Pubbl. Lun, 9 Gen 2023
Compravendita: la consegna delle chiavi non equivale al contratto definitivo
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Francesco Maria Gesuito
Commento a Cass. civ. Sez. II, Ord., ud. 21/10/2022, dep. 17/11/2022, n. 33916, con la quale si afferma che il contratto preliminare ed il contratto definitivo di compravendita si differenziano per il diverso contenuto della volontà dei contraenti; quest´ultima, infatti, è diretta, nel primo caso, ad impegnare le parti a prestare, in un momento successivo, il loro consenso al trasferimento della proprietà e, nel secondo, ad attuare il trasferimento stesso, contestualmente o a decorrere da un momento successivo alla conclusione del contratto, senza necessità di ulteriori manifestazioni di volontà
Sale: handing over the keys is not the same as the definitive contract
Comment to Cassation civ. Section II, Ord., hearing 21/10/2022, filed 11/17/2022, no. 33916, which states that the preliminary contract and the definitive contract of sale differ due to the different content of the will of the contracting parties; the latter, in fact, is aimed, in the first case, at committing the parties to give, at a later time, their consent to the transfer of ownership and, in the second, to implement the transfer itself, simultaneously or starting from a later time upon conclusion of the contract, without the need for further expressions of willSommario: 1. L’ordinanza del 17 novembre 2022, n. 33916 della Suprema Corte di Cassazione; 2. Il fatto e l’iter processuale; 3. Contratto preliminare e contratto definitivo: natura, definizione, rapporti e differenze; 3.1. L’applicazione del Testo Unico Edilizio; 4. Conclusioni.
1. L’ordinanza del 17 novembre 2022, n. 33916 della Suprema Corte di Cassazione
L'ordinanza del 17 novembre 2022, n. 33916 della Suprema Corte di Cassazione offre interessanti spunti di riflessione in merito alla dialettica ed al rapporto, nonché alla natura ed agli effetti, tra contratto preliminare e contratto definitivo, al momento in cui si realizza l’effetto traslativo nella compravendita ed al principio consensualistico vigente nel nostro ordinamento. Con l’ordinanza in commento, la Suprema Corte ha affermato che il contratto preliminare ed il contratto definitivo di compravendita si differenziano per il diverso contenuto della volontà dei contraenti; quest'ultima, infatti, è diretta, nel primo caso, a impegnare le parti a prestare, in un momento successivo, il loro consenso al trasferimento della proprietà e, nel secondo, ad attuare il trasferimento stesso, contestualmente o a decorrere da un momento successivo alla conclusione del contratto, senza necessità di ulteriori manifestazioni di volontà.
La Corte, nel caso specifico, ha stabilito che la clausola che impegna le parti alla consegna delle chiavi non è sufficiente a qualificare il contratto quale definitivo, se la volontà delle parti, quale emerge dal contratto stesso, è quella di stipulare un preliminare e rimandare ad un successivo, ulteriore, atto il perfezionamento dell’intesa.
Nella fattispecie in oggetto, quindi, ha affermato che nel contratto preliminare la clausola con cui le parti stabilivano che eventuali anticipazioni da parte venditrice sulla consegna delle chiavi “a parte promissaria acquirente”, prima dell’atto notarile, non avrebbero potuto essere intese come presa di possesso del bene, ossia come acquisto dello ius possidendi, o diritto di possedere, ovvero al possesso, quale complemento dell’acquisto del diritto dominicale sulla cosa.
2. Il fatto e l’iter processuale
L’ordinanza in oggetto, pronunciata dalla Corte di Cassazione, definisce il giudizio instaurato, con atto di citazione, notificato il 7 febbraio 2009, con cui l’attrice conveniva, davanti il Tribunale di Bergamo, la convenuta, chiedendo che, previo accertamento della natura di contratto definitivo della compravendita, stipulato con la convenuta in data 11 luglio 2006, avente ad oggetto due appartamenti e relativi accessori, ne fosse dichiarata la nullità per difetto della dichiarazione di cui all’art. 46 del D.P.R n. 380 del 2001[1]; e che, per l'effetto, la medesima convenuta fosse condannata alla restituzione della caparra confirmatoria, oltre agli interessi legali maturati e maturandi dalla data di sottoscrizione del contratto e fino all'effettiva restituzione.
Si costituiva in giudizio la convenuta, la quale chiedeva che la domanda di controparte fosse respinta, atteso che, per quanto sostenuto dalla stessa, il contratto in questione doveva essere qualificato come preliminare di compravendita e, quindi, non assoggettabile alla disciplina edilizia richiamata. Inoltre, proponeva domanda riconvenzionale con cui chiedeva che fosse accertata la legittimità del recesso, esercitato a fronte dell'inadempimento dell’attrice, con la conseguente condanna della stessa alla perdita della caparra confirmatoria già versata nonché al pagamento delle spese sostenute per la realizzazione delle richieste modifiche al progetto originario.
Il Tribunale adito accoglieva la domanda spiegata da parte attrice, accertava la natura definitiva del contratto di compravendita in questione e ne dichiarava la nullità; per l'effetto, condannava la convenuta alla restituzione della somma già versata dall'attrice a titolo di caparra.
Con atto di citazione notificato il 17 dicembre 2012, la convenuta in primo grado proponeva appello, censurando la sentenza di primo grado per i seguenti motivi: erronea trattazione di un punto decisivo della controversia, concernente l'erronea qualificazione del contratto preliminare in data 11 luglio 2006 come definitivo, con conseguente dichiarazione di nullità ex art. 46 del Testo Unico Edilizio; inapplicabilità del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 46, al preliminare di vendita in data 11 luglio 2006; erronea trattazione di un punto decisivo della controversia, in ordine all'accertamento della nullità del contratto in data 11 luglio 2006, sul presupposto dell'erronea qualificazione del contratto preliminare come definitivo, con conseguente rigetto della domanda di ritenzione della caparra confirmatoria, all'esito dell'accertamento dell'inadempimento dell’attrice in primo grado.
Sul gravame interposto, al quale resisteva l’attrice in primo grado, la Corte d'appello di Brescia accoglieva parzialmente l'appello e, per l'effetto, in riforma della pronuncia impugnata, previo accertamento della natura di contratto preliminare dell'atto concluso tra le parti in data 11 luglio 2006, dichiarava la legittimità del recesso esercitato dalla promittente alienante e accertava il conseguente diritto alla ritenzione della caparra confirmatoria, rigettando ogni altra domanda; inoltre, compensava per un quarto le spese di lite e condannava l'appellata a rifondere, in favore dell'appellante, la residua quota parte di dette spese[2].
Avverso la sentenza d'appello proponeva ricorso per cassazione, affidato a due motivi, l’attrice di primo grado.
La Corte Suprema di Cassazione rigettava il ricorso principale, confermando quanto già deciso dalla Corte d’Appello, in precedenza, e qualificando, quindi, il contratto oggetto di controversia non quale contratto definitivo bensì quale contratto preliminare ed in particolare sottolineando che: “il contratto preliminare e il contratto definitivo di compravendita si differenziano per il diverso contenuto della volontà dei contraenti, che è diretta, nel primo caso, a impegnare le parti a prestare, in un momento successivo, il loro consenso al trasferimento della proprietà e, nel secondo, ad attuare il trasferimento stesso, contestualmente o a decorrere da un momento successivo alla conclusione del contratto, senza necessità di ulteriori manifestazioni di volontà”[3].
3. Contratto preliminare e contratto definitivo: natura, definizione, rapporti e differenze
Il contratto preliminare è un particolare congegno negoziale[4] che ha come effetto quello di impegnare le parti contraenti a stipulare l’intesa definitiva, il cui contenuto è determinato dal preliminare stesso, entro un determinato periodo. L’utilità di tale tipo consiste nel conferire una certa sacralità, con le relative tutele e conseguenze giuridiche, all’impegno assunto dalle parti di stipulare, successivamente, un contratto definitivo.
L’obbligazione di prestare il consenso a stipulare l’intesa definitiva può gravare ambedue le parti, ed in tal caso si avrà un preliminare bilaterale, oppure soltanto una delle parti, ed in tal caso si avrà preliminare unilaterale.
Il contratto preliminare, quindi, è un contratto con effetti obbligatori; il contratto definitivo, invece, rappresenta la cristallizzazione dell’intesa tra le parti, perfezionativa del contratto, e dalla quale scaturisce l’effetto traslativo, immediato o anche differito, tipico della compravendita.
È quindi evidente che la differenza determinante risiede nella distinta volontà che anima le parti nei due casi, o momenti differenti di una globale operazione, del contratto preliminare e del contratto definitivo; nel primo, infatti, la volontà dei paciscenti è quella di obbligarsi reciprocamente a stipulare un’intesa col carattere della definitività entro un determinato termine, pena le conseguenze previste dalla legge; nel secondo, invece, la volontà delle parti è quella di perfezionare l’accordo, stipulando un contratto completo e definitivo, e così dare piena efficacia al negozio giuridico prescelto.
La volontà delle parti è quella che emerge dal contratto stesso, e per aversi un contratto definitivo, oltre al ricorrere di tutti gli elementi essenziali e le formalità per la validità dello stesso, è necessario altresì che la volontà delle parti sia univocamente e certamente identificabile nel concludere un’intesa definitiva; secondo l’ordinanza in commento, a ciò non è sufficiente che, in un impianto negoziale evidentemente rivolto alla stipula di un contratto preliminare, sia presente una clausola che prevede la consegna delle chiavi, da parte dell’alienante all’acquirente, contestualmente alla stipula dello stesso, soprattutto se nello stesso contratto è previsto che tale consegna non equivale a consegna del possesso, la quale avverrà solo successivamente con ulteriore atto.
Tale ultimo orientamento della Corte è coerente alla regola secondo la quale gli effetti reali tipici della compravendita[5] non si verificano, nemmeno, quando le parti, pur intendendo concludere un preliminare, anticipano gli effetti del definitivo. In tale ultimo caso, che è quello del contratto preliminare ad effetti anticipati, il compratore paga tutto il prezzo ed il venditore consegna la cosa, permettendo al compratore di goderla immediatamente. La suddetta consegna, però, determina il trasferimento della detenzione e non del possesso a favore del compratore e, quindi, è necessaria, e prevista, la stipula del contratto definitivo, la quale potrebbe anche non seguire per il sopravvenire di nuove circostanze.
3.1. L’applicazione del Testo Unico Edilizio
Nella controversia oggetto dell’ordinanza in oggetto, punto di particolare importanza è inoltre l’applicabilità o meno degli oneri formali previsti dal Testo Unico Edilizio, con particolare riferimento all’art. 46. Una parte, infatti, sostiene che si tratti, nel caso in oggetto, di contratto definitivo, l’altra che si tratti, invece, di contratto preliminare. La differenza è di sostanziale importanza, in particolare sotto questo aspetto, in quanto la conclusione cui è arrivata la dominante giurisprudenza di legittimità, dopo un lungo dibattito, è stata quella di disconoscere la possibilità di applicare le disposizioni del D.P.R. n. 380 del 2001 al contratto preliminare di compravendita, in quanto tali norme sono previste solo con riguardo alle vicende destinate a produrre immediati effetti reali, al contratto definitivo quindi, e non al preliminare.
4. Conclusioni
La Suprema Corte di Cassazione, in conclusione, con l’ordinanza in commento è tornata sul tema del rapporto tra contratto preliminare e contratto definitivo, con particolare riferimento alle pattuizioni delle parti, alle obbligazioni cui reciprocamente si impegnano ed all’effetto delle stesse sul rapporto negoziale in essere tra i paciscenti, sottolineando come anche un’attività quale quella della consegna delle chiavi, anche se nella maggior parte dei casi è pacificamente considerata quale consegna del bene, ai sensi dell’art. 1477 c.c., che rappresenta simbolicamente la consegna dell’immobile, non è sufficiente a qualificare il negozio giuridico stipulato dalle parti quale contratto definitivo, se intenzione sostanziale delle stesse, quale emerge dal contratto, è quella di stipulare un contratto preliminare, e solo successivamente, anche e proprio in virtù di quest’ultimo, addivenire alla stipula del definitivo, dinanzi al Notaio, e perfezionare l’accordo dotandolo di efficacia traslativa.
[1] Art. 46 del D.P.R. n. 380 del 2001, il quale dispone quanto segue: “Gli atti tra vivi, sia in forma pubblica, sia in forma privata, aventi per oggetto trasferimento o costituzione o scioglimento della comunione di diritti reali, relativi ad edifici, o loro parti, la cui costruzione è iniziata dopo il 17 marzo 1985, sono nulli e non possono essere stipulati ove da essi non risultino, per dichiarazione dell'alienante, gli estremi del permesso di costruire o del permesso in sanatoria. Tali disposizioni non si applicano agli atti costitutivi, modificativi o estintivi di diritti reali di garanzia o di servitù. Nel caso in cui sia prevista, ai sensi dell'articolo 38, l'irrogazione di una sanzione soltanto pecuniaria, ma non il rilascio del permesso in sanatoria, agli atti di cui al comma 1 deve essere allegata la prova dell'integrale pagamento della sanzione medesima. La sentenza che accerta la nullità degli atti di cui al comma 1 non pregiudica i diritti di garanzia o di servitù acquisiti in base ad un atto iscritto o trascritto anteriormente alla trascrizione della domanda diretta a far accertare la nullità degli atti. Se la mancata indicazione in atto degli estremi non sia dipesa dalla insussistenza del permesso di costruire al tempo in cui gli atti medesimi sono stati stipulati, essi possono essere confermati anche da una sola delle parti mediante atto successivo, redatto nella stessa forma del precedente, che contenga la menzione omessa. Le nullità di cui al presente articolo non si applicano agli atti derivanti da procedure esecutive immobiliari, individuali o concorsuali. L'aggiudicatario, qualora l'immobile si trovi nelle condizioni previste per il rilascio del permesso di costruire in sanatoria, dovrà presentare domanda di permesso in sanatoria entro centoventi giorni dalla notifica del decreto emesso dalla autorità giudiziaria. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche agli interventi edilizi realizzati mediante segnalazione certificata di inizio attività ai sensi dell'articolo 23, comma 1, qualora nell'atto non siano indicati gli estremi della stessa.”.
[2] Le motivazioni della sentenza di secondo grado già offrivano importanti considerazioni riguardo la qualifica del contratto come preliminare, e la generale distinzione di quest’ultimo con il contratto definitivo, affermando: “che, sebbene alcune clausole ed espressioni utilizzate dalle parti nel testo contrattuale fossero compatibili con la natura definitiva del contratto, doveva propendersi per la qualificazione quale contratto preliminare di vendita, in forza della contemplata tempistica degli effetti traslativi; che, ove si fosse trattato di contratto di vendita di cosa futura, la vicenda negoziale si sarebbe conchiusa ab initio, con la diretta attribuzione dello ius ad habendam rem nel momento in cui la cosa fosse venuta ad esistenza, giusta il disposto dell'art. 1472 c.c., posto che, in tal caso, non si sarebbe resa necessaria la stipula di un successivo atto per la produzione degli effetti traslativi del negozio; che, nel caso in esame, in base alla clausola n. 10 dell'atto, era espressamente previsto che la consegna delle chiavi delle porzioni immobiliari dovesse avvenire contestualmente alla stipula del rogito notarile e che, inoltre, eventuali anticipazioni da parte venditrice sulla consegna delle chiavi, "a parte promissaria acquirente", prima dell'atto notarile, non avrebbero potuto essere intese come presa di possesso del bene, ad eccezione che in tal momento fosse stata saldata per intero ogni pendenza nei confronti di parte venditrice; che, pertanto, il tenore letterale della clausola citata era tale da escludere che la stipula del contratto producesse effetti traslativi e giustificava altresì la detenzione degli immobili da parte dell'appellata prima della stipula del contratto definitivo; che l'appellata si era resa inadempiente all'obbligo assunto con il contratto preliminare di compravendita, nella misura in cui si era sottratta alla stipula del rogito notarile, sebbene fosse stata accolta la richiesta di differimento della data di stipula.”.
[3] Altre pronunce conformi all’orientamento: Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 21650 del 23/08/2019; Sez. 2, Sentenza n. 24150 del 20/11/2007; Sez. 1, Sentenza n. 7429 del 21/05/2002; Sez. 1, Sentenza n. 564 del 17/01/2001; Sez. L, Sentenza n. 10961 del 02/11/1998.
[4] R. Calvo, Diritto Civile, Vol. II, Il Contratto, seconda edizione, Torino, 2020, 163 ss.
[5] Il contratto di compravendita, infatti, è un contratto ad effetti reali, o traslativo, in quanto produce la costituzione o il trasferimento di un diritto reale, ovvero il trasferimento di altro diritto, in virtù del mero consenso validamente manifestato, ai sensi dell’art. 1376 c.c. (principio consensualistico).
Bibliografia
R. CALVO, Diritto Civile Vol. II, Il Contratto, Torino, 2020.
L. GENGHINI - S. PERTOLDI, I singoli contratti, Milano, 2020.
F. GAZZONI, Manuale di Diritto Privato, Napoli, 2021.