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Pubbl. Lun, 19 Dic 2022

La Corte di Cassazione torna a pronunciarsi in tema di Institutio ex re certa e beni non inclusi nel testamento

Giorgia Dini



Premessa l’analisi dell’art. 588 co. 2 c.c., il presente lavoro si pone l’obiettivo di analizzare la recente sentenza della seconda Sezione Civile della Corte di Cassazione n. 24310/2022, nella quale si affronta il tema relativo alla destinazione – nell’ambito della fattispecie dell’institutio ex re certa - dei cespiti dei quali il testatore non abbia espressamente disposto, o perché da lui ignorati, o perché da lui volontariamente taciuti o, ancora, perché pervenutigli dopo la redazione del testamento.


Sommario: 1. Generalità e natura giuridica dell'institutio ex re certa; 2. Introduzione alla questione esaminata dalla Corte di Cassazione; 3. Il caso; 4. Conclusioni.

Sommario: 1. Generalità e natura giuridica dell'institutio ex re certa; 2. Introduzione alla questione esaminata dalla Corte di Cassazione; 3. Il caso; 4. Conclusioni.

1. Generalità e natura giuridica dell’institutio ex re certa

La fattispecie dell’institutio ex re certa si realizza allorquando il testatore attribuisce all'erede, non una quota dell'intero patrimonio ereditario, ma uno o più cespiti determinati con l’intenzione di assegnarli come rappresentativi di una quota del complesso dei rapporti giuridici patrimoniali.

Ai sensi dell’articolo 588 comma secondo del codice civile, infatti, l’indicazione di beni determinati o di un complesso di beni non esclude che la disposizione sia a titolo universale, quando risulta che il testatore ha inteso assegnare quei beni come quota del patrimonio.

Solitamente i lasciti aventi ad oggetto beni determinati si considerano oggetto di disposizioni a titolo particolare, diversamente nell’istituzione ex re certa i cespiti indicati dal testatore vengono attribuiti a titolo di quota astratta del patrimonio, e dunque, “non nella loro individualità, ma quale quota del tutto”.[1]

Un esempio di istituzione ex re certa è il seguente:

“Lascio a mio figlio Tizio tutti i miei beni mobili e a mio figlio Caio tutti i miei beni immobili”.

Tizio e Caio saranno eredi nelle quote che risulteranno successivamente, all’apertura della successione, considerando il rapporto fra il valore dei beni loro attribuiti e quello dell’intero asse ereditario. Si tratterà, pertanto, di una frazione valutabile solo ex post (a differenza di quanto accade nell’ipotesi di divisione fatta dal testore ex art. 734 c.c.).

In dottrina si è discusso a lungo sulla natura giuridica dell’istituto in esame, posto che si considera necessario compiere un accertamento avente ad oggetto l’effettiva volontà del testatore.

Per tale ragione sono state elaborate diverse ricostruzioni teoriche; per alcuni autori occorrerebbe compiere un’indagine di carattere oggettivo-quantitativo e riconoscere quale erede colui al quale risulta attribuita una maggior quota dell’asse ereditario; altri autori ritengono corretto, in caso di dubbio, presumere una qualificazione della disposizione in termini di erede.  Secondo la dottrina maggioritaria, [2] infine, in caso di incertezza in ordine all’effettiva volontà del testatore, occorre compiere un’interpretazione della disposizione in termini di legato.

La disamina dell’institutio ex re certa interessa, inoltre, il rapporto con la fattispecie della divisione fatta dal testatore ai sensi dell’art. 734 c.c.

Sul punto, parte della dottrina [3] ritiene che l’institutio ex re certa rappresenti un criterio di interpretazione della divisione fatta dal testatore.

In quest’ottica, sarebbe possibile qualificare una data disposizione in termini di legato o di istituzione di erede sulla base dell’art. 588 co. 2 c.c., rappresentando l’istituzione ex re certa una dimensione pratica del 734 c.c. nella sua declinazione dell’istituzione di erede senza predeterminazione di quota.

Altri autori [4] negano l’unicità della fattispecie e rilevano nell’espressa predeterminazione di quote (che avviene nella fattispecie di cui all’art. 734 c.c.) la differenza sostanziale tra l’istituto in esame e la divisione fatta dal testatore.

Diversamente, la dottrina e giurisprudenza maggioritaria [5] ritengono che la previa istituzione di erede rappresenti il vero elemento discretivo tra le due fattispecie, giacché è possibile desumere, ai sensi dell’art. 734 c.c., l’esistenza di una divisione compiuta dal testatore con e senza predeterminazione di quote.

Tale circostanza conduce ad escludere l’applicazione, nei confronti dell’institutio ex re certa, della disciplina sulla nullità della divisione per preterizione di eredi istituiti o per lesione della legittima (art. 735 co. 1 c.c.).

2. Introduzione alla questione esaminata dalla Corte di Cassazione

Come anticipato, i beni o il complesso di beni determinati assegnati dal testatore devono essere considerati non individualmente, ma bensì in relazione al valore dell’intero patrimonio ereditario.

Pertanto, la quota della istitutio dovrà essere calcolata solo al momento della apertura della successione e sulla base del valore dei beni attribuiti dal testatore in rapporto con il valore dell’intero asse ereditario.

Sul punto, la dottrina si è interrogata sulla possibilità di individuare nella fattispecie dell’institutio ex re certa una c.d. vis expansiva, capace di far estendere la quota ereditaria anche a quei beni non inclusi nel testamento perché sopravvenuti o ignorati.

Secondo parte della dottrina[6] e della giurisprudenza[7] opererebbe la forza espansiva che contraddistingue ogni disposizione a titolo universale e pertanto i beni non inclusi nel testamento andrebbero attribuiti agli eredi testamentari in proporzione al valore delle quote loro assegnate.

Al contrario, la dottrina e giurisprudenza maggioritaria[8] ritengono che il lascito ex re certa non abbia forza espansiva e di conseguenza andrebbero assegnati agli eredi legittimi (ivi inclusi gli eredi istituiti ex re certa) anche quei beni non considerati nel testamento. Trova conforto con questa ricostruzione la disposizione di cui all’art. 734 c.c., che afferma che, “se nella divisione fatta dal testatore non sono compresi tutti i beni lasciati al tempo della morte, i beni in essa non compresi sono attribuiti conformemente alla legge”.

Di conseguenza, in mancanza di una contraria volontà del testatore nei confronti di quei beni dei quali il testatore non abbia espressamente disposto (perché da lui ignorati, o perché da lui volontariamente taciuti o, ancora, perché pervenutigli dopo la redazione del testamento) si considera operare la successione legittima.

3. Il caso

Con sentenza n. 24310 del 2022, la II Sezione Civile della Corte di Cassazione si è pronunciata sul tema della sorte dei beni non inclusi nel testamento nella fattispecie dell’institutio ex re certa.

La questione sottoposta al vaglio della Corte di Cassazione trae origine da una successione testamentaria contenente la dichiarazione di voler lasciare in eredità al coniuge: "la parte di mia proprietà, equivalente a metà dell'immobile e del terreno, siti in (OMISSIS), adiacenti all'attuale abitazione del sig. (...), situata al n. (OMISSIS) di detta via (..)”.

Tale disposizione veniva riconosciuta come istituzione di erede ex art. 588 co. 2 c.c., a seguito della causa promossa presso il Tribunale di Gorizia, dal fratello della de cuius. Più nello specifico, mediante certificato di eredità veniva riconosciuto quale unico erede - istituito mediante institutio ex re certa – il suddetto coniuge superstite.

Il fratello della de cuius proponeva, dunque, appello contro la sentenza dell’anzidetto Tribunale affinché la disposizione testamentaria venisse riconosciuta avente natura di legato e non di istituzione di erede.

Al riguardo, la Corte D’Appello rilevava come nel caso di specie fossero presenti una pluralità di elementi che portavano ad interpretare la disposizione in esame come istituzione ex art. 588 co. 2 c.c., e che dunque “la de cuius intese attribuire il bene indicato come frazione rappresentativa dell'intero patrimonio (...)".

In particolare, la Corte d’Appello argomentava sostenendo che sulla base dei documenti di causa “al momento della redazione del testamento, la de cuius era titolare unicamente del bene indicato nella scheda testamentaria; gli ulteriori beni caduti in successione le pervennero successivamente come risulta dal decreto tavolare del 22 settembre 2003” e che, pertanto, “da questo punto di vista appare corretta la ricostruzione fatta dal tribunale che ha valorizzato dal punto di vista oggettivo il contenuto del testamento (...)”

Ebbene, avverso tale decisione il fratello (legittimario) della de cuius proponeva ricorso per Cassazione per; violazione dell'art. 588 comma 2 c.c., travisamento della prova e omesso esame di fatto decisivo.

Nello specifico, il ricorrente criticava la sentenza pronunciata dalla Corte d’Appello nella parte in cui si sosteneva che la de cuius fosse titolare del solo lascito attribuito mediante ex re certa, avanzando che, “come risultava dalla relazione di consulenza tecnica, ella era comproprietaria dei beni acquistati in concorso con il fratello a seguito della successione dei genitori (…) beni che costituivano la parte più cospicua del patrimonio."

Sul primo punto, la Corte di legittimità ricostruisce la questione sottolineando come assuma rilevanza l’accertamento in ordine all’effettiva volontà del testatore; se dall’insieme delle disposizioni emerge l'intenzione del testatore di attribuire singoli beni determinati si avrà successione a titolo particolare, mentre se, pur indicando nominativamente quei beni, il testatore abbia inteso lasciarli quale quota del suo patrimonio si avrà successione a titolo universale e istituzione di erede[9]

Trattasi, dunque, di una quaestio voluntatis da compiere tenendo conto del complesso delle disposizioni testamentarie. [10]

Sulla base di ciò, la Corte di Cassazione ritiene fondato il primo motivo di ricorso rilevando come “improprio” l'approccio seguito dalla Corte di merito.

Più nello specifico, quest’ultima ometteva di considerare – nella composizione del patrimonio della de cuius - dei cespiti ereditati pro quota dai genitori, operando un confronto” non fra la data di redazione del testamento e l'apertura della successione dei genitori, ma fra la data di redazione del testamento e il decreto tavolare riferito ai beni acquisitati in forza della duplice successione, che era intervenuto in epoca successiva”.

In altre parole, nel determinare il valore della quota (in rapporto con il complesso patrimonio ereditario) non sarebbe corretto espungere dall'indagine quei beni che, anche se acquistati prima del testamento, non risultano ancora intavolati. [11]

In ragione di tali considerazioni, la Corte accoglie il primo motivo di ricorso e rinvia la causa alla Corte d’Appello di Trieste che provvederà a nuovo esame.

Infine, ritiene assorbito il secondo e il terzo motivo di ricorso con il quale si denunciava; l'omesso esame di fatto decisivo costituito dalla minuziosa descrizione del bene oggetto del lascito testamentario e l’interpretazione di elementi estrinseci all’atto.

4. Conclusioni

La decisione assunta dalla Corte di Cassazione ripercorre i principi di diritto affermati dalla giurisprudenza con riguardo al rapporto tra institutio ex re certa e beni non inclusi nel testamento.

In un primo momento l’orientamento prevalente conduceva ad escludere, in termini assoluti, un possibile concorso fra erede legittimo ed istituito ex re certa (unico erede in virtù della forza espansiva che caratterizza la qualifica ereditaria). [12]

Diversamente, la recente giurisprudenza di legittimità[13] è arrivata ad ammettere la possibilità del concorso fra successione legittima e successione testamentaria anche in caso di istituzione ai sensi dell'art. 588 c.c., comma 2 c.c.

Ciò che risulta essenziale ai fini del riconoscimento del carattere universale della disposizione, è la possibilità di una partecipazione dell'erede istituito ex re anche all'acquisto di altri beni e dunque la sua attitudine a raccoglierli in proporzione alla sua quota – in forza di una vis espansiva della chiamata ereditaria - da determinarsi in concreto attraverso il rapporto proporzionale tra il valore delle res certae attribuite e il valore dell'intero asse. [14]

Nell’attività di accertamento in ordine all’effettiva volontà del de cuius occorre considerare la composizione del patrimonio del testatore al momento della formazione della scheda testamentaria, ciò in quanto rilevante; per la determinazione della natura della disposizione in termini di legato o istituzione di erede e per stabilire se vi siano o meno i presupposti del concorso dell’erede istituito con l’erede legittimo.


Note e riferimenti bibliografici

[1] CAPOZZI, Successioni e donazioni, Milano, p. 79.

[2] GANGI, La successione testamentaria nel vigente diritto italiano, 1947, p. 381.; BASINI, “Lasciti” di beni determinati ed istituzione di erede “ex re certa”, in Famiglia, persone e successioni, 2007, p. 245 e seg.

[3] AMADIO, La divisione del testatore senza predeterminazione di quote, in Riv. Dir. Civ., 1986, I, p. 243 e seg.; MENGONI, La divisione testamentaria, Milano, 1950, p. 28 e seg.

[4] MORELLI, La comunione e la divisione ereditaria in Giur. Sist.. dir. civ. e comm., fondata da BIGIAVI, Torino, 1998, p. 252 e seg.

[5] AZZARITI, Le successioni e le donazioni, Napoli, 1990, p. 723; Cassazione civile Sez. II sentenza n. 6110 del 18 novembre 1981.

[6] TRABUCCHI, Istituzioni di diritto civile, p. 862 e seg.

[7] Cass. SS. UU., sentenza del 28 giugno 2018, n. 17122.

[8] GANGI, La successione testamentaria nel vigente diritto italiano, 1947, p. 381; BIGLIAZZI GERI, Il testamento, in Tratt. Dir. Priv. Diretto da RESCIGNO, Torino, 1997, p. 142 e seg.; BIGLIAZZI GERI, Cass. Civ., Sez. II, Sentenza 3 Luglio 2019, n. 17868;  Cass. Civ. Sez. II, Sentenza 11 giugno 2015, n. 12158.

[9] Cass. Civ., Sentenza del 05 marzo 2020, n. 6125.

[10] Sul punto, assume rilevanza la considerazione che può esservi istituzione ex re certa anche se questa non costituisce una quota rilevante del patrimonio del testatore v. Cass. n. 1029/1971.

[11] La Corte d'appello non ha considerato che si discuteva di beni acquistati mortis causa, rispetto ai quali opera il seguente principio: "Per i beni soggetti al regime tavolare, ai sensi del R.D. n. 499 del 1929, l'efficacia costitutiva dell'iscrizione o intavolazione è limitata ai soli atti tra vivi e non è estensibile ai trasferimenti per successione ereditaria, in relazione ai quali, ex art. 3 del citato decreto, l'intavolazione nemmeno ha il valore di condizione di opponibilità, occorrendo verificare la qualità di erede secondo la normativa successoria; ne consegue che la sola intavolazione del certificato di eredità compiuta su iniziativa di un determinato soggetto, anche nell'interesse di altro beneficiario, non può di per sè determinare l'acquisto della qualità di erede in capo a quest'ultimo, in assenza di una esplicita ratifica - che non si esaurisca nella mera inerzia - necessaria per l'accettazione dell'eredità" (Cass. n. 9713/2017).

[12] Cass., S.U., n. 17122/2018; n. 12158/2015.

[13] Cass. n. 42121 del 2021.

[14] Cass. n. 5773/1980; n. 2050/1976; n. 1368/1971.