Pubbl. Mer, 25 Nov 2015
Chi inquina paga: esonero dall’onere reale di bonifica per il proprietario incolpevole
Modifica paginaIl Consiglio di Stato, con la sentenza n. 4225 del 10 settembre 2015, interviene su di una questione già sorta qualche mese addietro in sede comunitaria, specificando ed allo stesso tempo ampliando la portata del principio di matrice europea del chi inquina paga. La questione fornisce, inoltre, una opportunità di approfondimento pratico di un istituto non sempre pacifico: l’onere reale.
1. Premessa - 2. Le vicende comunitarie - 3. La sentenza del Consigio di Stato - 4. Onere reale o obbligazione propter rem? - 5. Vie risarcitorie - 6. Conclusione
1. Premessa
La quaestio in questione (no pun intended, direbbero gli anglosassoni) offre molteplici spunti di riflessione, in quanto per compiere una analisi approfondita che ne illustri i vari risvolti, si devono necessariamente esaminare discipline, ambiti dell'ordinamento giuridico, non inerentemente associati l'uno all'altro, ed anzi, si deve trascendere la dimensione nazionale per giungere a quella comunitaria, la quale, nonostante generalmente operi secondo un criterio di armonizzazione complessivo delle disposizioni vigenti all'interno della UE, in questo caso lascia ampio respiro al legislatore nazionale in ordine alla definizione, o meglio, attuazione, di un principio sancito dall'ordinamento europeo: "chi inquina paga".
Si limitasse a tale ambito, l'articolo che ci si appresta a stendere parlerebbe esclusivamente di come il giudice europeo ha influito sulla decisione del Consiglio di Stato; tuttavia, trattandosi di onere reale (anzi, forse si tratta proprio dell'onere reale per eccellenza), è imprescindibile un raffronto con quanto chi scrive ha elucidato in un precedente articolo, occupandosi proprio della materia degli oneri reali e delle obbligazioni propter rem.
L'esposizione verrà pertanto condotta seguendo anzitutto un criterio di scansione temporale degli avvenimenti, per poi accingersi all'esame delle conseguenze che la sentenza dei massimi giudici amministrativi può avere per la qualificazione, civilistica, della figura dell'onere reale.
2. Le vicende comunitarie
Il punto di partenza della questione in esame è il dato normativo fornito dalla direttiva europea sulla responsabilità ambientale (Direttiva 2004/35/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 aprile 2004), per cui l'operatore che gestisce un sito (un sito è un'area in senso lato, comprese strutture edilizie ed impiantistiche) deve, in linea di principio, sopportare i costi delle misure di prevenzione e di riparazione adottate in risposta al verificarsi di un danno ambientale nel sito. Tuttavia, egli può addurre l'esonero dalla responsabilità, qualora provi che il danno è stata causato da un terzo. Vi è da notare, che la direttiva summenzionata consente in ogni caso che gli Stati membri adottino norme più severe in materia.
Il 4 marzo 2015, la Corte di Giustizia europea, adita tramite il rinvio pregiudiziale compiuto dal Consiglio dello Stato, emette sentenza nella causa C-534/13, pronunciandosi sulla conformità della normativa italiana con rispetto a quella comunitaria.
Giova ricordare che, "il rinvio pregiudiziale consente ai giudici degli Stati membri, nell'ambito di una controversia della quale sono investiti, di interpellare la Corte in merito all'interpretazione del diritto dell'Unione o alla validità di un atto dell'Unione", e che "la Corte non risolve la controversia nazionale", in quanto "spetta al giudice nazionale risolvere la causa conformemente alla decisione della Corte". Infine, "tale decisione vincola egualmente gli altri giudici nazionali ai quali venga sottoposto un problema simile".
I massimi giudici amministrativi, essendo stati interpellati tramite ricorsi avverso pronunce amministrative, avevano adito la Corte di Giustizia comunitaria per risolvere il dubbio di conformità della legge italiana con l'ordinamento europeo, dovendosi applicare la normativa alla seguente questione in fatto, la quale verrà esposta sommariamente, omettendo riferimenti specifici ai soggetti coinvolti: tra il 2006 e il 2001, tre società sono divenute proprietarie di diversi terreni situati nella provincia di Massa Carrara, in Toscana; detti terreni erano gravemente contaminati da sostanze chimiche in seguito alle attività economiche svolte dai precedenti proprietari, appartenenti ad un importantissimo gruppo industriale.
Arriviamo ora al punto saliente: ancorché i nuovi proprietari non fossero autori della contaminazione, le autorità italiane hanno ordinato loro di realizzare idonee misure di protezione del territorio.
Il dubbio di conformità nasce perché la legislazione italiana non consente che venga imposto al proprietario non responsabile della contaminazione la realizzazione di misure di prevenzione e di riparazione, anzi limita la sua responsabilità patrimoniale al valore del terreno.
La Corte (europea) si pronuncia affermando la conformità del diritto italiano con la normativa comunitaria, e giungendo a tale affermazione tramite due ordini di argomentazioni.
Il primo argomento è dato dalla costante giurisprudenza della Corte di Giustizia relativa all'art. 191, comma secondo, TFUE.
In base ad esso: "la politica dell'Unione in materia ambientale mira ad un elevato livello di tutela, tenendo conto della diversità delle situazioni nelle varie regioni dell'Unione. Essa è fondata sui principi della precauzione e dell'azione preventiva, sul principio della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all'ambiente, nonché sul principio "chi inquina paga". In tale contesto, le misure di armonizzazione rispondenti ad esigenze di protezione dell'ambiente comportano nei casi opportuni, una clausola di salvaguardia che autorizza gli Stati membri a prendere, per motivi ambientali di natura non economica, misure provvisorie soggette ad una procedura di controllo dell'Unione".
Il principio del "chi inquina paga" si riferisce all'azione dell'Unione, ed in quanto tale, non può essere invocato da privati o da autorità amministrative nazionali.
La seconda argomentazione addotta dal giudice comunitario nella sentenza si evince dall'analisi dei presupposti della responsabilità ambientale, quali previsti nella già citata direttiva del 2004. In particolare, l'interprete si sofferma sulla nozione di "operatore" e sulla necessità della sussistenza di un nesso causale tra l'attività dell'operatore e il danno ambientale arrecato.
La Corte precisa che i soggetti diversi dall'operatore non rientrano nell'ambito di applicazione della direttiva e che, quindi difettando la fattispecie del nesso causale richiesto, la situazione non rientra nell'ambito di operatività del diritto europeo, bensì in quello nazionale.
3. La sentenza del Consiglio di Stato
Il 10 settembre 2015, i massimi giudici amministrativi si sono pronunciati, con la sentenza n. 4225 della sezione VI, su di una questione analoga a quella poi divenuta oggetto di pronuncia in sede europea. La vicenda riguarda una società, proprietaria incolpevole di un sito inquinato, diffidata dal ministero dell'Ambiente ad adottare misure di messa in sicurezza d'emergenza per impedire l'ulteriore diffusione della contaminazione. Secondo il Ministero, infatti, il proprietario di un bene (immobile) deve rispondere anche dell'ulteriore danno ambientale da inquinamento che il terreno continua a cagionare. Inoltre, sempre secondo il Ministero, il principio "chi inquina paga" deve essere inteso nel senso che la locuzione "chi" non vada riferita solo a colui che abbia abusato dal territorio immettendo o facendo immetere materiali inquinanti, ma anche a colui che, con la propria condotta omissiva o negligente (quindi in ogni caso colpevole, se non addirittura dolosa), "nulla faccia per ridurre o eliminare l'inquinamento".
Il Consiglio di Stato, pronunciando sulla questione, si è posto in netto contrasto con l'indirizzo favorito dal Ministero dell'Ambiente, stabilendo che il proprietario è tenuto soltanto a porre in essere le misure di prevenzione ovvero "le iniziative per contrastare un evento, un atto o un'omissione che ha creato una minaccia imminente per la salute o per l'ambiente intesa come rischio sufficientemente probabile che si verifichi un danno sotto il profilo sanitario o ambientale in un futuro prossimo, al fine di impedire o minimizzare il realizzarsi di tale minaccia".
Inoltre, ed è questo senz'altro il profilo di maggior interesse, ha disposto che gli interventi di riparazione, messa in sicurezza, bonifica e ripristino gravano esclusivamente sul responsabile della contaminazione, quindi sgravando il proprietario che si è trovato ad essere proprietario di un fondo "nocivo" dall'obbligo di rispondere del danno causato dall'altrui fatto.
Infine, ed è in sede di quest'ultimo principio enunciato che nasce il nodo della questione, se il responsabile della contaminazione non è individuato, la bonifica è eseguita dalla pubblica amministrazione.
Infatti, per il proprietario incolpevole sorge il rischio che la PA recuperi le spese sostenute per la bonifica con la vendita forzata del bene. Ma il possibile detrimento derivante dall'azione della pubblica amministrazione non si ferma a ciò.
Le spese sostenute dalla PA per gli interventi di bonifica sono assistite da privilegio speciale immobiliare sulle aree, esercitabile, sfortunatamente per il nostro decisamente poco fortunato proprietario, anche in pregiudizio dei diritti acquistati dai terzi sull'immobile.
Una nota positiva si scorge, invece, nella necessità che il privilegio e la ripetizione possono essere esercitati solo a seguito di provvedimento motivato dell'autorità competente che giustifichi, tra l'altro, l'impossibilità di accertare l'identità del soggetto responsabile oppure l'impossibilità o l'infruttuosità di esercitare azioni di rivalsa nei confronti del medesimo soggetto (ad esempio, perché non solvibile).
4. Onere reale o obbligazione propter rem?
Il quesito è rilevante ai fini della questione in esame, in quanto la netta qualificazione civilistica dell'istituto può portare ad una maggiore sicurezza e chiarezza nell'identificare i principi (e quindi, la normativa) applicabili soprattutto in sede di risoluzione delle controversie che a gran numero sorgono in relazione all'argomento trattato, oltre a poter eventualmente fornire uno strumento di elevata certezza per i soggetti che si trovino a valutare l'opportunità di un proprio inserimento in una situazione giuridica che potrebbe per loro comportare oneri ed obblighi vastamente più gravosi di quelli inizialmente previsti.
L'onere reale, ricordiamo, è un'attività a carattere periodico dovuta da un soggetto per il fatto che si trova nel godimento di un bene; gli oneri reali sono un numerus clausus; il valore della prestazione dovuta è delimitata dal valore stesso della cosa;
fonte dell'onere reale è la cosa, e non la persona: si veda il brocardo "res, non personam, debet".
Proprio trattando di questa figura, in un precedente articolo, chi scrive aveva addotto come classico esempio di onere reale l'oggetto di una pronuncia cassazionistica, che statuiva sull'onere di bonifica di un fondo gravato, già all'atto di acquisto, del peso che fa nascere l'onere in capo al soggetto che si trova nel godimento del bene medesimo (Cass. civ., Sez. II, n. 2982/2012). La sentenza impugnata aveva respinto l'impugnazione ex art. 1489 c.c., e la Corte Suprema aveva condiviso tale pronuncia, così confermando il brocardo "res, non personam, debet", in quanto era, a giudizio della Cassazione, dopo quello della Corte d'appello, assolutamente irrilevante il dato per cui il proprietario non era a conoscenza dell'aggravio vigente sul proprio fondo. In altre parole, la Cassazione aveva prediletto la certezza dei traffici alla "giustizia", per usare un termine alquanto grigio.
Appare evidente, quindi, che l'orientamento fatto proprio dal Consiglio di Stato con la pronuncia in esame si ponga in senso diametralmente opposto a quanto statuito dalla Cassazione, oltre a disqualificare l'onere oggetto della pronuncia dall'ambito "reale".
Per potersi parlare di onere propriamente "reale", infatti, è necessario che sia la res a formare la qualificazione del rapporto, e su di essa deve gravare il "peso" (la formulazione non vuole essere impropria, dato il potenziale di ambiguità con il "peso", tradizionalmente associato, in ambito civilistico, alla figura delle servitù prediali); risolvere la controversia disponendo che il vero obbligato, quindi il debitore effettivo, è chi ha cagionato il danno, qualifica la fattispecie come obbligatoria, anziché reale. Il rapporto obbligatorio segue il soggetto, il rapporto reale segue la cosa.
Prima di pronunciare le dovute valutazioni, è più che opportuno analizzare se la fattispecie possa invece rientrare nella disciplina delle obbligazioni propter rem.
Le obbligazioni propter rem (o reali, o ambulatorie) nascono a carico di un soggetto se ed in quanto egli sia proprietario di una determinata cosa, o titolare di un altro diritto reale su di essa; l'obbligazione è intrinsecamente collegata con il diritto reale; esse si manifestano generalmente quando vi sono più diritti reali spettanti a più soggetti su di una cosa comune; la persona del debitore si invididua per relationem, in base all'obbligo che il soggetto assume in relazione al bene; la relazione copre automaticamente le prestazioni dovute anteriormente all'acquisto del dominio o del possesso del bene. Da quest'ultimo aspetto discende anche il dato per cui l'obbligato, alla cessione del diritto, si libera dell'obbligo inerente ad esso.
Pare, a chi compie l'esame della fattispecie, che quanto disposto nella pronuncia del Consiglio di Stato qualifichi il fatto come ibrido tra le due figure. Da una parte, vi è la legalità della figura (l'onere è previsto dalla legge); vi è la limitazione della responsabilità in capo al debitore fino al valore della cosa; ed infine, vi è anche il carattere periodico delle attività che si debbono compiere, perché anche senza l'ulteriore aggravio della bonifica da effettuare da principio, il mantenimento in buono stato della res esige senz'altro una manutenzione periodica. Questi gli elementi che la fattispecie ha in comune con l'onere reale. Manca senz'altro l'elemento in assoluto più rilevante, ossia l'origine reale dell'obbligo: infatti, secondo la sentenza del Consiglio di Stato, è colui che ha inquinato a dover la prestazione risarcitoria. Si trattasse di onere reale, sarebbe invece il proprietario a dover effettuare la bonifica.
Dall'altro lato, vi è la proprietà in capo ad un soggetto della cosa; vi è il collegamento intrinseco; vi è l'obbligato individuabile per relationem; infine, e con maggior rilievo, vi è la automatica copertura della relazione con il bene che copre quanto dovuto anche anteriormente all'acquisto del diritto su di essa. Ma, come già sopra precisato, ciò significa anche che la rinuncia comporta l'estinzione dell'obbligo in capo al cedente perché esso si formi in capo all'acquirente. Manca inoltre l'elemento della pluralità, il quale però forma un elemento "presunto", in quanto si è semplicemente osservato che questo tipo di obbligazione tende ad essere presente, quasi esclusivamente, quando vi è una situazione basilare di pluralità di diritti reali.
La soluzione è di ardua individuazione. Per le considerazioni finali a riguardo si rinvia al paragrafo conclusionale (o conclusivo) dell'articolo.
5. Vie risarcitorie
Nel caso in cui l'acquirente del fondo inquinato abbia svolto una due diligence sul terreno maturando la consapevolezza del rischio, la gestione della fattispecie si risolve attraverso la previsione di idonee garanzie contrattuali.
In assenza di tale perizia, stante che il Codice dell'ambiente dà al proprietario di un terreno inquinato che ha eseguito la bonifica il diritto di rivalersi sul responsabile effettivo dell'inquinamento, è indispensabile esaminare i rimedi posti a garanzia della posizione del proprietario incolpevole.
Si ha, in primis, la responsabilità del venditore per i vizi della cosa, ex art. 1490 ss. c.c., obbligo che discende dal n. 3 del comma primo dell'art. 1476 c.c., che disciplina le obbligazioni principali del venditore ("Le obbligazioni principali del venditore sono: ... 3) quella di garantire il compratore dall'evizione e dai vizi della cosa").
Il primo comma dell'art. 1490 dispone: "Il venditore è tenuto a garantire che la cosa venduta sia immune da vizi che la rendano inidonea all'uso a cui è destinata o ne diminuiscano in modo apprezzabile il valore". L'inquinamento del terreno è senz'altro da ritenersi quale fattore idoneo a diminuire in modo apprezzabile il valore della cosa, e, possibilmente, anche a renderla inidonea all'uso proprio di essa, qualora la contaminazione sia tale da cagionare tale effetto.
La sentenza della Cassazione del 9 febbraio 2015, n. 239 corrobora quanto appena affermato.
Inoltre, il venditore non può beneficiare della norma contenuta all'art. 1491 c.c., secondo cui "non è dovuta la garanzia se al momento del contratto il compratore conosceva i vizi della cosa; parimenti non è dovuta, se i vizi erano facilmente riconoscibili, salvo, in questo caso, che il venditore abbia dichiarato che il venditore abbia dichiarato che la cosa era esente da vizi". Nel caso di vendita di sito contaminato non può ritenersi facilmente riconoscibile il vizio, in quanto non individuabile ad un esame superficiale della cosa, né è possibile ricomprendere nella diligenza dell'acquirente (che è quindi quella del buon padre di famiglia ex. art. 1176 c.c., comma primo) l'onere di farsi assistere da un perito (Cassazione, sentenza 27 febbraio 2012, n. 2981).
Inoltre, è invocabile la tutela prevista dall'art. 1497, primo comma, c.c.: "Quando la cosa venduta non ha le qualità promesse ovvero quelle essenziali per l'uso a cui è destinata, il compratore ha diritto di ottenere la risoluzione del contratto secondo le disposizioni generali sulla risoluzione per inadempimento, purché il difetto di qualità ecceda i limiti di tolleranza stabiliti dagli usi".
Tuttavia, sia la prima che la seconda alternativa hanno il difetto di porre il fondamento per azioni che si prescrivono in un anno (artt. 1497, comma secondo e 1495, comma terzo, c.c.).
La terza strada percorribile è quella della ordinaria azione di risarcimento del danno ex art. 1223 c.c., comprendente il danno emergente ed il lucro cessante in quanto siano conseguenza immediata e diretta dell'inadempimento (o dal ritardo, ma ciò non rileva ai nostri fini). Questo tipo di tutela è svincolata dai brevi termini di prescrizione previsti per le prime due alternative.
Il termine di prescrizione è, infatti, quello ordinario decennale ex art. 2946 c.c.
Infine, si può avere il risarcimento del danno extracontrattuale (art. 2043 c.c.). Questa possibilità si pone solo per il proprietario incolpevole che abbia subito il danno da un terzo, quindi non dal venditore (perché egli dovrebbe risarcire il danno contrattuale).
6. Conclusione
Quest'ultimo paragrafo riguarda esclusivamente la distinzione, ai fini della qualificazione dell'oggetto della pronuncia in esame, tra oneri reali ed obbigazioni reali.
Vi è anzitutto da precisare, con riguardo al paragrafo quarto del presente testo, che l'analisi ai fini della qualificazione è svolta dall'autore in un'ottica temporale anteriore rispetto alla pronuncia, e non posteriore; non vi è alcun dubbio attinente al dato di fatto per cui vi sia stata un danno, e che quindi la matrice della questione diviene prettamente risarcitoria.
Tuttavia, di danno si parla in quanto non è stata applicata la logica "reale" del rapporto oneroso in questione; si parlerebbe comunque di danno se la qualificazione del rapporto fosse quella di obbligazione reale. Infatti, se è vero che il soggetto che cede il proprio diritto si libera dall'obbligo, è altrettanto vero che, in base ai principi generali, se egli ha arrecato un danno al soggetto acquirente, sarà tenuto a risarcirlo. Ed è altrettanto vero, si potrebbe obiettare, che il soggetto che subentra nell'obbligo reale di un altro, è tenuto tanto quanto il cedente lo era precedentemente, per le obbligazioni sorte prima del suo acquisto. Ma è proprio con attenzione a quest'ultimo profilo che si verifica una rottura nel tentativo di inquadrare la fattispecie come una obbligazione reale e che aiuta a definire con maggiore precisione l'ambito di operatività dell'istituto.
Il subentro negli obblighi antecedenti si ha quando vi sia una base perché questi obblighi antecedenti rimangano intatti.
Ciò succede quando Tizio lascia, ad esempio, la comunione, e rimangono a tenerla in vita Caio e Sempronio.
Quando, invece, Caio acquista da Mevio, solo da Mevio, senza subentrare in alcun vincolo plurale con altri soggetti, egli diviene il solo proprietario del bene, che può essere viziato, gravato da un onere, ma che non fa scaturire alcun obbligo in tal senso. La questione è giuridico-linguistica. L'obbligo è, lo si ripete, una qualcosa inerente alla persona (fisica o giuridica che sia), alla quale è collegata una sanzione. Inoltre, l'obbligo attribuisce al creditore la pretesa di esigere una prestazione da una o più persone determinate, e quindi vincola il debitore ad adempiere nei confronti di uno o più soggetti, mentre in questo caso non vi è alcun soggetto individuato nei confronti dei quali si deve adempiere. L'onere, al contrario, è un'attività che un soggetto tiene nel proprio interesse, perché egli ne trae una utilità. L'utilità che il soggetto trae, nel caso in esame, è la possibilità di godere del bene in modo funzionale.
Proprio per questo motivo, chi scrive è dell'avviso che la qualificazione corretta sia quella di onere reale, e non quella di obbligazione reale; e a maggior ragione, è inspiegabile il perché di una pronuncia che invece faccia ricadere l'obbligo, stavolta, di risarcire il proprietario su colui che ha cagionato il danno.
Due importanti precisazioni: in primo luogo, non deve trarre in inganno il ragionamento svolto sull'intervento della PA. Il fatto che la PA potenzialmente possa soddisfarsi sul bene bonificato non è in alcun modo una sanzione, bensì il legittimo operare della pubblica amministrazione.
In secondo luogo, il lettore deve tenere a mente due dati fondamentali: il primo è quello per cui la normativa comunitaria permette che il singolo Stato membro adotti misure più severe del "paga chi inquina"; il secondo è quello per cui il Codice dell'ambiente, nell'affermare la possibilità di rivalsa in capo al proprietario incolpevole, presuppone che egli abbia effettivamente pagato. Le affermazioni esposte si muovono, pertanto, all'interno di tale cornice.
Pare necessario affermare che la pronuncia del Consiglio di Stato, seppur sostenuta da una logica ferrea ("chi inquina paga", o meglio, in questo caso, "chi non inquina, in ogni caso non dovrà pagare"), rischia di esser foriera di ulteriore divergenza tra le pronunce dei giudici in materia, con la conseguente impossibilità di fare effettivo affidamento sulla costanza della giurisprudenza in materia, e quindi sulla certezza del diritto.
Non si capisce, inoltre, quale sia il beneficio che possa trarre il proprietario da un intervento della pubblica amministrazione che potrebbe finire per privarlo del bene; si capisce, invece, se ci si pone nell'ottica del rango dei beni tutelati dall'ordinamento. Il bene "ambiente" prevale sui diritti patrimoniali delle parti coinvolte. In tale ottica, l'intervento della PA è quello in assoluto più adatto a fornire all'ambiente stesso l'intervento del quale necessita, anche se comporta un rischio, complessivamente eccessivo, in capo al proprietario incolpevolo, il quale perderebbe il bene acquistato.
Una possibile soluzione meno gravosa per tutte le parti coinvolte potrebbe essere quella di prevedere un obbligo di diligenza più calzante sull'acquirente al momento dell'acquisto, al fine della individuazione dei vizi medesimi. Non è infatti chiaro il perché i vizi della cosa, trattandosi di un terreno, dovrebbero essere rilevabili anche dall'uomo medio sfornito di conoscenze tecniche tramite un esame superficiale di un vizio, che per natura del bene stesso oggetto dell'atto, sarebbe situato proprio al di sotto della superficie.
Qualunque sia l'orientamento che si vuole condividere, è in ogni caso rilevabile che la soluzione alla quale è giunto il Consiglio di Stato non convince né soddisfa pienamente le molteplici esigenze connesse alla fattispecie, come è anche palese che le pronunce, tra di loro spesso e volentieri divergenti, dei vari tribunali, vadano a comporre un clima di incertezza sulle situazioni aventi ad oggetto il fondo gravato da un peso, in senso lato.
Note e riferimenti bibliografici
G. Inzaghi e R. Serrato, Se il proprietario è incolpevole non deve bonificare, da IlSole24Ore del 16/11/2015
P. Trimarchi, "Istituzioni di Diritto Privato", XIX ed., Milano 2011, pp. 51, 93-96
Avv. Cinzia Marseglia, Responsabilità contrattuale e responsabilità extracontrattuale, da Informazionelegale.it
F. Rizzello, Oneri reali e obbligazioni propter rem a confronto, da Camminodiritto.it