palazzo Spada, con la pronuncia n. 1289 dello scorso 7 febbraio, rispondono statuendo un principio di diritto in perfetta armonia con l’indirizzo giurisprudenziale già consolidatosi.

Sullo sfondo, una vicenda che trae origine dalla realizzazione, sulla facciata di un condominio sito nel centro storico del Comune di Napoli, di un dipinto murale dedicato alla memoria di un giovane adolescente.

Proprio a seguito della realizzazione dell’opera, il Comune ne ordinava la demolizione e il conseguente ripristino dello stato dei luoghi, ai sensi dell’art. 27 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, adducendo a fondamento della decisione la qualificazione storica-preottocentesca dell’edificio. In particolare, l’Ente già individuava il punto nodale della vicenda, focalizzando la propria attenzione sulla definizione di “bene culturale”, ai sensi dell’art. 10, comma 4, lett. g), d.lgs. 42/2004[2], nonché sulla qualificazione dell’operato come attività di straordinaria manutenzione.

Nelle more del silenzio della Pubblica Amministrazione, il Condominio sollecitava il parere della Soprintendenza archeologia, belle arti e paesaggio, la quale sembrava negare che l’edificio fosse inserito nel perimetro delle zone sottoposte a vincoli paesaggistici.

Di talché, il Condominio formulava una richiesta di rilascio di ben due C.I.L.A. in sanatoria (c.d. C.I.L.A. tardiva), finalizzate a far sfumare i contorni potenzialmente abusivi dell’opera.

La statuita inammissibilità e tardività, però, imponeva il ricorso al TAR Campania al fine di ottenere l’annullamento dell’ordine di rimozione del dipinto.

2. Il perimetro normativo: l’art. 3 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380

Sin da subito, si rende doverosa una breve disamina, al fine di tracciare il perimetro normativo della vicenda analizzata. 

Il punto di partenza è certamente rappresentato dal d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, che sancisce i principi fondamentali e le disposizioni generali in materia di edilizia.

In particolare, nel designare l’ambito di applicazione della normativa, l’art. 1 co. 2 individua il rapporto – ormai inscindibile – con la tutela dei beni culturali e ambientali, di cui al d.lgs. n. 42/2004. Il rinvio, senza dubbio, è sollecitato dall’art. 9 della Carta Costituzionale, posto a tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico della Nazione, quale bene di rango primario [3].

Più precisamente, però, il riferimento normativo corre all’art. 3 del prefato d.P.R. n. 380/2001 e alle diverse qualificazioni di “intervento edilizio” ivi contenute, limitando la trattazione, per quanto qui di interesse, alle sole definizioni di intervento di manutenzione ordinaria e manutenzione straordinaria.

In particolare, sono indicati come interventi di manutenzione ordinaria quelli che riguardano le opere di riparazione, rinnovamento e sostituzione delle finiture degli edifici, nonché quelli necessari ad integrare o mantenere in efficienza gli impianti tecnologici esistenti (art. 3, comma 1, lett. a) T.U.E). Questa tipologia di interventi rientra nell’attività di edilizia libera, per cui l’art. 6, comma 1, lett. a) del Testo Unico, prevede l’esecuzione senza previa richiesta e rilascio di alcun titolo abilitativo.

Diversamente, ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. b), sono indicati come interventi di manutenzione straordinaria le opere e le modifiche necessarie per rinnovare e sostituire parti anche strutturali degli edifici, sempre che non alterino la volumetria complessiva degli edifici e non comportino modifiche delle destinazioni di uso. Nell'ambito degli interventi di manutenzione straordinaria sono ricompresi anche quelli consistenti nel frazionamento o accorpamento delle unità immobiliari, con esecuzione di opere, anche se comportanti la variazione delle superfici delle singole unità nonché del carico urbanistico, purché non sia modificata la volumetria complessiva degli edifici e si mantenga l'originaria destinazione d'uso.

Il limite del rispetto della volumetria e della destinazione d’uso dell’immobile rappresenta la condizione essenziale di detta categoria di interventi, rilevante, altresì, per tracciare il discrimen tra la manutenzione straordinaria e l’attività di ristrutturazione. Difatti, seppur nella prima si possa parlare di modificazione dal carattere permanente, destinata a durare nel tempo, soltanto con l’attività di ristrutturazione si realizza una vera e propria alterazione dell’edificio, che sarà in tutto o in parte diverso dal precedente [4].

A sua volta, la disposizione normativa consente di distinguere gli interventi di manutenzione straordinaria c.d. leggera, da quelli di manutenzione straordinaria c.d. pesante. Difatti, gli interventi che non apportino modifiche alle parti strutturali dell’edificio rientrano nella manutenzione leggerala quale, ai sensi dell’art. 6 bis d.p.R. 380/2001, deve essere obbligatoriamente assentita mediante comunicazione di inizio lavori asseverata (CILA). Mentre, gli interventi che riguardino le parti strutturali o i prospetti dell'edificio rientrano nella manutenzione pesante, per cui l’art. 22, comma 1, lett. a) prevede, quale titolo autorizzativo, la segnalazione certificata di inizio attività (SCIA).

Da ultimo, l'art. 3, comma 1, lett. b) ricomprende in questa tipologia di interventi anche le modifiche ai prospetti degli edifici legittimamente realizzati, indispensabili per mantenere o acquisire l'agibilità dell'edificio e/o per l'accesso allo stesso, che non pregiudichino il decoro architettonico, purché l'intervento risulti conforme alla disciplina vigente e non abbia ad oggetto immobili sottoposti a tutela ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio (d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42).

2.1. Il titolo abilitativo, l’abusivismo edilizio e l’ordine di demolizione

Alla luce di quanto sin qui esposto, dunque, qualora un intervento edilizio, posto al di fuori dei casi di edilizia libera, venga realizzato in totale assenza o difformità alle autorizzazioni prescritte per legge - sollecitando in tal modo gli Enti preposti ad intervenire per la tutela di un preminente interesse pubblico - si parla di “abuso edilizio”.

Al fine di reprimere la diffusione di detto fenomeno, gli artt. 27 e 31 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, intervengono normativamente prevedendo l’adozione di un provvedimento amministrativo, preposto all’immediata demolizione dell’opera e al conseguente ripristino dello status quo ante.

Le disposizioni sopra richiamate sono, ambedue, poste a presidio dell’esercizio di un potere preventivo e, al contempo, repressivo della Pubblica Amministrazione.

In particolare, l’art. 27 d.P.R. n. 380/2001 è espressione normativa della c.d. demolizione d’ufficio, esercitata mediante azione diretta dall’Amministrazione Comunale, la quale, in tal modo, esercita un vero e proprio potere di vigilanza sull'attività urbanistico-edilizia, al sol fine di assicurarne la rispondenza alle norme di legge e di regolamento, alle prescrizioni degli strumenti urbanistici ed alle modalità esecutive fissate nei titoli abilitativi [5].

Da altro lato, l’art. 31 del medesimo d.P.R. n. 380/2001 sanziona le ipotesi di abuso edilizio più gravi, individuando una sanzione demolitoria-principale, accompagnata da una acquisitiva-secondaria. La norma, in particolare, fa riferimento a tre differenti ipotesi: la prima, nel caso in cui gli interventi siano stati eseguiti in assenza di permesso di costruire; una seconda ove siano stati eseguiti in totale difformità al titolo abilitativo e una terza ove siano stati eseguiti con variazioni essenziali [6].

La peculiarità insiste nell’assetto sanzionatorio: qualora l’ordine di demolizione non venga spontaneamente adempiuto dal destinatario del provvedimento, sia esso il proprietario dell’opera e/o il responsabile dell’abuso, entro il termine di novanta giorni, l’opera verrà acquisita al patrimonio comunale.

In ogni caso, però, detta acquisizione non rende l’intervento legittimo dal punto di vista edilizio.

La giurisprudenza di merito ha precipuamente delineato il confine tra i due differenti interventi riconosciuti alla Pubblica Amministrazione, ravvisando l’elemento di distinzione tra gli artt. 27 e 31 d.P.R. n. 380/2001, nell’evenienza che il Comune si determini all’immediata demolizione o che fissi un termine per la spontanea esecuzione da parte del responsabile dell’abuso. Precisamente, l’elemento che differenzia il procedimento scolpito dall’art. 27, d.P.R. n. 380/2001 rispetto a quello del successivo art. 31 è rappresentato dal fatto che, nel primo caso, a seguito di accertamento degli abusi il funzionario provvede alla demolizione e al ripristino dello stato dei luoghi, nel senso che il funzionario può materialmente demolire il manufatto abusivo. […] Mentre, nel caso in cui non ricorrano i presupposti per l’applicazione dell’art. 27 del medesimo d.P.R. n. 380/2001, e dunque il ripristino dello stato dei luoghi sia perseguito dall’Amministrazione secondo il procedimento dell’art. 31, essa assegna un termine per l’esecuzione dell’ordine di ripristino da parte dei responsabili dell’abuso con le conseguenze in caso di inottemperanza, scolpite dai successivi commi del dettato normativo (così T.A.R. Napoli, Sez. VI, n. 6190 del 4/10/2021– Giuffré amm. 2021).

3. La qualificazione edilizia di un dipinto murale: le coordinate ermeneutiche tracciate dal TAR Campania

La vicenda in analisi investe ogni definizione sopra precisata, confluendo nelle coordinate tracciate dal TAR Campania con sentenza 30 agosto 2021, n. 5645, che hanno inteso qualificare la realizzazione di un dipinto murale come intervento di straordinaria manutenzione.

L’intervento, difatti, era chiaramente destinato a modificare, in modo permanente, la presentazione della facciata dell’edificio, ponendosi al di là di una mera attività di edilizia libera.

Ad accorgersi della trasformazione stabile è stato, anzitutto, il Comune di Napoli che, con determina dirigenziale del 26 gennaio 2001 n. 29/A, ha ordinato il ripristino dello stato dei luoghi ai sensi dell’art. 27 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 per violazione di una serie di disposizioni normative [7].

Invero, il parere dell’Ente Pubblico ha evidenziato il pregio storico-architettonico del fabbricato.

Ricevuto il suddetto provvedimento, il Condominio ha agito, dapprima in autotutela, e, successivamente, mediante ricorso dinanzi al TAR Campania al fine di ottenere l’annullamento in sede amministrativa dell’ordine di rimozione del murales.

In primo luogo, il TAR, nel rigettare il ricorso principale e i successivi motivi aggiunti - mediante i quali il Condominio ha impugnato l’inammissibilità della prima C.I.L.A. in sanatoria - ha ritenuto necessario fornire una qualificazione edilizia dell’opera, senza investire il pregio artistico della stessa.

Precisamente, il Tribunale ha ricondotto l’operato nell’alveo della categoria degli interventi di manutenzione straordinaria, in quanto lo stesso aveva determinato una trasformazione dell'aspetto esteriore dell'edificio, rinnovandone una facciata esterna antistante alla strada pubblica. Trasformazione che, certamente, non poteva essere ricondotta alla categoria della manutenzione ordinaria, non assumendo i caratteri né di una mera tinteggiatura né di lavori realizzati "senza alterazione delle tinte preesistenti"[8].

In secondo luogo, il TAR ha osservato che il fabbricato condominiale, pur non essendo subordinato ad alcun vincolo nella sua individualità, è ubicato nel centro storico di Napoli, testimonianza di una stratificazione storica, artistica e architettonica millenaria. Sicché non può non essere soggetto alla disciplina dettata a tutela della preservazione dei centri storici, alla cui stregua il centro storico va considerato nel suo complesso e di per sé “bene culturale” ai sensi dell’art. 10, comma 4, lett. g) del d.lgs. n. 42/2004, il quale annovera tra i beni culturali “le pubbliche piazze, vie, strade e altri spazi aperti urbani di interesse artistico e storico” [9].

Il TAR Campania, infine, non tralascia la circostanza secondo cui l’immobile interessato è ubicato in un’area di interesse archeologico, ai sensi dell’art. 14 della variante al PRG. 

Di talché la realizzazione del dipinto andava necessariamente valutata con riguardo alla sua compatibilità con l’interesse storico-archeologico, bilanciamento da porre in essere, senza ombra di dubbio, ancor prima della realizzazione manuale dell’operato.

Alla luce delle argomentazioni suffragate dal TAR Campania, dunque, deve concludersi per la qualificazione dell’opera come intervento di manutenzione straordinaria, la quale, a sua volta, riflette la necessità di previo rilascio di un titolo abilitativo ai fini della realizzazione. In assenza di siffatto adempimento, il Comune non avrebbe potuto che ordinare la demolizione e la rimessione in pristino, in conformità alla disposizione di cui all’art. 27 d.P.R. 380/2001.

4. La decisione del Consiglio di Stato, Sent. n. 1289/2023 del 7 febbraio 2023

Nel giudizio di appello la tesi difensiva del Condominio non si discosta molto da quella ricostruita in primo grado, ancorata all’asserita impossibilità di collocare il murales nell’alveo dell’abusivismo edilizio, forte del parere favorevole della Soprintendenza che lo aveva collocato tra gli interventi “assentibili”.

Il richiamo attoreo al parere espresso dalla Soprintendenza archeologia, belle arti e paesaggio di Napoli, però, non distoglie il Consiglio di Stato dalla strada tracciata dal Giudice di prime cure, dovendo essere inteso come parere di mero stile.

Difatti, è la stessa Soprintendenza a dichiarare, in una formula stilistica, che il fabbricato non risulta sottoposto alle previsioni di cui al d.lgs. n. 42/2004 per quanto concerne gli aspetti storico, artistici e monumentali; che non risulta esser stato destinatario di provvedimenti di interesse storico, artistico e archeologico e che non rientra nel perimetro delle zone sottoposte a vincoli paesaggistici. In tal modo, l'Ente ha negato la sua competenza ad assumere decisioni relative alla legittimità o illegittimità della realizzazione del dipinto murale, nonché al rilascio di titoli abilitativi – ancorché in sanatoria – “di opere decorative realizzate su edifici non sottoposti a vincoli culturali di cui al d.lgs. 42/2004 e su superfici moderne, per le quali non sussiste alcuna possibile interferenza con eventuali beni di interesse archeologico” [10].

Il Consiglio di Stato, in particolare, evidenzia il carattere innovativo del dipinto, che non consente di qualificare l’opera alla stregua di una semplice attività di edilizia libera. All’uopo, richiama il punto 2 dell’allegato DM 2 marzo 2018 (decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti recante “Approvazione del glossario contenente l’elenco non esaustivo delle principali opere edilizie realizzabili in regime di attività edilizia libera, ai sensi dell’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 25 novembre 2016, n. 222”) che riconduce alla predetta categoria soltanto la tinteggiatura finalizzata a ripristinare il colore originario.
Di converso, qualora l’intervento si proponga di rinnovare l’aspetto esterno del fabbricato non potrebbe in nessun caso essere ricondotto all’interno della categoria della manutenzione ordinaria.

Esattamente come nel caso di specie, atteso che il dipinto è destinato a caratterizzare innovativamente la facciata, essendo, tra l'altro, percepibile alla vista comune (presentando una dimensione pari a 6 x 6 m.) [11].

Altro elemento su cui si soffermano i Giudici di Palazzo Spada è rappresentato dal carattere irreversibile dell’opera di cui si controverte, destinata a durare nel tempo, in virtù della sola volontà di chi l’ha realizzata.

Precisamente, il Consiglio di Stato ha statuito il seguente principio: “Come appare più che evidente sotto il profilo fenomenologico, la realizzazione di un’opera edilizia, nella quale per quanto si è sopra diffusamente riferito  rientra a pieno titolo un dipinto murale, è destinata a permanere nel tempo secondo la volontà del realizzatore o del proprietario dell’immobile, il quale deciderà se rimuoverla e quando rimuoverla, pur sempre chiedendo preventivamente il rilascio del titolo abilitativo necessario alla trasformazione (anche solo visiva) del territorio, sia per la realizzazione che per la rimozione dell’opera stessa. Ne consegue che la realizzazione di un dipinto murale a carattere decorativo assume le medesime caratteristiche della realizzazione di un intervento edilizio, diversificandosene, semmai, in ragione della complessità dell’eventuale rimozione, ma tale aspetto materiale non incide sulla qualificazione giuridica dell’opera come “irreversibile”, in quanto la “reversibilità” dell’opera non assume rilievo obiettivo ma soggettivo, essendo condizionata dalla volontà del soggetto realizzatore o del proprietario dell’edificio sul quale è stata eseguita”[12].

In conclusione, accertata la realizzazione dell’intervento di trasformazione in assenza di previa richiesta e rilascio del titolo abilitativo edilizio prescritto per legge, il Comune di Napoli ha legittimamente ordinato la demolizione dell’opera e la rimessa in pristino, ai sensi dell’art. 27 d.P.R. 380/2001, cogliendo pienamente nel cuore della vicenda analizzata tutte le contestazioni espresse nel provvedimento comunale.


Note e riferimenti bibliografici

[1] Il riferimento corre alla pronuncia n. 16371 del 20 aprile 2016, adottata dalla Corte di Cassazione, Sez. II Penale, nel caso poi denominato “Manu Invisible”. Gli Ermellini, seguendo la strada tracciata dal Tribunale in primo grado e dalla Corte di Appello in sede di gravame, hanno statuito la non punibilità per particolare tenuità del fatto nei confronti del noto street-artist sardo, non ravvisando gli estremi del reato di imbrattamento di cui all’art. 639 c.p.

[2] L’art. 10, comma 4, lett. g) D. Lgs. 42/2004 prevede che sono comprese nella definizione di bene culturale “g) le pubbliche piazze, vie, strade e altri spazi aperti urbani di interesse artistico o storico".

[3] Art. 9 Costituzione “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”.

[4] Art. 3 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, comma 1, lett. d) "interventi di ristrutturazione edilizia", sono quegli interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente.

[5] Così art. 27, comma 1, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380. 
[6] Così la rubrica dell’art. 31 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380.

[7] Precisamente: a) degli artt. 26 e 69 delle Norme di attuazione della variante al P.R.G. per il Centro storico, approvata con DPGRC n. 323 dell'11 giugno 2004, in relazione alla Tavola 14; b) dell'art. 3, comma 1, lett. b), d.P.R. 380/2001, in quanto l’intervento effettuato va ricondotto nella categoria della “manutenzione straordinaria”; c) dell'art. 5 del Regolamento edilizio che individua quale “manutenzione ordinaria” le opere di finitura quali “tinteggiatura delle facciate e lavori connessi senza alterazione delle tinte preesistenti per le costruzioni ricadenti nei centri storici (...)”; d) dell'art. 10, comma 4, lett. g), d.lgs. 42/2004, in quanto tra i “Beni culturali” rientrano anche “le pubbliche piazze, vie, strade e gli altri spazi di interesse storico ed artistico”; e)    degli artt. 3 e 7 del Regolamento di Polizia Urbana (approvato con delibera del Consiglio Comunale n. 46 del 9 marzo 2001).

[8] Così si legge in sentenza T.A.R. T.A.R. Napoli, (Campania) sez. IV, 30/08/2021, (ud. 08/07/2021, dep. 30/08/2021), n.5645.

[9] Così si legge in sentenza Consiglio di Stato n. 1289 del 7 febbraio 2023, pagg. 5-6.

[10] Così si legge in sentenza Consiglio di Stato n. 1289 del 7 febbraio 2023, pag. 20.

[11] Così si legge in sentenza Consiglio di Stato n. 1289 del 7 febbraio 2023, pag. 13.

[12] Così si legge in sentenza Consiglio di Stato n. 1289 del 7 febbraio 2023, pag. 23.