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Pubbl. Lun, 13 Mar 2023

L´inattendibilità della testimonianza nella giurisprudenza della Corte di legittimità

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Tiziana Anna Ghiotto



L’articolo commenta l’ordinanza interlocutoria Cass. civ. Sez. III, Ord., ud. 27/01/2022, dep. 09/06/2022, n. 18601, che ha rimesso alle Sezioni Unite la risoluzione di un problema interpretativo relativo all´art. 246 c.p.c., in tema di incapacità testimoniale del terzo trasportato.


ENG

The Unreliability of the Testimony in the Jurisprudence of the Court of Legitimacy

The paper analyses the interlocutory order (Cass. civ. Section III, Ord., hearing 27/01/2022, filed 09/06/2022, no. 18601), which left to the United Section of Supreme Court of Appeal the resolu-tion of an interpretative problem relating to art. 246 c.p.c., about the testimonial incapacity of the transported third party.

Sommario. 1. La pronuncia della Cassazione Civile del 9 giugno 2022, n. 18601 e la descrizione dei fatti. 2. Il motivo di ricorso alla Corte di legittimità. 3. Le letture dell’art. 246 c.p.c. L’indirizzo maggioritario. 4. La diversa opzione interpretativa e la rimessione alle Sezioni Unite. 5. Conclusioni.

1. La pronuncia della Cassazione Civile del 9 giugno 2022, n. 18601 e la descrizione dei fatti

Il presente contributo prende le mosse da un arresto dell’estate del 2022 in cui la Corte di legittimità torna a interrogarsi sul tema della prova testimoniale, dei sui limiti e dei suoi criteri di valutazione, soggettivi e oggettivi. 

Il thema decidendum, pur essendo assai circoscritto, consente di affrontare un ventaglio sufficientemente ampio di questioni, tali da legittimare la richiesta di elaborazione - attraverso il ricorso alla giurisprudenza delle Sezioni Unite - a un orientamento univoco.

L’ordinanza che qui si commenta, infatti, si conclude con la rimessione alle Sezioni Unite della questione di diritto, a fronte di un persistente dissidio giurisprudenziale e ha origine da fatti che coinvolgono la gestione dei sinistri a carico del Fondo Garanzia Vittime della Strada, al fine di ottenere il risarcimento del danno subito in conseguenza di un incidente stradale, in cui una persona aveva perso la vita[1].

Esaminiamo i fatti di causa. Gli attori in primo grado - eredi del defunto - sostenevano che l’incidente occorso al loro congiunto sarebbe avvenuto mentre questi era alla guida di un motoveicolo e mentre trasportava una passeggera, la quale dall’incidente aveva riportato lesioni gravi. La causa dell’incidente, del decesso e delle lesioni sarebbe stato l’impatto cagionato da un’autovettura che tamponava da tergo il motoveicolo.

Nel giudizio intervennero successivamente la sorella e la madre del defunto (anche come esercente la potestà sul figlio minore dello stesso), sostenendo le tesi degli attori e domandando il risarcimento dei danni. Si costituiva in giudizio la società convenuta, domandando il rigetto delle richieste avversarie in quanto infondate e, in subordine, l’accertamento del concorso di colpa del defunto medesimo.

Il tribunale adito rigettava le domande attoree e degli intervenuti, ritenendo che fossero lacunose le prove. Nello specifico si riteneva inammissibile la circostanza per cui un testimone non ricordasse dove si stesse recando nel momento in cui aveva assistito all’incidente: un incidente grave, che difficilmente si sarebbe potuto dimenticare e difficilmente si sarebbero potuti scordare particolari relativi al hic et nunc dell’evento. L’incertezza della ricostruzione avrebbe manifestato, a detta del giudice di primo grado, come la testimonianza resa dal terzo trasportato fosse inutilizzabile: ai sensi dell’art. 246 c.p.c., infatti, il terzo trasportato doveva ritenersi incapace a testimoniare.

La Corte d’appello di Catania nel 2019 aveva confermato le decisioni del giudice di primo grado, in particolare condividendo con il Tribunale l’osservazione sulla inattendibilità della testimonianza. Come già sottolineato e come evidente in base al buon senso, anche la Corte di secondo grado non poteva non credere che decidendo un fatto talmente grave come l’incidente mortale oggetto di causa non potesse svanire nel ricordo confuso del teste[2].

Nello specifico, dunque, lo ribadiamo, il racconto del testimone impediva di considerare fondata la ricostruzione degli appellanti. Infatti, il teste ricordava soltanto che l’auto avrebbe sorpassato il motociclo e non già che lo avesse toccato.

La Corte d’appello aveva, dunque, accettato la statuizione del tribunale circa l'incapacità a testimoniare della terza trasportata: in particolare, aveva accolto la lettura della giurisprudenza di legittimità secondo cui chi è privo della capacità a testimoniare perché titolare di un interesse che ne potrebbe legittimare la partecipazione al giudizio, non riacquista tale capacità per l’intervento di una fattispecie estintiva del diritto che potrebbe far valere, ad esempio come nel caso di una transazione.

2. Il motivo di ricorso alla Corte di legittimità

L’intera ordinanza si fonda sulla lettura e interpretazione di un unico motivo, con cui la parte ricorrente oppone la «violazione o falsa applicazione di norme di diritto in relazione agli artt. 112,115,116,157 e 246 c.p.c., ex art. 360, n. 3».

Nello specifico veniva censurata la sentenza di secondo grado nella parte in cui ha condiviso le statuizioni del primo giudice in ordine alla non attendibilità del testimone e all’incapacità a testimoniare della terza trasportata, nonostante la testimonianza della terza trasportata fosse stata ritualmente ammessa in fase di istruttoria.

Che cosa si sostiene dinanzi alla corte di legittimità? In riferimento alla situazione della terza trasportata, si obietta alla Corte d’appello di Catania di non avere considerato un orientamento della giurisprudenza di legittimità ai sensi del quale la nullità della testimonianza resa da una persona incapace deve essere eccepita subito dopo l’espletamento della prova ai sensi dell'art. 157, comma 2, c.p.c.[3]. Precisando che l’incapacità deriva dall’essere la testimone portatrice dell'interesse che avrebbe potuto legittimare il suo intervento in giudizio, si deve, invero, ritenere che siffatta nullità doveva ritenersi sanata, in mancanza di una tempestiva eccezione. La preventiva eccezione di incapacità a testimoniare proposta ai sensi dell'art. 246 c.p.c.[4], non poteva ritenersi comprensiva dell'eccezione di nullità della testimonianza comunque ammessa ed assunta nonostante la previa opposizione[5].

3. Le letture dell’art. 246 c.p.c. L’indirizzo maggioritario in materia di nullità

Il tema che ricorre nell’ordinanza qui commentata attiene alla già citata eccezione di incapacità a testimoniare ai sensi dell'art. 246 c.p.c.

D’altra parte, come correttamente osservato[6], la nozione di capacità a testimoniare si distingue da qualunque possibile valutazione sulla attendibilità del testimone. Si tratta di concetti destinati a operare su piani diversi della considerazione giuridica e che dipendono da disposizioni codicistiche differenti. Infatti, come si è già avuto modo di rammentare, la nozione di capacità - nozione tipicamente statica, anche laddove riferita alla dimensione processuale - è diretta conseguenza del dettato dell’art. 246 c.p.c., ed è connessa alla possibile individuazione di un interesse giuridico che possa legittimare la partecipazione del teste al giudizio. Il giudizio sulla attendibilità del testimone, invece, fa un espresso riferimento al contenuto della deposizione medesima e si concentra sulla relativa veridicità, sottoposta al vaglio discrezionale del giudice[7]. D’altra parte, merita di essere incidentalmente rammentato come, ancora recentemente, nelle aule giudiziarie si è sottolineato come in sede di assunzione della prova testimoniale, il giudice del merito non sia un semplice registratore passivo di quanto dichiarato dal testimone, bensì un soggetto attivamente impegnato nell’attività di escussione istruttoria. Il nostro ordinamento, infatti, attribuisce al giudice il compito di verificare con attenzione l’attendibilità del testimone, ma anche di tentare di fare emergere dalla deposizione informazioni utili per una corretta decisione. Come la giurisprudenza di legittimità ha ritenuto ancora recentemente di precisare, non sarà coerente l’atteggiamento del giudice che prima abbia evitato di rivolgere al testimone domande funzionalmente dirette e idonee a chiarire i dubbi e, in un secondo momento, ne valuti come lacunosa la testimonianza, qualificandola carente su circostanze non capitolate in merito alle quali il testimone non era stato interrogato[8]. Più precisamente, nel caso in esame, si verserebbe, dunque, nella fattispecie in cui la parte che abbia in tempo sollevato siffatta eccezione, abbia poi omesso la contestazione della nullità della testimonianza medesima, ammessa e assunta nonostante l’opposizione, ai sensi del già citato art. 157, comma 2, c.p.c.. Nel caso, invece, in cui il difensore della parte sia stato assente al momento dell’assunzione della testimonianza, allora la nullità potrà essere eccepita nella successiva udienza: ma si tratta dell’unica eccezione.

Il principio che la giurisprudenza di legittimità enunciava può essere, dunque, così sintetizzato. In mancanza di una tempestiva eccezione, deve ritenersi che la nullità sia stata sanata; soprattutto, non si può credere che la preventiva eccezione di incapacità a testimoniare sia di per sé, ai sensi dell’art. 246 c.p.c. comprensiva pure dell’eccezione di nullità della testimonianza ammessa e assunta nonostante la preventiva opposizione[9].

Si tratta di un principio accolto dalla giurisprudenza ad oggi maggioritaria e per la prima volta espresso in una pronuncia del 1990[10], che ha fatto scuola, consolidandosi sino ai nostri giorni, come anche l’ordinanza in commento ha avuto modo di ribadire[11].

Ancora di recente la Cassazione, poi, ha ritenuto che l’eccezione di incapacità a deporre, sollevata, nel rispetto dell'art. 157, comma 2, all’esito dell’escussione del teste, costituisca una idonea manifestazione dell'intenzione di proporre eccezione di nullità della prova assunta, non essendo necessaria a questo scopo la doppia formale espressione deduttiva di "incapacità e, quindi, nullità”.

4. La diversa opzione interpretativa e la rimessione alle Sezioni Unite

Certamente stupisce il numero degli arresti che, dal 1990 in poi hanno mostrato aderenza a una medesima opzione interpretativa. Tuttavia, non si deve credere che siano mancate voci discordanti che, seppure isolate, hanno sollecitato riflessioni di rilievo su punti cruciali del ragionamento ormai pressoché unanimemente accolto. In particolare, si tratta di questioni che hanno giustificato la rimessione alle Sezioni Unite della Corte.

Se si presta attenzione al ragionamento mosso dalla Corte nel 1999, si osserva come la decisione si basi su due punti fondamentali.

Il primo motivo si riferisce al fatto che il ricorrente era ormai decaduto dall'eccezione di nullità delle testimonianze assunte, dal momento che egli non si sarebbe avvalso dello strumento del reclamo, previsto dal nostro ordinamento all’art. 178, comma 2, c.p.c. Più precisamente, tale mezzo processuale avrebbe potuto essere utilizzato contro l’ordinanza del giudice istruttore, con la quale si erano ammessi i testi e, dunque, di conseguenza, in maniera implicita era stata rigettata l’eccezione di incapacità. In particolare, la Corte di Cassazione, nel 1990, aveva affermato che il potere di revoca dell'ordinanza ammissiva, riconosciuto al Collegio dalla norma dell'art. 177, comma 1, c.p.c.[12], avrebbe incontrato un invalicabile limite nella disposizione dell’art. 157, comma 2, c.p.c., in forza della quale la  parte interessata all’eccezione di nullità dell'atto ha l’onere di sollevarla nella prima istanza o nella difesa successiva all’atto stesso o alla notizia di questo.

Il secondo punto fondamentale è conseguente alla constatazione che l’eccezione preventiva di incapacità a testimoniare ai sensi dell’art. 246 c.p.c. doveva ritenersi inidonea a fungere anche da eccezione di nullità delle testimonianze. Una simile affermazione era da ritenersi valida nonostante le testimonianze medesime fossero state ammesse e assunte, e nonostante la natura e la funzione delle due eccezioni fosse molto diversa. Ancora, sulla questione conviene riferire le parole testuali scelta dai giudici di legittimità, i quali ritennero che l’eccezione di nullità ai sensi dell’art. 157 c.p.c., comma 2, presupporrebbe il compimento dell’atto nullo: in altre parole, e conseguentemente, tale eccezione di nullità non sarebbe opponibile in relazione a un atto futuro.

D’altra parte, non può tacersi che il sollevare una simile eccezione è atto rimesso alla libera disponibilità della parte, e questa può validamente determinarsi a rilevarla soltanto dopo il compimento dell'atto, senza doversi ritenere vincolata alla preventiva eccezione che, come quella specifica d’incapacità testimoniale, abbia preceduto il compimento dell’atto nullo. Dunque, - prosegue la Corte in un ragionamento che appare utile seguire - l’interesse della parte a eccepire oppure a non eccepire la nullità delle testimonianze può sorgere in capo alla parte solamente dopo che le stesse siano state assunte[13].

Con tali due argomenti, nel caso de quo, vengono respinte le censure del ricorrente, che si concentravano sull’omesso esame della eccezione di incapacità a testimoniare sollevata prima dell’assunzione della prova e sulla violazione dell'art. 246 c.p.c.

Ma è soprattutto alla luce di un’altra considerazione che occorre rivalutare le posizioni della Corte. Infatti, affermare che la parte che ha sollevato l’eccezione di incapacità respinta dal giudice istruttore avrebbe l’onere di proporre il reclamo immediato ai sensi dell’art. 178, comma 2, c.p.c., non può essere più ritenuto attuale. È intervenuta la modifica della legge n. 353 del 1990, con la quale è stata abolita la possibilità di adire il collegio per risolvere le questioni istruttorie attraverso lo strumento del reclamo.

Peraltro, la suddetta argomentazione si discosta dall’orientamento maggioritario della giurisprudenza che, nel vigore della precedente normativa, riteneva che la mancata proposizione del reclamo immediato avverso le ordinanze di ammissione dei mezzi di prova non precludesse il successivo controllo del collegio ai sensi dell’art. 178, comma 1, c.p.c. L’affermazione non appare più attuale, alla luce delle modifiche introdotte dalla legge n. 353 del 1990, che ha abolito la possibilità di reclamo al collegio per la soluzione di questioni istruttorie[14].

Altre osservazioni significative possono essere mosse circa la proposizione del reclamo, cronologicamente anteriore all’escussione del teste indicato come incapace. Apparirebbe, infatti, poco coerente la posizione della Corte laddove la proposizione del reclamo, che si colloca anteriormente all'escussione del teste incapace, non avrebbe in realtà alcuna rilevanza al fine di impedire la decadenza.

Diversa tesi minoritaria è quella che critica la ricostruzione - di dottrina e giurisprudenza - che leggono il vizio di testimonianza come un’ipotesi di nullità relativa. Si possono citare a questo proposito numerosi arresti della Corte di legittimità[15], consentanei, come anticipato a una posizione in letteratura la quale sostiene che le deposizioni che sono state assunte in violazione del divieto contenuto all’art. 246 c.p.c. siano da ritenersi inefficaci. Dunque il giudice non potrà utilizzarle ai fini della decisione della causa.

I dati rilevati comportano conseguenze in riferimento alle modalità di deduzione dello stesso vizio: infatti, laddove si ritenga che tale difetto configuri un'ipotesi di nullità, risulterebbe applicabile la decadenza prevista dall’art. 157, comma 2, c.p.c.

La posizione opposta, secondo la quale la testimonianza resa dall’incapace sarebbe valida, ma inefficace e inutilizzabile, comporta che la deduzione relativa alla inammissibilità della medesima testimonianza non sarebbe soggetta alla predetta decadenza. Siffatta questione, infatti, potrebbe essere rimessa in discussione dal collegio (ovvero dal giudice unico), nel caso in cui venga sollecitato in tal senso dalla parte interessata al momento di precisazione delle conclusioni.

Si può ricordare sul punto una pronuncia del 2018, ai sensi della quale dalla valutazione complessiva della condotta processuale della parte emerga una volontà inequivoca di insistere sulla eccezione ai sensi dell’art. 246 c.p.c., anche se non espressamente reiterata in sede di precisazione delle conclusioni, la deduzione relativa alla inammissibilità della medesima testimonianza non sarebbe soggetta alla predetta decadenza, potendo la questione essere rimessa in discussione dal giudice d’appello[16].

Una pronuncia del 2020 affronta ex professo il tema e merita di essere ricordata[17]. Si afferma, infatti, che l’incapacità del testimone risulta disciplinata da una norma specifica in materia di prova testimoniale, ossia dall’art. 246 c.p.c., norma sul procedimento civile e, dunque, disciplinatrice della "forma" del relativo atto processuale ai sensi dell’art. 156 c.p.c. Ne conseguirebbe che l’affidamento all’eccezione di parte della prospettazione dell’incapacità e, dunque, della deduzione della violazione della norma del procedimento, si risolverebbe nella qualificazione di essa come eccezione di nullità ai sensi del citato art. 157, comma 1, c.p.c.

5. Conclusioni

Si è dinanzi a un panorama tale per cui l’orientamento costante è nel senso di aderire (ancora più risolutamente dal 2013 in poi) alla tesi che qualifica il vizio in termini di nullità.

Non sono facilmente reperibili casi in cui la Corte di Cassazione avrebbe aderito decisamente all’orientamento minoritario, ma, semmai, lievi tentativi di optare per una qualificazione diversa.

Mi riferisco, in particolare, a precedenti citati dalla stessa corte di legittimità, in cui manca qualunque riferimento a preclusioni che derivino dal mancato rispetto dell'art. 157, comma 2, c.p.c.

Si può citare una pronuncia secondo la quale, qualora il consigliere istruttore abbia respinto l’eccezione d’incapacità a testimoniare, la parte, per evitare la decadenza deve o reclamare al collegio o, comunque, riproporre la relativa questione in sede di precisazione delle conclusioni, chiedendo la revoca dell'ordinanza medesima[18]. Ancora, sul finire degli anni Novanta, si è ritenuto che avesse fatto acquiescenza all’ordinanza pretorile di rigetto dell’eccezione di incapacità del teste la parte che non aveva riproposto l'eccezione rigettata in sede di precisazione delle conclusioni, peraltro più volte rassegnate[19].

Più di recente, si è ritenuto che la parte che si oppone ad una prova testimoniale, oltre a dover tempestivamente sollevare detta sua eccezione, deve poi dolersene anche in sede di precisazione delle conclusioni, chiedendo la revoca dell'ordinanza ammissiva (o non ammissiva) della prova ai sensi dell'art. 178, comma1, c.p.c. perché il giudice compete la decisione di tutta la causa provveda a detta revoca dell'ordinanza, restando in caso contrario preclusa la possibilità di decidere in ordine all'ammissibilità o in ammissibilità della prova e così provvedere all'eventuale revoca dell’ordinanza[20].

Concludendo, si deve ritenere che l’evidente difformità tra l’argomentazione del nostro provvedimento e l’indirizzo interpretativo maggioritario, rende effettivamente auspicabile una rimessione alle Sezioni Unite. Come si legge nell’ordinanza in commento, infatti, sarebbe evidente la rilevanza di massima della questione, tale da rendere opportuna, secondo il Collegio, proprio la rimessione alle Sezioni Unite, al fine di valutare l'attualità e l'effettiva portata del principio secondo cui l'incapacità a testimoniare, prevista dall'art. 246 c.p.c., determina la nullità della deposizione e non può essere rilevata d’ufficio. Essa, tuttavia, deve essere eccepita dalla parte interessata, al momento dell'espletamento della prova o nella prima difesa successiva. In caso contrario, la suddetta nullità è destinata a rimanere sanata ai sensi dell'art. 157, comma 2, c.p.c. La preventiva eccezione di incapacità a testimoniare, infatti, deve considerarsi comprensiva dell’eccezione di nullità della testimonianza, in qualunque modo ammessa e assunta nonostante l’opposizione[21].

Merita di essere ricordata una ancora più recente pronuncia di legittimità, che è tornata sul punto sotto un peculiare profilo, a conferma di come il dibattito a proposito sia ancora in corso. Nell’arresto del novembre 2022, si legge che l’incapacità del terzo a rendere testimonianza, laddove fondata sull’assunto che il terzo trasportato sia portatore di un interesse che potrebbe legittimarlo a partecipare alla causa, ai sensi dell’art. 246 c.p.c., non può essere desunta da una valutazione aprioristica e per categorie di soggetti e neppure da una prognosi riguardante la sua attendibilità. Il caso che ha dato origine alla vertenza de qua non è lontano da quello descritto nella decisione del giugno 2022: si tratta di una fattispecie in tema di autotrasportato in veicolo incidentato, che non abbia riportato danni alla sua persona[22]. Infatti - e il dato merita di essere sottolineato - il terzo che riporti danni alla persona vanterebbe un titolo idoneo per entrare nel giudizio intentato contro l'autore del sinistro stradale a cagione del quale ha riportato lesioni, dal momento che egli è legittimato a esercitare una autonoma azione in proprio. Al contrario, il terzo che esce incolume dall’incidente non vanterebbe un interesse personale a partecipare all’altrui giudizio di danni alla vettura: e, come ha osservato taluna dottrina e confermato la giurisprudenza, appare assai probabile che renderà una testimonianza favorevole a siffatta circostanza, e concernendo un interesse di mero fatto, non potrà ritenersi di assumere la veste di testimone[23].


Note e riferimenti bibliografici

[1] Per un generale inquadramento in materia di prova testimoniale, si rimanda alle considerazioni di R. CREVANI, La prova testimoniale, in TARUFFO (a cura di), La prova nel processo civile, Milano, 2012, 273 ss.: P. LEANZA (a cura di), Le prove civili, II ed., Torino 2012, in particolare 33 ss.; A. CECCARINI, La prova orale nel processo civile, Milano, 2010, 271 ss.

[2] Sul punto merita di essere rammentata una recente pronuncia, a tenore della quale la valutazione sull'attendibilità di un testimone deve avere come oggetto il contenuto della dichiarazione resa e non può essere aprioristica né per categorie di soggetti, al fine di escluderne "ex ante" la capacità a testimoniare. Nella fattispecie in esame, la Suprema Corte avrebbe cassato la pronuncia di merito che, in una causa in materia di responsabilità da circolazione stradale, aveva escluso la capacità a testimoniare dei terzi trasportati su uno dei veicoli coinvolti, in ragione unicamente di tale loro condizione, senza verificare se avessero riportato danni in conseguenza del sinistro: cfr. Cass. civ., 15 novembre 2022, n. 33536, in Giust. Civ. Mass., 2023.

[3] Art. 157, co. 2, c.p.c. Soltanto la parte nel cui interesse è stabilito un requisito può opporre la nullità dell'atto per la mancanza del requisito stesso, ma deve farlo nella prima istanza o difesa successiva all'atto o alla notizia di esso.

[4] Art. 246 c.p.c. Incapacità a testimoniare. Non possono essere assunte come testimoni le persone aventi nella causa un interesse che potrebbe legittimare la loro partecipazione al giudizio.

[5] Su un’ipotesi differente, ma ugualmente connessa all’esito esegetico del dettato dell’art. 246 c.p.c. si può ricordare la pronuncia di merito di Trib. Milano, 21 settembre 2022, n. 7273, in Guida al diritto, 2022, 47. Il giudice meneghino ha sostenuto che l’art. 246 c.p.c. non prevede tanto l'incapacità a testimoniare del coniuge in comunione di beni, ma esprime un principio di carattere generale secondo cui non possono essere assunte come testimoni persone aventi nella causa un interesse che potrebbe legittimare la loro partecipazione al giudizio. Non sarebbe, dunque , la qualità di coniuge a rendere incapace di testimoniare, bensì l'esistenza di un interesse nella causa. Nel caso di specie - come anticipato differente rispetto a quello oggetto dell’arresto che si commenta - il giudizio aveva ad oggetto una domanda di risarcimento danni derivanti dalla responsabilità professionale di due avvocati. Il giudice adito ha rigettato l'eccezione di incapacità a testimoniare sostenuta dalla difesa di parte attrice con riferimento alla posizione del coniuge di uno dei convenuti ed escludendo che la stessa potesse coltivare un interesse giuridicamente rilevante all'esito della causa, avuto riguardo anche alla circostanza che i beni attinenti allo svolgimento dell'attività professionale del proprio coniuge. Si richiamava, altresì, l’art. 179, lett. d), cod. civ., secondo il quale siffatti beni si qualificano come beni personali e non costituiscono oggetto di comunione tra i due coniugi.

[6] Cfr. F. BARTOLINI, I terzi trasportati sono sempre incapaci di testimoniare?, in Ilprocessocivile.it, 5 dicembre 2022, passim.

[7] Cass. civ., 9 agosto 2019, n. 21239, in Giust. civ. Mass., 2019.

[8] Su tali circostanze nessuno ha chiesto al testimone di riferire; in tale ipotesi, pertanto, la devalutazione della testimonianza fondata sul rilievo che il teste si è limitato a confermare la rispondenza al vero delle circostanze dedotte nei capitoli di prova senza aggiungere dettagli mai richiestigli, riposa su argomentazioni tra loro logicamente inconciliabili, sì da costituire motivazione solo apparente: cfr. Cass. civ., 3 novembre 2022, n. 32456, in Giust. civ. Mass., 2022.

[9] Così secondo Cass. civ., 6 maggio 2020, n. 8528, in Giust. Civ. Mass., 2020; in Foro it., 2020, 12, I, 3924.

[10] Si tratta di Cass. civ., 4 agosto 1990, n. 7869, in Giust. civ. Mass., 1990, fasc. 8, il cui contenuto era in parte già stato anticipato da un altro arresto: Cass. civ., 10 febbraio 1987, n. 1425, in Giust. civ. Mass. 1987, fasc. 2.

[11] Ciò è avvenuto attraverso il richiamo ai numerosissimi precedenti giurisprudenziali, che vale la pena ricordare. Si tratta, ex multis, di Cass. civ., 17 dicembre 1996, n. 11253, in Giust. civ. Mass., 1996, 1757; Cass. civ., 20 giugno 1997, n. 5534, in Giust. civ. Mass., 1997, 1021; Cass. civ., 21 aprile 1999, n. 3962, in Giust. civ. Mass., 1999, 898; Cass. civ., 1 luglio 2002, n. 9553, in Giust. civ. Mass., 2002, 1149; Cass. civ. 17 febbraio 2004, n. 2995, in Giust. civ. Mass., 2004, 2; Cass. civ., 30 luglio 2004, n. 14587, in Giust. civ. Mass., 2004, 7-8; Cass. civ., 7 agosto 2004, n. 15308, in Giust. civ. Mass., 2004, 7-8; Cass. civ., 29 marzo 2005, n. 6555, in Giust. civ. Mass., 2005, 4; Cass. civ., 15 febbraio 2007, n. 3462, in Guida al diritto, 2007, Dossier 10, 37; Cass. civ., 3 aprile 2007, n. 8358, in Giust. civ. Mass., 2007, 4; Cass. civ., 10 aprile 2008, n. 9351, in DeJure. Banche dati editoriali GFL; Cass. civ., 16 marzo 2012, n. 4263, in DeJure. Banche dati editoriali GFL; Cass. civ., 10 aprile 2012, n. 5643, in Giust. civ. Mass., 2012, 4, 466; Cass. civ., 19 agosto 2014, n. 18036, in Giust. civ. Mass., 2014; Cass. civ., 21 ottobre 2015, nn. 21418/21419, in Giust. Civ. Mass., 2015; Cass. civ., 24 febbraio 2016, n. 3647, in Giust. civ. Mass., 2016; Cass. civ., 22 aprile 2016, n. 8180, in DeJure. Banche dati editoriali GFL; Cass. civ., 20 giugno 2016, n. 12673, in DeJure. Banche dati editoriali GFL; Cass. civ., 23 novembre 2016, n. 23896, in DeJure. Banche dati editoriali GFL; Cass. civ., 8 giugno 2017, n. 14276, in Giust. civ. Mass., 2017; Cass. civ., 28 giugno 2019, n. 17607, in DeJure. Banche dati editoriali GFL; Cass. civ., 19 novembre 2019, n. 30065, in DeJure. Banche dati editoriali GFL; Cass. civ., 27 novembre 2019, n. 30995, in DeJure. Banche dati editoriali GFL;  Cass. civ., 9 novembre 2020, n. 25021, in Guida al diritto 2021, 1; Cass. civ., 20 aprile 2021, n. 10374, in Redazione Giuffrè 2021.

[12] Secondo il quale: «Le ordinanze, comunque motivate, non possono mai pregiudicare la decisione della causa».

[13] Si legge, infatti: «come … la già opposta eccezione preventiva d’incapacità testimoniale non avrebbe potuto impedire alla parte di utilizzare a suo vantaggio le risultanze eventualmente favorevoli delle deposizioni, così, in caso di esito non favorevole della prova, soltanto con una tempestiva eccezione di nullità ex art. 157 c.p.c., comma 2, la parte avrebbe potuto evitare la decadenza, avendo la precedente eccezione ormai esaurito ogni suo effetto».

[14] Sul punto la nostra ordinanza cita numerosi provvedimenti, che vale la pena ricordare, anche per dare l’idea di quale fosse l’intensità di talune posizioni giurisprudenziali. Cass. civ., 8 agosto 1990, n. 8039, in Giust. civ. Mass., 1990, fasc. 8; Cass. Civ., 25 febbraio 1989, n. 1042, in Giust. civ. Mass., 1989, fasc. 2; Cass. civ., 24 agosto 1991, n. 9083, in Giust. civ. Mass., 1991, fasc. 8; Cass. civ., 2 agosto 1993, n. 8524, in Giust. civ. Mass., 1993, 1261; Cass. Civ., 6 settembre 1994, n. 7672, in Giust. civ. Mass., 1994, 1132; Cass. Civ., 30 marzo 1995, n. 3773, in Giust. civ. Mass., 1995, 736; Cass. Civ., 22 maggio 1995, n. 5618, in Giust. civ. Mass., 1995, 1046; Cass. civ., 5 marzo 1999, n. 1874, in Giust. civ. Mass., 1999, 502; Cass. civ., 16 settembre 2000, n. 12280, in Giust. civ. Mass., 2000, 1945; Cass. civ., 14 giugno 2001, n. 8063, Giust. civ. Mass. 2001, 1192; in Studium Juris, 2002, 97; in Giur. it., 2002, 935; Cass. civ., 14 aprile 2004, n. 7055, in Foro it. 2005, I, 3207; Cass. Civ., 29 ottobre 2018 n. 27415, in Giust. civ. Mass., 2018.

[15]  Cass. civ., 26 luglio 1999, n. 8066, in Giust. civ. Mass., 1999, 1716; Cass. civ., 18 gennaio 2002, n. 543, in Giust. civ. Mass., 2002, 93; Cass. civ., 19 marzo 2004, n. 5550, in Giust. civ. Mass., 2004, 3; Cass. civ. 12 marzo 2005, n. 5454, in Giust. civ. Mass. 2005, 4; Cass. civ., 12 gennaio 2006, n. 403, in Giust. civ. Mass., 2006, 1; in Guida al diritto 2006, 18, 82; Cass. civ. , 16 maggio 2006, n. 11377, in Giust. civ. Mass., 2006, 5; Cass. civ., maggio 26 maggio 2008, n. 13578, in Giust. civ., 2008, 11, 2402; in Giust. civ., Mass. 2008, 5, 811; Cass. civ., 25 settembre 2009, n. 20652, in Giust. civ. Mass., 2009, 9, 1354; Cass. Civ., 30 ottobre 2009, n. 23054, in Giust. civ. Mass. 2009, 10, 1521; Cass. civ., 12 agosto 2011, n. 17272, in DeJure. Banche dati editoriali GFL; Cass. civ., 29 gennaio 2013, n. 2075, in Giust. civ. Mass., 2013; Cass. civ., SS.UU., 23 settembre 2013, n. 21670, in Giust. civ. Mass., 2013; Cass. Civ., 23 novembre 2016, n. 23896, in Giust. civ. Mass., 2017.

[16] Cass. civ., SS.UU., 24 gennaio 2018, n. 1785, in Giust. civ. Mass., 2018.

[17] Cass. civ., 6 maggio 2020, n. 8528, in Giust. Civ. Mass., 2020; in Foro it., 2020, 12, I, 3924.

[18] Si tratta di Cass. Civ., 25 febbraio 1989, n. 1042, in Giust. civ. Mass., 1989, fasc. 2; nello stesso senso Cass. Civ., 7 febbraio 2003, n. 1840, in Giust. civ. Mass. 2003, 282.

[19] Cass. Civ., 15 giugno 1999, n. 5925, in Giust. civ. Mass., 1999, 1392.

[20] Cass. Civ., 24 novembre 2004, n. 22146, in Foro it. 2005, I, 370.

[21] Cfr, Trib. Vicenza, 8 novembre 2022, n. 1878, in Redazione Giuffrè 2023, sostiene che, in materia di prova testimoniale, l'eccezione d'incapacità a deporre, sollevata - in ossequio alla disciplina ex art. 157, co. 2, cod. proc. civ. - all'esito dell'escussione del teste, deve considerarsi quale idonea proposizione di un'eccezione di nullità della prova assunta

[22] Cass. civ., 15 novembre 2022, n. 33536, in ilprocessocivile.it, 5 dicembre 2022, con nota di F. BARTOLINI, I terzi trasportati sono sempre incapaci di testimoniare?

[23] Infatti, come è stato osservato, l’interesse giuridico, personale e concreto, previsto dall’art. 246 c.p.c., presupporrebbe una legittimazione principale a proporre l’azione, ovvero una legittimazione secondaria a intervenire in un giudizio proposto da altri cointeressati, come ha avuto modo di sostenere la giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. civ., 12 maggio 2006, n. 11034, in Giust. civ. Mass., 2006, 5; Cass. civ., 8 giugno 2012, n. 9353, in Giust. civ. Mass., 2012, 6, 762, che lo riallaccia all’interesse ex art. 100 c.p.c.).

Bibliografia

BARTOLINI F., I terzi trasportati sono sempre incapaci di testimoniare?, nota a Cass. civ., 15 novembre 2022, n. 33536, in Ilprocessocivile.it 5 dicembre 2022.

CECCARINI A., La prova orale nel processo civile, Milano, 2010.

CREVANI R., La prova testimoniale, in TARUFFO (a cura di), La prova nel processo civile, Milano, 2012.

LEANZA P. (a cura di), Le prove civili, II ed., Torino 2012.