Il patrimonio digitale e gli strumenti alternativi per la sua trasmissibilità mortis causa
Modifica paginaIl presente lavoro si propone di affrontare i principali profili problematici sottesi alla composizione del patrimonio digitale e alla sua trasmissibilità mortis causa mediante le determinazioni di volontà ospitate all’interno dei contratti conclusi con i gestori dei servizi Internet. Inoltre, l’analisi si sofferma sugli strumenti di pianificazione dell’eredità conosciuti dall’ordinamento giuridico e sulla possibilità di utilizzarli per regolare la sorte del patrimonio digitale, secondo una lettura innovativa/evolutiva, compatibile con le particolari esigenze evocate dal tema della successione nel patrimonio digitale.
Digital heritage and alternative tools for its transmissibility mortis causa
The paper examines the main issues about the composition of the digital asset and its transmissibility mortis causa through the indications of user intent provided by the contracts concluded with the Internet service provider. Furthemore, the analysis focuses on legacy planning tools provided for by the legal system and on the possibility of using them to regulate the fate of the digital heritage, through an innovative/evolutionary reading, compatible with the special identified needs in the theme of succession in the digital heritage.Sommario: 1. Premessa; 2. I confini della nozione di patrimonio digitale; 3. La trasmissibilità del patrimonio digitale online: criticità e prospettive; 3.1. L’analisi degli strumenti già esistenti; 4. Una panoramica generale sul mandato post mortem; 5. Il mandato post mortem exequendum come valida alternativa per disciplinare l’eredità digitale; 6. Conclusioni.
1. Premessa
L’eredità digitale e il patrimonio ad essa sotteso hanno assunto un notevole interesse, alla luce del processo di digitalizzazione e di evoluzione tecnologica e in considerazione dell’assenza di una specifica disciplina legislativa che regoli la successione dei beni digitali.
Invero, il mutamento della realtà sociale (caratterizzata sempre di più dall’utilizzo dei social network) e l’inevitabile progresso tecnologico (in particolar modo la digitalizzazione e la creazione delle monete virtuali) incidono non soltanto sul contesto economico, determinando la nascita di nuovi beni - cosiddetti beni digitali - ma anche sul piano giuridico, ove si richiedono risposte a nuove esigenze meritevoli di protezione.
Più precisamente, lo sviluppo e la diffusione di molteplici servizi internet di gestione dei rapporti sociali inducono frequentemente la dottrina e la giurisprudenza ad occuparsi del tema dei dati personali, i quali - a causa della relativa idoneità alla circolazione e alla permanenza sul web per tempo tendenzialmente indeterminato[1] - necessitano di una regolamentazione incentrata sul controllo del traffico delle informazioni e sui profili di tutela post mortem dell’identità della persona.
Inoltre, l'insorgenza frequente di nuovi strumenti finanziari e di pagamento (bitcoin, ethereum, nft et similia), considerato anche il notevole impatto economico derivante dal loro valore di mercato, impone di individuare una disciplina giuridica applicabile nelle ipotesi della loro successione mortis causa.
Una lettura unitaria di tali elementi lascia emergere una nuova concezione, necessariamente dinamica e non statica, dell’identità digitale[2], concetto non coincidente con l’identità fisica perché collegato ad un id name e ad una password non necessariamente corrispondenti ai dati anagrafici dell’interessato, che, ciononostante, richiede un’adeguata regolamentazione sul piano delle tutele giuridiche.
Qualche anno fa, il matematico inglese Clive Humby ha affermato espressamente che «i dati sono il nuovo petrolio[3]», volendo intendere che essi costituiscono una delle risorse più preziose del mondo e, probabilmente, generare la consapevolezza che i dati, a differenza del petrolio, non possono terminare, data la loro persistenza nel mondo digitale.
Il presente contributo ha come obiettivo la focalizzazione dei principali profili critici che emergono sia in ordine alle soluzioni di trasmissione dei beni digitali imposte dai proprietari delle piattaforme online in caso di morte dell’utente, sia rispetto alla possibilità di utilizzare il diritto successorio al fine di regolare preventivamente la sorte dell’eredità digitale.
2. I confini della nozione di patrimonio digitale
La portata delle questioni sottese alle «vicende successorie nella c.d. società dell’informazione[4]» suggerisce una breve riflessione circa l’individuazione dei beni suscettibili di formare il patrimonio digitale.
Nel ricostruire tale nozione risulta fondamentale prendere in considerazione l’imprescindibile eterogeneità che caratterizza i beni digitali, potenziali asset del patrimonio ereditario.
Sul punto sono state avanzate molteplici classificazioni dottrinali, sintetizzabili nei termini che seguono[5].
Innanzitutto, è necessario effettuare una macro distinzione tra beni di natura patrimoniale, vale a dire suscettibili di valutazione ed utilizzazione economica (ad esempio, credenziali di accesso a portafogli di monete virtuali), e beni a contenuto non patrimoniale, ovvero di natura personale (come fotografie o e-mail), attinenti alla proiezione individuale e alla sfera privata della persona e di rilevanza principalmente morale e affettiva.
Altra distinzione riguarda, da un lato, i beni digitali online, così classificati perché conservati in rete (si pensi ai dati della persona contenuti nel cloud) e, dall’altro lato, i beni digitali offline, collocati su supporti materiali fisici, quali, ad esempio, pennette usb o computer.
Le classificazioni teoriche relative alla composizione del patrimonio digitale assumono rilevanza anche sul piano pratico.
All’interno dell’ampio genus del patrimonio digitale offline, non desta particolari problematiche l’ipotesi di successione che investe i beni digitali incorporati in un supporto fisico (si pensi al file di testo o musicale), qualora quest’ultimo sia oggetto di un diritto reale (ad esempio, diritto di proprietà) da parte del titolare dei dati, poiché a fronte di tale fattispecie, la dottrina ritiene di poter applicare le ordinarie regole codicistiche per la trasmissione mortis causa del patrimonio digitale offline contenuto sui dispositivi materiali[6], con la conseguenza che la proprietà degli apparati fisici è trasmessa agli eredi unitamente ai file interni.
Occorre operare una riflessione diversa laddove i contenuti dei cosiddetti beni digitali offline presentino natura strettamente personale e abbiano rilevanza puramente affettiva (ad esempio, foto o video di famiglia), atteso che in tal caso opera un peculiare regime successorio a favore dei prossimi congiunti[7], disciplinato dall’art. 93 della L. n. 633/41 (Legge sul diritto d’autore).
La norma stabilisce che, ai fini della diffusione/pubblicazione delle corrispondenze epistolari o delle memorie familiari e personali, dopo la morte dell’autore, occorre il consenso del coniuge o dei figli o, in mancanza di questi, dei genitori, oppure, in mancanza anche di questi ultimi, occorre comunque il consenso degli altri parenti, a prescindere dalla loro posizione ereditaria.
Infine, per quanto concerne i beni oggetto di proprietà intellettuale e suscettibili di utilizzazione economica (ad esempio, la bozza di un romanzo destinata ad avere un successo mondiale), la successione è specificatamente regolata dagli artt. 115-117 della Legge sul diritto d’autore, i quali prevedono una particolare procedura per l’esercizio dei diritti di utilizzazione dell’opera[8].
Diversamente, con riferimento alla composizione del patrimonio online, emerge il problema della trasmissibilità dei contenuti digitali derivanti dai rapporti contrattuali online afferenti al de cuius.
3. La trasmissione del patrimonio digitale online: criticità e prospettive
L’argomento in analisi, oggetto di vivace dibattito giurisprudenziale e dottrinale, concerne le diverse modalità di trasmissione dell’eredità digitale in assenza di qualsivoglia programmazione o manifestazione di volontà da parte del de cuius.
Anzitutto, occorre premettere in via generale che - vista la vasta eterogeneità che caratterizza la categoria dei beni digitali online (file, account, credenziali, software, conti correnti online[9], contratti di servizi e rapporti commerciali presso piattaforme online et similia) - è probabilmente errato affrontare il tema della trasmissione di tali dati nell’ottica di tentare di individuare una soluzione unitaria ed onnicomprensiva o, comunque, una regola generale valevole in qualsiasi circostanza.
D’altronde, la materia si caratterizza, da un lato, per una costante tensione tra l’interesse dell’erede alla continuità nei rapporti contrattuali del de cuius (anche sub specie di certezza dei traffici giuridici) e contrapposti interessi di carattere personale (come, ad esempio, la tutela postuma della privacy e della riservatezza del titolare dell’account) che giustificano, talvolta, l’inserimento di clausole di «intrasmissibilità[10]», e, dall’altro lato, per la diversa natura giuridica che contraddistingue ciascun bene digitale.
Pertanto, anche a fronte dei discordanti esiti cui giungono i providers nel realizzare quest’opera di bilanciamento, attribuendo magari prevalenza ad un’esigenza piuttosto che ad un’altra, è più corretto sostenere che sono ipotizzabili una pluralità di meccanismi di trasmissione dell’eredità digitale che variano a seconda degli interessi in gioco e delle peculiarità della fattispecie concreta[11].
Al fine di chiarire quanto appena detto, basti pensare ai contratti di fornitura di servizi di posta elettronica e social network conclusi con i diversi gestori, quali Facebook, Gmail, Yahoo, Google Drive, Microsoft et similia, e regolati dalle singole condizioni generali di contratto sottoscritte dall’utente.
Ebbene, pur trattandosi di contratti quasi identici per ciò che concerne le finalità e le prestazioni erogate, i gestori del servizio adottano diverse soluzioni in ordine alle sorti del contratto per il tempo in cui l’utente avrà cessato di vivere, anche con riferimento alla previsione o meno dei c.d. «online tools[12]», ossia quegli strumenti, offerti dai providers, con cui l’utente può disciplinare l’accesso ai contenuti del suo account successivamente alla sua morte[13].
A titolo meramente esemplificativo, Facebook contempla diverse soluzioni, tra cui la chiusura dell’account oppure la sua trasformazione in un account commemorativo gestito da un «contatto erede[14]», fermo restando che, quanto alla possibilità di accedere ai contenuti, messaggi e file dell’utente deceduto nel caso in cui quest’ultimo non abbia dato alcuna disposizione, è espressamente stabilito che «in rari casi, prendiamo in considerazione richieste di ulteriori informazioni o contenuti dell'account. Ti verrà chiesto di fornire un documento che attesti che sei un rappresentante autorizzato (ad es., un membro della famiglia) e un'ordinanza del tribunale[15]».
All'opposto, Microsoft permette di accedere liberamente ai dati dell’account di un familiare deceduto, sia pure dopo aver seguito la semplice procedura di identificazione indicata sul sito[16].
Da quanto appena detto emerge come i server providers possano regolamentare in maniera diversa l’accesso ai contenuti informatici del titolare dell’account.
Un altro esempio della circostanza in base alla quale nel campo della successione digitale non è possibile individuare un solo strumento giuridico in grado di risolvere unitariamente tutte le problematiche connesse alla trasmissibilità dei beni digitali, si evince dall’analisi della disposizione di cui all’art. 2-terdecies del d. lgs. n.196/2003, istituto preposto alla tutela post mortem dei dati personali.
La norma in questione, prevedendo espressamente che «i diritti di cui agli articoli da 15 a 22 del Regolamento riferiti ai dati personali concernenti persone decedute possono essere esercitati da chi ha un interesse proprio, o agisce a tutela dell’interessato, in qualità di suo mandatario, o per ragioni familiari meritevoli di protezione», è individuata come riferimento normativo che consente di ipotizzare la possibilità per il de cuius di designare un mandatario cui affidare il compito di eseguire post mortem la propria volontà inerente alla sorte dei propri dati personali[17].
In assenza di tale preventiva dichiarazione di volontà da parte dell’interessato, si ritiene comunque che il dettato normativo legittimi specifici soggetti ad accedere post mortem ai beni digitali appartenenti al de cuius che possono essere qualificati come dati personali, mediante un’interpretazione estensiva della norma[18].
Ebbene, va constatato che - non essendoci sempre perfetta coincidenza o sovrapposizione tra la nozione di bene digitale e quella di dati personali - la norma rappresenta uno speciale strumento di trasmissione utilizzabile esclusivamente per quella parte di patrimonio digitale che può identificarsi nell’insieme dei cosiddetti dati personali.
In altre parole, se è chiaramente possibile invocare l’art. 2-terdecies per legittimare i soggetti indicati dalla norma ad ottenere l’accesso ai dati personali del defunto qualora si tratti di beni digitali che appaiono ictu oculi personali (ad es., le fotografie), non può giungersi pacificamente alla medesima conclusione nel caso in cui il bene digitale appartenente al de cuius sia rappresentato da dati diversi (si pensi, ad esempio, alla bozza del romanzo di successo archiviata su Google Drive o comunque alle credenziali di accesso ad un portafoglio virtuale).
Quanto appena esposto rappresenta una delle eventuali criticità che investono l’art 2-terdecies[19], alla luce della considerazione per cui non tutto ciò che forma il patrimonio digitale e di cui si richiede la trasmissione è inquadrabile agevolmente nella definizione di dato personale.
3.1 L’analisi degli strumenti già esistenti
Tanto premesso, al fine di superare le incertezze e le problematiche che, come detto, sorgono in ordine alla trasmissione degli asset digitali in mancanza di una preventiva pianificazione[20], è opportuno focalizzare l’attenzione su una diversa tematica, ossia quella concernente l’individuazione degli strumenti disponibili ante mortem per disciplinare la sorte del proprio patrimonio digitale.
In altre parole, è necessario interrogarsi se gli atti di ultima volontà che il diritto successorio italiano riconosce al de cuius siano validamente utilizzabili per la trasmissione dei dati digitali, nonché rappresentino una soluzione adeguata, tenuto conto del conflitto tra i contrapposti interessi in gioco[21].
La risposta al quesito è il risultato di un’operazione di bilanciamento che deve tener conto di diversi fattori, quali le «esigenze di semplicità e flessibilità nell’amministrazione del proprio patrimonio digitale[22]»; le esigenze di segretezza e privacy che si scontrano con le differenti caratteristiche del negozio testamentario (pubblicità, conoscibilità e altri requisiti formalistici); l’eventuale contrapposizione tra la posizione di erede e quella di prossimo congiunto[23].
A fronte di queste considerazioni, la dottrina teorizza, in linea generale, tre principali strumenti alternativi di trasmissione del patrimonio digitale, espressione dell’autonomia negoziale: il testamento nella sua atipicità contenutistica[24], il mandato post mortem ad exequendum e, infine, il legato di password (finalizzato, più specificamente, alla trasmissione a titolo particolare delle credenziali di accesso)[25].
Limitando l’esame alle prime due modalità, non vi è alcun ostacolo a riconoscere la possibilità astratta di utilizzare il negozio testamentario mediante la valorizzazione della disposizione di cui all’art. 587 c.c., secondo cui il testamento può avere contenuto atipico (includendo, pertanto, anche i beni digitali)[26].
Tuttavia, tale soluzione appare inadeguata a causa dei rigidi meccanismi di pubblicità che lo contraddistinguono, incompatibili con quelle esigenze di elasticità e segretezza alla base della trasmissione del patrimonio digitale[27].
In termini pratici, sarebbe contraddittorio disporre di credenziali o password di accesso a portafogli di monete virtuali mediante un testamento olografo o segreto, le cui caratteristiche e formalità (come la pubblicazione con verbale notarile alla presenza di due testimoni) si scontrano con l’idea di una sicura e semplice accessibilità ai dati digitali da parte degli eredi, implicante, ad esempio, l’aggiornamento periodico delle password.
Stante l’inadeguatezza della soluzione che opta per la pianificazione testamentaria dei beni digitali, si preferisce lo strumento del mandato post mortem ad exequendum per la trasmissione mortis causa dei rapporti contrattuali online e dei diritti ad essi inerenti.
Invero, esso rappresenta un meccanismo di trasmissione del patrimonio digitale più flessibile e sicuro sotto il profilo della segretezza e riservatezza e pertanto più rispettoso di quelle particolari esigenze invocate dal tema della tutela dei dati digitali inerenti al de cuius[28].
4. Una panoramica generale sul mandato post mortem
Ai fini di una migliore comprensione delle questioni problematiche sottese al tema dei rapporti tra mandato post mortem e patrimonio digitale, occorre realizzare un breve inquadramento dell’istituto.
In linea generale, va premesso che l’espressione mandato post mortem si riferisce all’assunzione di un incarico che un soggetto (mandatario) si obbliga a compiere per conto di altro soggetto (mandante), dopo la morte di quest’ultimo[29].
In altre parole, si tratta di un negozio mediante il quale il mandante conferisce al mandatario il compito di eseguire determinati atti giuridici ovvero anche semplici operazioni materiali, per il tempo successivo alla sua morte.
Sotto questo profilo, la dottrina teorizza tre tipologie di mandato con effetti post-mortem: il mandato post mortem in senso stretto, il mandato mortis causa e, infine, il mandato post mortem ad exequendum[30].
Volendo analizzare - sia pure brevemente - le caratteristiche dei suddetti strumenti, il mandato post mortem in senso stretto è pacificamente qualificato come atto unilaterale con cui il de cuius affida ad un soggetto il compito di compiere una determinata attività materiale o giuridica, per il tempo in cui avrà cessato di vivere.
Nonostante il nomen iuris, l’istituto in analisi pertanto si caratterizza da un punto di vista prettamente strutturale, trattandosi di una fattispecie unilaterale e non bilaterale.
A titolo esemplificativo, si ritiene che la figura del mandato post mortem in senso stretto si possa rinvenire nello schema dell’esecutore testamentario di cui agli artt. 700 e ss. c.c., atteso che a quest’ultimo è affidato, mediante testamento, il compito di svolgere una data attività nell’interesse del testatore[31].
Diversamente, la seconda tipologia di mandato integra una fattispecie contrattuale attraverso la quale il mandatario assume l’incarico di realizzare una vera e propria attribuzione patrimoniale post mortem a favore di un terzo soggetto.
In altre parole, il mandato mortis causa non è altro che un contratto con cui il mandante attribuisce al mandatario il compito di disporre un trasferimento di beni alla sua morte.
Da ultimo, il mandato post mortem exequendum è rappresentato anch’esso da una pattuizione contrattuale (caratteristica in comune con il mandato mortis causa) mediante la quale il mandatario compie, dopo la morte del mandante, atti a contenuto non patrimoniale oppure attività materiali non afferenti a diritti patrimoniali successori[32].
Più precisamente, il mandato post mortem exequendum si contraddistingue sul fondamento che si tratta «di compiere di atti meramente esecutivi di attribuzioni patrimoniali già verificatesi in vita del mandante ed in particolare di operare la consegna di beni già estranei o divenuti estranei al patrimonio del de cuius in vita dello stesso [33]».
Proprio quest’ultimo profilo, ossia la natura dell’affare che funge da oggetto dell’incarico da eseguirsi post mortem, rappresenta il criterio distintivo tra mandato mortis causa e mandato post mortem exequendum: caratteristica che vale a sostenere rispettivamente la nullità del primo, per violazione del divieto dei patti successori ai sensi dell0art 458 c.c., e, per converso, la validità del secondo[34].
In realtà, il tema dell’ammissibilità del mandato post mortem exequendum è stato per molti anni oggetto di interesse dottrinale.
Più precisamente, i suoi possibili profili di invalidità venivano ricondotti essenzialmente all’analisi di due norme: l’art. 1722 n. 4 c.c. che individua la morte del mandante tra le possibili cause estintive del mandato e l’art. 458 c.c. per il divieto dei cosiddetti patti successori istitutivi.
Per ciò che concerne il contrasto con l’art. 1722 c.c., il problema è stato risolto riconoscendo la natura dispositiva alle prescrizioni contenute nella norma e, pertanto, ammettendo la validità di deroghe stabilite mediante pattuizione[35].
Escludendo, quindi, il carattere imperativo della regola «mandatum morte finitur[36]», si riconosce la possibilità che le parti concludano in vita un contratto di mandato con cui affidare al mandatario l’incarico di eseguire attività a contenuto non patrimoniale dopo la morte del mandante.
Quanto ai profili di incompatibilità con l’art. 458 c.c., posto che secondo la tesi prevalente la ratio del divieto dei patti successori è da individuarsi nell’esigenza di assicurare l’esclusiva rilevanza della volontà e delle istanze del disponente[37], occorre tenere ben presente la distinzione tra atto mortis causa e atto inter vivos con effetti post mortem[38].
A tal proposito, se, da un lato, il primo si caratterizza per essere sempre de residuo (perché avente ad oggetto ciò che residua alla morte del titolare) e si premoriar (nel senso che è privo di efficacia prima della morte del dante causa e necessita la sua premorienza rispetto al destinatario), l’atto inter vivos con effetti post mortem si perfeziona e diviene immediatamente vincolante per il suo autore, ancorché gli effetti finali sono differiti al momento della sua morte[39].
Così delineate le ragioni per cui il testamento è l’unico negozio con cui si può disporre validamente della sorte del proprio patrimonio successivamente alla morte, il mandato post mortem ad exequendum è considerato un accordo inter vivos con effetti post mortem che non integra un trasferimento di beni, bensì un incarico gestorio a contenuto non patrimoniale che, per tale ragione, non contrasta con il divieto di cui all’art 458 c.c.
Dunque, in sintesi, l’unica tipologia di mandato post mortem validamente riconosciuta dalla dottrina e dalla giurisprudenza è rappresentata dal mandato post mortem exequendum, là dove il termine exequendum indica il compimento di mere attività materiali, compatibili con i principi posti a fondamento del divieto dei patti successori che escluderebbero la validità del mandato allorquando quest’ultimo, mediante un’indagine condotta sotto il profilo causale, assume funzione regolatrice della successione.
5. Il mandato post mortem ad exequendum come valida alternativa per disciplinare l'eredità digitale
Ad oggi il mandato post mortem ad exequendum rappresenta uno degli strumenti più utilizzati per impartire istruzioni relative alla gestione di particolari dati digitali.
Si potrebbe parlare a tal proposito di «mandato post mortem digitale[40]», intendendosi in tal senso quello strumento con cui il disponente individua un proprio soggetto di fiducia cui affidare le credenziali o password per gestire la propria eredità digitale, per il tempo successivo alla sua morte.
D’altronde, si è evidenziato come tale soluzione sia, da un lato, più coerente con le esigenze di maggiore riservatezza e versatilità sottese alla successione digitale e[41], dall’altro lato, necessaria nell’ottica di evitare le problematiche che conseguirebbero in caso di mancata pianificazione della destinazione dei propri beni digitali ed account (si pensi, ad esempio, alle clausole di intrasmissibilità, predisposte dai gestori dei servizi internet, che appunto sanciscono l’estinzione automatica dell’account).
Una simile soluzione sembrerebbe, inoltre, trovare avallo anche dal punto di vista legislativo ovvero nella disposizione di cui all’art. 2-terdecies del Codice della privacy, il quale tuttavia ammette l’operatività del mandato post mortem con riferimento alla gestione dei soli dati personali del de cuius[42].
Lo schema del mandato post mortem ad exequendum riecheggia anche nelle varie soluzioni prospettate dai providers nelle condizioni generali di contratto: la figura del c.d. «contatto erede» (previsto da Facebook), il servizio di «gestione account inattivo» (predisposto da Google), nonché i servizi, anche a pagamento, offerti da alcune aziende (ad es., la piattaforma digitale E–Legacy) che, in qualità di mandatarie e mediante la stipula di un apposito contratto sottoscritto dal titolare dei dati, si occupano della trasmissione/gestione dell’eredità digitale[43].
Insomma, in tutti questi casi sembrerebbe confermato il ricorso ad una fattispecie inquadrabile nel mandato post mortem exequendum, con cui il de cuius consegna ad un soggetto di propria fiducia le chiavi di accesso ai propri dati digitali, impartendo altresì le opportune istruzioni sul da farsi.
Tuttavia, in senso critico, deve evidenziarsi sotto diversa prospettiva come in realtà la soluzione che privilegia il ricorso al mandato post mortem ad exequendum non è priva di problematicità.
Il rischio che emerge è quello di accessi abusivi negli account o comunque di un uso distorto delle password e credenziali da parte del soggetto fiduciario, sia durante la vita sia successivamente la morte del titolare.
Peraltro, è necessario interrogarsi su come può monitorarsi la fedele esecuzione dell’incarico da parte del mandatario.
Il pericolo potrebbe ridursi nell’ipotesi in cui il de cuius abbia preventivamente comunicato agli eredi il contenuto, le modalità e i limiti dell’incarico fiduciario affidato al mandatario, consentendo pertanto agli stessi di controllarne l’operato ed agire a fronte di una cattiva gestione delle password o comunque dell’esecuzione non diligente del mandato.
Diversamente, laddove gli eredi non conoscono l’identità del soggetto fiduciario né tantomeno l’esistenza di un’eredità digitale, sarebbe necessario individuare degli espedienti in grado di offrire un quadro chiaro e dettagliato circa le ultime volontà del de cuius in tema di trasmissione dei propri assets digitali.
Queste sono solo alcune delle potenziali criticità che possono sorgere a fronte della gestione di dati digitali di notevole rilevanza economica (come, ad esempio, password che permettono di accedere a portafogli di monete virtuali), atteso che l’assenza di cautele può essere foriera di abusi da parte dei soggetti fiduciari.
6. Conclusioni
L’assenza di una disciplina normativa di riferimento diretta a regolamentare il fenomeno, in maniera unitaria e completa, determina il sorgere di una pluralità di criticità o comunque interrogativi, tutt’oggi privi di soluzione e riscontro.
Oltre alle problematiche evidenziate poc’anzi in riferimento al mandato post mortem ad exequendum, quale strumento di pianificazione preventiva della propria successione digitale, si riscontrano criticità anche per quanto concerne l’ammissibilità e la validità delle clausole con cui le piattaforme di servizi internet, in assenza di una diversa indicazione da parte del titolare, disciplinano le conseguenze e l’accesso dei dati alla morte del de cuius.
Risulta naturale interrogarsi sulla circostanza se le condizioni generali di contratto sottoscritte dagli utenti esprimano scelte libere e consapevoli in ordine alla sorte del proprio patrimonio digitale.
A tal proposito, si è accennato a quelle tesi dottrinali che addirittura sostengono la vessatorietà di alcune clausole, soprattutto quelle che dispongono l’automatica cancellazione dell’account e la sua intrasmissibilità agli eredi.
Non va, inoltre, dimenticato che ogni soluzione sin qui prospettata da dottrina o giurisprudenza deve comunque coordinarsi e fare i conti con la disciplina in tema di successioni.
Da questo punto di vista ci si potrebbe interrogare su un’altra questione, sintetizzabile nei termini che seguono.
Si pensi al contrasto che potrebbe sorgere tra le disposizioni indicate nelle condizioni generali di contratto o comunque in una dichiarazione preventiva da parte del titolare dei beni digitali e le indicazioni contenute in un atto di ultima volontà del de cuius.
In altre parole, nel caso in cui si verifichi una contraddizione (in ordine alla sorte del proprio patrimonio digitale) tra la volontà del de cuius contenuta, ad esempio, nel mandato post mortem ad exequendum e quella diversamente espressa nel testamento, è necessario interrogarsi su come risolvere il contrasto.
Ancora, si è evidenziato che il testamento, benché in astratto rappresenta un potenziale strumento di trasmissione dei propri assets digitali, può rivelarsi in concreto inadeguato a causa dei suoi rigidi formalismi.
Ebbene, potrebbe riflettersi sulla circostanza che le stesse esigenze di certezza e serietà che giustificano le previsioni formalistiche in materia successoria debbano essere tenute in considerazione anche nella ricerca degli ulteriori strumenti di trasmissione del patrimonio digitale.
In altre parole, in un’ottica di bilanciamento, è utile interrogarsi se sia più conveniente privilegiare dei meccanismi di trasmissione più celeri e flessibili (ma al contempo meno sicuri) oppure appare più appropriata una soluzione che, ancorché meno elastica, sia più scrupolosa e pertanto caratterizzata dal rispetto di appositi formalismi.
Tenuto conto anche dell’eterogeneità dei beni che possono caratterizzare la composizione del patrimonio digitale, il tema della successione digitale è potenzialmente esposto a una serie infinita di problematicità e criticità, da cui pertanto consegue la necessità di un urgente intervento regolatorio nell’ottica di porre fine alla confusione generatasi in materia.
In sintesi, alla luce delle considerazioni sin qui esposte, emerge che il sistema giuridico civilistico italiano focalizza maggiormente l’attenzione su beni materiali e persone fisiche, rilevandosi pertanto poco incisivo nel tutelare diritti che hanno ad oggetto beni digitali.
In conclusione, sulla scia della crescente importanza attribuita al mondo digitale dai processi di rivoluzione tecnologica, l’unica certezza è rappresentata dalla necessità di un intervento legislativo che deve svilupparsi sulla circostanza di garantire dei meccanismi che forniscano all’erede un quadro chiaro e dettagliato del patrimonio digitale del de cuius e che al contempo permettano a quest’ultimo di trasmettere in modo sicuro e affidabile le sue volontà successorie.
[1] Si parla a tal proposito di «perennità dei dati e delle informazioni immessi nelle reti telematiche».
Si veda G. RESTA, La morte digitale, in Dir. inf. e inform., 2014, 6, 892.
[2] G. ALPA, L’identità digitale e tutela della persona. Spunti di riflessione, in Contratto e Impresa, 2017, 3, 726.
[3] Slogan coniato nel 2006 dal matematico Clive Humby e rinvenibile in M. NOVARINI, Viaggio dentro il data center italiano che punta all’impatto zero, in www.forbes.it.
[4] V. PUTORTÌ, Patrimonio digitale e successione “mortis causa”, in Giustizia civile, 2021,1, 164.
[5] Per l’individuazione della nozione di patrimonio digitale: R. BERTI – S. ZANETTI, Trasmissione mortis causa del patrimonio e dell’identità digitale: strumenti giuridici operativi e prospettive de iure condendo, in Law and media working paper series, 2016, 18, 4 ss.; C. CAMARDI, L’eredità digitale tra reale e virtuale, in Dir. inf. e inform., 2018, 1, 73 ss.; G. MARINO, La successione digitale, in Oss. dir. civ. e comm., 2018, 1, 179; A. MANIACI - A. D'ARMINIO MONFORTE, La prima decisione italiana in tema di “eredità digitale”: quale tutela post mortem dei dati personali?, in Il corriere giuridico, 2021, 5, 664 ss.; F. PINTO, Sulla trasmissibilità mortis causa delle situazioni giuridiche soggettive “digitali”, in Rivista del notariato, 2021, 4, 705; M. TAMPIERI, Il patrimonio digitale oltre la vita: quale destino?, in Contratto e impresa, 2021, 2, 554 ss.; V. PUTORTÌ, op. cit., 166 ss.
[6] G. RESTA, op. cit., 905.
[7] In tal senso, F. PINTO, op. cit., 706. Peraltro, parte della dottrina utilizza l’espressione «vocazione anomala», a tal proposito si veda G. BONILINI, Trattato di diritto delle successioni e donazioni, Milano, 2009, I, 967 ss.
[8] Più precisamente, l’art. 115 della L. n. 633/1941 dispone che: «Dopo la morte dell'autore, il diritto di utilizzazione dell'opera, quando l'autore stesso non abbia altrimenti disposto, deve rimanere indiviso fra gli eredi per il periodo di tre anni dalla morte medesima, salvo che l'autorità giudiziaria, sopra istanza di uno o più coeredi, consenta, per gravi ragioni, che la divisione si effettui senza indugio. Decorso il detto periodo, gli eredi possono stabilire, per comune accordo, che il diritto rimanga ancora in comunione per la durata che sarà da essi fissata, entro i limiti indicati nelle disposizioni contenute nei codici. La comunione è regolata dalle disposizioni del Codice civile e da quelle che seguono».
[9] Contrariamente, ovvero nel senso di escludere che i conti correnti online possano rientrare nel concetto di eredità digitale, si veda M. PALAZZO, La successione nei rapporti digitali, in Vita notarile, 2019, 3, 1321.
[10] C. CAMARDI, op. cit., 78.
[11] G. RESTA, op. cit., 907.
[12] M. CINQUE, L’”eredità digitale” alla prova delle riforme, in Riv. dir. civ., 2020, 1, 81.
[13] Parte della dottrina evidenzia che se fosse previsto un obbligo normativo a carico dei gestori delle piattaforme online circa la predisposizione dei c.d. online tools, consentendo pertanto all’utente di decidere, in modo libero e consapevole, sulla trasmissibilità o meno dei propri assets digitali, si potrebbero risolvere molti problemi attinenti al tema della successione dell’eredità digitale. Sul punto si vedano M. TAMPIERI, op. cit., 560; M. CINQUE, op. cit., 99 ss.
[14] R. BERTI - S. ZANETTI, op cit., 9. Inoltre, per una approfondita analisi delle regole di Facebook valevoli in caso di morte del titolare dell’account, cfr. V. BARBA, Interessi “post mortem” tra testamento e altri atti di ultima volontà, in Riv. dir. civ., 2017, 2, 341 ss.
[15] Cfr. www.facebook.com.
[16] Informazioni presenti in «un membro della mia famiglia è deceduto di recente/si trova in coma, cosa devo fare relativamente al suo account Hotmail?», in www.answer.microsoft.com.
[17] S. DELLE MONACHE, Successione “mortis causa” e patrimonio digitale, in Nuova giur. civ. comm., 2020, 2, 466.
[18] Cfr. A. MANIACI – A. D'ARMINIO MONFORTE, op. cit., 665, secondo cui «i beni digitali possono, nel contempo, essere qualificati (anche) come dati personali, qualora siano costituiti (o contengano) informazioni riguardanti una persona fisica identificata o identificabile (ex art. 4, Reg. Ue n. 2016/679- G.D.P.R.)».
[19] Per lo studio dei profili critici dell’art. 2-terdecies, quale strumento giuridico di regolamentazione dell’esercizio post-mortem di diritti riferiti ai dati personali del defunto, si veda A. MANIACI – A. D’ARMINIO MONFORTE, op. cit., 665 ss.; F. PINTO, op. cit., 710 ss.; M. CINQUE, op. cit., 93 ss.; M. PALAZZO, op cit., 1326 ss.; V. PUTORTÌ, op. cit.,181 ss.; A.VIGORITO, La “persistenza” postmortale dei diritti sui dati personali: il caso Apple, in Dir. inf. e inform., 2021, 1, 29 ss.; R. E. DE ROSA, La trasmissibilità mortis causa dei dati digitali, in Familia, 2022, 2 ss.
[20] Ad esempio, parte della dottrina dubita della validità delle clausole di intrasmissibilità mortis causa predisposte dai providers nelle condizioni generali di contratto, attesa la loro natura vessatoria o, comunque, la loro inidoneità ad esprimere una libera volontà dell’utente. Sul punto, per un maggiore approfondimento: F. PINTO, op. cit., 710; G. RESTA, op. cit., 909; M. CINQUE, op. cit., 97; S. DELLE MONACHE, op. cit., 464.; G. MARINO, La successione digitale, in Oss. dir. civ. e comm., 2018, 1, 181.
[21] Un altro importante profilo problematico è rappresentato dal «difficile coordinamento tra le disposizioni in materia successoria dei singoli ordinamenti e le condizioni generali di contratto imposte dagli operatori che forniscono i servizi digitali e che operano nel mercato globale». In questi termini I. MASPES, Successione digitale, trasmissione dell’ "account” e condizioni generali di contratto predisposte dagli “internet services providers”, in I contratti, 2020, 5, 583 ss.
[22] Espressione utilizzata da G. RESTA, op. cit., 918.
[23] Conflitto che può sorgere sia con riferimento alla trasmissione dei beni soggetti alla disciplina di cui all’art. 93 della Legge sul diritto d’autore, sia con riferimento al tema della legittimazione attiva all’esercizio dei diritti previsti dall’art 2-terdecies del Codice in materia di protezione dei dati personali. Con specifico riferimento a quest’ultima fattispecie, si discute infatti se l’esercizio di tali diritti avvenga iure successionis ovvero mediante un acquisto iure proprio. Per una attenta analisi di entrambe le tesi: A. MANIACI – A. D’ARMINIO MONFORTE, op cit., 666.; R. E. DE ROSA, op. cit., 3; S. DELLE MONACHE, op. cit., 465 ss.; G. RESTA, La successione nei rapporti digitali e tutela post mortale dei dati personali, in Contratto e Impresa, 2019, 1, 99 ss.
[24] Sull’atipicità contenutistica del testamento: V. BARBA, op. cit., 327 ss.; G. MUSOLINO, Il testamento e le disposizioni non patrimoniali. Profili di interpretazione alla luce della dialettica tra tipicità e atipicità, in Rivista del notariato, 2017,1, 15 ss.
[25] Per una maggiore analisi del lascito testamentario di password cfr. L. DI LORENZO, Il legato di password, in Notariato, 2014, 2, 147 ss.
[26] RESTA G., op cit., 916.
[27] N. DI STASIO, Il mandato post mortem exequendum, in Famiglia, persone e successioni, 2011, 10, 694.
[28] M. TAMPIERI, op. cit., 572.
[29] Per la definizione di mandato post mortem: L. COVIELLO, Il mandatum post mortem, in Riv. dir. civ., 1930, 24 ss.; G. NAVARRA, Del mandato e dell’incarico post mortem, in Riv. it. sc. giur., 1939, 232 ss.; U. CARNEVALI, Intestazione fiduciaria, in Dizionario del dir. priv., Milano, 1980, I, 474; G. BONILINI, Trattato di diritto delle successioni e donazioni, Milano, 2009, I, 27; G. BONILINI, Manuale di diritto ereditario e delle donazioni, Milano, 2022, XI, 30.
[30] F. GRADASSI, Mandato post mortem, in Contratto e impresa, 1990, 82; A. PALAZZO, Attribuzioni patrimoniali tra vivi e assetti successori per la trasmissione della ricchezza familiare, in Vita notarile, 1993, 2, 1250; A. ANSALDO, In tema di mandato post mortem, in Nuova giur. civ. comm., 2007, 1, 499; N. DI STASIO, op. cit., 690 ss.; A. A. DOLMETTA, Patti successori istitutivi. Mandato post mortem. Contratto di mantenimento, in Vita notarile, 2011, 458; V. PUTORTÌ, Mandato “post mortem” e divieto dei patti successori, in Obbligazioni e contratti, 2012, 11, 737; L. VIZZONI, Mandato post mortem ed eredità digitale, in Familia, 2019, 1.
[31] G. GIAMPICCOLO, Il contenuto atipico del testamento, Milano, 1954, 130.
[32] Sulla distinzione tra mandato mortis causa (nullo perché integrante il trasferimento di beni inerenti all’asse ereditario) e mandato post mortem ad exequendum (valido perché avente ad oggetto l’esecuzione di un’attività giuridica o materiale dopo la morte del de cuius e non pertinente ai diritti patrimoniali successori): U. CARNEVALI, Negozio fiduciario e mandato “post mortem”, in Giurisprudenza commerciale, società e fallimento, 1975, 5, 703 ss.; P. GALLO, Successioni in diritto comparato, Milano, 2011, II, 856; L. GHIDONI, Conferme e novità in tema di mandato “post mortem”, in Diritto delle successioni e della famiglia, 2019, 3, 947 ss.; F. GRADASSI, op. cit., 829.
[33] C. CICERO, Il (falso?) problema della contrattualizzazione del diritto successorio, in Rivista del notariato, 2022, 2, 13.
[34] La dottrina, pertanto, concorda nell’attribuire rilevanza all’oggetto dell’incarico da eseguirsi post mortem per stabilire la validità o meno del mandato. In tal senso, G. BONILINI, Una valida ipotesi di mandato post mortem, in I contratti, 2000, 12, 1101 ss.; A. PALAZZO – A. SASSI, Trattato della successione e dei negozi successori, Milano 2012, I, 575.; A. A. DOLMETTA., op. cit., 458;
[35] A sostegno della tesi della natura non cogente della norma: G. BONILINI, ibid.; L. GHIDONI, op. cit., 946; P. GALLO, op. cit., 856; U. CARNEVALI, op. cit., 702; G. MUSOLINO, Le disposizioni sulla sepoltura fra testamento e mandato post mortem, in Rivista del notariato, 2007, 3, 692. Diversamente, a sostegno della tesi opposta che riconosce carattere inderogabile all’art. 1722 n. 4 c.c., con la conseguenza per cui il mandato post mortem si estinguerebbe alla morte del mandante, cfr. N. DI STASIO, op. cit., 689; R. NICOLÒ, Attribuzioni patrimoniali post mortem e mortis causa, in Vita notarile, 1971, 154.
[36] In questi termini: A. ANSALDO, op. cit., 500; L. COVIELLO, op. cit., 17.
[37] D. ACHILLE, I patti successori istitutivi e l’interpretazione tradizionale, in Il divieto dei patti successori. Contributo allo studio dell’autonomia privata nella successione futura, 61; N. DI STASIO, op. cit., 687; V. PUTORTÌ, op. cit., 742; M. TAMPIERI, Il contratto a favore di terzi e patti successori. Alcuni orientamenti a confronto, in Vita notarile, 2011, 3, 1806 ss.
[38] Non può sostenersi la tesi secondo cui la ragione giustificatrice del divieto deve rinvenirsi nell’esigenza di garantire la libera revocabilità dell’atto di ultima volontà fino al momento della morte, atteso che, se così fosse, il problema potrebbe essere facilmente superato ammettendo l’esistenza di contratti mortis causa arricchiti della presenza di clausole che riconoscono al de cuius la possibilità di recesso unilaterale. Cfr. R. GIOVAGNOLI, Manuale di diritto civile, Torino, 2019, I, 230.
[39] Sulle caratteristiche che delineano le differenze tra gli atti inter vivos con effetti post mortem e gli atti mortis causa, D. ACHILLE, op. cit., 64; N. DI STASIO, op. cit., 687; F. GRADASSI, op. cit., 834; V. PUTORTÌ, op. cit., 743.
[40] Espressione utilizzata da G. RESTA, op. cit., 916.
[41] C. CAMARDI, op. cit., 87; N. DI STASIO, op. cit., 694.
[42] M. PALAZZO, op. cit., 1131; F. PINTO, op. cit., 713; L. VIZZONI, op. cit., 2; V. PUTORTÌ, op.cit., 182.
[43] R. BERTI – S. ZANETTI, op. cit., 14 ss.; RESTA G., op. cit., 917.