Pubbl. Lun, 5 Dic 2022
La scriminante del rischio consentito nelle competizioni sportive
Modifica paginaCon la sentenza nr. 37178 del 2022, la Quarta Sezione Penale della Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi sul rischio consentito all´interno delle competizioni sportive, chiarendo quando la condotta rientra nel perimetro del penalmente irrilevante e quando, invece, ne fuoriesce.
The justification of the risk permitted in sport competion
In its judgment nr, 37178 of 2022, the IV Penal Section of the Supreme Courtt has returned to affirm some principles about the risk permitted into the sport competitions, clarifying when the action could be considered a crime and when could not.Sommario: 1. La questione di fatto; 2. Le scriminanti non codificate e la scriminante sportiva; 3. Il rischio consentito e i limiti della scriminante sportiva; 4. La soluzione della Cassazione; 5. Considerazioni conclusive.
1. La questione di fatto
Il caso oggetto di disamina dalla Suprema Corte trae origine da un ricorso proposto dalla parte civile di un processo penale, instaurato per il reato di lesioni colpose cagionate nell'ambito di competizione sportiva all'interno di circuito automobilistico di Misano.
Il Tribunale di Rimini, in riforma della decisione del Giudice di Pace di Rimini, assolveva l’imputato, pilota automobilistico, perché il fatto non costituiva reato.
Nello specifico, all’imputato era stato contestato di avere eseguito una manovra di sorpasso, in prossimità di una curva a sinistra con modalità non consentite in quanto era stata realizzata con superamento dei margini della pista, sormontando un cordolo di delimitazione, che aveva comportato da un lato il taglio della pista e dall'altro un rimbalzo contro un avvallamento del terreno che ne aveva determinato il rientro nel tracciato con perdita di controllo del mezzo, che aveva finito per tamponare l'auto del conducente antagonista che era finito in testa coda e si era poi ribaltato, da cui conseguivano le lesioni personali.
Il giudice di appello riteneva che, nonostante le regole della competizione sportiva fossero state travalicate, in quanto la manovra non poteva essere realizzata in tale modo (con fuoriuscita dai margini della pista e con modalità pericolose), la condotta del pilota era comunque scriminata dalla esimente del rischio consentito, in quanto finalisticamente coerente con lo spirito e le finalità della competizione in quanto non solo non era tesa ad attentare alla incolumità fisica del contendente, ma era altresì diretta a conseguire un risultato sportivo utile e cioè ad acquisire un vantaggio per ultimare la gara nel più breve tempo possibile.
Dunque, sebbene vi fosse una irregolarità della condotta, essa non veniva considerata sproporzionata rispetto alle caratteristiche della competizione. Ad avviso della parte civile ricorrente, invece, la sentenza era viziata da manifesta illogicità in relazione al fatto che la condotta irregolare e posta in essere in violazione della competizione sportiva era stata inclusa nel concetto di rischio consentito.
In breve, il ricorrente sosteneva che una condotta contraria alle regole della competizione necessariamente violava anche le regole cautelari rilevanti per muovere una contestazione penale.
Per comprendere il filo logico seguito dalla Suprema Corte nell’esaminare la questione, è bene premettere che la scriminante sportiva s’inserisce nella querelle relativa all’ammissibilità o meno delle scriminanti non codificate.
Inoltre, è bene chiarire cosa s’intende per rischio consentito e quali implicazioni vi sono sotto al profilo penale.
2. Le scriminanti non codificate e la scriminante sportiva
In un sistema legislativo come il nostro, caratterizzato per la legalità formale, dubbia è l’esistenza delle scriminanti non codificate, ovverosia di quelle che non trovano fondamento nella legge ma nel comune sentire della società.
Nello specifico, si dice che se una data attività può apportare beneficio alla collettività per ciò solo può giustificare condotte altrimenti caratterizzate da antigiuridicità.
Attorno alla tematica delle scriminanti non codificate si sono sviluppate diverse teorie di matrice dottrinale e giurisprudenziale talvolta in accoglimento della teoria delle scriminanti atipiche, talaltra in rigetto.
n particolare, un orientamento richiama la teoria dell’azione socialmente adeguata, di elaborazione tedesca, secondo cui l’attività sportiva violenta è scriminata in ragione del fatto che si tratta di un’azione socialmente adeguata per le finalità di rilevanza sociale perseguite.
Tuttavia, un'altra corrente di pensiero, sottolinea che il nostro è un ordinamento di legalità formale tale per cui non sarebbe possibile dare luogo a scriminanti prive di un supporto normativo espresso.
Difatti, al più, vi è chi sostiene la possibilità di applicare in via analogica, anche alle attività sportive, le scriminanti già codificate posto che non si tratta di norme propriamente penali né di norme eccezionali e quindi suscettibili di applicazione analogica in bonam partem.
Nondimeno, la giurisprudenza tende a sostenere che l’attività sportiva rientra dell’alveo di quelle attività scriminate in via tacita, pur non richiamando la teoria dell’azione socialmente adeguata.
Invero, sostiene che tutte le attività sportive (agonistiche e amatoriali) possono essere scriminate se si opera all’interno di un rischio consentito, posto che lo sport è uno strumento fondamentale per lo sviluppo del benessere psicofisico della persona e prevale sul rischio di offesa dell’integrità fisica[1].
Quest’orientamento sottolinea che la ricorrenza dell’esimente in esame è stata opportunamente circoscritta e condizionata al rispetto, in principio, delle norme disciplinanti ciascuna attività, richiedendosi altresì, <> [2].
A queste ultime considerazioni si è uniformata la giurisprudenza seguente e anche la Cassazione nella sentenza oggi in commento.
3. Il rischio consentito e i limiti della scriminante sportiva
Le argomentazioni su cui si fondano le motivazioni della sentenza ruotano attorno al concetto di rischio consentito e ai limiti della scriminante sportiva.
Nello specifico, all’interno delle competizioni sportive vi sono alcune regole che devono essere seguite e che delineano il perimetro all’interno del quale gli atleti si possono muovere senza rischiare addebiti di responsabilità sul piano penale.
Le condotte lesive dell’altrui integrità personale possono essere commesse entro il rispetto delle regole della competizione sportiva e, infatti, non può dirsi che sussista alcun comportamento penalmente rilevante.
Se vi è violazione delle regole dello sport occorre verificare la natura dolosa o colposa delle lesioni cagionate agli altri atleti.
Se la violazione è dolosa e vi è anche intento lesivo, occorre imputare il fatto all’agente a titolo di dolo. Se vi è violazione colposa occorre verificare se è stato superato il c.d. rischio consentito relativo a quella determinata pratica sportiva. In tal caso, l’illecito sportivo non necessariamente coincide con l’illecito penale. Seguendo tale linea ermeneutica si ha l’illecito sportivo quando, oltre a violare le regole tecniche della disciplina sportiva praticata si violano le norme di prudenza, ricorrendo all’uso della forza fisica sproporzionato ed eccessivo in rapporto al tipo di sport praticato e alla natura della competizione.
In materia calcistica, ma il principio può essere esteso a ogni tipo di competizione, la Cassazione ha affermato che <> [3 Pertanto, può esservi violazione delle regole cautelari sportive ma non per questo esorbitare dal rischio consentito e quindi ricadere nella violazione delle regole cautelari di rilievo penale.
È questo il principio che è stato ribadito dalla Suprema Corte nella sentenza in commento, avente il precipuo fine di evitare commistioni e confusioni tra le regole cautelari sportive e quelle inerenti la colpa.
4. La soluzione della Cassazione
La Cassazione, nel risolvere il caso prospettato alla sua attenzione, ricorda i precedenti giurisprudenziali sul rischio consentito negli eventi dannosi verificatisi nel corso delle competizioni sportive e riconosce la necessità di ricorrere ai principi generali in materia di colpa, ponendo una netta distinzione tra l'inosservanza della regola cautelare sportiva e la individuazione di una regola cautelare penale.
Nello specifico, le regole del gioco non sono necessariamente regole cautelari dalla cui inosservanza consegua automaticamente un addebito di colpa penale in presenza di eventi dannosi collegati eziologicamente al gesto sportivo.
La violazione delle regole del gioco non implica necessariamente la colpa penale perché l’accettazione delle regole del gioco, e la possibilità che vengano travalicate, rende penalmente irrilevante la predetta violazione.
Quindi, nell’ambito delle competizioni sportive si vengono a delineare due diverse aree, quella sportiva e quella penale, coperte da regole diverse, perché dirette a gestire rischi diversi: quelli sportivi, conosciuti e accettati dagli atleti, i quali in tale ambito sono consapevoli della potenziale lesività di determinate azioni di gioco, quale conseguenza possibile della pratica sportiva svolta; quelli penali, quale conseguenza dannosa di azioni che esorbitano dall'ordinario sviluppo del gioco o della pratica sportiva interessata. Queste azioni possono essere caratterizzate da dolo, se siano volontariamente rivolte a procurare nocumento all'avversario ovvero da colpa allorquando si travalichi, colposamente, il confine della lealtà sportiva tradendo l'affidamento serbato degli altri partecipanti alla competizione sul rispetto dei limiti della stessa.
In ogni caso la colpa penale non può esaurirsi all’accertamento dell’inosservanza delle regole del gioco, ma occorre individuare una regola cautelare che assuma rilievo ai fini penali, idonea a definire il comportamento doveroso secondo standard di prudenza e di diligenza.
5. Considerazioni conclusive
Alla luce del percorso logico seguito dalla Suprema Corte nella sentenza in commento, è possibile concludere che le competizioni sportive sono governate da regole cautelari proprie dell’attività sportiva e da regole cautelari rilevanti per l’accertamento della colpa penale.
Innanzi alla violazione delle regole sportive l’interprete deve domandarsi se l’atleta abbia agito con dolo o con colpa e, in quest’ultimo caso, se si sia mosso entro il cosiddetto rischio consentito o meno.
In caso di dolo e di intenzionalità dell’offesa l’illecito potrà essere addebitato al colpevole a titolo di dolo.
In caso di violazione colposa delle regole dello sport occorre distinguere.
Se la violazione non trascende il rischio consentito e non è tale da ledere la fiducia degli atleti nella competizione sportiva, allora potrà parlarsi solamente di illecito sportivo e non di illecito penale.
In tal caso entra in gioco la cosiddetta scriminante sportiva e l’evento offensivo è privo dell’antigiuridicità.
Se la violazione supera i limiti del rischio consentito, e se sussiste una regola cautelare volta a evitare reati colposi di evento, allora potrà parlarsi di illecito penale in presenza di tutti gli elementi costitutivi del reato.