Pubbl. Mer, 15 Feb 2023
Sulla rilevanza urbanistico-edilizia e paesaggistica di una cancellata
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Alessandra Coppola
Il presente contributo è volto ad analizzare la recente pronuncia del Tar Campania, Salerno, sez. II n. 2775 del 21 ottobre del 2022 che, conformemente all´orientamento ormai consolidato della giurisprudenza amministrativa, ha statuito che la realizzazione di una recinzione metallica con paletti di ferro e cancello (cd. cancellata) costituisca attività libera, non soggetta neppure a segnalazione di inizio attività, allorquando sia priva di autonoma rilevanza urbanistico-funzionale e non dispieghi alcun impatto rilevante sull’assetto edilizio circostante. A tal uopo, appare opportuno ripercorrere brevemente e in via preliminare il regime dell´attività edilizia di cui al D.P.R. n. 380/2001, anche alla luce delle recenti acquisizioni giurisprudenziali nella materia in oggetto.
Sommario: 1. Premessa. 2. Il regime dell’attività edilizia ai sensi del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380. 2.1. Il permesso di costruire. 2.2. La S.C.I.A. edilizia. 2.3. L’attività di edilizia libera e la scarsa incidenza sull’assetto urbanistico territoriale. 3. La realizzazione di una recinzione metallica: tra necessità del titolo edilizio e libertà di intervento. 3.1. Le coordinate ermeneutiche tracciate dalla giurisprudenza amministrativa. 3.2. Il principio di diritto sancito del Tar Salerno, Sez. II, con la sentenza n. 2775 del 21 ottobre 2022. 4. Conclusioni.
1. Premessa
Al D.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico sull’Edilizia) si deve il merito di aver precipuamente definito il regime amministrativo dell’attività edilizia. Esso ha, invero, indicato nello specifico le categorie degli interventi edilizi che possono essere realizzati dai privati, precisando i relativi titoli abilitativi e le sanzioni comminabili in caso di violazione delle prescrizioni normative.
Ciononostante, i contorni tra una tipologia di intervento e un’altra, spesso assai sfumati, sollecitano costantemente l'attenzione dei tribunali di ogni ordine e grado, chiamati a intervenire a fini esegetici.
Sotto tale aspetto, dubbi ermeneuti hanno, in particolare, riguardato la qualificazione dell’intervento edilizio consistente nella realizzazione di una recinzione metallica. Mentre in taluni casi si tratterebbe di un’attività libera, che non richiederebbe quindi alcun titolo abilitativo e neppure la presentazione della segnalazione certificata di inizio attività, in altri casi assurgerebbe ad attività avente un rilevante impatto sull’assetto edilizio circostante e necessiterebbe, pertanto, del preventivo rilascio del permesso di costruire.
Sul punto, si è di recente pronunciato il Tar Salerno, Sez. II, con sentenza n. 2775 del 21 ottobre 2022 che ha provveduto a delimitare gli esatti confini tra l'una e l'altra ipotesi.
Prima di procedere al puntuale vaglio della decisione anzidetta, appare tuttavia opportuno ripercorrere brevemente il regime dell’attività edilizia previsto dal Testo Unico sull’Edilizia, illustrando altresì gli orientamenti giurisprudenziali in tema di rilevanza urbanistico-edilizia e paesaggistica della cd. “cancellata”.
2. Il regime dell’attività edilizia ai sensi del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380
2.1. Il permesso di costruire
Lo jus aedificandi costituisce una facoltà compresa nel diritto di proprietà dei suoli che sottende un interesse sottoposto a conformazione da parte della legge e della pubblica amministrazione in funzione dei diversi interessi che vengono coinvolti dalla edificazione privata[1].
Tale opera di conformazione è effettuata, in primis, dalla normativa di carattere urbanistico-edilizio. Il Testo Unico sull’Edilizia, invero, fissa le disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, indicando specificamente quali interventi sono subordinati al preventivo rilascio del permesso di costruire.
A tal proposito, non va anzitutto sottaciuto che il Testo Unico sull’Edilizia, ribadendo l’esclusione della natura concessoria del titolo abilitativo in esame, ha ormai definitivamente sostituito il termine “concessione edilizia” con quello di “permesso di costruire”[2] .
Si aggiunga, poi, che l’art. 10, co. 1 del Testo Unico sull’Edilizia (rubricato “Interventi subordinati a permesso di costruire”), prevede espressamente che sono subordinati al preventivo rilascio del permesso di costruire tutti gli interventi di trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio, ovvero:
- gli interventi di nuova costruzione;
- gli interventi di ristrutturazione urbanistica;
- gli interventi di ristrutturazione edilizia che portino a un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e che comportino modifiche della volumetria complessiva degli edifici o dei prospetti, ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, comportino mutamenti della destinazione d’uso, nonché gli interventi che comportino modificazioni della sagoma di immobili sottoposti a vincoli culturali e paesaggistici ai sensi del D.lgs. 22/01/2004, n. 42.
A completamento della disciplina anzidetta, l’art. 3 del Testo Unico sull'Edilizia specifica quali interventi debbano essere qualificati come “nuova costruzione”[3], quali come interventi di ristrutturazione urbanistica[4] e quali come interventi di ristrutturazione edilizia cd. “pesante”[5], assoggettando poi al medesimo regime anche tutti gli interventi di trasformazione edilizia e urbanistica del territorio non espressamente rientranti nelle ipotesi di manutenzione ordinaria, straordinaria, restauro, di risanamento conservativo e di ristrutturazione edilizia.
Ed invero, il tratto che accomuna le diverse ipotesi di interventi edilizi di cui all’art. 3 appena citato e a carattere non esaustivo, non è tanto la presenza di lavori edilizi, ma la trasformazione duratura del territorio posta in essere con qualsivoglia mezzo[6] . La trasformazione del territorio deve, tuttavia, risultare non precaria. E il carattere di precarietà del manufatto che esonera dal preventivo rilascio del titolo edilizio in esame va inteso non in senso strutturale bensì funzionale, dovendosi esso escludere in fattispecie in cui l’opera risulta destinata al soddisfacimento di esigenze durevoli e non meramente temporanee. Pertanto, il mero carattere di agevole rimovibilità delle opere in questione non vale ad elidere la necessità del relativo titolo abilitativo, considerato che le stesse sono chiaramente destinate non a soddisfare esigenze temporanee, ma sono al servizio durevole degli interessi dei ricorrenti e delle relative abitazioni[7].
Per quanto concerne il procedimento di rilascio del permesso de quo, va precisato che legittimato a richiederlo è, ai sensi dell’art. 11 del Testo Unico sull'Edilizia, il proprietario o chiunque abbia titolo per richiederlo, mentre competente al rilascio è il dirigente, il responsabile SUE ovvero l’organo precipuamente individuato dall’amministrazione regionale. Esso è rilasciato in conformità alle previsioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e della disciplina urbanistico-edilizia vigente ed è comunque subordinato alla esistenza delle opere di urbanizzazione primaria o alla previsione da parte del comune dell’attuazione delle stesse nel successivo triennio, ovvero all’impegno degli interessati di procedere all’attuazione delle medesime contemporaneamente alla realizzazione dell’intervento oggetto del permesso.
Consegue all’esecuzione delle opere in assenza di permesso di costruire, in totale difformità o con variazioni essenziali rispetto ad esso, l’emissione di un’ordinanza di ingiunzione alla rimozione e demolizione delle opere medesime[8].
2.2. La S.C.I.A. edilizia
L’istituto della D.I.A. (denuncia di inizio attività) è stato introdotto nel settore dell’edilizia ad opera dell’art. 4, commi 7-15 del D.L. n. 398/1993, sostituito poi dall’art. 2, co. 6 della L. n. 662/1996, che indicava tassativamente gli interventi edificatori realizzabili senza il preventivo rilascio del permesso di costruire ma sulla base della semplice presentazione alla competente amministrazione della denuncia prevista dall’art. 19, L. n. 241/90.
Più di recente, la materia è stata ridisciplinata dal Testo Unico sull'Edilizia, anche se la sostituzione definitiva della “D.I.A.” con la “S.C.I.A.” (segnalazione certificata di inizio attività) la si deve alla novella di cui al D.L. n. 133 del 12 settembre 2014[9], che ha modificato l’art. 19 della legge n. 241/1990, forgiando un istituto profondamente rinnovato rispetto al passato, sia nella forma che nella sostanza.
Più precisamente, le varie riforme susseguitesi nel tempo in materia, sono state improntate al raggiungimento della semplificazione e dello snellimento dell’attività amministrativa, comportando una riduzione degli oneri in capo al denunciante, titolare di una posizione soggettiva originaria che rinviene il suo fondamento diretto e immediato nella legge. Invero, egli può iniziare l’attività subito dopo la presentazione della segnalazione; alla P.A. residuano, poi, solo i successivi poteri di verifica e, se del caso, inibitori e repressivi, da esercitare entro il termine di 30 giorni[10].
Nel Testo Unico sull’Edilizia attualmente vigente, l’art. 22 individua, in via residuale, gli interventi sottoposti a S.C.I.A. Trattasi di tutti quegli interventi che non sono assoggettati al regime del preventivo rilascio del permesso di costruire e che neppure sono riconducibili all’attività di edilizia libera, purché risultino comunque conformi agli strumenti urbanistici, ai regolamenti edilizi e, in generale, alla disciplina urbanistico-edilizia vigente alla data di operatività della S.C.I.A.
Il co. 2 dell’articolo anzidetto completa il quadro degli interventi realizzabili mediante la segnalazione de qua aggiungendo le varianti a permessi di costruire già assentiti, sempre che essi:
- non incidano sui parametri urbanistici e sulle volumetrie;
- non modifichino la destinazione d’uso e la categoria edilizia;
- non alterino la sagoma dell’edificio, qualora sottoposto a vincolo ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio, approvato con D.lgs. 22/01/2004, n. 42;
- non violino le eventuali prescrizioni contenute nel permesso di costruire.
Allo stesso modo, sono realizzabili mediante S.C.I.A. le varianti a permessi di costruire che non configurano variazioni essenziali, a condizione che siano comunque conformi alle prescrizioni urbanistiche ed edilizie e siano eseguite dopo l’acquisizione di eventuali atti di assenso in materia paesaggistica, idrogeologica, ambientale, culturale e archeologica.
Si aggiunga poi che per gli interventi di cui all’art. 22, commi 1 e 2, il co. 7 ha previsto la regola della facoltatività: l’interessato può comunque decidere di chiedere per la loro realizzazione il permesso di costruire senza obbligo del pagamento del contributo di costruzione di cui all'articolo 16, salvo quanto previsto dall'ultimo periodo del comma 1 dell'articolo 23. Tuttavia, in questo caso la violazione della disciplina urbanistico-edilizia non comporta l'applicazione delle sanzioni di cui all'articolo 44 ed è soggetta all'applicazione delle sole sanzioni previste dall'articolo 37.
Analogamente, l’art. 23 del Testo Unico sull'Edilizia prevede la regola della alternatività: taluni interventi edilizi, pur rientrando tra quelli per i quali è richiesto il preventivo rilascio del permesso di costruire, possono essere altresì realizzati attraverso la presentazione della S.C.I.A.[11].
Il procedimento per la presentazione della S.C.I.A. edilizia è disciplinato dall’art. 23, co. 1, 1-bis, 1-ter, 2, 3, 4, 5, 6, 7 del Testo Unico sull'Edilizia, i quali prevedono che il proprietario dell’immobile o chi abbia titolo per presentare la segnalazione, almeno 30 giorni prima dell’effettivo inizio dei lavori presenta allo sportello unico la segnalazione de qua, che deve essere corredata dalle dichiarazioni sostitutive di certificazioni e dall’atto di notorietà per quanto concerne tutti gli stati, le qualità personali e i fatti previsti negli artt. 46 e 47 d.p.r. n. 44/2000. Nei casi espressamente previsti dalla legge in commento, essa deve essere accompagnata dalle attestazioni e dalle asseverazioni di tecnici abilitati ovvero dalle dichiarazioni di conformità da parte dell’Agenzia delle imprese di cui all’art. 38, co. 4 d.l. n. 112/2008.
La S.C.I.A. deve essere altresì corredata dall’indicazione dell’impresa cui si intende affidare i lavori ed è sottoposta al termine massimo di efficacia pari a tre anni.
Ai sensi del nuovo art. 18-bis, L. n. 241/1990, all’atto della presentazione di istanze, segnalazioni o comunicazioni l’Amministrazione è tenuta a rilasciare immediatamente, anche in via telematica, una ricevuta che ne attesta l’avvenuta presentazione, che assurge a comunicazione di avvio del procedimento se contiene le indicazioni di cui all’art. 8 della medesima legge. Ove previsto, la ricevuta deve indicare i termini entro cui l’amministrazione è obbligata a rispondere, ovvero quelli entro i quali il silenzio dell’amministrazione equivale ad accoglimento dell’istanza.
Sul versante sanzionatorio, diversamente da quanto previsto in materia di permesso di costruire, per le opere realizzate in assenza o difformità della S.C.I.A. presentata, viene applicata una sanzione amministrativa pecuniaria pari al doppio dell’incremento del valore venale conseguito all’immobile per un importo, comunque, non inferiore ad euro 516. Quando però le opere realizzate in assenza di S.C.I.A. consistono in interventi di restauro e di risanamento conservativo, eseguiti su immobili vincolati in base a leggi statali e regionali, nonché alle altre norme urbanistiche vigenti, fatta salva l’applicazione di altre misure e sanzioni previste da norme in vigore, può essere ordinata la restituzione in pristino a cura e spese del responsabile, oltre al pagamento di una sanzione pecuniaria da euro 516 euro a euro 10.329.
2.3. L’attività di edilizia libera e la scarsa incidenza sull’assetto urbanistico territoriale
A quanto già analizzato, deve aggiungersi che il legislatore legittima il compimento di taluni interventi senza richiedere alcuna autorizzazione o concessione preventiva dell’amministrazione competente e neppure la presentazione della segnalazione appena esaminata.
Più di precipuo, gli articoli 6 e 6-bis del Testo Unico sull'Edilizia disciplinano rispettivamente il regime delle attività edilizie totalmente libere, per le quali l’interessato non deve compiere alcun adempimento preventivo nei confronti dell’amministrazione, e quello delle attività edilizie che, pur essendo considerate libere e per le quali, quindi, non è previsto alcun titolo abilitativo, richiedono la presentazione della cd. CILA (comunicazione inizio lavori asseverata).
Dunque, le attività di cui all’articolo 6[12] possono essere liberamente poste in essere, giacché non producono modifiche alle strutture e alle parti esterne del fabbricato e, conseguentemente, hanno un marginale impatto sull’assetto del territorio.
Trattasi, quindi, di attività “neutrali”, che non provocano alcun aggravio sul carico urbanistico complessivo e, quindi, “precarie”, con la precisazione, per quanto di interesse, che, “in tema di edilizia, la “precarietà” dell’opera, che esonera dall’obbligo del possesso del permesso di costruire, presuppone un uso specifico e temporalmente limitato del bene, mentre la precarietà dei materiali utilizzati non esclude la destinazione del manufatto al soddisfacimento di esigenze non eccezionali e contingenti, ma permanenti nel tempo, tali per cui lo stesso è riconducibile all’ipotesi prevista dall’art. 3, co. 1, lett. e.5) del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, che include tra le nuove costruzioni le installazioni di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere che siano usati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini o simili, che non siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee” [13].
Per tali interventi sono comunque fatte salve le prescrizioni degli strumenti urbanistici comunali, nonché quelle che comunque incidono, in qualsiasi modo, sulla disciplina dell’attività edilizia e quindi, nello specifico, le normative antisismiche, per la sicurezza, antincendio, igienicosanitarie, relative all’efficienza energetica nonché le disposizioni contenute nel d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42.
Invero, deve ritenersi che non vi sia corrispondenza biunivoca tra interventi liberi ai fini edilizi e interventi esonerati dall’obbligo del previo rilascio dell’autorizzazione paesaggistica, in quanto le discipline giuridiche del paesaggio e dell’edilizia sono connesse, ma distinte, poiché le parti del territorio di rilevanza paesaggistica esprimono valori e interessi pubblici diversi e autonomi rispetto a quelli dell’ordinata e razionale trasformazione dello stesso territorio, sottesi alla normativa in materia di edilizia e urbanistica[14].
La CILA, invece, finisce per rappresentare il regime residuale, giacché si applica a tutti gli interventi non riconducibili agli articoli 6, 10, 22 e 23 del Testo Unico sull'Edilizia.
In relazione agli interventi che rientrando nella sfera di “libertà” definita dall’art. 6 del Testo Unico sull'Edilizia non sono soggetti ad alcun titolo edilizio tacito o espresso, l’Amministrazione dispone del solo potere sanzionatorio da esercitarsi nel caso in cui gli stessi vengano realizzati in contrasto con la disciplina urbanistica o edilizia[15]. Si aggiunga che, per quanto già evidenziato, “la realizzazione di opere edilizie in area vincolata in assenza di autorizzazione paesaggistica obbliga l’amministrazione comunale, ai sensi di quanto espressamente previsto dall’art. 27 comma 2 D.P.R. n. 380/2001, ad irrogare la più grave delle sanzioni previste dal D.P.R. n. 380/2001, ossia quella demolitorio/acquisitiva di cui all’art. 31, e ciò a prescindere dal regime autorizzatorio eventualmente disatteso e, quindi, finanche nell’ipotesi di attività edilizia libera”[16].
Diversamente, la mancata comunicazione asseverata dell’inizio dei lavori per gli interventi subordinati ad essa, comporta la sanzione pecuniaria pari ad euro 1000. Tale sanzione può essere ridotta di due terzi se la comunicazione è effettuata spontaneamente quando l’intervento è in corso di esecuzione. È fatto salvo quanto già evidenziato con riferimento alle opere realizzate in area sottoposta a vincoli in mancanza di autorizzazione.
3. La realizzazione di una recinzione metallica: tra necessità del titolo edilizio e libertà di intervento
3.1. Le coordinate ermeneutiche tracciate dalla giurisprudenza amministrativa
In ordine alla qualificazione della realizzazione di una recinzione metallica (cd. “cancellata”) come intervento richiedente il preventivo rilascio di un titolo abilitativo ovvero come attività di edilizia libera, si sono a più riprese pronunciati i Tribunali amministrativi e il Consiglio di Stato, tracciando le coordinate ermeneutiche oggi seguite pressoché unanimemente dalla giurisprudenza amministrativa.
Orbene, in svariate pronunce si rinviene il principio di diritto secondo il quale “la realizzazione della recinzione non richiede un idoneo titolo edilizio solo in presenza di una trasformazione che, per l’utilizzo di materiale di scarso impatto visivo e per le dimensioni dell’intervento, non comporti un’apprezzabile alterazione ambientale, estetica e funzionale, con la conseguenza che la distinzione tra esercizio dello ius aedificandi e dello ius excludendi alios ex art. 831 c.c. va rintracciata nella verifica concreta delle caratteristiche del manufatto”[17].
Talune precisano, quindi, che la valutazione in ordine alla necessità del titolo abilitativo edilizio per la realizzazione di opere di recinzione va effettuata sulla scorta di due parametri: natura e dimensioni delle opere e loro destinazione e funzione. Di conseguenza, si ritengono esenti dal regime del permesso di costruire solo le recinzioni che non configurino un'opera edilizia permanente, bensì manufatti di precaria installazione e di immediata asportazione, in quanto entro tali limiti la posa in essere di una recinzione rientra tra le manifestazioni del diritto di proprietà, che comprende lo "ius excludendi alios" o, comunque, la delimitazione delle singole proprietà. Viceversa, è necessario il titolo abilitativo quando la recinzione costituisca opera di carattere permanente, incidendo in modo durevole e non precario sull'assetto edilizio del territorio[18].
È quindi al tipo di recinzione in concreto che occorre guardare per stabilire se si tratti dell'uno o dell'altro tipo di manufatto[19].
Pertanto, mentre occorre il titolo edilizio allorquando la recinzione risulti costituita da un muretto di sostegno in calcestruzzo con sovrastante rete metallica, la realizzazione di una recinzione metallica con paletti in ferro e cancello non è soggetta neppure a S.C.I.A., risultando la stessa inidonea a immutare lo stato dei luoghi e a determinare trasformazioni edilizie, ovvero a configurare nuovi organismi edilizi[20].
Ne consegue che, non assurgendo ad alcuna delle ipotesi di “nuova costruzione” e non rientrando neppure nelle categorie della manutenzione ordinaria e straordinaria, del restauro e risanamento conservativo e della ristrutturazione edilizia contemplate dall’art. 3, co. 1, lett e) del Testo Unico sull'Edilizia, la realizzazione di una “cancellata” – così come da ultimo descritta – in assenza del permesso di costruire non legittima l’amministrazione all’applicazione della sanzione demolitoria prevista dall’art. 31 del medesimo testo legislativo[21].
È fatta salva, naturalmente, l’osservanza dei vincoli paesaggistici, ma è d’uopo precisare che è comunque illegittima l’ordinanza di demolizione qualora essa sia motivata soltanto in ragione dell’assenza di apposita concessione edilizia, trattandosi di opera non soggetta a tale titolo edilizio, e ciò ancorché l’area sia sottoposta a vincolo paesaggistico, dovendo l’amministrazione fare riferimento specifico alla normativa protezionistica[22].
Invero, anche in ordine a tale aspetto, non può prescindersi dall’analisi dello specifico intervento eseguito, giacché la natura dello stesso, “consistente nella sostituzione della recinzione preesistente, rientra tra le attività libere e sotto il profilo del rispetto del vincolo paesaggistico, può essere ricondotto nell'ambito degli interventi di manutenzione ordinaria o di manutenzione straordinaria, i quali, in virtù del disposto dell'art. 149, comma 1, lett. a), d.lgs. n. 42/2004, non richiedono il rilascio dell'autorizzazione paesaggistica”[23].
3.2. Il principio di diritto sancito del Tar Salerno, Sez. II, con la sentenza n. 2775 del 21 ottobre 2022
Tanto premesso, è d’uopo a questo punto analizzare la sentenza n. 2775 emessa dal Tar Campania, Sezione di Salerno, il 21 ottobre 2022.
Aderendo all’orientamento ormai consolidato, i giudici territoriali hanno statuito che la realizzazione di una recinzione metallica con paletti di ferro e cancello costituisca attività libera, non soggetta neppure a S.C.I.A., allorquando essa sia evidentemente priva di autonoma rilevanza urbanistico-funzionale e non dispieghi alcun impatto rilevante sull’assetto edilizio circostante in ragione della sua scarsa consistenza strutturale e funzionale.
Ne consegue che la realizzazione dell’opera descritta in mancanza di preventivo rilascio del titolo edilizio non giustifica l’irrogazione della misura ripristinatoria da parte della competente Amministrazione, non ravvisandosi i presupposti legalmente scanditi dall’art. 31 del Testo Unico sull'Edilizia.
Quanto agli aspetti paesaggistici, è stato rilevato che, nel caso specifico, pur vertendosi in zona vincolata, il provvedimento demolitorio non avesse comunque preso in considerazione se l’opera in contestazione, in quanto sostitutiva di una vecchia inferriata preesistente, potesse essere sussunta nell’alveo categoriale declinato nell’Allegato A del D.P.R. n. 31/2017 (opere ed interventi edili liberi) e precisamente nel punto A13) recante “Interventi di manutenzione, sostituzione o adeguamento di cancelli, recinzioni, muri di cinta o di contenimento del terreno, inserimento di elementi antiintrusione sui cancelli, le recinzioni e sui muri di cinta eseguiti nel rispetto delle caratteristiche morfo-tipologiche, dei materiali e delle finiture esistenti che non interessino i beni vincolati ai sensi del Codice, articolo 136, co. 1, lettere a), b) e c), limitatamente per quest’ultima, agli immobili di interesse storico-architettonico o storico-testimoniale, ivi compresa l’edilizia rurale tradizionale, isolati o ricompresi nei centri o nuclei storici”, per i quali interventi non è comunque necessario il rilascio dell’autorizzazione paesaggistica.
4. Conclusioni
Le conclusioni cui è pervenuta la Seconda Sezione del Tar Salerno, oltre ad essere conformi alle acquisizioni ermeutiche della giurisprudenza amministrativa in materia, risultano assolutamente confacenti con il quadro normativo più sopra analizzato.
È ormai indubbio che l'elemento discretivo tra un intervento "libero" e un intervento soggetto al preventivo rilascio del permesso di costruire sia l'impatto che lo stesso ha sull'assetto edilizio circostante in ragione della sua consistenza strutturale e funzionale. Ne consegue che soltanto soffermandosi sulle circostanze del caso concreto, prendendo cioè in considerazione l'opera in contestazione, è possibile determinare se l'attività sia idonea a incidere in modo durevole e non precario sull'assetto edilizio del territorio, ovvero se assurga a intervento "neutrale" e rientri, quindi, tra le libere manifestazioni di esercizio del diritto di proprietà.
E ciò vale non soltanto per quanto attiene all'aspetto urbanistico-edilizio, atteso che, anche sotto il profilo del rispetto del vincolo paesaggistico, non può comunque prescindersi da una puntuale analisi delle caratteristiche dello specifico intervento posto in essere.
[1] Consiglio di Stato, sez. IV, 15/09/2010, n.6885.
[2] Il termine permesso deriva dal francese permis de construction ou de batir ed è stato inserito dal legislatore su indicazione dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, che, con parere del 29 marzo 2001, n. 3, aveva ravvisato l’opportunità di sostituire al termine concessione quello di permesso, più appropriato alla natura dell’atto, precisando che esso è necessario “per le opere che attuano una modifica dello stato dei luoghi caratterizzata da stabilità, in quanto volta a soddisfare esigenze non precarie del soggetto che ponga in essere la trasformazione, a prescindere dai materiali usati” (Cons. Stato, sez. VI, 27/02/2012, n. 1106).
[3] Il co. 1, lett. e) dell’art. 3 del Testo Unico sull'Edilizia prevede che costituiscono “"interventi di nuova costruzione" quelli di trasformazione edilizia e urbanistica del territorio non rientranti nelle categorie definite alle lettere precedenti. Sono comunque da considerarsi tali:
e.1) la costruzione di manufatti edilizi fuori terra o interrati, ovvero l'ampliamento di quelli esistenti all'esterno della sagoma esistente, fermo restando, per gli interventi pertinenziali, quanto previsto alla lettera e.6);
e.2) gli interventi di urbanizzazione primaria e secondaria realizzati da soggetti diversi dal Comune;
e.3) la realizzazione di infrastrutture e di impianti, anche per pubblici servizi, che comporti la trasformazione in via permanente di suolo inedificato;
e.4) l’installazione di torri e tralicci per impianti radio-ricetrasmittenti e di ripetitori per i servizi di telecomunicazione;
(punto da ritenersi abrogato implicitamente dagli artt. 87 e segg. del d.lgs. n. 259 del 2003)
e.5) l’installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere, quali roulotte, camper, case mobili, imbarcazioni, che siano utilizzati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, ad eccezione di quelli che siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee o delle tende e delle unità abitative mobili con meccanismi di rotazione in funzione, e loro pertinenze e accessori, che siano collocate, anche in via continuativa, in strutture ricettive all’aperto per la sosta e il soggiorno dei turisti previamente autorizzate sotto il profilo urbanistico, edilizio e, ove previsto, paesaggistico, che non posseggano alcun collegamento di natura permanente al terreno e presentino le caratteristiche dimensionali e tecnico-costruttive previste dalle normative regionali di settore ove esistenti; (punto sostituito dall'art. 10, comma 1, lettera b), della legge n. 120 del 2020)
e.6) gli interventi pertinenziali che le norme tecniche degli strumenti urbanistici, in relazione alla zonizzazione e al pregio ambientale e paesaggistico delle aree, qualifichino come interventi di nuova costruzione, ovvero che comportino la realizzazione di un volume superiore al 20% del volume dell’edificio principale;
e.7) la realizzazione di depositi di merci o di materiali, la realizzazione di impianti per attività produttive all'aperto ove comportino l'esecuzione di lavori cui consegua la trasformazione permanente del suolo inedificato”.
[4] Ai sensi della definizione di cui al co. 1, lett f) dell’art. 3 del Testo Unico sull'Edilizia, si tratta di quegli interventi rivolti a sostituire l’esistente tessuto urbanistico-edilizio con altro diverso, mediante un insieme sistematico di interventi edilizi.
[5] L’art. 3, co. 1, lett. d) del Testo Unico sull'Edilizia definisce tali interventi come rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente.
[6] Si veda a tal proposito Tar Napoli, (Campania) Sez. VII, 2 ottobre 2015, n. 4677 che ha specificato che “rientrano nella figura giuridica della costruzione, per la quale occorre la concessione edilizia, tutti quei manufatti che, modificando lo stato dei luoghi, comportano una trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio comunale in quanto sono destinati, almeno potenzialmente, a perdurare nel tempo e che difettano obiettivamente del carattere di assoluta precarietà, di guisa che, nelle descritte condizioni, quand0anche non risultino infissi nel suolo o siano smontabili siffatti interventi non si sottraggono alla sanzione demolitoria, indipendentemente dalla natura dei materiali usati”.
[7] Testuale TAR Napoli, (Campania) sez. VI, 05/04/2022, n. 2334.
[8] L’art. 31 del Testo Unico sull'Edilizia prevede ai co. 2 e 3 che “Il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale, accertata l'esecuzione di interventi in assenza di permesso, in totale difformità dal medesimo, ovvero con variazioni essenziali, determinate ai sensi dell’articolo 32, ingiunge al proprietario e al responsabile dell’abuso la rimozione o la demolizione, indicando nel provvedimento l’area che viene acquisita di diritto, ai sensi del comma 3. Se il responsabile dell'abuso non provvede alla demolizione e al ripristino dello stato dei luoghi nel termine di novanta giorni dall'ingiunzione, il bene e l'area di sedime, nonché quella necessaria, secondo le vigenti prescrizioni urbanistiche, alla realizzazione di opere analoghe a quelle abusive sono acquisiti di diritto gratuitamente al patrimonio del comune. L'area acquisita non può comunque essere superiore a dieci volte la complessiva superficie utile abusivamente costruita”. Continua, poi, al co. 5 che “L'opera acquisita è demolita con ordinanza del dirigente o del responsabile del competente ufficio comunale a spese dei responsabili dell'abuso, salvo che con deliberazione consiliare non si dichiari l'esistenza di prevalenti interessi pubblici e sempre che l'opera non contrasti con rilevanti interessi urbanistici, ambientali o di rispetto dell’assetto idrogeologico”.
[9] Si veda, in particolare, l’art. 17 del decreto Sblocca-cantieri.
[10] Cfr. F. D’ALESSANDRI, I. RAIOLA, I titoli abilitativi edilizi, 2017, InDiritto - Altalex Editore.
[11] In particolare, la regola dell’alternatività è prevista per: gli interventi di ristrutturazione, come individuati dall’art. 10, comma 1, lett. c), nel testo modificato dall’art. 17, comma 1, lett. d), D.L. n. 133/2014, convertito, con modificazioni, dalla L. 11/11/2014 e cioè quelli che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e che comportino modifiche della volumetria complessiva degli edifici o dei prospetti, ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, comportano mutamenti della destinazione d’uso, modificazioni della sagoma di immobili sottoposti a vincoli ai sensi del D.Lgs. 22/01/2004, n. 42. La giurisprudenza si è espressa favorevolmente per l’assentibilità mediante s.c.i.a., tra gli altri, dei seguenti interventi edilizi:− la realizzazione di opere interne ad un immobile accompagnate da mutamenti di destinazioni d’uso, purché non afferenti alle zone omogenee A; − gli interventi di ristrutturazione edilizia di un manufatto preesistente, eseguiti sia pure con una parziale demolizione, ma con la successiva fedele ricostruzione di un fabbricato identico a quello preesistente per quanto attiene alla sagoma, ai volumi, alle superfici e alle caratteristiche dei materiali impiegati; − le opere di recinzione e i muri di cinta, ma a condizione che per le loro ridotte dimensioni non siano riconducibili nella categoria degli interventi di rilevante entità, idonei in quanto tali ad alterare in modo importante l’assetto del territorio; − la demolizione di un manufatto (Cass. pen., sez. III, 04/10/2007, n. 4098);− la realizzazione di impianti per telefonia mobile con tecnologia U.M.T.S.; − gli interventi di ordinaria manutenzione consistenti nella sostituzione di una pensilina per la copertura dell’accesso ad una cantina, di natura pertinenziale; − le varianti a permessi di costruire, che non incidono sui parametri urbanistici e sulle volumetrie, che non modificano la destinazione d’uso e la categoria edilizia, non alterano la sagoma dell’edificio e non violano le eventuali prescrizioni contenute nel permesso di costruire;− la realizzazione di una tettoia in legno esterna al fabbricato, ove in ragione delle sue dimensioni e della sua specifica funzione e collocazione, non sia qualificabile né opera di «ristrutturazione edilizia» ai sensi della lett. d) dell’art. 3, lett. d), d.P.R. n. 380/2001, né «nuova costruzione» ai sensi dei punti e.1 ed e.6. dello stesso art. 326; − la realizzazione di parcheggi da destinare a pertinenze di unità immobiliari e da realizzare nel sottosuolo del lotto su cui insistono gli edifici, ma a condizione che questi siano conformi agli strumenti urbanistici vigenti; − gli ascensori esterni ai manufatti che alterino la sagoma dell’edificio, realizzati in applicazione dell’art. 7, comma 2, L. 09/01/1989, n. 13 sull’eliminazione delle barriere architettoniche.
[12] L’art. 6 del Testo Unico sull'Edilizia specifica che “Fatte salve le prescrizioni degli strumenti urbanistici comunali, e comunque nel rispetto delle altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell'attività edilizia e, in particolare, delle norme antisismiche, di sicurezza, antincendio, igienicosanitarie, di quelle relative all'efficienza energetica, di tutela dal rischio idrogeologico, nonché delle disposizioni contenute nel codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, i seguenti interventi sono eseguiti senza alcun titolo abilitativo: a) gli interventi di manutenzione ordinaria di cui all'articolo 3, comma 1, lettera a); a-bis) gli interventi di installazione delle pompe di calore aria-aria di potenza termica utile nominale inferiore a 12 Kw; b) gli interventi volti all'eliminazione di barriere architettoniche che non comportino la realizzazione di ascensori esterni, ovvero di manufatti che alterino la sagoma dell'edificio; c) le opere temporanee per attività di ricerca nel sottosuolo che abbiano carattere geognostico, ad esclusione di attività di ricerca di idrocarburi, e che siano eseguite in aree esterne al centro edificato; d) i movimenti di terra strettamente pertinenti all'esercizio dell'attività agricola e le pratiche agro-silvo-pastorali, compresi gli interventi su impianti idraulici agrari; e) le serre mobili stagionali, sprovviste di strutture in muratura, funzionali allo svolgimento dell'attività agricola; e-bis) le opere stagionali e quelle dirette a soddisfare obiettive esigenze, contingenti e temporanee, purchè destinate ad essere immediatamente rimosse al cessare della temporanea necessità e, comunque, entro un termine non superiore a centottanta giorni comprensivo dei tempi di allestimento e smontaggio del manufatto, previa comunicazione di avvio dei lavori all'amministrazione comunale; e-ter) le opere di pavimentazione e di finitura di spazi esterni, anche per aree di sosta, che siano contenute entro l'indice di permeabilità, ove stabilito dallo strumento urbanistico comunale, ivi compresa la realizzazione di intercapedini interamente interrate e non accessibili, vasche di raccolta delle acque, locali tombati; e-quater) i pannelli solari, fotovoltaici, a servizio degli edifici, come definiti alla voce 32 dell'allegato A al regolamento edilizio-tipo, adottato con intesa sancita in sede di Conferenza unificata 20 ottobre 2016, n. 125/CU, ai sensi dell'articolo 4, comma 1-sexies, del presente testo unico, o degli impianti di cui all'articolo 87 del codice delle comunicazioni elettroniche, di cui al decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259, posti su strutture e manufatti fuori terra diversi dagli edifici o collocati a terra in adiacenza, da realizzare al di fuori della zona A) di cui al decreto del Ministro per i lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444; e-quinquies) le aree ludiche senza fini di lucro e gli elementi di arredo delle aree pertinenziali degli edifici”.
[13] Corte App. Taranto, 12 maggio 2020, n. 74.
[14] Testuale TAR Potenza, (Basilicata) sez. I, 6 ottobre 2011, n. 508.
[15] TAR Firenze (Toscana), Sez. III, 10 novembre 2016, n. 1625.
[16] T.A.R. Roma, (Lazio) sez. II, 15/03/2022, n.2924.
[17] Tar Bari, (Puglia) sez. I, 9 luglio 2021, n. 1163; Consiglio di Stato, sez. VI, 19 dicembre 2019, n. 8600; Tar Bari, sez. III, 15 settembre 2015, n. 236.
[18] TAR Bari, (Puglia) sez. III, 15 settembre 2015, n.1236.
[19] TAR Toscana, (Toscana) sez. III, 27 febbraio 2015 n. 320.
[20] TAR Potenza, (Basilicata) sez. I, 17 novembre 2014, n. 789.
[21] TAR Napoli, (Campania) sez. III, 24 dicembre 2018, n. 7333.
[22] TAR Venezia, (Veneto) sez. II, 23 aprile 2010, n.1547.
[23] TAR Brescia, (Lombardia) sez. II, 25 settembre 2018, n.907.