• . - Liv.
ISCRIVITI (leggi qui)
Pubbl. Mer, 11 Ott 2023

La sospensione del processo penale minorile con messa alla prova

Modifica pagina

Chiara Imbalzano
AvvocatoUniversità degli Studi di Messina



Il presente contributo analizza i principi del processo penale a carico di imputati minorenni e si interroga sul valore del consenso del minore nell´ambito della sospensione del processo con messa alla prova.


ENG This paper analyses the principles of the juvenile criminal process and questions the value of consent of the child as part of the trial suspension with trial.

Sommario: 1. Premessa; 2. Genesi ed evoluzione del Processo Penale Minorile; 3. I principi del processo penale minorile; 4. La sospensione del processo con messa alla prova; 5. Il consenso del minore alla messa alla prova; 6. Conclusioni.

 
1. Premessa

Il presente lavoro rappresenta il culmine dell’attività di ricerca e indagine sull’evoluzione del Processo Penale Minorile a partire dal R.D. 1404/1934 - istitutivo del Tribunale per i Minorenni - fino all’entrata in vigore dell’attuale Codice del Processo Penale Minorile, D.P.R. 448/1988.

Dopo la doverosa premessa di ordine storico, ci si è concentrati sugli aspetti peculiari che contraddistinguono il rito penale minorile e sui principi ispiratori dello stesso. La ratio sottesa alla normazione in materia è volta al recupero del minore deviante, autore di reato e prevede un approccio allo stesso che sia il più possibile conformato alle esigenze determinate in base al contesto sociale e familiare di provenienza.

Questo elaborato si interroga sulla funzione del processo penale minorile nonché sulle possibili prospettive applicative di un istituto che maggiormente garantisce l’effetto rieducativo e risocializzante dell’intervento del Tribunale per i Minorenni, quale è la sospensione del processo penale con messa alla prova. Si tratta di un istituto cui attualmente viene fatto ampio ricorso nella prassi, benché presenti due aspetti controversi - tanto in dottrina quanto in giurisprudenza - rispetto ai relativi presupposti applicativi. L’intento perseguito con il presente contributo è quello di reinterpretare l’istituto alla luce dei principi generali del Processo Penale Minorile, primo fra tutti, quello di de-stigmatizzazione del minore. Valorizzando la funzione pedagogica del rito minorile e la previsione non casuale di un Tribunale per i Minorenni e non dei Minorenni, è forse possibile concepire la Messa alla Prova come soluzione alternativa al Processo, che prescinda dall’accertamento del fatto di reato contestato e rappresenti per l’imputato minore di età - in ogni caso - un’occasione di crescita e riscatto.

2. Genesi ed evoluzione del Processo penale Minorile

La giustizia penale minorile rappresenta un settore dell’ordinamento giuridico plasmato dal Legislatore in modo peculiare poiché precipuamente volto al perseguimento del miglior interesse del fanciullo e segnatamente al recupero del minore autore di reato.  L’attenzione nei confronti del minore sotto il profilo penale si sviluppa intorno alla metà del XIX secolo, quando nel corso della rivoluzione industriale si avverte l’esigenza di una riforma della giustizia volta alla protezione dei minori e al reinserimento sociale del minore autore di reato. Germoglia, in tal modo, la prospettiva di istituire un giudice specializzato, attraverso la creazione di un apposito Tribunale per i Minorenni. 

In Italia la prima tappa verso un sistema di giustizia minorile risale al 1908, quando il Ministro della Giustizia Vittorio Emanuele Orlando, preso atto dell’aumento della delinquenza giovanile, indirizza ai giudici una circolare con una serie di raccomandazioni finalizzate ad una maggiore attenzione nei confronti dell’ imputato minorenne e all’obiettivo che ad occuparsi dei minori autori di reato fossero sempre gli stessi giudici, i quali non dovevano limitarsi ad accertare la sussistenza del reato, ma procedere a tutte le indagini utili ad avere un quadro completo del contesto di provenienza del minore[1] .  

La Circolare Orlando, tuttavia non sortisce l’effetto sperato poiché non viene trasfusa in legge. Solo nel Codice di Procedura Penale del 1930 vengono per la prima volta introdotte norme peculiari per lo svolgimento delle udienze dibattimentali con imputati minorenni. Viene, infatti, previsto lo svolgimento del rito minorile a porte chiuse, salva la possibilità che il Presidente o il Pretore autorizzi l’ingresso in aula dei genitori o del tutore. Tuttavia, l’istituzione dei Tribunali per i Minorenni avviene solo con l’entrata in vigore del R.D. 1404/1934 che ne disciplina altresì la composizione. Il prefato testo normativo prevede l’istituzione di un organo giurisdizionale specializzato al quale si assegna la competenza per tutti i procedimenti di tipo civile, penale ed amministrativo riguardanti i minori di 18 anni. Presso ciascuna Corte d’Appello viene istituito un Tribunale per i Minorenni, organo collegiale presieduto da un Magistrato togato avente il grado di Consigliere di Corte d’Appello affiancato da un giudice a latere e un componente laico - «benemerito dell’assistenza sociale scelto tra i cultori di biologia, di psichiatria, di antropologia criminale, di pedagogia»[2] -  di sesso maschile[3]. La ratio sottesa all’intervento del R.D. 1404/34 era quella di perseguire un intervento rieducativo, ma in un’accezione “correttiva” del minore deviante, qualificato come “ammalato” e quindi socialmente pericoloso. Tale intento è corroborato dalla collocazione dei Tribunali per i Minorenni nello stesso edificio dei «centri di rieducazione per minorenni»: questi ultimi dovevano contenere «un riformatorio giudiziario, un riformatorio per corrigendi, un carcere per minorenni, nonché un centro di osservazione per minorenni»[4].

La finalità correttiva del minore veniva perseguita attraverso un metodo che prevedeva una preliminare osservazione dello stesso al fine di esaminarne la personalità e individuare le misure ed il trattamento rieducativo più idoneo per assicurarne il riadattamento sociale[5]. Nel processo si ricorreva ampiamente alle indagini sulla personalità del minore, mediante speciali ricerche volte ad accertare i precedenti personali e familiari dell'imputato, sotto l'aspetto fisico, psichico, morale e ambientale. Tuttavia, il processo, pur essendo strumento di rieducazione del minore, rappresenta ancora oggi un rischio, per il suo effetto stigmatizzante[6]. Di tale effetto collaterale ne è conscio il legislatore del 1934, il quale prevede una fase di indagine ristretta nei tempi, con un ruolo centrale del “procuratore”, e la celebrazione del processo a porte chiuse.

L’obiettivo è garantire una rapida fuoriuscita del minore dal circuito penale onde evitare e attutire ogni eventuale possibile pregiudizio[7]. In tal senso la disciplina del tempo consente la definizione anticipata del processo, oltre che soluzioni diverse dalla sentenza di condanna alla “tradizionale” pena detentiva o idonee a far cessare repentinamente quest'ultima. Significativa è la previsione di un istituto ancora oggi vigente e peculiare del rito minorile, quale è il Perdono giudiziale: il procuratore, all'esito dell'istruttoria, poteva richiedere al tribunale di concedere il perdono giudiziale, in alternativa al rinvio a giudizio.

Tuttavia, l’evoluzione storica e giuridica del nostro ordinamento ha reso l’approccio correttivo e punitivo nei confronti del minore, adottato dal Legislatore fascista del 1934 non più adeguato; in particolare l’entrata in vigore della Costituzione Repubblicana del 1948 nonché delle varie fonti internazionali e sovranazionali hanno mutato la prospettiva di intervento sul minore autore di reato. L’art. 31, c.2 Cost. rappresenta il fondamento costituzionale, il limite e la fonte di legittimazione dell’attività di intervento dello Stato rispetto alla gioventù. Segnatamente la Repubblica protegge la maternità, l'infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo. Proteggere il minore sta a significare che lo Stato abbia il dovere di tenere conto della peculiarità del minore quale soggetto la cui personalità è in fieri, tutelandolo dai possibili pregiudizi che l’ingresso e la permanenza nel circuito penale possono produrre nella sua crescita[8].

È per questo che l’intervento del Tribunale per i Minorenni deve essere funzionalmente orientato al recupero e al reinserimento del minore in società, di guisa che possa tornare a compiere scelte rispettose dei valori istituzionali. In particolare, l'art. 31 c. 2 Cost. è stato messo in relazione con una serie di principi fondamentali, tra cui quello personalistico ex art.2 Cost., il principio di uguaglianza ex art. 3 Cost., il principio di inviolabilità della libertà personale ex art. 13 Cost. Esso è stato raccordato, altresì, con la presunzione di innocenza cristallizzata nel secondo comma dell'art. 27 Cost. Il precipitato logico-giuridico di tale coordinamento normativo[9] è che all’imputato minorenne debba essere riservato un trattamento processuale diversificato rispetto a quello dell'adulto, e plasmato alle esigenze psicofisiche dello stesso.

Successivamente, nel corso degli anni ’80 del secolo scorso si è assistito alla proliferazione delle fonti internazionali in tema di tutela dell’infanzia. Pietra miliare dell’attuale giustizia penale minorile è costituita dalle cc.dd. “Regole di Pechino” sull’amministrazione della giustizia minorile, adottate dalle Nazioni Unite a New York nel 1985. Le finalità perseguite dal documento sono innanzitutto di carattere preventivo mediante la promozione del benessere del minore per evitare il successivo intervento “correzionale”, ma anche successivo mediante la promozione di un trattamento efficace, equo e umano del minore entrato a contatto col circuito penale[10]. Le Regole di Pechino gettano le basi del sistema processuale minorile che nel 1988 viene delineato dal Legislatore Italiano, cristallizzando al loro interno i principi del processo penale minorile così come inteso nella moderna accezione. In osservanza delle disposizioni della Corte Costituzionale, ed in attuazione della legge-delega 16 Febbraio 1987 n. 81, che impone di modificare ed integrare il codice di rito, in base alle particolari esigenze educative dei minori, alle loro condizioni psicologiche e alla loro maturità, nel 1988 fu emanato il D.P.R. 448, contenente le disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni, dando vita così alla prima riforma del diritto minorile[11] in Italia.

3. I principi del processo penale minorile

Il d.p.r. 448/1988 cristallizza al suo interno i principi generali del Processo Penale Minorile attraverso l’introduzione di specifiche disposizioni volte a tracciare il percorso che l’Autorità Giudiziaria e tutti i soggetti coinvolti nel trattamento del minore autore di reato devono seguire. L’ art.1 d.p.r. 448/1988[12]  rubricato Principi generali del processo minorile sancisce da una parte il principale criterio di applicazione delle norme codicistiche, individuandolo nell’adeguatezza rispetto alla personalità e alle esigenze educative del minore; d’altro canto è la stessa norma a delineare la funzione pedagogica[13] del processo penale minorile attribuendo al giudice il compito di illustrare all’imputato il significato delle attività processuali che si svolgono in sua presenza nonché il contenuto e le ragioni anche etico- sociali delle decisioni.

È evidente che già dall’incipit del codice, il Legislatore chiarifica la funzione del processo a carico di imputati minorenni il cui obiettivo principale non è quello di punire ma quello di ristabilire o, meglio, stabilire un equilibrio che fatica ad essere raggiunto nella dimensione del minore[14]. E’ nella prospettiva del recupero e non della punizione che l’art. 10 esclude l’ammissibilità dell'esercizio dell'azione civile per le restituzioni e il risarcimento del danno cagionato dal reato, proprio per evitare che un processo celebrato con finalità educative possa essere inficiato da interessi meramente economici[15]; la dottrina[16] ha rilevato che la prefata norma rinvenga la propria ratio nel principio di de-stigmatizzazione e di riduzione del danno causato dal processo. Anche la disposizione contenuta nell’art. 19 stabilisce che il giudice nel disporre le misure cautelari, deve tenere conto “dell’esigenza di non interrompere i processi educativi in atto”. Ulteriore principio delineato dal d.p.r. 448/988 è quello di minima offensività del processo che muove dal presupposto che il processo possa essere foriero di sofferenze indelebili per l’imputato minorenne se non plasmato alle esigenze della fase evolutiva in cui si trova[17].

Proprio per questo il processo penale minorile ha introdotto delle disposizioni che hanno come scopo quello di arrecare il minor danno al minore imputato. A tale fine il Codice del 1988 introduce degli istituti processuali volti a favorire una più rapida fuoriuscita del minore dal circuito penale[18]. È il caso della sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto[19], emessa quando l'ulteriore corso del processo può arrecare pregiudizio alle esigenze educative del minore.

Si tratta di un istituto a cui è possibile ricorrere qualora concorrano due presupposti vale a dire la tenuità del fatto e l’occasionalità della condotta tali da escludere che il comportamento del minore riveli una personalità strutturata in modo deviante[20] . Tale circostanza è determinante poiché esclude che il processo possa o debba sortire effetti pedagogici o rieducativi sul minore, proprio perché non deviante, giustificando la rinunzia dello Stato a perseguire l’autore del reato onde evitare un’inutile afflittività dello stesso.

Ulteriore istituto che rende effettivo il principio di minima offensività del processo è previsto dall’art. 28 d.p.r. 448/88, che prevede la possibilità - quando il giudice ritiene opportuno esaminare la personalità del minore in maniera più compiuta - di sospendere il processo e consentire al minore di estinguere il reato ancora prima di accertarne la sussistenza all’esito dell’istruttoria dibattimentale ovvero ancora prima di essere rinviato a giudizio, mediante l’adesione ad un progetto di messa alla prova di durata parametrata alla tipologia di reato e alla personalità dell’imputato[21]. Inoltre, anche le misure cautelari devono essere attuate in modo da evitare il più possibile al minore, i disagi e le sofferenze materiali e psicologiche, che possono derivare dalla loro applicazione, avendo cura di non interrompere i processi educativi in corso. Ulteriore corollario del principio di minima offensività può essere considerato il principio di de- stigmatizzazione[22] che si riferisce all’esigenza di salvaguardare l’identità sociale del minore, attraverso l’eliminazione di tutti quegli istituti che ne possano comportare una marchiatura indelebile.

Sono espressione del principio di de- stigmatizzazione, gli istituti dell’irrilevanza del fatto e della messa alla prova, che limitano il contatto del minore con il sistema penale. Inoltre, con la medesima finalità è stabilito che la sentenza che pronuncia l'estinzione del reato per esito positivo della prova non è iscritta nel casellario giudiziale. Il principio di de-stigmatizzazione quale sotto principio del principio di minima offensività si manifesta anche nell’art. 13 c.p.p. min., ove è sancito il divieto di pubblicazione e di divulgazione, con qualsiasi mezzo, di notizie o immagini idonee a consentire l’identificazione del minorenne comunque coinvolto nel procedimento, nonché nel successivo art. 33 che prevede la non pubblicità del dibattimento al fine di mantenere una percezione sociale positiva del minore[23].

Sempre al fine di ridurre gli effetti stigmatizzanti che derivano dal processo, il codice di procedura penale minorile impone alla polizia giudiziaria, ex art. 20 disp. att. min., di adottare le opportune cautele nell’esecuzione delle misure restrittive della libertà personale, al fine di tutelare il minore dalla curiosità del pubblico, e quindi a ridurre i rischi di una stigmatizzazione[24]. L'intervento penale, dunque, non si configura come un intervento meramente segregante e stigmatizzante, bensì teso al recupero di quel processo educativo interrotto o deviato. Il nuovo processo penale, infatti, offre delle occasioni educative. Si punta dunque su un processo inteso come momento importante per fare chiarezza insieme al minore, per aiutarlo ad interiorizzare le regole fondamentali del vivere civile[25].

Il processo penale minorile conosce dei meccanismi deflattivi maggiori rispetto al processo penale ordinario, in ossequio al c.d. principio di auto-selettività di cui sono espressione i citati istituti dell’irrilevanza del fatto e la sospensione del processo per messa alla prova. In sostanza ogni intervento penale è concepito come extrema ratio; pertanto, si privilegiano le istanze educative del minore rispetto alle esigenze punitive, laddove ad esempio si ravvisi per il minore già nel corso del processo l’opportunità di un cambiamento[26]. 5) Principio di indisponibilità del rito e dell'esito del processo. 

A differenza di quanto previsto per il processo penale ordinario, il processo penale minorile è dominato dal principio d'indisponibilità del rito, poiché il giudice può disporre l’accompagnamento coattivo dell'imputato non comparso, così come stabilisce il primo comma dell’art. 31 c.p.p. min.

Tale principio si rinviene, altresì, nel divieto per l’imputato minorenne di patteggiare la pena, contrariamente a quanto previsto per il processo penale ordinario. Anche il criterio dell'indisponibilità del rito e dell’esito del processo evidenziano la ratio sottesa a tutte le norme che regolano il processo penale minorile, funzionalmente orientate al solo perseguimento del miglior interesse per il Minore attraverso un intervento a carattere educativo. Consentire al minore di patteggiare la pena rappresenterebbe la resa dello Stato di fronte alla commissione del reato, lasciando intendere all’imputato che il processo possa essere “aggiustato” ai propri fini[27]. Il D.P.R. 448/1988 è ricco di disposizioni da cui si ricava il principio di residualità della detenzione dal quale emerge la funzione di extrema ratio della pena detentiva.

Segnatamente l’art. 16 indica le condizioni per procedere all'arresto e al fermo, mentre l’art. 23 quelle per la custodia cautelare; inoltre, è ampiamente possibile ricorrere alle sanzioni sostitutive[28]. Inoltre, in un sistema di giustizia minorile teso al recupero sociale del minore deviante, vi è la necessità di risposte ai fatti di devianza minorile avulse dalla logica punitiva.

Infatti, certa dottrina[29] rileva la necessità di trattare diversamente il minore, differenziando il regime sanzionatorio rispetto a quanto previsto dal sistema punitivo generale. Dalla differenza tra minore e adulto discende la necessità di plasmare un sistema di giustizia ad hoc ove il ricorso alla pena detentiva sia del tutto residuale. La Corte Costituzionale con la sentenza n. 168/1994 ha dichiarato illegittima la previsione della pena dell’ergastolo anche nei confronti del minore, per violazione degli artt. 27, comma 3 e 31, comma 2 Cost[30]. Il ruolo di ultima ratio della pena detentiva si ricava, altresì, dalla sentenza n. 450 del 1998, con cui la Corte Costituzionale sollecita il legislatore a creare per i minori un regime differenziato di esecuzione delle pene e delle modalità di accesso alle misure alternative alla detenzione[31].

Alla luce delle previsioni codicistiche e degli interventi del Giudice delle Leggi è chiaro che nel corso degli anni l’idea di giustizia minorile a misura di fanciullo si è pian piano calcificata nella coscienza sociale in una prospettiva sempre più puerocentrica ove l’operato di tutti i soggetti istituzionali coinvolti nel trattamento del minore autore di reato converge verso il perseguimento del miglior interesse dello stesso.

4. La sospensione del processo con messa alla prova

La sospensione del processo con messa alla prova può qualificarsi come l’istituto che maggiormente incarna l’idea di giustizia minorile così come delineata dalle fonti internazionali[32] e dai principi enunciati nel D.P.R. 448/1988, quale occasione educativa[33] . Con la messa alla prova, ammissibile per tutti i reati, l’educazione entra nel processo[34]: oggetto del processo non è più il fatto reato, ma la persona, si assiste alla “possibilità che davanti all’esigenza del recupero sociale del minore, la stessa realizzazione della pretesa punitiva possa arretrare”[35]

Si tratta di un istituto di matrice processuale a rilevanza sostanziale[36] che rappresenta una rivisitazione del c.d. probation[37] di origine anglosassone, ma da esso si differenzia innanzitutto per la fase in cui si colloca. Il probation anglosassone rappresenta un’alternativa alla pena comminata con la sentenza di condanna; pertanto, attiene alla fase di esecuzione della stessa[38].

La Messa alla Prova delineata dal Legislatore del 1988, al contrario, interviene prima che il processo si concluda con una sentenza di condanna o addirittura prima che il Giudice dell’Udienza Preliminare disponga il Rinvio a Giudizio dell’imputato. La messa alla prova evoca un altro istituto di origine angloamericana, la diversion che consiste nella sottrazione del minore dal circuito penale, prima che sia esercitata l’azione penale, e nel suo affidamento agli organi assistenziali. Si potrebbe, pertanto, ritenere la natura ibrida dell’istituto dell’art. 28 D.P.R. 448/88 rispetto alla probation e alla diversion.

Segnatamente, il riferimento alla diversion è legato all’esigenza di evitare gli effetti negativi che un processo penale può produrre su un soggetto in fase evolutiva, mentre la similitudine rispetto al probation si rinviene nella prova che il minore affronta, nella prospettiva di un’evoluzione della sua personalità attraverso un progetto o comunque degli interventi predisposti dal giudice tramite le prescrizioni e l’attività dei servizi sociali. Lo Stato può, infatti, rinunciare alla condanna solo in presenza di un’effettiva maturazione e crescita del soggetto. La messa alla prova appare, altresì, una variante di juvenile probation, detta informale perché applicata appunto prima dell’accertamento della responsabilità, comportando la sottoposizione dell’interessato a sorveglianza. La dottrina è unanime nel ritenere la sospensione del processo con messa alla prova quale forma di probation processuale[39].

Il fondamento costituzionale dell’istituto è da rinvenirsi nel combinato disposto degli artt. 27, c. 3 e 31 Cost., che attribuiscono al legislatore il compito di individuare, per gli imputati minorenni, strumenti sanzionatori che ne favoriscano il recupero tenendo conto della specificità della loro condizione psico-fisica. Ulteriore aggancio costituzionale, tuttavia, è stato rintracciato negli artt. 2, c.2, 3. c.2 e 4, c.2 Cost., che descrivono il quadro costituzionale del diritto del minore ad un pieno e completo sviluppo della persona e a un proficuo inserimento sociale. La ratio sottesa all’istituto in commento va ravvisata nei principi generali che regolano la celebrazione del rito minorile e segnatamente nel principio di de-stigmatizzazione quale corollario del principio di minima offensività del processo, in un’ottica esclusivamente pedagogica volta al recupero del minore autore di reato.

La legge delega n. 81/1987 fornisce un’indicazione da molti[40] ritenuta vaga circa la possibilità che il giudice sospenda il processo al fine di valutare compiutamente la personalità del minore sotto l’aspetto psichico sociale e ambientale, in seguito all’applicazione di interventi di sostegno. Tuttavia, è stato osservato[41] che altrettanto carente in punto di determinatezza è la formulazione dell’art. 28 D.P.R. 448/88 che consentirebbe le più diverse e ambigue interpretazioni[42].

La norma de qua subordina la sospensione del processo ad un giudizio prognostico e del tutto discrezionale del giudice circa l’opportunità della misura, in base alla valutazione della personalità del minore. Segnatamente, il giudice sospende il processo e affida l’imputato ai servizi minorili dell’amministrazione della giustizia, affinché procedano all’attività di osservazione, trattamento e sostegno. Con lo stesso provvedimento il giudice può imporre al minore, prescrizioni volte a riparare le conseguenze del reato e a promuovere la mediazione del minorenne con la persona offesa.

I servizi minorili dell’amministrazione della giustizia svolgono un ruolo chiave, dal momento che si occupano di elaborare il progetto di messa alla prova che deve essere accettato dal minore. Il progetto deve essere redatto tenendo conto delle risorse anche familiari di cui il minore dispone, poiché è necessario che quanto pianificato possa in concreto rilevarsi fattibile e sortire l’effetto riparativo cui la sospensione del processo con messa alla prova è preordinata. Il sistema processuale minorile mira, infatti, a valorizzare gli aspetti positivi della vicenda penale, allo scopo di avviare nell’imputato un processo di responsabilizzazione e rielaborazione dell’episodio criminoso, attraverso un intervento educativo, modulato sulle caratteristiche del singolo[43]. Quanto all’ambito oggettivo di applicazione della sospensione del processo con messa alla prova, il Legislatore non pone limiti, a differenza di quanto previsto per l’omonimo istituto introdotto per gli imputati maggiorenni dalla L. 28 Aprile 2014 n. 67[44].

Non può sottacersi, tuttavia l’intervento della Corte Costituzionale[45] determinato dall’infelice formulazione letterale dell’art. 28 D.P.R. 448/88 al momento della sua entrata in vigore. La norma de qua, infatti riferiva la determinazione della durata massima del periodo di sospensione alla pena detentiva prevista per i reati oggetto del procedimento, non menzionando l’ergastolo che all’epoca, prima della declaratoria di incostituzionalità[46], era ancora prevista tra le sanzioni penali minorili. In quell’occasione il giudice a quo, aveva censurato la disposizione per violazione dell’art. 3 Cost., poiché finiva per trattare diversamente situazioni essenzialmente simili e soprattutto irragionevolmente escludeva dal suo ambito di applicazione ipotesi delittuose di pregnante gravità rispetto alle quali si manifesta maggiormente la necessità dell’accertamento della personalità del minore. La Corte Costituzionale supera la censura ritenendo che – sulla base della legge delega e dei lavori preparatori al D.P.R. 448/88, l’art. 28 già consentisse la sua applicazione ai delitti puniti con l’ergastolo; tuttavia, il Legislatore comunque interviene nel 1991[47] a integrare la lettera della controversa norma, menzionando espressamente la pena perpetua. La durata della messa alla prova varia a seconda della tipologia di reato, potendo protrarsi generalmente fino ad un anno mentre fino a tre anni per i delitti particolarmente gravi e di rilevante allarme sociale.

Durante il periodo di sospensione il Tribunale per i Minorenni fissa delle udienze intermedie volte a verificare l’andamento del progetto di messa alla prova, anche al fine di valutarne la conformità alle esigenze educative e di recupero dell’imputato. Invero, il giudice minorile non gode di alcun potere relativamente alla diretta elaborazione o modifica del progetto, potendo solo sollecitare in tal senso i servizi minorili dell’amministrazione della giustizia.

Sul punto è stata rilevata da parte della dottrina[48] la criticità determinata dall’ampia discrezionalità che investe il momento più delicato del provvedimento di sospensione, vale a dire quello di determinazione del contenuto della prova. La prova, infatti, è costituita da una serie di prescrizioni che il minore deve osservare per poter giungere ad un esito positivo della stessa con conseguente estinzione del reato; pertanto, si tratta di una misura avente un contenuto in parte anche afflittivo ancorché funzionalmente orientato al recupero del minore. Ciò che desta perplessità è che la disciplina della determinazione del contenuto della prova sia affrancata da puntuali vincoli legislativi e si presenti lacunosa, limitandosi a individuare un contenuto minimo del progetto e rimettendo alla discrezionalità del Tribunale per i minorenni la possibilità di prescrivere percorsi di mediazione specifica o aspecifica. Senza recedere da quanto premesso, possono porsi dei problemi di compatibilità dell’istituto con il principio di uguaglianza ex art. 3 Cost., nella misura in cui il progetto è redatto dai servizi minorili per l’amministrazione della giustizia di concerto ai servizi socio-assistenziali degli enti locali; non è recondita l’ipotesi che le risorse disponibili a livello territoriale incidano sulla determinazione dei contenuti del progetto compromettendone la finalità rieducativa[49].

Il terzo comma dell’art. 27 disp. att. min., prevede che i servizi minorili dell’amministrazione della giustizia informino con cadenza periodica il giudice dell'attività svolta e dell’evoluzione del caso, proponendo, qualora lo ritengano necessario, modifiche al progetto, eventuali abbreviazioni di esso ovvero, in caso di reiterate e gravi trasgressioni, la revoca del provvedimento di sospensione. L’abbreviazione della messa alla prova può essere chiesta quando l’impegno del minore e i risultati raggiunti siano tali da essere espressione di un processo di responsabilizzazione del minore ormai giunto a compimento.  La revoca, invece, ai sensi del quinto comma dell’art. 28 ha presupposti diversi, poiché vi si può procedere solo qualora nel corso della messa alla prova, il minore abbia dato luogo a reiterate e gravi violazioni delle prescrizioni imposte dal progetto.

La valutazione della gravità delle trasgressioni è lasciata alla discrezionalità del giudice. Tuttavia, non vi è omogeneità di vedute in dottrina con riferimento al fatto che il giudice può autonomamente attivarsi in tal senso; la legge di attuazione conferisce un potere di iniziativa ai servizi sociali che fornendo periodicamente al Tribunale per i Minorenni la fotografia dell’andamento della prova, possono proporne la revoca. Un primo orientamento[50] ritiene che la revoca debba essere richiesta dal P.M., destinatario anch’egli della relazione dei servizi ex art. 27, c.5. d.lgs. 272/1989, onde non inficiare la terzietà del giudice conferendogli ex officio questo potere. Altra dottrina[51], per converso, considera questa prerogativa come speculare rispetto al potere del giudice di disporre d’ufficio la messa alla prova.

Al termine del progetto di messa alla prova i servizi minorili dell’amministrazione della giustizia provvedono a redigere una relazione finale che offre una valutazione circa l’evoluzione del minore riferendo se lo stesso abbia o meno adempiuto alle prescrizioni del progetto cui ha prestato adesione.

Tale relazione è significativa nella misura in cui esprime un giudizio complessivo in ordine all’esito della prova, di pregnante significato per la definizione del processo, dal momento che il giudice fonda il proprio convincimento circa l’esito della prova sulla base delle informazioni rese dai servizi minorili[52], benché le relative valutazioni non siano vincolanti ai fini della decisione che ha carattere esclusivamente giuridico. Infine, benché non espressamente prevista, si ritiene opportuna la partecipazione dei servizi minorili all’udienza di verifica finale, celebrata ex art 29 d.p.r. 448/88, sia per la generale funzione di “assistenza” al minorenne, richiesta in ogni stato e grado del procedimento[53], sia per il particolare ruolo svolto dagli stessi servizi nel corso della messa alla prova. Il riferimento normativo sull’esito della messa alla prova è dato dall’art 29 del d.p.r. 448/88; gli epiloghi della messa alla prova possono essere molteplici.

L’ esito positivo della misura, nella migliore delle ipotesi, comporta l’estinzione del reato, ma l’alternativa logico-giuridica è costituita dall’esito negativo, al quale consegue l’ordinaria prosecuzione del processo. L’esito positivo della messa alla prova, accertato nel corso dell’udienza di verifica finale, determina l’estinzione del reato pronunciata con sentenza di non luogo a procedere, in sede di udienza preliminare, ovvero con sentenza di non doversi procedere, a conclusione del dibattimento. Qualora il giudice, decorso il periodo di sospensione del processo, durante l’udienza di verifica non ravvisa i presupposti per dichiarare l’estinzione del reato per esito positivo della messa alla prova “provvede a norma degli artt. 32e 33”[54], con conseguente riavvio del processo nella stessa fase in cui era stato sospeso. In tale ultima ipotesi si assiste alla rivisitazione dell’intera vicenda processuale con i naturali epiloghi contemplati dall’art. 32 d.p.r. 448/88[55] per quel che concerne l’udienza preliminare, e dell’art. 33 d.p.r. 448/88 con riferimento al giudizio in fase dibattimentale.

5. Il valore del consenso del minore alla M.A.P.: ammissione di responsabilità o strategia processuale?

La portata innovativa della sospensione del processo con messa alla prova presenta dei profili problematici che sono stati oggetto di indagine da parte della dottrina, ma ancora oggi irrisolti, nonostante i reiterati interventi della Corte Costituzionale che di volta in volta - pronunziandosi su singole questioni - ha cercato di tracciare gli elementi essenziali dell’istituto e la sua portata applicativa. Sin dall’entrata in vigore del D.P.R 448/1988 ci si è interrogati sulla natura giuridica della sospensione del processo con messa alla prova e sul punto si sono registrati due orientamenti contrapposti. Secondo taluni[56] l’istituto avrebbe natura sostanziale essendo una misura penale, sia per la connotazione afflittiva che comunque possiede, sia per gli effetti estintivi che ne caratterizzano gli esiti, tant’è che essa va rigorosamente tenuta distinta dall’affidamento al servizio sociale previsto dall’art. 25 R.D.L. 1404/1934, che è misura preventiva affidata alla giurisdizione volontaria civile.

Conseguenza logica e giuridica della natura sostanziale della messa alla prova è che l’art. 28 D.P.R. 448/88 sarebbe frutto di un eccesso di delega, dal momento che il legislatore delegante non attribuiva al delegato alcun potere di innovazione legislativa nel campo del diritto penale, con il conseguente sospetto di illegittimità costituzionale dell’istituto Prevale tuttavia l’orientamento secondo cui l’istituto in parola abbia natura processuale: la norma, infatti, prevede la facoltà del giudice di sospendere il processo per un periodo determinato, senza fornire indicazioni sulle conseguenze di tale provvedimento, fatto salvo l’effetto sospensivo sul decorso della prescrizione.

Il profilo maggiormente problematico dell’istituto in commento è tuttavia quello relativo ai presupposti applicativi dello stesso, stante il carattere scarno della disciplina. Benché la legge non lo indichi espressamente, il primo presupposto pacifico è che manchino gli elementi per una immediata pronuncia di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto ovvero per manifesta infondatezza dell’accusa[57]. Ci si chiede, tuttavia, se ciò sia sufficiente, ovvero se sia necessario un preventivo accertamento della riferibilità del fatto di reato contestato all’imputato in termini di vero e proprio accertamento e/o ammissione di responsabilità.

I sostenitori[58] della tesi del necessario preliminare accertamento della responsabilità del minore muovono da quanto disposto ex art. 27 c.2 Cost., rispetto al quale l’art. 28 D.P.R. 448/88 risulterebbe incompatibile, in quanto, prevedendo l’adozione di un provvedimento di limitazione della libertà personale senza previo accertamento della responsabilità, sposterebbe la messa alla prova nell’alveo delle misure amministrativo-rieducative[59].

Per converso, la giurisprudenza di merito, ha espresso una posizione parzialmente difforme, limitandosi a ritenere quale presupposto per la messa alla prova, la non infondatezza dell’accusa e l’insussistenza delle condizioni per la decisione ex art. 425 c.p.p., puntualizzando che tale mancata pronuncia «deve essere tenuta ben distinta dall’affermazione di penale responsabilità degli imputati, non richiesta dagli artt. 28 e 29, non coessenziale alla sentenza che definisce la presente fase procedimentale» e neppure «ontologicamente presupposta come nel perdono giudiziale o logicamente postulata come nella ipotesi di sentenza di non  luogo  a  procedere  per  difetto  di imputabilità»[60].

La questione è tutt’altro che pacifica e aderire alla prima o alla seconda delle opzioni comporta esiti chiaramente differenti. Va osservato che da un punto di vista logico-giuridico, l’effetto sostanziale che l’esito della messa alla prova produce è l’estinzione del reato ex art. 29 D.P.R. 448/88, pertanto lo strumento offerto dal legislatore del 1988 – in disparte la finalità pedagogica e di recupero di cui si è copiosamente fatto cenno – postula la sussistenza di un reato. Segnatamente è richiesto al minore di prestare il consenso alla messa alla prova aderendo al progetto di intervento.

Occorre a questo punto comprendere quale sia il valore giuridico del consenso prestato dal minore e se sia o meno assimilabile ad una ammissione di responsabilità. Il consenso del minore, che emerge come tratto essenziale in maniera inequivoca dalla struttura e dagli obiettivi dell’istituto, non riceve tuttavia un’adeguata disciplina nel dettato normativo[61] . E questo potrebbe far propendere, così come sostenuto dalla Corte costituzionale[62] , per l’esclusione della sua necessità.

Secondo la Consulta, infatti, il legislatore non avrebbe condizionato il provvedimento di sospensione del processo alla prestazione del consenso da parte del minore, ma avrebbe rimesso al giudice la decisione circa l’opportunità di sospendere il processo, al fine di valutare la personalità del minorenne all'esito della prova, prescrivendo soltanto che tale decisione sia adottata sentite le parti. Sul punto autorevole dottrina[63] ha rilevato che la consensualità debba essere la principale caratteristica del progetto di intervento, non solo perché indice rivelatore di fattibilità dello stesso ma perché rispetta il principio di autodeterminazione, non essendo equo l’atteggiamento paternalistico della giustizia minorile, con cui da un lato si nega la salvaguardia integrale delle garanzie difensive[64] degli imputati, dall’altro non ne stimola il senso di responsabilizzazione. Senza recedere da quanto premesso, si deve rilevare che la messa alla prova veicola nel nostro ordinamento la mediazione penale che nell’indirizzarsi alla ricomposizione del conflitto tra minore reo e vittima, è orientata principalmente alla responsabilizzazione dell’imputato, contribuendo al suo processo formativo[65].

Prescrivere un percorso di mediazione postula ontologicamente che un conflitto da ricomporre vi sia; viceversa, se esso manca perché il fatto non è stato commesso dall’imputato, probabilmente la ratio dell’applicazione della messa alla prova viene meno. A questo punto un ruolo chiave è svolto dal difensore del minore[66] che deve effettuare una valutazione in termini di opportunità; qualora l’imputato non abbia commesso il reato e si disponga di un compendio probatorio idoneo a provarne l’innocenza all’esito dell’istruttoria dibattimentale, in linea di principio è corretto non richiedere la sospensione del processo con messa alla prova ma addentrarsi nella fase dibattimentale.

Al contrario se l’imputato riconosce di aver commesso il fatto e vi siano elementi tali da fare prognosticare un apporto positivo all’evoluzione psico-fisica dello stesso nonché ad orientare positivamente la sua capacità di discernimento, certamente la messa alla prova rappresenta lo strumento più idoneo al perseguimento delle finalità del rito minorile. Accedere ad una impostazione intermedia è possibile solo se l’istituto in commento viene interpretato alla luce dei principi generali del processo penale minorile, in primis il principio di de-stigmatizzazione quale declinazione del principio di minima offensività del processo. Seguendo questa ricostruzione, è possibile interpretare l’istituto della messa alla prova quale occasione educativa che prescinda da una ammissione di responsabilità da parte dell’imputato, ma che si limiti ad una presa di coscienza dello stesso circa l’antigiuridicità del fatto di reato che gli viene contestato. Tanto premesso, a maggior ragione se l’alternativa all’adesione alla Messa alla Prova è rappresentata dal processo e dall’alea che caratterizza il suo esito che ben può essere costituito da una sentenza di condanna, con tutto ciò che ne consegue in termini di stigmatizzazione.

Tuttavia, il rischio concreto è che nella prassi vi sia un abuso della sospensione del processo con messa alla prova con finalità elusive del principio di indisponibilità del rito in ossequio al quale nel processo penale minorile non è possibile procedere all’applicazione della pena su richiesta delle parti, c.d. patteggiamento. La ratio del principio de quo è stata esplicitata dalla Corte Costituzionale[67], con un diretto richiamo alla Relazione al progetto preliminare e al testo definitivo del codice di procedura penale, che fanno leva sulla mancanza nell’imputato minorenne di “una capacità di valutazione e di decisione che richiedono piena maturità e consapevolezza di scelte”.

La Corte in particolare esclude la compatibilità del patteggiamento con il rito penale minorile in considerazione della natura negoziale del primo che non può perseguire le finalità di recupero proprie del secondo, precludendo al minore l’accesso a tutti quegli istituti che consentono una sua rapida fuoriuscita dal circuito penale. La Consulta[68] in tempi recenti è tornata a pronunciarsi in materia di messa alla prova minorile, e segnatamente sulla questione di legittimità costituzionale dell’art. 29 D.P.R. 448/88 e 657bis c.p.p. “nella parte in cui non prevedono che, in caso di esito negativo della messa alla prova di soggetto minorenne, il giudice determina la pena da eseguire tenuto conto della consistenza e della durata delle limitazioni patite e del comportamento tenuto dal minorenne durante il periodo di sottoposizione alla messa alla prova”.

La Corte costituzionale nel dichiarare non fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate dalla Suprema Corte di Cassazione, coglie l’occasione per definire la discrasia esistente tra la Messa alla prova prevista ex art. 28 D.P.R. 448/88 e l’omonimo istituto introdotto per gli imputati maggiorenni nel 2014. Testualmente la Corte rileva che : “Tanto la messa alla prova per gli adulti quanto la misura alternativa dell’affidamento in prova al servizio sociale sono caratterizzate da prescrizioni che sono sì funzionali alla risocializzazione del soggetto, ma che al tempo stesso assumono una innegabile connotazione sanzionatoria rispetto al fatto di reato” [...] Una logica affatto diversa è quella che ispira la messa alla prova per i minorenni, alla quale non può essere ascritta alcuna funzione sanzionatoria. Per quanto anche tale beneficio possa essere concesso soltanto sulla base di un accertamento – sia pure sommario, incidentale e allo stato degli atti – della responsabilità penale dell’imputato (sentenza n. 125 del 1995), la messa alla prova per i minorenni è concepita dal legislatore come in larga parte svincolata da un rapporto di proporzionalità rispetto al reato.[...] il senso delle prescrizioni inerenti al programma cui l’imputato deve essere sottoposto appare esclusivamente orientato a stimolare un percorso (ri)educativo del minore, finalizzato all’obiettivo ultimo di una «evoluzione della sua personalità» nel senso del rispetto dei valori fondamentali della convivenza civile, al cui riscontro è subordinata la stessa valutazione di esito positivo della messa alla prova (art. 29 del d.P.R. n. 448 del 1988). Le stesse prescrizioni che limitano la libertà di autodeterminazione e di movimento dell’imputato minorenne – imponendogli la frequenza di corsi scolastici o professionali, percorsi terapeutici, attività di volontariato, e persino la residenza in specifici luoghi, come le case-famiglia, in cui vigano determinati orari – non possono che considerarsi come altrettante occasioni educative, volte a stimolare nel giovane un percorso di revisione critica del proprio passato e un correlativo processo di cambiamento, il cui esito positivo potrebbe rendere non più necessaria la celebrazione di un processo e l’inflizione di una pena nei suoi confronti. Qualsiasi processo educativo, d’altronde, passa necessariamente attraverso l’imposizione di regole, che limitano nell’immediato la libertà di individui la cui personalità è ancora in formazione”.

La ricostruzione fornita dalla Corte Costituzionale non può che fare concludere nel senso che le prescrizioni contenute nell’ordinanza di sospensione del processo con messa alla prova, benché non abbiano carattere sanzionatorio, presentano una finalità eminentemente rieducativa e di recupero che presuppone la consapevolezza dell’imputato di dover recuperare qualcosa, di dover rielaborare quanto commesso al fine di poter- all’esito della prova- andare incontro ad una nuova versione di se stesso, acquisendo gli strumenti per pensarsi e pensare la realtà che lo circonda in termini positivi. Viceversa, disporre la sospensione del processo con messa alla prova nei confronti di un minore che non ha commesso il reato, vorrebbe dire trasmettere un’idea di giustizia distorta dalle esigenze deflattive del processo che non appartengono al rito minorile.

La Messa alla Prova non può essere intesa quale strategia processuale, via più breve sic et sempliciter per ottenere l’estinzione del reato, ma quale occasione educativa di crescita e riscatto offerta dallo Stato ad un essere umano ancora in fieri e perciò non dotato di tutti gli strumenti per poter agire consapevolmente e discernere il valore dal disvalore sociale delle condotte commesse.

6. Conclusioni

All’esito del presente lavoro di indagine si può rilevare che le finalità perseguite dal legislatore nel rito minorile in termini di responsabilizzazione e recupero del minore autore di reato rinvengano nell’istituto della sospensione del processo con messa alla prova un terreno fertile nella misura in cui essa può essere qualificata quale occasione educativa. D’altro canto, l’analisi effettuata ha dato modo di scorgere una problematicità intrinseca dell’istituto che probabilmente è dovuta al fatto che è stato importato da culture giuridiche differenti da quella Italiana, sulla scorta di un generale principio di de-stigmatizzazione del minore nonché di minima offensività del processo.

Nonostante gli apprezzabili interventi della Corte Costituzionale che hanno in parte delineato i tratti essenziali dell’istituto distinguendolo di volta in volta dalla messa alla prova per adulti e dall’affidamento in prova ai servizi sociali, non può sottacersi che la scarsa determinatezza delle norma contenute nel D.P.R. 448/88 presti il fianco non solo ad una eccessiva discrezionalità del Giudice procedente ma per l’effetto possa cagionare diverse interpretazioni e applicazioni dell’istituto con correlata violazione del principio di uguaglianza.

Allo stesso modo sarebbe auspicabile un intervento del Legislatore volto a consentire al Tribunale per i Minorenni di intervenire direttamente sull’individuazione del contenuto del progetto di messa alla prova, cosa che attualmente è demandata ai servizi minorili per l’amministrazione della giustizia, potendo il giudice unicamente sollecitare delle variazioni o integrazioni.

Si ritiene infatti che, se compito dei servizi, sia proporre un progetto in base alle risorse anche familiari del minore nonché territoriali, il Tribunale per i Minorenni - anche in ragione della sua composizione mista- sia l’unica autorità legittimata ad avere potere decisionale in ordine al contenuto della M.A.P., se non altro per gli effetti giuridici sostanziali che l’esito della stessa è destinato a sortire.

Il giudice minorile sospende il processo sulla base di una valutazione prognostica; pertanto, una volta rilevata la sussistenza del presupposto dell’istituto deve essere messo nelle condizioni, non solo di effettuare un controllo sul contenuto del progetto, ma di poterlo elaborare sulla base delle indicazioni dei servizi minorili, includente le prescrizioni che ritiene effettivamente adeguate alle esigenze educative dell’imputato. Il Tribunale per i Minorenni è sede in cui tutte le parti del processo perseguono il medesimo interesse che equivale al miglior interesse per il minore.

A tal proposito, sarebbe auspicabile un intervento del Legislatore in punto di maggiore definizione dei presupposti di accesso all’istituto, onde evitare che nella prassi si dia luogo ad un abuso dello stesso che ne svilisca la ratio e trasformi il processo minorile in un teatro di strategie processuali che esulano dalla logica d’intervento sul minore autore di reato.


Note e riferimenti bibliografici

[1]  GIAMBRUNO,  Il processo penale minorile, Padova, 2001,  sostiene che “La Circolare Orlando rappresentò certamente un punto fondamentale verso la creazione del Tribunale per i minorenni sebbene non ebbe in concreto l’attuazione auspicata, benché nelle more dell’intervento legislativo, risultò indubbiamente preziosa”

[2] Art. 2 REGIO DECRETO-LEGGE 20 luglio 1934, n. 1404

[3] Con la L. n. 1441/1956 è stato previsto che i componenti laici del collegio dovessero essere due e che gli stessi fossero di sesso contrapposto con una età minima di 30 anni.

[4] Art. 1 REGIO DECRETO-LEGGE 20 luglio 1934, n. 1404

[5] Art. 8 REGIO DECRETO-LEGGE 20 luglio 1934, n. 1404

[6] LOSANA, in Commento al Nuovo Codice di Procedura Penale. Coordinato da CHIAVARIO, vol.1. Leggi collegate, Torino, 1994

[7] GIAMBRUNO, Lineamenti di diritto processuale penale minorile, Milano, 2004

[8] BARGIS, (a cura di), Procedura penale minorile, Torino, 2021

[9] Corte Cost. n. 25/1964 : «la giustizia minorile ha una particolare struttura in quanto è diretta in modo specifico alla ricerca delle forme più adatte per la rieducazione dei minorenni»; Corte Cost. n. 222/1983 :si afferma la necessità di un organo in grado di formulare prognosi individualizzate in ordine alla prospettiva di recupero del minore deviante, sempre nell'alveo della protezione della gioventù tutelata dalla Costituzione. E questo poteva essere assicurato solo attraverso la formazione specifica che la legge prevede per i componenti della magistratura minorile; Corte Cost. n. 76/1978 : Con questa decisione, la Corte, primariamente, rafforzava il legame esistente tra le disposizioni ex artt. 2, 3, 13, 27) e la necessaria salvaguardia statale del minore. Ma, soprattutto, indicava al Legislatore lo spirito di sistema della giustizia minorile ossia l'estremo tentativo che ciascun attore istituzionale deve compiere per «non [...] lasciare intentata alcuna possibilità di recupero di soggetti non ancora del tutto maturi dal punto di vista fisiopsichico».

[10] Regola n.1, par.3 .

[11] CHIAPPINELLI , Il processo penale minorile, 2003

[12] Art. 1, comma 1, d.p.r. n. 448 del 1988: "Nel procedimento a carico di imputati minorenni si osservano le disposizioni del presente decreto e, per quanto da esse non previsto, quelle del codice di procedura penale. Tali disposizioni sono applicate in modo adeguato alla personalità e alle esigenze educative del minorenne"

[13] NOSENGO, La funzione educativa del processo penale minorile: spunti per una riflessione, in Minorigiustizia, 4/2009, pp. 164-176.

[14] MORO, Manuale di diritto minorile, Bologna, 2019.

[15] MACRILLO’, FILOCAMO, MUSSINI, TRIPICCIONE, Il processo penale minorile. Con formulario e Giurisprudenza, Bologna, 2017.

[16] BOUCHARD, Processo penale minorile, in Dig. Disc.pen., X, Torino, 1995.

[17] IMPERIALE, La Mediazione Penale Minorile, in L’Altro Diritto, Firenze, 2007.

[18] MACCARONI, Lineamenti essenziali di Procedura Penale Minorile, Roma, 2017.

[19] Art. 27 d.p.r 448/88 : “Durante le indagini preliminari, se risulta la tenuità del fatto e la occasionalità del comportamento, il pubblico ministero chiede al giudice sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto quando l'ulteriore corso del procedimento pregiudica le esigenze educative del minorenne. 2. Sulla richiesta il giudice provvede in camera di consiglio sentiti il minorenne e l' esercente la potestà dei genitori, nonché' la persona offesa dal reato. Quando non accoglie la richiesta il giudice dispone con ordinanza la restituzione degli atti al pubblico ministero. 3. Contro la sentenza possono proporre appello il minorenne e il procuratore generale presso la corte di appello. La corte di appello decide con le forme previste dall'articolo 127 del codice di procedura penale e, se non conferma la sentenza, dispone la restituzione degli atti al pubblico ministero. 4. Nell' udienza preliminare, nel giudizio direttissimo e nel giudizio immediato, il giudice pronuncia di ufficio sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto, se ricorrono le condizioni previste dal comma 1.” La L. 5 febbraio1992, n.123,ha disposto(con l'art.3, comma 1) che "Nei procedimenti pendenti alla data di entrata in vigore della presente legge la sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto prevista dall'articolo 27 del citato testo approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 settembre 1988, n. 448, come modificato dall'articolo 1 della presente legge, può essere pronunciata in ogni stato e grado del procedimento".

[20] CUZZOLA, PELLEGRINO, La Mediazione Penale, Milano, 2018

[21] LANZA, La sospensione del processo con messa alla prova dell’imputato minorenne, Milano, 2003

[22] BERTOLINO, Trattato di Diritto Penale, Parte Generale, Vol.1, Torino, 2009

[23] Una deroga a questo principio è prevista dal secondo comma, laddove è previsto che : “L'imputato che abbia compiuto gli anni sedici può chiedere che l'udienza sia pubblica. Il tribunale decide, valutata la fondatezza delle ragioni addotte e l’opportunità di procedere in udienza pubblica, nell'esclusivo interesse dell'imputato.”

[24] MASTROPASQUA, Aa.Vv.. Nuove esperienze di Giustizia Minorile - Unico 2013, Roma, 2015.

[26] GIAMMELLO, MERCURIO, QUATTROCCHI, Il lavoro nel carcere che cambia, Milano, 2013

[27] SCIVOLETTO, Sistema penale e minori, Roma, , 2001

[28] La stessa Corte Costituzionale in molte pronunce ha avuto modo di ribadire tale principio, in particolare nella sentenza n. 412 del 1990, la Corte rileva come l'esigenza del recupero del minore è talmente preminente da prevalere sulla pretesa punitiva dello Stato, anche con riferimento a reati puniti con la pena dell'ergastolo, per cui si può dedurre che la pena detentiva va considerata come ultima ratio.

[29] PENNISI (a cura di), La giustizia penale minorile: formazione, devianza, diritto e processo, Milano, 2004

[30] Corte cost., sent. n. 168/1994, in Racc. uff., cit., vol. CXI, 1994

[31] Corte cost., sent. n. 450/1998, in Giurisprudenza costituzionale, vol.2, 1998

[32] Regole di Pechino, parr. 11-19

[33] MASTROPASQUA, I minori e la giustizia. Operatori e servizi dell'area penale, Napoli, Napoli, 1997

[34] AMARA, La messa alla prova nel rito minorile e “l’invidia” del P.M. ordinario, in Giust. Ins., 18 Febbraio 2020

[35] FRACCAROLLO, Intervista a Piercarlo Pazè, direttore della rivista minorigiustizia, sulla pratica della messa alla prova in Italia, in www.minoriefamiglia.it

[36] Vedi Relazione al testo definitivo delle disposizioni sul processo a carico di minorenni, in Gazz. Uff., 24 Ottobre 1988

[37] LOSANA, in Commento al codice di procedura penale. Leggi collegate, vol. I, Il processo penale minorile, a cura di Chiavario,

[38] TARUFFO, La ricezione del modello di juvenile probation statunitense nell’ordinamento italiano, in Min. Giust. 2002, pag.105 : Il probation è un istituto del diritto penale di origine angloamericana consistente in una decisione che, in luogo di una pena detentiva, impone al condannato di osservare determinate condizioni idonee al suo reinserimento sociale, sotto la supervisione dei servizi sociali addetti al controllo dei condannati ammessi al probation. Il giovane è quindi messo alla prova per un periodo in cui deve comportarsi in modo socialmente accettabile, e in particolare deve seguire le prescrizioni del giudice in ordine alle sue frequentazioni, agli studi, al lavoro. In tale periodo è affiancato dal probation officer, un soggetto con funzioni di sostegno, aiuto ma anche di controllo e di verifica degli obbiettivi imposti.

[39] CESARI, Sub art.28, in Il processo penale minorile, commento al d.p.r. 448/1988, a cura di GIOSTRA, Milano, 2016; GIAMBRUNO, Il processo penale minorile, Padova, 2001; LANZA, La sospensione del processo con messo alla prova dell’imputato minorenne, Milano, 2003.

[40] LOSANA, in Commento al Nuovo Codice di Procedura Penale. Coordinato da CHIAVARIO, vol.1. Leggi collegate, Torino, 1994; c.f.r. PALOMBA, Il sistema del processo penale Minorile, Milano 2002.

[41] COLAMUSSI, La Messa alla Prova, Padova, 2010

[42] FUMU, Le difficili scelte del Legislatore Minorile tra accertamento, educazione e sanzione, in A.A.V.V. Questioni nuove di Procedura Penale, Padova, 1991

[43] DE LUCA, Gli accertamenti sulla personalità dell’autore di reato minorenne e il divieto di perizia psicologica nel rito ordinario: riflessioni e nuove prospettive, in Cass. Pen, VI, 2018, pp.

[44] PALAZZO, Nel dedalo delle riforme recenti e prossime venture (a proposito della legge n. 67/2014), in Riv. it. dir. proc. pen., 2014, p. 1693 ss.

[45] Corte Cost. sent. n. 412 del 24 Settembre 1990

[46] Corte Cost. sent. n. 168 del 27-28 Aprile 1994, in Gazz. Uff. del 4 Maggio 1994: “Dichiara  l'illegittimita'  costituzionale  degli artt. 17 e 22 del codice penale nella parte in cui non escludono  l'applicazione  della pena dell'ergastolo al minore imputabile; Dichiara,  in applicazione dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87: a) l'illegittimita' costituzionale dell'art. 69, quarto  comma, del  codice  penale, nella parte in cui prevede che nei confronti del minore imputabile sia applicabile la  disposizione  del  primo  comma dello  stesso  articolo  69  in  caso  di concorso tra la circostanza attenuante di cui  all'art.  98  del  codice  penale  e  una  o  più circostanze aggravanti che comportano la pena dell'ergastolo, nonché' nella  parte in cui prevede che nei confronti del minore stesso siano applicabili le disposizioni del primo e del terzo  comma  del  citato art.  69,  in  caso  di concorso tra la circostanza attenuante di cui all'art. 98 del codice penale e una o più circostanze aggravanti che accedono  ad  un  reato  per  il  quale  è  prevista  la  pena  base  dell'ergastolo;  b) l’illegittimità costituzionale dell'art. 73, secondo comma, del  codice  penale,  nella parte in cui, in caso di concorso di più delitti commessi da minore imputabile, per ciascuno  dei  quali  deve infliggersi  la  pena  della  reclusione non inferiore a ventiquattro anni, prevede la pena dell'ergastolo.”

[47] Art. 44 D.lgs. 14 Gennaio 1991, n. 12 “ Disposizioni integrative e correttive della disciplina processuale penale e delle norme ad essa collegate”, in Gazz. Uff.

[49] LARIZZA, Le nuove risposte istituzionali alla criminalità minorile, in Trattato di Diritto di Famiglia, diretto da ZATTI, vol. V, Milano, 2011

[50] PALOMBA, Il sistema del processo penale minorile , Milano, 2002

[51] CESARI, Sub art.28, in Il processo penale minorile, commento al d.p.r. 448/1988, a cura di GIOSTRA, Milano, 2016

[52] BASCO-DE GENNARO, La messa alla prova nel processo penale minorile, Torino,

1997

[53] art 12, comma 2, d.p.r. 448/88

[54] art 29 d.p.r. 448/88

[55] Art. 32 d.p.r. 448/88 : “1. Nell'udienza preliminare, prima dell'inizio della discussione, il giudice chiede all'imputato se consente alla definizione del processo in quella stessa fase, salvo che il consenso sia stato validamente prestato in precedenza. Se il consenso è prestato, il giudice, al termine della discussione, pronuncia sentenza di non luogo a procedere nei casi previsti dall'articolo 425 del codice di procedura penale o per concessione del perdono giudiziale o per irrilevanza del fatto (1).2. Il giudice, se vi è richiesta del pubblico ministero, pronuncia sentenza di condanna quando ritiene applicabile una pena pecuniaria o una sanzione sostitutiva. In tale caso la pena può essere diminuita fino alla metà rispetto al minimo edittale.

3. Contro la sentenza prevista dal comma 2 l'imputato e il difensore munito di procura speciale possono proporre opposizione, con atto depositato nella cancelleria del giudice che ha emesso la sentenza, entro cinque giorni dalla pronuncia o, quando l'imputato non è comparso, dalla notificazione dell'estratto. La sentenza è irrevocabile quando è inutilmente decorso il termine per proporre opposizione o quello per impugnare l'ordinanza che la dichiara inammissibile. (2)

3-bis. L'esecuzione della sentenza di condanna pronunciata a carico di più minorenni imputati dello stesso reato rimane sospesa nei confronti di coloro che non hanno proposto opposizione fino a quando il giudizio conseguente all'opposizione non sia definito con pronuncia irrevocabile (3).

4. In caso di urgente necessità, il giudice, con separato decreto, può adottare provvedimenti civili temporanei a protezione del minorenne. Tali provvedimenti sono immediatamente esecutivi e cessano di avere effetto entro trenta giorni dalla loro emissione.”

[56] BOUCHARD, Vittime e colpevoli: c’è spazio per una giustizia riparatrice? In Questione Giustizia, 1995

[58] LANZA, La sospensione del processo con messa alla prova dell'imputato minorenne, Giuffrè, Milano, 2003

[59] LOSANA, Commento all'art. 28, in M. Chiavario (a cura di), già cit

[60] G.u.p. Trib. min. Perugia 3-11-1994, in Rass. giur. Umbra 96, p. 193

[61] CIAVOLA, La specificità delle formule decisorie minorili, in La giurisdizione specializzata nella giustizia penale minorile , a cura di ZAPPALÀ, Torino 2019.

[62] Corte. cost. n. 125/1995

[63] PALOMBA, Il sistema del processo penale minorile, Milano, 2002

[64] PANEBIANCO, Il sistema penale minorile, Torino, 2012

[66] DOSI, L’avvocato del minore nei procedimenti civili e penali, Torino, 2010

[67] Corte Cost. Sent. 135/1995,

[68] Corte Cost. Sent. n. 68/2019 del 29 Marzo 2019

Bibliografia

AMARA, La messa alla prova nel rito minorile e “l’invidia” del P.M. ordinario, in Giust. Ins., 18 Febbraio 2020.

BARGIS,  Procedura penale minorile, Torino, 2021.

BASCO-DE GENNARO, La messa alla prova nel processo penale minorile, Torino, 1997

BERTOLINO, Trattato di Diritto Penale, Parte Generale, Vol.1, Torino, 2009

BOUCHARD, 1995, Vittime e colpevoli: c’è spazio per una giustizia riparatrice? In Questione Giustizia, 887

BOUCHARD, Processo penale minorile, in Dig. Disc.pen., X, Torino, 1995

CESARI, Sub art.28, in Il processo penale minorile, commento al d.p.r. 448/1988, a cura di GIOSTRA, Milano, 2016

CHIAPPINELLI, Il processo penale minorile, 2003

CIAVOLA, La specificità delle formule decisorie minorili, in La giurisdizione specializzata nella giustizia penale minorile , a cura di E. Zappalà, Torino 2019.

COLAMUSSI, La Messa alla Prova, Padova, 2010

CUZZOLA, PELLEGRINO, La Mediazione Penale, Milano, 2018

DE LUCA, Gli accertamenti sulla personalità dell’autore di reato minorenne e il divieto di perizia psicologica nel rito ordinario: riflessioni e nuove prospettive, in Cass. Pen, VI, 2018

DOSI, L’avvocato del minore nei procedimenti civili e penali, Torino, 2010

FRACCAROLO, Intervista a Piercarlo Pazè, direttore della rivista minorigiustizia, sulla pratica della messa alla prova in Italia, in www.minoriefamiglia.it

FUMU, Le difficili scelte del Legislatore Minorile tra accertamento, educazione e sanzione, in A.A.V.V. Questioni nuove di Procedura

GIAMBRUNO,  Il processo penale minorile, Padova, 2001

GIAMBRUNO, Lineamenti di diritto processuale penale minorile, Milano, 2004.

GIAMMELLO, MERCURIO, QUATTROCCHI, Il lavoro nel carcere che cambia, Milano, 2013.

IMPERIALE, La Mediazione Penale Minorile, in L’Altro Diritto, Firenze, 2007

LANZA, La sospensione del processo con messa alla prova dell’imputato minorenne, Milano, 2003

LARIZZA, Le nuove risposte istituzionali alla criminalità minorile, in Trattato di Diritto di Famiglia, diretto da ZATTI, vol. V, Milano, 2011

LOSANA, in Commento al Nuovo Codice di Procedura Penale. Coordinato da CHIAVARIO, vol.1. Leggi collegate, Torino, 1994;

MACCARONI, Lineamenti essenziali di Procedura Penale Minorile, Roma, 2017

MACRILLO’, FILOCAMO, MUSSINI, TRIPICCIONE, Il processo penale minorile. Con formulario e Giurisprudenza, Bologna, 2017

MASTROPASQUA, Aa.Vv.. Nuove esperienze di Giustizia Minorile - Unico 2013. Italia, Roma, 2015.

MASTROPASQUA, I minori e la giustizia. Operatori e servizi dell'area penale, Napoli, Napoli, 1997

MORO, Manuale di diritto minorile, Bologna, 2019

NOSENGO, La funzione educativa del processo penale minorile: spunti per una riflessione, in Minorigiustizia, 4/2009, pp. 164-176.

PALAZZO, Nel dedalo delle riforme recenti e prossime venture (a proposito della legge n. 67/2014), in Riv. it. dir. proc. pen., 2014, p. 1693 ss.

PALOMBA, Il sistema del processo penale minorile, Milano, 2002

PANEBIANCO, Il sistema penale minorile, Torino, 2012

PENNISI, La giustizia penale minorile: formazione, devianza, diritto e processo, Milano, 2004

SCIVOLETTO, Sistema penale e minori, Roma, , 2001.

TARUFFO, La ricezione del modello di juvenile probation statunitense nell’ordinamento italiano, in Min. Giust. 2002, 1997