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Pubbl. Gio, 19 Gen 2023

Violenza sessuale: la circostanza attenuante del fatto di minore gravità necessita della valutazione globale del fatto

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Francesca D´anzi



Il presente contributo esamina l´applicabilità della circostanza attenuante del fatto di minore gravità di cui all´art. 609-bis comma 3 c.p. e si concentra sull´esegesi della sentenza n. 21255 del 2022 con cui la Corte di Cassazione ha ribadito che la predetta attenuante va applicata tenendo conto della valutazione globale del fatto oggetto di reato


ENG

Sexual violence: the mitigating circumstance of minor crime of the criminal code requires a global evaluation.

This contribution examines the applicability of the attenuated circumstance of the less serious fact refferred to art. 609-bis of the Criminal Code and focuses on the exegesis of sentence no. 21255 of 2022 with which the court of Cassation reiterated that the aforementioned extenuating circumstance must be applied considering the global assessment of the fact that is the subject of the crime

Sommario: 1. L’interesse protetto dalla norma e l’esegesi della nozione di “atto sessuale”; 2. La Sentenza della Terza Sezione Penale n. 21255 del 03 maggio 2022; 3. La valutazione globale del fatto al fine della concessione della circostanza attenuate ex art. 609-bis comma 3 c.p.; 4. La decisione della Corte di Cassazione; 5. Conclusioni.

1. L’interesse protetto dalla norma e l’esegesi della nozione di “atto sessuale”

L’art. 609-bis c.p. è stato introdotto dall’art. 3 della L. n. 66 del 15 febbraio 1996 (Norme contro la violenza sessuale).

Il predetto articolo prevede che: Chiunque, con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità costringe taluno a compiere o subire atti sessuali è punito con la reclusione da sei a dodici anni.

Alla stessa pena soggiace chi induce taluno a compiere o subire atti sessuali:

1) abusando delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa al momento del fatto;

2) traendo in inganno la persona offesa per essersi il colpevole sostituito ad altra persona.

Nei casi di minore gravità la pena è diminuita in misura non eccedente i due terzi”.

Questa norma segna il cambio di lente attraverso il quale veniva classificato il delitto di violenza sessuale. Invero, ab origine, gli interessi tutelati erano la moralità pubblica e il buon costume; rientrando il delitto di violenza sessuale (rubricata violenza carnale ex art. 526 c.p.- ora abrogato) nei reati contro la moralità pubblica e il buon costume.

I delitti contro la moralità pubblica ed il buon costume sono disciplinati dal libro secondo titolo IX del codice penale. Il predetto titolo si divide in tre capi e precisamente:

- i delitti contro la libertà sessuale;

- offese al pudore ed all’onore sessuale;

- il capo terzo che contiene delle disposizioni comuni.

La Legge n. 66 dell’1 febbraio del 1996 ha abrogato l’intero Capo I del codice penale (dall’art. 519 al 526 c.p.) rubricato “Dei delitti contro la libertà sessuale” nonché gli artt. 530, 539, 541, 542 e 543 c.p. e ha previsto la riscrittura delle condotte punibili concernenti la libertà sessuale della Sezione II (dei delitti contro la libertà individuale) del Capo II (dei delitti contro la libertà personale) del Titolo XII (dei delitti contro la persona). Ciò ha determinato un epocale cambiamento: la violenza sessuale e gli altri delitti che incidono negativamente sulla sfera sessuale della vittima da "reati contro la moralità pubblica" e il buon costume diventano "reati contro la persona".

Per poter comprendere i beni giuridici tutelati da tali norme giuridiche e la portata di tale riforma è opportuno analizzare i concetti di “moralità pubblica” e di “buon costume”.

Per moralità pubblica si intende la coscienza etica di un popolo in un dato momento storico, e più precisamente il suo modo di sentire e distinguere il bene dal male, l'onesto dal disonesto. Per buon costume si intende l'abitudine di vita conforme ai precetti di morale, di decenza, di etichetta, di cortesia, nonché in alcuni casi le abitudini che attengano alle manifestazioni sessuali.

Con la Legge del ‘96 la tutela della persona diventa il fulcro della fattispecie incriminatrice de qua. Questa diventa l’oggetto principale della norma e non più un mero strumento per la tutela di un interesse ritenuto più forte e preminente, quale quello che coinvolge la collettività. Di contro, la collettività viene coinvolta “indirettamente” ovvero attraverso la tutela del singolo si riesce a garantire la protezione ai consociati.

Lo scopo della nuova previsione normativa si snoda lungo un doppio binario: da una parte, vi è la tutela dell’individuo in quanto tale, dall’altra, vi è l’esigenza di rendere più efficace la forza repressiva attraverso l’aggravamento delle sanzioni e l’introduzione di nuove fattispecie[1].

Come già riportato il comma 1 dell’art. 609-bis c.p. prevede testualmente: “Chiunque, con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità costringe taluno a compiere o subire atti sessuali è punito con la reclusione da sei a dodici anni”.

Ne consegue che la fattispecie delittuosa è integrata quando viene lesa l’autonomia di un soggetto nel porre in essere liberamente atti sessuali, ovvero senza dover subire alcun tipo di costrizioni fisiche o morali.

A nulla rileva addurre quali scriminanti l’appartenenza a culture diverse che legittimerebbe la sottoposizione, ad esempio, del coniuge a costrizioni di varia natura al fine di subire rapporti sessuali[2].

I reati di violenza sessuale offendono la libertà sessuale della vittima intesa come libertà di autodeterminazione nella propria sfera sessuale e non già la sua libertà morale, il pudore o l’onore sessuale. Da ciò deriva che non tutti gli atti rivolti nei confronti della vittima possono essere ritenuti idonei a integrare il reato de quo.

La nuova nozione di atto sessuale racchiude in se le vecchie fattispecie di violenza carnale e atti di libidine non violenti. Invero, non configurano il reato di violenza sessuale quei gesti di mero esibizionismo sessuale o atti di autoerotismo posti in essere davanti a terzi che, appunto, non limitano l’autodeterminazione della vittima. Essi, pur rappresentando manifestazioni sessuali, non si concretizzano in un contatto corporeo tra la vittima e l’agente[3].Nonostante ciò vi è una parte della dottrina che protende per una tesi più ampia e punitiva ricomprendendo anche questi episodi a sfondo sessuale[4].

Al fine di integrare il reato de quo, si necessita della presenza di due requisiti: uno soggettivo e l’altro oggettivo. L’elemento oggettivo risiede nella concreta e usuale idoneità del comportamento a ledere e minare l’autodeterminazione sessuale della vittima nella sua sfera sessuale e, contemporaneamente, a eccitare il soggetto agente[5].

Sul concetto di libertà sessuale la dottrina [6] ha elaborato due accezioni: una avente contenuto negativo e una positivo. Nella prima accezione, la libertà sessuale consiste nel diritto a non subire l’altrui sopraffazione sessuale. L’eccezione positiva, invece, consiste nella libertà di disporre del proprio corpo e di compiere libere scelte in relazione alla propria sessualità

Per ciò che concerne l’elemento soggettivo, ci sono due orientamenti giurisprudenziali contrapposti. Secondo il consolidato orientamento della Corte di Cassazione ai fini dell'integrazione dell'elemento soggettivo del reato di violenza sessuale non è necessario che la condotta sia specificamente finalizzata al soddisfacimento del piacere sessuale dell'agente, essendo sufficiente che questi sia consapevole della natura oggettivamente sessuale dell'atto posto in essere volontariamente, ossia della sua idoneità a soddisfare il piacere sessuale o a suscitarne lo stimolo, a prescindere dallo scopo perseguito”[7].

E’ stato considerato violenza sessuale un episodio di palpeggiamento dei glutei e del seno delle persone offese[8] e, ancora, l’ipotesi di palpeggiamento e di schiaffi sui glutei della vittima in un caso in cui la Suprema Corte ha ritenuto che l’eventuale finalità ingiuriosa dell’agente non fosse idonea a escludere la natura sessuale della condotta posta in essere[9].

In via generale, l’elemento soggettivo del reato de quo è integrato dal dolo generico, che consiste nella coscienza e nella volontà di compiere un atto invasivo e lesivo della libertà sessuale della persona offesa non consenziente[10].

Secondo un diverso orientamento, la condotta vietata dall'art. 609-bis c.p. è solo quella finalizzata a soddisfare la concupiscenza dell'aggressore, o a volontariamente invadere e compromettere la libertà sessuale della vittima, con la conseguenza che il giudice, al fine di valutare la sussistenza dell'elemento oggettivo del reato, non deve fare riferimento unicamente alle parti anatomiche aggredite ma deve tenere nel debito conto, con un approccio interpretativo di tipo sintetico, l'intero contesto in cui il contatto si è realizzato anche in relazione alla dinamica intersoggettiva in cui esso è inserito. Dovendosi, pertanto, escludere, secondo il riportato orientamento, il reato ogniqualvolta la condotta dell'agente appaia tale da non comportare, come propria direzione, la violazione della libertà sessuale della vittima, anche laddove, per avventura, da essa sia interessata una porzione corporea del soggetto passivo che sia ordinariamente considerata erogena[11].

Ne consegue che il profilo in senso stretto dell’ “atto sessuale” ha destato il forte interesse della dottrina giuridica che ha elaborato due principali teorie del predetto concetto: quella “oggettiva-anatomica” e quella “oggettiva-contestuale”.

Il fulcro della tesi anatomica nell’individuare gli atti penalmente rilevanti risiede nel tenere in considerazione il parametro della zona del corpo c.d. “erogena” analizzata attraverso le scienze mediche, da una parte, e psicologiche, antropologica e psicologica, dall’altra[12].

Di contro, la tesi contestualistica tiene in debita considerazione il contesto e le molteplici circostanze nelle quali l’atto viene perpetrato al solo scopo di determinarne la natura sessuale. Si pensi, ad esempio, alla “pacca” sui glutei della bidella o i baci sulla bocca che in alcune culture hanno un mero significato di saluto[13].

Tale tesi contesta quella anatomica accusandola di ridurre l’atto sessuale a un mero e già stilato elenco di gesti senza tenere in considerazione, da un lato, l’intensità degli atti compiuti e, dall’altro, la lesività dell’autodeterminazione sessuale della vittima[14]. L’orientamento “contestualistico”, di contro, nella propria tendenza ad essere più inclusivo, presta meno attenzione al rispetto dei principi di tassatività e determinatezza, affidando all’attività ermeneutica l’individuazione degli atti suscettibili di essere classificati quali “sessuali”. Come già accennato, nell’effettuare tale analisi esegetica, l’interprete è chiamato a tenere in debita considerazione il contesto e le circostanze nelle quali l’atto viene commesso, senza farsi condizionare dalla zona del corpo reputata o meno erogena. La zona del corpo interessata è solo il punto di partenza dell’analisi da svolgere[15].

A queste due tesi principali, se ne aggiunge una terza: quella “relazionale”. Nonostante sia più attenta al contesto in cui l’azione illecita si sviluppi, tale tesi si focalizza sul tipo di relazione che intercorre tra il soggetto agente e la vittima. 

Nel reato de quo, in particolare, occorrerebbe fare riferimento al parametro del tipo di rapporto instaurato dall’autore del reato con la persona offesa. Sicché è solo quando il tipo di rapporto può considerarsi “illecito” ai sensi dell’art. 609-bis c.p. (in quanto l’agente ha usato violenza, minaccia, abuso o inganno) che potranno essere considerati penalmente rilevanti tutti gli atti che incidono sulla corporeità della vittima.

Secondo la dottrina relazionale sarebbe necessario l’instaurarsi effettivo di un rapporto di rilevanza sessuale con la vittima, che ne invada realmente (anche se momentaneamente) la sfera di autodeterminazione e disposizione del suo corpo[16].

Vi è, infine, una recente lettura che, tenendo sempre in debita considerazione le modalità della condotta incriminatrice, ha affermato il bisogno di volgere lo sguardo all’incidenza che i comportamenti penalmente rilevanti abbiano avuto sul bene tutelato[17].

La predetta tesi si fonda su due pilasti. In primis, bisogna ravvisare se l’azione compiuta dal reo sia oggettivamente sessuale ovvero se inequivocabilmente dall’esterno possa essere ricondotta senza ombra di dubbio alla sfera sessuale. Pertanto, restano esclusi quegli atti definiti neutri come, ad esempio, quelli compiuti nell’esercizio di una professione secondo leges artis (ad es. la visita medica espletata da un ginecologo). Secondariamente, occorre verificare se il bene tutelato sia stato effettivamente leso; la libertà sessuale del soggetto passivo nel caso di violenza sessuale o di gruppo (ex artt. 609-bis e 609-octies c.p.) ovvero la salvaguardia del corretto sviluppo sessuale del minore nel caso di atti sessuali compiuti con minorenne o di corruzione del medesimo (artt. 609-quater e quinquies c.p.).

Dopo aver analizzato alcune teorie elaborate dalla dottrina, bisogna individuare l’orientamento della giurisprudenza di legittimità. La Corte di Cassazione sembrerebbe aver aderito prevalentemente alla tesi anatomista senza però tralasciare quella contestualistica. Invero, in alcuni casi l’applicazione della sola tesi oggettiva-anatomista risulterebbe insufficiente tanto da non permettere la qualificazione quale atto spiccatamente a sfondo sessuale quelle che semplicemente non riguarda una c.d. “zona erogena”[18].

Tale tendenza è definita “pansessualista” [19].

A testimonianza dell’orientamento oggettivo-anatomista può essere richiamata la sentenza n. 21020 del 2015 in cui la Suprema Corte, chiamata a pronunciarsi sul caso di un uomo che aveva palpeggiato e schiaffeggiato i glutei di una donna durante un litigio, ha reputato configurata la fattispecie criminosa di violenza sessuale, precisando che: “In tema di reati sessuali, la condotta vietata dall’art. 609-bis cod. pen. comprende, oltre ad ogni forma di congiunzione carnale, qualsiasi atto idoneo, secondo canoni scientifici e culturali, a soddisfare il piacere sessuale o a suscitarne lo stimolo, a prescindere dalle intenzioni dell’agente, purché questi sia consapevole della natura oggettivamente “sessuale” dell’atto posto in essere con la propria condotta cosciente e volontaria”[20].

Un esempio, invece, della teoria oggettiva-contestualistica è la sentenza n. 10248 del 2014 della Corte di legittimità che, confermando la sentenza di condanna a carico di un preside che aveva abbracciato e baciato sulle guance un’alunna in luoghi appartati, trattenendola per i fianchi, chiedendole di baciarlo e rivolgendole apprezzamenti per il suo aspetto fisico, ha affermato: “Ai fini della configurabilità del delitto di violenza sessuale, la rilevanza di tutti quegli atti che, in quanto non direttamente indirizzati a zone chiaramente definibili come erogene, possono essere rivolti al soggetto passivo, anche con finalità del tutto diverse, come i baci o gli abbracci, costituisce oggetto di accertamento da parte del giudice del merito, secondo una valutazione che tenga conto della condotta nel suo complesso, del contesto in cui l’azione si è svolta, dei rapporti intercorrenti fra le persone coinvolte e di ogni determinazione della sessualità del soggetto passivo”[21].

E ancora, nella sentenza n. 964/2015, la Corte si spinge oltre, ideando una “classificazione” sul grado di erogenità di una zona del corpo della vittima. Il tutto può essere ricondotto a una tripartizione che vede una zona: 1) “assolutamente erogena”; 2) “relativamente erogena”; 3) “non erogena”. Quest’ultima è classificabile quale una sorta di “salvagente” grazie al quale la Suprema Corte riesce a ricondurre alla violenza sessuale anche quelle azioni spiccatamente a sfondo sessuale che, però, non incidono una zona erogena del corpo della vittima.

Sul punto, nella sopracitata sentenza, la Corte afferma che: “non essendo possibile classificare aprioristicamente come atti sessuale tutti quelli che, in quanto non direttamente indirizzati a zone chiaramente individuabili come erogene, possono essere rivolti al soggetto passivo con finalità diverse, come nel caso del bacio o dell'abbraccio, la loro valutazione deve essere attuata mediante accertamento in fatto da parte del giudice del merito, evitando improprie dilatazioni (...) contrarie alle attuali condizioni di sviluppo sociale e culturale ma valorizzando ogni altro elemento fattuale significativo, tenendo conto della condotta nel suo complesso, del contesto in cui l'azione si è svolta, dei rapporti intercorrenti tra le persone coinvolte ed ogni altro elemento eventualmente sintomatico di una indebita compromissione della libera determinazione della sessualità del soggetto passivo”[22].

Il dictum della Corte conferma la tendenziale applicazione della teoria “contestuale” alle azioni rivolte alle zone “relativamente erogene”, ove una considerazione meramente anatomica non sarebbe sufficiente a qualificare la condotta incriminatrice.

2. La Sentenza della Terza Sezione Penale n. 21255 del 3 maggio 2022

La Corte di Cassazione con la Sentenza n. 21255 del 2022 si è pronunciata sul quo modo dell’applicabilità dell’attenuante prevista dal comma 3 dell’art. 609-bis c.p. del fatto di minore gravità.

La vicenda processuale ha tratto origine da un giudizio che vedeva l’imputato accusato di violenza sessuale ex art. 609-bis c.p. pluriaggravata continuata. Il prevenuto avrebbe posto in essere atti sessuali nei confronti di un ultraquattordicenne che già conosceva e che apparteneva alla comune confessione dei “Testimoni di Geova”.

L’uomo è stato condannato alla pena ritenuta di giustizia previa rideterminazione, da parte della Corte di Appello con la sentenza del 10 settembre 2021, della pena principale in senso meno afflittivo con la prevalenza delle attenuanti generiche sulle contestate aggravanti e attraverso la sostituzione della pena accessoria dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici con quella temporanea nella sua massima durata.

Avverso tale sentenza, l’imputato proponeva ricorso per Cassazione con un unico motivo di doglianza. L’imputato lamentava, ai sensi dell’art. 606 c. 1 lett. b) e e), c.p.p., la violazione di legge con riferimento all’art. 609-bis comma 3 c.p. e vizio di motivazione per contraddittorietà in punto di mancata applicazione dell’attenuante del fatto di minore gravità.

L’imputato sostiene che il giudice del gravame avrebbe escluso la sussistenza dell’attenuante del fatto di minor gravità per il sol fatto che la vittima e l’agente si conoscessero già da prima e il minore facesse particolare affidamento sul reo in quanto appartenenti alla medesima confessione religiosa[23].

3. La valutazione globale del fatto al fine della concessione della circostanza attenuate ex art. 609-bis comma 3 c.p.

La nuova disciplina del 1996 non si basa più sul grado di “intrusività sessuale” delle condotte perpetrate bensì sulla tripartizione dei reati sessuali che si configurano nella violenza sessuale, atti sessuali con minorenne e violenza sessuale di gruppo.

La predetta circostanza attenuante ad effetto speciale è disciplinata dall’art. 609-bis comma 3 c.p. e determina la riduzione fino a due terzi della pena che sarebbe stata inflitta nel singolo caso. Per tale motivo, è stata definita quale “super attenuante” e viene concessa quando il giudicante reputi l’azione del reo “di minor gravità” tranne nei casi di violenza di gruppo. In quest’ultimo caso, il disvalore della condotta e le conseguenze riverberatesi nei confronti della vittima sono contenute ipso iure nell’azione di due o più soggetti che non potrà mai essere valutata di minor gravità.

Ne consegue che l’alveo delle condotte ascrivibili alle predette fattispecie delittuose ha raggiunto notevoli dimensioni tanto da necessitare l’introduzione di una circostanza attenuante che ricomprendesse i comportamenti reputati di minor gravità.

L’applicazione di tale attenuante ha impegnato copiosamente la giurisprudenza di legittimità circa il suo ambito di applicazione, attraverso il vaglio della configurabilità della minore incidenza che la condotta del reo abbia determinato nei confronti della vittima. Basta pensare, ad esempio, che soltanto nel 2015 tale circostanza attenuante è stata applicata al 31% delle sentenze in materia di reati sessuali[24].

L’orientamento della Corte di Cassazione[25] è granitico nell’affermare che: “ai fini della configurabilità della diminuente in esame, deve farsi riferimento ad una valutazione globale della vicenda, nella quale assumono rilievo i mezzi, le modalità esecutive, il grado di coartazione esercitato sulla vittima, le condizioni fisiche e mentali di questa, le sue caratteristiche psicologiche in relazione all'età, così da potere ritenere che la libertà sessuale della persona offesa sia stata compressa in maniera non grave, e che il danno arrecato alla stessa, anche in termini psichici, sia stato significativamente contenuto[26].

Dal predetto dictum emerge chiaramente la ferma inclinazione della Suprema Corte ad abbandonare l’impostazione ante riforma 1996 che basava le proprie decisioni sulla bipartizione tra atti penetrativi/non penetrativi per l’applicabilità dell’attenuante di cui al comma 3 dell’art. 609-bis c.p.. Di contro, ai fini dell’applicabilità della predetta attenuante non è sufficiente l’assenza della penetrazione sessuale della vittima ma sarà indispensabile valutare tutti gli elementi del caso concreto che hanno inciso sulla libertà sessuale del soggetto passivo quali l’intensità della violenza e minaccia utilizzati dal reo e le condizioni psico-fisiche della vittima.

Al fine di meglio comprendere come viene applicato il principio di diritto enunciato dalla giurisprudenza di legittimità è imprescindibile l’analisi dei singoli casi che permettono di comprendere la portata di quanto affermato.

A titolo esemplificativo, può essere riportata la decisione n. 4927/2015 sempre della Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione che ha accolto il ricorso per saltum del Procuratore della Repubblica, annullando con rinvio la sentenza del giudice di prime cure che ha applicato all’imputato la “super attenuante” a un caso in cui non vi era stata penetrazione. Il caso di specie vedeva un uomo che aveva fatto irruzione in casa di una donna, introducendosi nel suo letto, costringendola a subire atti sessuali con minaccia e violenza, procurandole lesioni al collo e al seno reputate guaribili in cinque giorni.

Il giudice di legittimità ha censurato la motivazione del Giudice per l'Udienza preliminare del Tribunale di Udine in quanto avrebbe applicato erroneamenre l’attenuante del fatto di minor gravità. La Corte ha testualmente affermato che "il G.u.p. del Tribunale di Udine ha riconosciuto l'attenuante in esame alla luce del fatto che l'episodio si sarebbe protratto per pochi momenti e "limitato a dei toccamenti, senza ragionevole possibilità che esso si sviluppasse in qualcosa di più grave"; orbene, così motivando, il giudice non ha proceduto ad una valutazione globale dell'accaduto e, pertanto, non ha fatto buon governo dei principi appena enunciati. Ed invero, la sentenza riferisce soltanto di toccamenti, ma, al contempo, assegna piena attendibilità alle parole della persona offesa (anche in forza di riscontri testimoniali e documentali) e, pertanto, ricostruisce la vicenda negli esatti termini d a questa narrati; termini secondo i quali l'imputato si sarebbe introdotto nottetempo nel suo letto, l'avrebbe afferrata per il collo e minacciata di morte, si sarebbe steso su di lei strofinandosi con il suo corpo, avrebbe tentato di sfilarle gli slip e, alle urla della ragazza, l'avrebbe colpita con uno schiaffo, le avrebbe schiacciato il cuscino sul volto, insieme palpeggiandole il seno, il sedere e la vulva. Tutto ciò, fino a desistere per l' intervento di altri inquilini dell'appartamento. La condotta del ricorrente, come emerge dalla stessa sentenza gravata, non si è dunque limitata a meri toccamenti della persona offesa; ne deriva l'annullamento della pronuncia con rinvio, perchè il G.u.p. del Tribunale di Udine valuti la sussistenza della circostanza attenuante alla luce di tutti gli elementi”[27].

Pertanto, nonostante l’assenza di penetrazione, la Suprema Corte ha escluso l’applicabilità dell’attenuante de qua.

Di contro, possono essere citate due sentenze che, nonostante la presenza di un atto di penetrazione, hanno reputato applicabile l’attenuante del fatto di minor gravità.

Con specifico riferimento all’ipotesi di atti sessuali con minorenne ex art. 609-quater, nel giudizio culminato con la sentenza della Terza Sezione n. 5733/15, è stata riconosciuta la predetta attenuante. Vi è una piccola premessa da fare circa l’applicazione dell’attenuante a effetto speciale de qua. Nei reati che coinvolgono minori, la concessione di tale attenuante è maggiormente frequente in quanto spesso i rapporti tra il soggetto maggiorenne e minorenne sono consensuali e, pertanto, è riscontrabile una minore compressione della libertà sessuale di quest’ultimo anche in presenza di atti penetrativi.

E’ esattamente ciò che è avvenuto nella vicenda giudiziaria sottesa alla predetta pronuncia. La sentenza di secondo grado è stata annullata con rinvio, applicando la circostanza attenuante del fatto di minor gravità anche in presenza di un atto penetrativo. Il giudice del gravame non aveva concesso l’attenuante basandosi sulla natura penetrativa dell’azione sessuale nonché sulla differenza di età tra i due soggetti coinvolti. Partendo dal caso di specie, la Terza Sezione ha chiarito che, ai fini del riconoscimento dell’attenuante del fatto di minor gravità, “non rileva di per sé la “natura” e l’“entità” dell’abuso, essendo necessario valutare il fatto nel suo complesso; sicchè deve escludersi che la sola “tipologia” dell’atto possa essere sufficiente per ravvisare o negare la circostanza”[28].

La Sentenza n. 7807/2015 ha invece trattato un caso di rapporto sessuale completo perpetrato con violenza, ex art. 609-bis comma 1 c.p.. I giudici di legittimità hanno confermato la sentenza del giudice di merito che escludeva la presenza dell’attenuante di cui al comma 3. Partendo sempre dall’assunto che non è sufficiente la presenza di un atto sessuale penetrativo per negarne la sussistenza, la Corte di Cassazione ha escluso la configurabilità del fatto di minor gravità in presenza di una evidente e preponderante volontà e azione del soggetto agente volta alla sopraffazione e prevaricazione della vittima. Sul punto, la Corte ha confermato quanto detto dal giudice del gravame affermando che: “il giudice d'appello sottolinea l'intensa compressione della libertà sessuale inflitta ad una persona attirata con l'inganno in una situazione in cui si è trovata in balia del suo aggressore, senza possibilità di difendersi ("di fuggire o di trovare aiuto nella situazione in cui si era venuta a trovare", appunto). E quanto così espone il giudice d'appello non può non contestualizzarsi (sulla valutazione unitaria che necessita un apparato motivazionale cfr., p. es., Cass. sez. 2^, 8 febbraio 2013, n. 9242, Cass. sez. 2^, 22 aprile 2008, n. 18163, e Cass. sez. 2^, 11 gennaio 2007, n. 7380) con la parte antecedente della motivazione, in cui aveva descritto anche le condizioni psicologiche che la vittima aveva dimostrato a seguito della condotta dell'imputato, cioè da un lato "l'evidente disagio e la palese vergogna" nel narrare la disgustosa esperienza, "l'atteggiamento di chiusura da lei evidenziato nei giorni immediatamente successivi" - indice evidente di una condizione traumatica dal punto di vista psicologico - e la sua situazione "palesemente sconvolta e terrorizzata" dimostrata alla sorella quando questa la vide subito dopo l'accaduto, e, dall'altro, la significativa attitudine al silenzio della vittima che aveva ritegno a denunciare evidenziando "sin da subito il vivo timore che la vicenda, ove risaputa, determinasse lo Z. a reiterare analoghe condotte sui danni" (il che si connette, ictu oculi, con la situazione di terrore in cui lo Z. l'aveva posta al momento dell'atto sessuale, realizzandone una protrazione che denota ulteriormente la gravita della fattispecie criminosa)”[29].

E’ di solare evidenza l’analisi analitica svolta caso per caso, in cui la valutazione globale del fatto è il filo conduttore per l’applicabilità dell’attenuante del fatto di minor gravità.

Vi è da precisare che la valutazione globale che si realizza nel giudizio non implica una compensazione tra elementi positivi e negativi attraverso una sorta di sistema di vasi comunicanti in cui gli eventuali fattori positivi e negativi possano bilanciarsi al fine dell’applicabilità dell’attenuante. Sul punto, la Corte ha testualmente affermato che: “la natura globale del giudizio che deve essere operato ai fini della valutazione del fatto di minore gravità in relazione ai reati in materia sessuale deve essere tale che il requisito in questione, cioè la minore gravità della fattispecie penalmente rilevante deve essere riscontrabile in relazione a tutti i ricordati parametri valutativi - cioè, si ribadisce, i mezzi, le modalità esecutive, il grado di coartazione esercitato sulla vittima, le condizioni fisiche e psicologiche di quest'ultima, anche in relazione all'età - mentre ai fini del diniego della stessa attenuante è sufficiente la presenza anche di un solo elemento di conclamata gravità (Corte di cassazione, Sezione 3^ penale, 22 febbraio 2016, n. 6784)”.

Si è, inoltre, precisato che l’attenuante de qua non può essere esclusa in caso di sussistenza di una o più circostanze aggravanti. Occorre, infatti, valutare se la presenza di queste aggravanti sia idonea, con riferimento al bene giuridico tutelato, a incidere sui parametri che rilevano ai fini dell’accertamento della minore gravità del fatto, costituiti dal grado di compromissione della libertà sessuale subito dalla vittima e dalla consistenza del danno arrecabile[30].

E ancora, l’attenuante de qua non può essere concessa quando l’azione lesiva del soggetto agente sia reiterata nel tempo in quanto la reiterazione che non sia occasionale rafforza l’illecito commesso e, soprattutto, compromette in misura nettamente maggiore il bene giuridico sotteso al reato contestato. Ciò determina l’incompatibilità di tale caso con l’attenuante del fatto di minor gravità[31].

Da ultimo, ai fini dell’applicabilità del comma 3 dell’art. 609-bis comma 3 c.p., si evidenzia che rilevano soltanto gli elementi indicati dal comma 1 dell’art. 133 c.p. e non anche quelli di cui al comma 2 inerenti la capacità a delinquere ed utilizzabili solo per la dosimetria complessiva della pena[32].

4. La decisione della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione, con la sentenza in premessa e una motivazione semplificata, dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma alla Cassa delle Ammende.

Innanzitutto, bisogna rilevare che la Corte, nel dichiarare l’inammissibilità, ha precisato che i motivi di ricorso non possono riproporre le ragioni già discusse e reputate infondate dal giudice di secondo grado, dovendo ritenere tali motivi aspecifici.

I motivi del ricorso per Cassazione si devono considerare non specifici, ma soltanto apparenti, quando omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza impugnata con il ricorso[33], sicché è inammissibile il ricorso per Cassazione quando sia carente dell'indicazione della correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'atto d'impugnazione, atteso che quest'ultimo non può ignorare le affermazioni del provvedimento censurato[34].

Nel merito, viene reputato destituito di fondamento l’unico motivo di gravame con il quale il ricorrente lamenta la violazione di legge con riferimento all’art. 609-bis comma 3 c.p. e il vizio di motivazione per contraddittorietà in punto di mancata applicazione dell’attenuante del fatto di minore gravità.

Il reo ha sostenuto che, previo riconoscimento dell’insussistenza di un rapporto di parentela tra i due soggetti coinvolti, la mancata concessione dell’attenuante del fatto di minore gravità era stata giustificata in virtù dell’affidamento che la vittima riponeva nei confronti del soggetto agente. I due individui si conoscevano già e appartenevano alla medesima fede religiosa dei “Testimoni di Geova”. Tali circostanze avrebbero creato un rapporto di fiducia che sarebbe stato sfruttato a proprio vantaggio dal reo, tradendo la fiducia del minore. La Corte d’Appello di Torino, errando a parere della difesa, ha basato la sua convinzione sulla circostanza secondo la quale, se non vi fosse stato questo profondo affidamento nei confronti del soggetto agente anche in virtù dell’appartenenza alla medesima fede, non si sarebbe potuto ipotizzare il presunto “tradimento della fiducia” in un soggetto ultraquattordicenne, ben orientato e già vittima in passato di attenzioni moleste poste in essere dal medesimo soggetto.

L’impianto motivazionale del giudice di secondo grado risulta congruo e privo di contraddizioni. Invero, nel motivare la propria scelta di non applicare l’attenuante ad effetto speciale prevista dal comma 3 dell’art. 609-bis c.p., la Corte d’Appello torinese ha tenuto in debita considerazione una molteplicità di fattori che hanno caratterizzato la vicenda de qua. La Corte territoriale, al fine di adottare la propria decisione, ha tenuto in debita considerazione:

1. l’età adolescenziale della vittima. La prima violenza è stata subita quando il ragazzo aveva 14 anni e reiterata, per una seconda volta, al compimento dei 15;

2. il forte legame che univa l’artefice alla famiglia della vittima, basatosi sull’appartenenza alla medesima religione;

3. la strumentalizzazione del legame tra l’imputato e la famiglia della vittima, tanto da far dubitare prima facie la famiglia della versione del figlio;

4. l’inganno perpetrato dal reo a danno del minore per ottenere un secondo incontro;

5. la confessione resa in sede di interrogatorio, dalla quale trapela la piena consapevolezza dell’illiceità della condotta tenuta dal reo.

La sommatoria di tutte queste circostanze ha fatto sì che la Corte di Appello di Torino, prima, e la Suprema Corte, successivamente, reputassero configurato in capo all’imputato il reato di cui all’art. 609-bis c.p. pluriaggravato e continuato, escludendo l’applicabilità l’attenuante a effetto speciale prevista dal comma 3 del medesimo articolo.

5. Conclusioni

La Corte di Cassazione, con la pronuncia de qua, ha inteso sottolineare il tipo di analisi che bisogna condurre per applicare o non applicare la circostanza attenuante di cui all’art. 609-bis comma 3 c.p. del fatto di minor gravità. Soltanto una valutazione globale del fatto potrà consentire la configurabilità del medesimo come di minor gravità tanto da prevedere la comminazione di una pena edittale diminuita fino a due terzi.

La decisione del giudice di secondo grado, nella sentenza n. 21255/2022, infatti, ha ricalcato quanto previamente affermato dalla Suprema Corte, secondo cui: “In tema di violenza sessuale, ai fini della configurabilità della circostanza attenuante del fatto di minore gravità, prevista dall’art. 609-bis c.p., comma 3, deve farsi riferimento ad una valutazione globale del fatto, nella quale assumono rilievo i mezzi, le modalità esecutive, il grado di coartazione esercitato sulla vittima, le condizioni fisiche e mentali di questa, le caratteristiche psicologiche valutate in relazione all'età, in modo da accertare che la libertà sessuale non sia stata compressa in maniera grave e che non sia stato arrecato alla vittima un danno grave, anche in termini psichici”[35].

In conclusione, quello che prima facie potrebbe sembrare un gesto privo di grande gravità e risonanza sessuale, a seguito di una attenta analisi, potrebbe serbare al proprio interno esattamente l’opposto. Il singolo gesto, in apparenza connotato da minore gravità, potrebbe, di contro, avere grande risonanza nell’animus della vittima tanto da pregiudicarne irrimediabilmente la sfera più intima e personale.

Tutte le circostanze sopra indicate dovranno essere la guide-line al fine di poter applicare l’attenuante del fatto di minor gravità al caso concreto singolarmente analizzato.


Note e riferimenti bibliografici

[1] Cass. pen. n. 2561/96;

[2] Cass. pen. n. 37364/15;

[3] Cass.  pen. N. 15464/04;

[4] M .CAPPAI, La qualificazione delle violenze prive di un contatto corpore corpori alla prova della recente giurisprudenza in tema di atti sessuali, nota a Cass., Sez. III, sent. 19 novembre 2015 (dep. 5 maggio 2016), n. 18679, Pres. Amoresano, Rel. Aceto, in questa Rivista, 10 febbraio 2017.

[5] Cass.  pen. N. 1040/97;

[6] G. COCCO G. - E.M. AMBROSETTI 2010, 327 ss;

[7] Da ultimo Cass. Pen. Sez. III n. 10923 del 13.03.2019;

[8] Cass Pen. III n. 3648 del 03.10.2017;

[9] Cass Pen. III n. 21020 del 28.10.2014;

[10] Cass Pen. III n. 4913 del 22.10.2014, Cass Pen. III n. 20754 del 17.04.2013;

[11] Cass. Pen. III n. 24683 dell’01.06.2015;

[12] A. CADOPPI, Commento art. 609-bis c.p., in Commentario delle norme contro la violenza sessuale e contro la pedofilia, a cura di Cadoppi, Padova, 2006, p. 458 ss.;

[13] G. FIANDACA, Violenza sessuale, in Enc. Dir., aggiorn., vol. IV, Milano, 2000, p. 1153 ss.

[14] G. FIANDACA., Relazione di sintesi, in AA.VV., La violenza sessuale a cinque anni dall’entrata in vigore della legge n. 66/96, Profili giuridici e criminologici, a cura di A. CADOPPI, Padova, 2001, p. 242, che definisce la teoria oggettivo anatomica una concezione “da laboratorio anatomico”.

[15] M. CAPPAI, La qualificazione delle violenze prive di un contatto corpore corpori alla prova della recente giurisprudenza in tema di atti sessuali, nota a Cass., Sez. III, sent. 19 novembre 2015 (dep. 5 maggio 2016), n. 18679, Pres. Amoresano, Rel. Aceto, in questa Rivista, 10 febbraio 2017;

[16] L. PICOTTI, Profili generali di diritto penale sostanziale, inAA.VV., La violenza sessuale a cinque anni dall’entrata in vigore della legge n. 66/96, Profili giuridici e criminologici, cit., pp. 19 e ss..

[17] M. VIZZARDI, La violenza sessuale (art. 609-bis), in I delitti contro la persona, vol. X, in Trattato di diritto penale, parte speciale, a cura di G. MARINUCCI e E. DOLCINI, Padova, 2015, pp. 168 e ss.;

[18] Ex multis Cass. Pen. Sez. III n. 964/2015; Cass. Pen. III n. 10248/2014;

[19] M. VIZZARDI., La violenza sessuale (art. 609-bis), in I delitti contro la persona, vol. X, in Trattato di diritto penale, parte speciale, a cura di G. MARINUCCI e E. DOLCINI, Padova, 2015, pp. 168 e ss.;

[20] Cass., pen. Sez. III, 21 maggio 2015 (ud. 28 ottobre 2014), n. 21020;

[21] Cass., pen. Sez. III, 4 marzo 2014 (ud. 12 febbraio 2014), n. 10248;

[22] Cass., pen. Sez. III, ud. 26.11.2014, n. 964/2015;

[23] Cass. pen. Sez. III, 3 maggio 2022, n. 21255;

[24] F. MACRI’, La violenza sessuale (art. 609-bis c.p.) nella giurisprudenza della Suprema Corte del 2015 – Analisi delle 110 sentenze di inammissibilità e rigetto tra orientamenti esegetici di legittimità e opzioni sanzionatorie di merito, Rivista di Diritto penale contemporaneo, MILANO, p. 4;

[25] Cass. pen. Sez. III n. 23913 del 14 maggio 2014, n. 6623 del 10 dicembre 2013, n. 18662 del 12 aprile 2013;

[26] Cass. pen. Sez. III, 04 febbraio 2015 (data ud. 08 gennaio 2015), n. 5169;

[27] Cass. Pen. Sez III n. 4927 del 2015;

[28] Cass. pen. n. 6502 del 29.11.2018 - dep. 2019;

[29] Cass. pen. Sez. III, ud. 28 gennaio 2015, n. 7807;

[30] Cass. pen. Sez. III, ud. 27 novembre 2019, n. 48184;

[31] Cass. pen. Sez. III, 3 marzo 2020, n. 17177;

[32] Cass. pen. Sez. III, n. 31841/14;

[33] Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 04-11-2020) 18-01-2021, n. 1764 e Cass. Sez. 2, n. 42046 del 17.07.2019;

[34] Cass. pen. Sez. 2, n. 11951 del 29.01.2014;

[35] Cass. pen. Sez. 3, n. 50336 del 10.10.2019, Cass. pen. Sez. 3 n. 23913 del 14.05.2015;