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Pubbl. Mar, 1 Nov 2022
Sottoposto a PEER REVIEW

Osservatorio di Giurisprudenza amministrativa - Luglio/Settembre 2022

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autori Luana Leo , Luisa Giurato



Osservatorio trimestrale relativo alle principali sentenze emesse dalla Corte Costituzionale, dai Tribunali amministrativi regionali e dal Consiglio di Stato in tema di Giurisprudenza amministrativa. Periodo Luglio-Settembre 2022.


ENG Quarterly observatory on the main judgment issued by the Constitutional Court, by the regional admnistrative Courts and by the Council of the State on the subject of administrative Jursiprudence. Period July-September 2022.

SENTENZE IN PRIMO PIANO

1) Giustizia amministrativa - Materie di giurisdizione esclusiva - Controversie attinenti alla complessiva azione di gestione del ciclo dei rifiuti.

Corte cost., 9 giugno 2022, dep. 15 luglio 2022, n. 178 – Pres. Amato – Rel. De Petris – (rif. art. 133, comma 1, lett. p), dell’Allegato 1 (codice del processo amministrativo) al decreto legislativo 02 luglio 2010, n. 104)

(omissis)

RITENUTO IN FATTO

Con ordinanza del 30 gennaio 2021, iscritta al n. 188 del registro ordinanze 2021, il Tribunale ordinario di Reggio Calabria ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 133, comma 1, lettera p), dell’Allegato 1 (codice del processo amministrativo) al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104 (Attuazione dell’articolo 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al governo per il riordino del processo amministrativo), in riferimento agli artt. 3, 24, 25, 100, primo comma, 102, 103, primo comma, 111 e 113, primo comma, della Costituzione.

La citata disposizione prevede che «sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, salvo ulteriori previsioni di legge: […] le controversie aventi ad oggetto le ordinanze e i provvedimenti commissariali adottati in tutte le situazioni di emergenza dichiarate ai sensi dell’articolo 5, comma 1, della legge 24 febbraio 1992, n. 225, nonché gli atti, i provvedimenti e le ordinanze emanati ai sensi dell’articolo 5, commi 2 e 4 della medesima legge n. 225 del 1992 e le controversie comunque attinenti alla complessiva azione di gestione del ciclo dei rifiuti, seppure posta in essere con comportamenti della pubblica amministrazione riconducibili, anche mediatamente, all’esercizio di un pubblico potere, quand’anche relative a diritti costituzionalmente tutelati».

La disposizione è censurata «nella parte in cui, per come univocamente interpretata dalla giurisprudenza della Corte Suprema di cassazione, divenuta vero e proprio “diritto vivente”, devolve alla cognizione della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo anche le controversie risarcitorie, quand’anche relative a diritti costituzionalmente tutelati, promosse ai sensi degli artt. 2043 e 2051 cod. civ, nei confronti della pubblica amministrazione custode dei rifiuti, per i danni conseguenti a comportamenti meramente omissivi della stessa pubblica amministrazione, posti in essere in via di mero fatto, nelle quali la stessa non esercita – nemmeno mediatamente, e cioè avvalendosi della facoltà di adottare strumenti intrinsecamente privatistici – alcun pubblico potere».

Così interpretata, la disposizione si porrebbe in contrasto con i principi enunciati da questa Corte nelle sentenze n. 204 del 2004 e n. 191 del 2006, sicché sussisterebbe la violazione degli indicati parametri costituzionali.

Le questioni di legittimità costituzionale sono sorte nel corso di un giudizio promosso da G. M. nei confronti del Comune di Reggio Calabria e della Regione Calabria per ottenere il risarcimento del danno subito in occasione del suo intervento, in qualità di vigile del fuoco, nello spegnimento di un incendio di rifiuti posti sulla pubblica via. In tale occasione, un getto di olio bollente fuoriuscito da un barile di latta abbandonato tra i rifiuti lo aveva colpito alle gambe, causandogli un danno alla salute. A fondamento della sua domanda G. M. ha fatto valere la responsabilità da cosa in custodia, ai sensi dell’art. 2051 cod. civ., degli enti pubblici convenuti, in quanto «soggetti che avrebbero dovuto fronteggiare l’emergenza rifiuti nel periodo in cui si era verificato l’evento dannoso».

Nel processo principale, la Regione Calabria ha eccepito in via preliminare il difetto di giurisdizione del giudice ordinario, affermando che la controversia rientrerebbe nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in materia di «gestione del ciclo dei rifiuti», ai sensi del citato art. 133, comma 1, lettera p), cod. proc. amm.

Secondo il rimettente, l’eccezione dovrebbe essere accolta sulla base di un orientamento espresso in alcune pronunce della Corte di cassazione divenute ormai diritto vivente (Corte di cassazione, sezioni unite civili, sentenza 28 giugno 2013, n. 16304; terza sezione civile, sentenza 19 dicembre 2014, n. 26913; sesta sezione civile - 3, ordinanza 21 settembre 2017, n. 22009), rese in giudizi relativi al risarcimento dei danni causati a privati cittadini dall’omesso prelievo, trasporto e smaltimento dei rifiuti da parte delle amministrazioni comunali.

Con atto depositato il 17 dicembre 2021, è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per l’inammissibilità o, comunque, per la manifesta infondatezza delle questioni.

RITENUTO IN DIRITTO

Vanno preliminarmente esaminate le eccezioni di inammissibilità sollevate, per mezzo dell’Avvocatura generale dello Stato, dall’interveniente Presidente del Consiglio dei ministri.

Le questioni sarebbero innanzitutto inammissibili per carenza di motivazione sulla non manifesta infondatezza, in quanto il rimettente si sarebbe limitato a lamentare genericamente l’illegittimità costituzionale della norma contestata, nell’interpretazione attribuitale dalla Corte di cassazione, perché non in linea con i principi affermati nelle sentenze di questa Corte n. 204 del 2004 e n. 191 del 2006, senza esporre le ragioni di contrasto con ciascuno dei parametri invocati.

L’eccezione non è fondata.

Le norme costituzionali invocate a parametro coincidono con quelle alla cui stregua questa Corte ha esaminato la disciplina sulla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo nelle pronunce citate, sicché l’ordinanza di rimessione, riproducendone per sintesi il contenuto, dimostra di aderirvi.

Ancora, le questioni sarebbero inammissibili perché il rimettente non avrebbe tentato di interpretare la norma censurata in senso costituzionalmente orientato, adeguandosi a quanto già statuito da questa Corte nell’ordinanza n. 167 del 2011, sulla spettanza al giudice ordinario della giurisdizione nelle controversie riguardanti i comportamenti di mero fatto della pubblica amministrazione, senza l’esercizio di poteri autoritativi, in materia di gestione dei rifiuti.

Nemmeno questa eccezione è fondata.

La tesi del giudice a quo, secondo cui l’interpretazione contestata dell’art. 133, comma 1, lettera p), cod. proc. amm. sarebbe talmente consolidata da costituire diritto vivente, è idonea a legittimare di per sé – e salva la verifica della sua correttezza – la proposizione di una questione di legittimità costituzionale. In base al costante orientamento di questa Corte, infatti, «in presenza di un indirizzo giurisprudenziale consolidato, “il giudice a quo, se pure è libero di non uniformarvisi e di proporre una sua diversa esegesi, ha, alternativamente, la facoltà di assumere l’interpretazione censurata in termini di ‘diritto vivente’ e di richiederne su tale presupposto il controllo di compatibilità con i parametri costituzionali.

Nel merito, le questioni non sono fondate.

Come visto, le censure del rimettente muovono dalla prospettazione di una consolidata interpretazione giurisprudenziale dell’art. 133, comma 1, lettera p), cod. proc. amm., che comporterebbe la devoluzione al giudice amministrativo delle controversie risarcitorie attinenti alla complessiva azione di gestione dei rifiuti posta in essere anche tramite comportamenti di mero fatto della pubblica amministrazione non riconducibili, nemmeno mediatamente, all’esercizio di un potere pubblico.

Un esame attento della giurisprudenza di legittimità in materia – e, in particolare, di quella stessa evocata dal rimettente – porta ad escludere, tuttavia, che un’interpretazione in questi termini della norma censurata esista e sia consolidata al punto da costituire diritto vivente.

In assenza dell’ipotizzato diritto vivente, non vi è dunque alcun contrasto tra la norma censurata, correttamente interpretata, e i parametri costituzionali invocati, con la conseguenza che il rimettente, nel provvedere sull’eccezione di difetto di giurisdizione, ben potrà adottare l’interpretazione dell’art. 133, comma 1, lettera p), cod. proc. amm. da esso stesso condivisa, senza con ciò allontanarsi dalla costante giurisprudenza della Corte di cassazione. Nella controversia al suo esame – stando alla descrizione che ne offre l’ordinanza di rimessione – viene infatti in rilievo una domanda di risarcimento del danno conseguente a comportamenti meramente materiali della pubblica amministrazione, non ricompresi nell’ambito di applicazione della norma censurata, in quanto l’attore nel processo principale si limita a prospettare, secondo lo schema della responsabilità civile ai sensi dell’art. 2051 cod. civ., la relazione causale tra le cose in custodia della pubblica amministrazione e l’evento lesivo, da cui sarebbe derivato il danno ingiusto, senza che in alcun modo venga dato conto di azioni od omissioni della pubblica amministrazione, in relazione alle quali detto comportamento possa essere ricondotto, ancorché in via mediata, al novero dei poteri della stessa amministrazione.

P.Q.M.

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 133, comma 1, lettera p), dell’Allegato 1 (codice del processo amministrativo) al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104 (Attuazione dell’articolo 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al governo per il riordino del processo amministrativo), sollevate dal Tribunale ordinario di Reggio Calabria, in riferimento agli artt. 3, 24, 25, 100, primo comma, 102, 103, primo comma, 111 e 113, primo comma, della Costituzione.

 

Il principio di diritto: si deve escludere che l’art. 133, comma 1, lettera p), cod. proc. amm. “viva” nell’ordinamento nei termini ipotizzati dal rimettente sulla base di una non corretta interpretazione di alcuni precedenti di legittimità.

Il caso e il processo: il Tribunale di Reggio Calabria dubita della legittimità costituzionale dell’art. 133, comma 1, lett. p), dell’Allegato 1 (codice del processo amministrativo) al D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104, in riferimento agli artt. 3, 24, 25, 100, primo comma, 102, 103, primo comma, 111 e 113, primo comma, Cost. La disposizione oggetto di tale giudizio è censurata «nella parte in cui, per come univocamente interpretata dalla giurisprudenza della Corte Suprema di cassazione, divenuta vero e proprio “diritto vivente”, devolve alla cognizione della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo anche le controversie risarcitorie, quand’anche relative a diritti  costituzionalmente  tutelati,  promosse  ai sensi degli articoli 2043 e 2051 del codice civile, nei confronti della pubblica amministrazione custode dei rifiuti, per i danni  conseguenti  a  comportamenti  meramente  omissivi  della  stessa  pubblica  amministrazione,  posti  in essere in via di mero fatto, nelle quali la stessa non esercita – nemmeno mediatamente, e cioè avvalendosi della facoltà di adottare strumenti intrinsecamente privatistici – alcun pubblico potere».

Nell’ottica del rimettente, si sarebbe formato un orientamento del giudice di legittimità in contrasto con talune pronunce che – in linea con le sentenze n. 204 del 2004 e n. 191 del 2006 – hanno delimitato l’ambito  della  giurisdizione  esclusiva  del  giudice  amministrativo nella materia della «gestione dei  rifiuti»  alle  ipotesi  in  cui  «l’amministrazione  agisca  [...]  come  autorità  e  cioè  attraverso  la spendita di poteri amministrativi che possono essere esercitati sia mediante atti unilaterali e autoritativi sia mediante moduli consensuali ai sensi dell’art. 11 della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di  procedimento  amministrativo  e  di  diritto  di  accesso  ai  documenti  amministrativi),  sia  infine  mediante comportamenti,  purché  questi  ultimi  siano  posti  in  essere  nell’esercizio  di  un  potere  pubblico  e  non consistano,  invece,  in  meri  comportamenti  materiali  avulsi  da  tale  esercizio.  In tale ultimo caso, infatti, la cognizione delle controversie nascenti da siffatti comportamenti spetta alla giurisdizione del giudice ordinario».

Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha concluso per l’inammissibilità o, comunque, per la manifesta infondatezza delle questioni, ammettendo che secondo la costante interpretazione offerta dalla Corte regolatrice della giurisdizione l’art.  133, comma 1, lettera p), cod. proc. amm. non si riferirebbe alle controversie risarcitorie che, come nel giudizio a quo, siano fondate su comportamenti della pubblica amministrazione di tipo omissivo, non collegati, nemmeno indirettamente, all’esercizio di pubblici poteri nella materia della gestione dei rifiuti

La soluzione resa dai giudici costituzionali: la prima eccezione non è fondata. Le norme costituzionali invocate a parametro coincidono con quelle alla cui stregua la Consulta ha esaminato la disciplina sulla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo nelle pronunce della Cassazione, sicché l’ordinanza di rimessione, riproducendone per sintesi il contenuto, dimostra di aderirvi. Si deve, altresì, escludere che si sia in presenza di mera motivazione per relationem, avendo ottemperato il rimettente all’obbligo di rendere espliciti, facendoli propri, i motivi della non manifesta infondatezza. Parimenti, la seconda eccezione non è fondata, in quanto il rimettente concede una lettura non implausibile dell’interpretazione data dalla Corte di Cassazione alla norma censurata e ne assume la non superabilità; pertanto, la valutazione della correttezza di tale lettura, e in ultima analisi dell’interpretazione prescelta e della sua portata, deve essere riservata al merito. L’esame analitico delle controversie che le pronunce della Suprema Corte hanno ritenuto devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo conferma la seguente conclusione: restano necessariamente fuori dall’ambito di applicazione della norma contestata le controversie risarcitorie per danni cagionati da meri comportamenti in nessun modo riconducibili a tali poteri, che rientrano invece nella giurisdizione del giudice ordinario. E ciò a prescindere da ogni considerazione circa la dimensione dei danni stessi, essendo a questi fini del tutto irrilevante, a differenza di quanto sembra supporre il rimettente, l’eventuale carattere bagatellare delle pretese risarcitorie, che non può comportare effetto sulla determinazione della giurisdizione.

Gli orientamenti dottrinali e giurisprudenziali sul tema: si delimita l’ambito della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo nella materia della «gestione dei rifiuti» alle ipotesi in cui «l’amministrazione agisca […] come autorità e cioè attraverso la spendita di poteri amministrativi che possono essere esercitati sia mediante atti unilaterali e autoritativi sia mediante moduli consensuali ai sensi dell’art. 11 della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi), sia infine mediante comportamenti, purché questi ultimi siano posti in essere nell’esercizio di un potere pubblico e non consistano, invece, in meri comportamenti materiali avulsi da tale esercizio (Corte cost., n. 204 del 2004; Corte cost., n. 191 del 2006). In tale ultimo caso, infatti, la cognizione delle controversie nascenti da siffatti comportamenti spetta alla giurisdizione del giudice ordinario (Corte cost., n. 35 del 2010).

In presenza di un indirizzo giurisprudenziale consolidato, “il giudice a quo, se pure è libero di non uniformarvisi e di proporre una sua diversa esegesi, ha, alternativamente, la facoltà di assumere l’interpretazione censurata in termini di ‘diritto vivente’ e di richiederne su tale presupposto il controllo di compatibilità con i parametri costituzionali (Corte cost., nn. 180 e 33 del 2021; Corte cost., n. 95 del 2020; Corte cost., n. 39 del 2018; Corte cost. n. 259 del 2017; Corte cost., n. 200 del 2016; Corte cost., n. 201 del 2015).

Secondo la Consulta, “le censure prospettate, in relazione a tutti i parametri costituzionali evocati, muovono da un presupposto interpretativo erroneo e cioè che la norma in esame ricomprenderebbe nel suo ambito applicativo anche i comportamenti meramente materiali posti in essere dalla pubblica amministrazione” (Corte cost., n. 167 del 2011).

Sul riparto di giurisdizione in materia, si veda R. Chieppa, Il processo amministrativo dopo il correttivo al codice, Milano, 2012, 754; F. Mastragostino, G. Gardini, L. Vandelli, La giustizia amministrativa nella giurisprudenza, Santarcangelo di Romagna (RN), 2014, 56; D. Primo Triolo, Il riparto di giurisdizione, Assago (MI), 2017, 140 ss.

 

2) Atto meramente confermativo ed atto di conferma in senso proprio

Cons. St., Sez. V, sent. del 12 aprile 2022, dep. 3 agosto 2022, n. 6819 – Pres. Barra Caracciolo – Rel. Bottiglieri (rif. art. 243-bis d.lgs. n. 267/2000)

(omissis)

RITENUTO IN FATTO

Alcuni dipendenti del Comune di Campione d’Italia impugnavano con ricorso proposto davanti al Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia la deliberazione giuntale n. 78/2013 di adozione del piano di riorganizzazione e riduzione delle ore di lavoro dei dipendenti comunali, la deliberazione giuntale n. 5/2013 e le deliberazioni consiliari nn. 2 e 3 del 2013, quest’ultima approvativa del piano pluriennale di riequilibrio finanziario ex art. 243-bis del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, nonché la deliberazione della Sezione regionale di controllo Corte dei Conti di approvazione del piano stesso, ai sensi del successivo art. 243-quater. Con motivi aggiunti parte dei ricorrenti estendevano l’impugnativa agli atti sopravvenuti, e cioè alla determinazione comunale n. 286/2013 di adozione di nuovi orari di lavoro e di servizio dei dipendenti comunali a far data dal 1° gennaio 2014, al sottostante accordo sindacale siglato il 23 dicembre 2013 e alla relativa deliberazione giuntale di recepimento n. 163/2013.

Il Comune di Campione d’Italia esponeva nelle proprie difese che la riduzione delle ore di lavoro dei dipendenti comunali – analogamente alle altre misure di contenimento delle spese contestualmente adottate – si era resa necessaria a seguito della rilevante riduzione dei proventi, registrata dall’anno 2011 in poi, dalla Casa da gioco presente nel suo territorio […]. Segnatamente, evidenziava che detta riduzione, dipendente da ragioni di carattere macroeconomico, aveva comportato la previsione di una drastica diminuzione per gli anni 2012/2014 del contributo erogato al Comune dalla Casa da gioco (30 milioni di Frsv. in meno per l’anno 2012 e 22 milioni di Frsv. in meno per gli anni 2013-2014), costituente la principale e vitale entrata comunale.

L’adito Tar definiva il gravame con sentenza della Sezione quarta n. 2393/2015. La predetta sentenza: in via preliminare: - dichiarava il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo quanto all’impugnativa della deliberazione della Sezione regionale di controllo della Corte dei Conti n. 545/2013 approvativa dell’originario piano di riequilibrio finanziario comunale, rilevando che essa andava impugnata davanti al giudice contabile, avente giurisdizione esclusiva in tema di contabilità pubblica ex art. 103 secondo comma Cost., con i modi previsti dal comma 5 dell’art. 243-quater del TUEL; dichiarava estinto il giudizio instaurato con la proposizione del ricorso principale da alcuni ricorrenti, che vi avevano poi ritualmente rinunziato; respingeva l’eccezione di inammissibilità per omessa notifica ai controinteressati, individuati dal Comune sia negli altri dipendenti comunali che avevano beneficiato della scelta dell’Ente di ridurre l’orario di lavoro anziché i posti di lavoro, sia nella società di gestione della Casa da gioco comunale la cui perdurante operatività, nella tesi del deducente, era correlata alle contestate riduzioni. Rilevava in linea generale l’insussistenza di elementi per ritenere che gli atti impugnati comportassero in capo a detti soggetti quei vantaggi diretti, concreti, attuali e giuridicamente rilevanti propri della posizione del controinteressato, e ulteriormente che i dipendenti comunali non ricorrenti erano da qualificarsi come cointeressati e non come controinteressati; respingeva l’eccezione di inammissibilità spiegata dal Comune in relazione all’omessa impugnazione di provvedimenti presupposti a quelli impugnati.

Il Comune ha appellato la predetta sentenza, avverso cui ha dedotto: 1) Violazione e falsa applicazione degli artt. 27, 31, 34, 35 e 39 Cod. proc. amm.; omessa notifica; travisamento dei presupposti; perplessità della motivazione; 2) Violazione e falsa applicazione degli artt. 31, 34, 35 e 39 Cod. proc. amm. Sotto altro profilo; travisamento dei presupposti di fatto e di diritto; perplessità della motivazione; 3) Violazione e falsa applicazione degli artt. 31, 34, 35 e 39 Cod. proc. amm. sotto ulteriore profilo; travisamento dei presupposti di fatto e di diritto; contraddittorietà; 4) Violazione e falsa applicazione degli artt. 31, 34, 35 e 39 Cod. proc. amm. sotto ulteriore profilo; travisamento dei presupposti di fatto e di diritto; omessa declaratoria di improcedibilità; 5) Violazione e falsa applicazione degli artt. 31, 34, 35 e 39 Cod. proc. amm.; violazione e falsa applicazione degli artt. 62 e 63 Cod. proc. amm.; travisamento dei presupposti di fatto e di diritto; omessa declaratoria della cessazione della materia del contendere; 6) Violazione e falsa applicazione degli artt. 31, 34 e 39 Cod. proc. amm.; violazione e falsa applicazione dell’art. 33 d.lgs. 165/2001 e dell’art. 243-bis d.lgs. 267/2000; travisamento dei presupposti di fatto e di diritto; difetto assoluto di motivazione; 7) Violazione e falsa applicazione degli artt. 31, 34 e 39 Cod. proc. amm.; violazione e falsa applicazione dell’art. 33 d.lgs. 165/2001 e dell’art. 243-bis d.lgs. 267/2000 sotto altro profilo; travisamento dei presupposti di fatto e di diritto; 8) Violazione e falsa applicazione degli artt. 31, 34 e 39 Cod. proc. amm.; violazione e falsa applicazione dell’art. 45 d.lgs. 165/2001; travisamento dei presupposti di fatto e di diritto; perplessità della motivazione. Ha concluso per la riforma della sentenza gravata.

Nell’ambito delle prime difese svolte, i predetti resistenti hanno evidenziato che l’art. 7 comma 9-sexiesdecies del d.-l. 19 giugno 2015 n. 78, convertito dalla l. 6 agosto 2015 n. 125, sopravvenuto alla trattazione della causa in primo grado, in considerazione delle particolari condizioni geo-politiche del Comune di Campione d’Italia per l’anno 2015, gli ha attribuito un contributo di 8 milioni di euro, ciò che, secondo i deducenti, ha fatto venir meno il presupposto della sofferenza economico-finanziaria su cui si fonda l’appello nonché dell’esigenza di riduzione dell’orario di lavoro e della conseguente decurtazione dello stipendio dei dipendenti comunali, con conseguente inammissibilità del gravame per carenza di interesse ex art. 35 Cod. proc. amm.. Successivamente, gli appellati resistenti hanno rappresentato che la progressiva riduzione del contributo della Casa da gioco nei confronti del Comune ha determinato irrimediabili ripercussioni sulla capacità dell’amministrazione di fare fronte alle spese necessarie per lo svolgimento delle funzioni istituzionali, da cui la dichiarazione dello stato di dissesto dell’Ente nel 2018 e la conseguente riduzione del personale dipendente a norma dell’art. 259 TUEL, con collocazione di alcuni di essi in esubero (al 50% o per intero). Hanno quindi ribadito l’infondatezza dell’appello del Comune, esponendo che la situazione in cui versava l’Ente imponeva evidentemente l’adozione di misure diverse da quelle qui in contestazione, nonché eccepito l’improcedibilità del gravame per sopravvenuta carenza di interesse, stante l’incompatibilità tra le misure poste in essere a seguito della dichiarazione di dissesto e quelle annullate dal Tar. Da ultimo, i resistenti hanno rappresentato che con deliberazione del 22 marzo 2022 la Sezione regionale di controllo per la Lombardia della Corte dei conti non ha approvato il piano di riequilibrio finanziario adottato dal Comune appellante con le delibere consiliari nn. 9 e 18 del 2021.

RITENUTO IN DIRITTO

Le questioni preliminari svolte dagli appellati resistenti non sono fondate.

Nel processo amministrativo l’interesse a ricorrere è caratterizzato dalla presenza delle stesse condizioni che qualificano l’interesse ad agire ai sensi dell’art. 100 Cod. proc. civ., consistenti nella prospettazione di una lesione concreta e attuale della sfera giuridica del ricorrente e nell’effettiva utilità che potrebbe derivare a quest’ultimo dall’eventuale annullamento o dalla declaratoria di nullità degli atti impugnati. Agli stessi principi soggiacciono i mezzi di impugnazione (Cons. Stato, V, 4 ottobre 2019, n. 6689; 27 dicembre 2013, n. 6256). L’interesse a impugnare una sentenza amministrativa deve infatti ricollegarsi a una situazione di soccombenza, anche parziale, da intendersi in senso sostanziale e non formale (Cons. Stato, III, 7 luglio 2014, n. 3441; IV, 6 agosto 2013, n. 4132); correlativamente, l’improcedibilità dell’impugnazione per sopravvenuta carenza d’interesse presuppone che, per effetto di sopravvenienze giuridiche o di fatto, si sia determinata una situazione che renda del tutto priva di qualsiasi utilità la decisione giurisdizionale di secondo grado (Cons. Stato, V, 17 giugno 2014, n. 3094).

Nel merito, il Collegio ritiene di fare ricorso al criterio della c.d. “ragione più liquida”, elaborato dalla giurisprudenza amministrativa sulla scorta del paradigma sancito dagli artt. 49 comma 2 e 74 Cod. proc. amm., che comporta la possibilità di definire il giudizio in conseguenza dell’esame esclusivo di una questione assorbente, idonea, di per sé, a sorreggere la decisione, e pertanto tale da non richiedere alcuna valutazione sulle altre questioni dibattute tra le parti.

Di contro, non persuadono le difese svolte sul punto dagli appellati resistenti. Questi ultimi affermano che la deliberazione n. 23/2013 abbia sostanzialmente confermato, per quanto di interesse di questo giudizio, il contenuto del piano di riequilibrio approvato con la impugnata deliberazione n. 3/2013, apportandovi esclusivamente una modifica, peraltro a loro favorevole (il pagamento dei contributi previdenziali anche per le ore non lavorate), sicché la sua impugnazione non era necessaria. Ma così non è.

Il piano rimodulato, per quanto qui di interesse, non può quindi essere ricondotto alla categoria degli atti “meramente confermativi”, che sono insuscettibili di una autonoma impugnazione per carenza di un carattere autonomamente lesivo. L’atto “meramente confermativo”, infatti, senza compiere alcuna nuova istruttoria e senza una nuova motivazione, si limita a dichiarare l’esistenza di un precedente provvedimento ovvero si connota per la sola funzione di illustrare che la questione che ne forma oggetto è stata già delibata con un precedente provvedimento.

P.Q.R.

accoglie il ricorso, disponendo per l’effetto la riforma parziale della sentenza impugnata con declaratoria di improcedibilità, per sopravvenuta carenza di interesse, delle impugnazioni accolte al punto 3 del relativo dispositivo. Fermo il resto. Condanna gli appellati resistenti alle spese del giudizio nei confronti del Comune appellante. Compensate le altre. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Il principio di diritto: l’atto “meramente confermativo” è quello che, a differenza dell’atto “di conferma”, esprime la ritenuta insussistenza, da parte dell’amministrazione, di valide ragioni di riapertura del procedimento già conclusosi con una precedente determinazione.

Il caso e il processo: con due atti, i ricorrenti lamentavano, mediante articolate censure di violazione di legge ed eccesso di potere, che il piano di riorganizzazione e di riduzione avesse illegittimamente introdotto misure incompatibili con il contenuto dei piani di riequilibrio finanziario pluriennale e modificato il trattamento retributivo dei dipendenti comunali e il loro orario di lavoro. Il Comune di Campione d’Italia sosteneva che la riduzione delle ore di lavoro dei dipendenti comunali era preferibile ad altre misure, poichè reversibile, di carattere temporaneo, conservativa del quadro occupazionale e implicava il minor sacrificio possibile per gli interessati. Il Tar definiva il gravame con sentenza della Sezione quarta n. 2393/2015, marcando come le contestazioni formulate avessero ad oggetto non lo stato di disequilibrio dichiarato dall’Amministrazione o le decisioni inerenti il contributo dovuto dalla società di gestione, ma le scelte discrezionali compiute dall’Ente per ripristinare l’equilibrio finanziario.

In aggiunta, si escludeva che l’inammissibilità dell’impugnativa potesse derivare dalla mancata impugnazione della delibera consiliare n. 23/2013 di modifica del piano di riequilibrio finanziario, in quanto questa, “pur avendo introdotto alcune innovazioni incidenti sul profilo economico, come il pagamento dei contributi previdenziali anche per le ore non lavorate, nondimeno non ha eliminato la decurtazione retributiva, né quella dell’orario di lavoro”.

Infine, si riteneva che l’intervenuta stipulazione di un nuovo accordo sindacale non avesse determinato la cessazione della materia del contendere, dal momento che l’accordo non era immediatamente vincolante per i dipendenti, non eliminava le decurtazioni censurate, non incideva sui periodi di tempo anteriori alla sua adozione, e del resto era stato impugnato in uno agli atti connessi con i mezzi aggiunti.

Nel merito, il Tar accoglieva l’impugnativa e annullava tutti gli atti gravati.

Il Comune ha appellato la predetta sentenza. Alcuni dei ricorrenti vittoriosi in primo grado, parimenti costituiti in giudizio, hanno sostenuto l’infondatezza dei motivi di appello e ne hanno domandato la reiezione.

La soluzione resa dal Consiglio: le questioni preliminari svolte dagli appellati resistenti non sono fondate. Si osserva che l’interesse del Comune ad agire avverso la sentenza di primo grado che lo vede integralmente soccombente non può ritenersi inficiato, a monte o in itinere, dai fatti menzionati dagli appellati resistenti, che sono tutti successivi a tale giudizio e che evidenziano univocamente che lo squilibrio economico-finanziario dell’Ente determinante l’adozione degli atti gravati perdura a tutt’oggi.

Non persuadono le difese svolte sul punto dagli appellati resistenti. Gli stessi appellati resistenti confermano infatti quanto già sostenuto dal Comune in ordine alla circostanza che la rimodulazione del piano è avvenuta sulla base di una nuova istruttoria, condotta sulla base delle osservazioni espresse dagli enti competenti sul piano originario di riequilibrio.

La delibera sopravvenuta è un “atto di conferma in senso proprio”, e, in quanto tale, lungi da avere lo scopo adombrato dagli appellati resistenti, di porre nel nulla, in via di autotutela, gli atti precedenti, o di sostituirli e annullarli, intendeva confermare (e integrare) alla luce di altri elementi, le precedenti determinazioni, che, una volta confermate (e integrate), hanno trovato una nuova fonte.

Gli orientamenti dottrinali e giurisprudenziali sul tema: L’interesse a impugnare una sentenza amministrativa deve ricollegarsi a una situazione di soccombenza, anche parziale, da intendersi in senso sostanziale e non formale (Cons. Stato, III, 7 luglio 2014, n. 3441; IV, 6 agosto 2013, n. 4132). L’improcedibilità dell’impugnazione per sopravvenuta carenza d’interesse presuppone che, per effetto di sopravvenienze giuridiche o di fatto, si verifichi una situazione che renda priva di qualsiasi utilità la decisione giurisdizionale di secondo grado (Cons. Stato, V, 17 giugno 2014, n. 3094). Per la giurisprudenza, l’attualità dell’interesse a ricorrere va accertata anche tenendo conto della situazione di fatto e di diritto sussistente al momento della decisione (Cons. Stato, V, 5 aprile 2022, n. 2525). L’atto “meramente confermativo” senza compiere alcuna nuova istruttoria e senza una nuova motivazione, si limita a dichiarare l’esistenza di un precedente provvedimento (Cons. Stato, V, 8 novembre 2019, n. 7655; 17 gennaio 2019, n. 432; III, 27 dicembre 2018, n. 7230; 22 giugno 2018, n. 3867; IV, 12 settembre 2018, n. 5341; VI, 10 settembre 2018, n. 5301; III, 8 giugno 2018, n. 3493; V, 10 aprile 2018, n. 2172; 27 novembre 2017, n. 5547; IV, 27 gennaio 2017, n. 357; 12 ottobre 2016, n. 4214; 29 febbraio 2016, n. 812) ovvero si connota per la sola funzione di illustrare che la questione che ne costituisce oggetto è stata già delibata con un precedente provvedimento. La stessa delibera, in quanto adottata all’esito di una nuova istruttoria e di una rinnovata ponderazione degli interessi, e pertanto caratterizzata anche da una nuova motivazione (C. Stato, VI, 13 luglio 2020, n. 4525; II, 24 giugno 2020, n. 4054; VI, 30 giugno 2017, n. 3207; IV, 12 ottobre 2016, n. 4214; 29 febbraio 2016, n. 812; 12 febbraio 2015, n. 758; 14 aprile 2014, n. 1805), va inquadrata come “atto di conferma in senso proprio”, e, in quanto tale, suscettibile di autonoma impugnazione (Cons. Stato, V, 22 giugno 2018, n. 3867).

Sulla differenza tra i due tipi di atti, la dottrina è fiorente. In particolare, si veda G. Vercillo, Riflessioni intorno all’interpretazione (a margine della lectio magistralis di Bruno Cavallo), in Studi in onore di Bruno Cavallo, Torino, 2021, 408 ss.; M. Silvestri, Potere pubblico e autotutela amministrativa, Torino, 2021, 134 ss.; W. Troise Mangoni, L'esercizio retroattivo del potere amministrativo. Limiti e garanzie a tutela dell'individuo, Torino, 2016, 7 ss.

 

3) Accesso civico generalizzato – Società a partecipazione pubblica quotate

Cons. St., Sez. VI, sent. del 23 giugno 2022, dep. 12 settembre 2022, n. 7896 – Pres. Volpe – Rel. De Luca (rif. art. 2 bis, comma 2, d.lgs. n. 33/2013; art. 2, comma 1, lett. p, d.lgs. n. 175/16)

(omissis)

RITENUTO IN FATTO

Con istanza del 12 giugno 2019, una giornalista dipendente della Rai Radiotelevisione Italiana s.p.a. con la qualifica di redattore ordinario e mansioni di conduttrice ha rappresentato alla propria parte datoriale di essere venuta a conoscenza di una serie di nomine, comunicate dal Comitato di Redazione nell’aprile e nel maggio 2019, disposte (secondo la prospettazione della dipendente) senza alcun previo interpello necessario per consentire la partecipazione di tutti i dipendenti del TG1 in ipotesi interessati. Per l’effetto, l’istante ha chiesto: - di sapere se il Direttore, nel rispetto delle regole di imparzialità e trasparenza, avesse dato prova dell’espletata ricognizione preliminare sulle risorse interne idonee a ricoprire le posizioni in contestazione, della predeterminazione dei parametri per la valutazione dell’adeguatezza a ricoprire tali posizioni, della pubblicità della procedura, dell’obiettività dei criteri adottati e della comunicazione preventiva al competente Comitato di redazione del TG1 ex art. 34 CNLG e punto 10 della Carte dei diritti e doveri del giornalista radiotelevisivo del servizio pubblico; - di sapere quali fossero i criteri osservati nella modifica della struttura organizzativa preesistente; - di verificare se il Direttore del TG1, in occasione dell’assegnazione degli incarichi de quibus, avesse tenuto conto della posizione lavorativa dell’istante (qualifica e mansioni assegnate); - la visione e l’accesso ai seguenti documenti: a) “la comunicazione formale, obbligatoria e preventiva fatta dal direttore del TG1 al competente CdR ex art. 34 del CNLG e punto 10 della “Carta dei diritti e doveri del giornalista radiotelevisivo del servizio pubblico”, parte integrante del contratto, in merito ai curricula e ai criteri di valutazione e di scelta ai fini delle promozioni e dei conferimenti dei relativi incarichi ai colleghi citati compreso quello ad personam”; b) “i curricula e i criteri obiettivi di valutazione, preventivamente comunicati al CDR, che hanno consentito la valutazione dei candidati e la conclusione del relativo procedimento di valutazione e scelta dei colleghi da promuovere o a cui conferire incarichi ad personam”; c) “i documenti contenenti le ragioni delle valutazioni e i riferimenti, normativi e contrattuali, della scelta dei colleghi da destinare alle promozioni, alle nomine e agli incarichi anche ad personam ovvero del giudizio di adeguatezza dei prescelti”.

Con nota del 9 luglio 2019, n. 16640, la Rai ha rigettato l’istanza di accesso di cui alla richiesta del 12 giugno 2019, rappresentando: a) preliminarmente, “l’inesistenza dei documenti richiesti. A tale riguardo è appena il caso di rammentare che le conferenti disposizioni normative in materia e lo stesso CNLG non prescrivono procedure particolari, tantomeno la forma scritta”; b) “in secondo luogo... che l’attività di nomina e assegnazione menzionate rientrano tra le attività inerenti la gestione ordinaria del rapporto di lavoro tra il giornalista dipendente e la Concessionaria del servizio pubblico e come tale sottratta... dall’applicazione al regime di accesso ai documenti di cui all’articolo 22 della legge 241 del 1990”; nella specie, infatti, il conferimento degli incarichi sarebbe avvenuto in base alle prerogative del Direttore di Testata, titolare ai sensi dell’art. 6 CNLG di ampia autonomia nella definizione della linea editoriale e nell’organizzazione redazionale; c) “per mera completezza”, che la designazione delle conduzioni, lungi dal configurarsi come progressione di carriera, avrebbe dato luogo all’assegnazione alle normali attività suscettibili di essere svolte da un giornalista nell’ambito di una testata televisiva; d) “infine”, che il richiamo al D. Lgs. n. 33/2013 doveva ritenersi inconferente, risultando l’applicazione dell’istituto dell’accesso civico escluso per le società, come la Rai, emittenti strumenti finanziari diversi dalle azioni quotare in mercati regolamentati.

La dott.ssa ricorrendo dinnanzi al Tar Lazio, sede di Roma, ha chiesto l’annullamento del diniego di cui alla nota n. 16640/19 cit. e il conseguente accertamento del proprio diritto di accesso, con condanna della società intimata all’integrale ostensione di taluni documenti.

Il Tar Lazio, con sentenza n. 11977 del 2020, ha accolto il ricorso subordinatamente al rispetto di taluni limiti: “a) RAI dovrà consentire alla ricorrente, entro giorni trenta dalla comunicazione o notificazione (se anteriore) della presente sentenza, l’accesso agli atti e documenti richiesti in ricorso che risultino già oggetto dell’istanza di accesso del 12 giugno 2019, pena la nomina –su istanza di parte- di un commissario ad acta che effettuerà l’adempimento entro ulteriori giorni venti dal suo insediamento a spese della RAI; b) l’accesso dovrà essere consentito unicamente agli atti effettivamente formati e detenuti dalla RAI, essendo ontologicamente impossibile che esso sia effettuato rispetto ad atti non documentati: pertanto, nel caso e nella misura in cui taluni degli atti di cui alla superiore lettera a) non siano stati oggetto di documentazione, RAI dovrà fare menzione di tale circostanza; ciò alla luce della condivisibile regola per cui l'Amministrazione può e deve consentire l'accesso unicamente a documenti già esistenti e che siano in suo possesso, in quanto, alla luce del principio ad impossibilia nemo tenetur, anche nei procedimenti di accesso ai documenti amministrativi l'esercizio del relativo diritto o l'ordine di esibizione non può riguardare che i documenti esistenti e non anche quelli non più esistenti o mai formati; e spetta all'Amministrazione destinataria dell'accesso indicare, sotto la propria responsabilità, quali sono gli atti inesistenti che non è in grado di esibire”.

La Rai ha appellato la sentenza di prime cure, deducendone l’erroneità con l’articolazione di plurime censure, comprendenti la scorretta instaurazione del contraddittorio nel giudizio dinnanzi al Tar.

La Sezione, con la sentenza n. 5998 del 23 agosto 2021, ha accolto, in via assorbente, il motivo di appello diretto a denunciare la scorretta instaurazione del contraddittorio in primo grado

La dott.ssa ha riassunto il processo dinnanzi al Tar Lazio, sede di Roma, insistendo nelle conclusioni già rassegnate nell’atto introduttivo del giudizio.

Il Tar, con la sentenza odiernamente appellata, ha accolto il ricorso, ravvisando la sussistenza di un interesse all’accesso qualificato, connotato dai requisiti della personalità, concretezza ed attualità (afferendo la documentazione in contestazione all’avvenuta assegnazione di incarichi cui la ricorrente riteneva di ambire, a prescindere dagli strumenti azionabili, non verificabili nella loro consistenza ai sensi dell’art. 116 c.p.a.), nonché riscontrando la fondatezza della pretesa ostensiva, in quanto la discrezionalità delle scelte direttoriali non avrebbe potuto impedire agli interessati di verificare la corretta applicazione nei propri confronti delle “regole che disciplinano, a monte, la formazione delle graduatorie (o comunque la nomina dei prescelti, anche se si tratti di regole, legali o pattizie, diverse da quelle che rilevavano nei casi citati), facendo valere in giudizio, ove necessario, eventuali conseguenti posizioni giuridiche soggettive derivanti dalle regole stesse”.

Il Tar, inoltre, ha precisato che i documenti oggetto di ricorso costituivano una specificazione di quanto richiesto nell’istanza di ostensione e che “se tutta la documentazione richiesta dalla ricorrente dovesse essere individuata dalla Rai come inesistente, sarà la ricorrente stessa a trarre le dovute conseguenze nelle sedi opportune per valutare la modalità di nomina seguita dal Direttore di Testata e se applicabili in quanto casi di “job posting” e non di “line”.

Il ricorso in appello è affidato a tre motivi di impugnazione, di cui l’ultimo formulato in via subordinata.

In particolare, con il primo motivo di appello, è censurata la decisione (assunta dal Tar) di ritenere applicabile la disciplina sull’accesso documentale, nonostante nella specie si facesse questione di un’istanza di accesso relativa a documenti esulanti dall’attività di pubblico interesse svolta dall’appellante. Con il secondo motivo di appello la ricorrente deduce che, “in ogni caso”, difetterebbe l’interesse specifico all’accesso agli atti, che si manifesterebbe come inammissibile forma di controllo generalizzato sull’attività dell’appellante. Si tratterebbe, infatti, di atti “in gran parte inesistenti e ... richiesti solo a causa di una errata e superficiale ricostruzione dei fatti”. Con un terzo motivo di appello, articolato in subordine, è censurato il capo decisorio con cui il Tar ha delimitato il perimetro dell’accesso documentale riconosciuto alla parte privata.

RITENUTO IN DIRITTO

Il Collegio ritiene di esaminare, in via prioritaria, la questione afferente all’esistenza materiale dei documenti oggetto dell’istanza di accesso per cui è causa. L’esame prioritario della questione riguardante l’inesistenza materiale dei documenti richiesti, da un lato, consente un’accelerazione della definizione della lite, discendendo dalla sua soluzione negativa la definizione (almeno parziale, in relazione ai documenti ab origine non formati dall’emittente radiotelevisiva) della controversia, senza necessità di trattare le ulteriori questioni poste dall’appellante, dall’altro, non influisce sul diritto di difesa della resistente in prime cure (odierna appellante).

Sotto il profilo riferito alla possibilità materiale dell’ostensione, in accoglimento delle censure attoree, incentrate sulla parziale inesistenza della documentazione richiesta, deve riformarsi la sentenza gravata e, per l’effetto, relativamente ai documenti sopra elencati, riconducibili alle lett. a)-i) per i quali il Tar ha concesso l’accesso ex art. 22 L. n. 241/90, deve rigettarsi il ricorso di prime cure, per carenza dell’oggetto dell’istanza di accesso.

Ai sensi dell’art. 22, comma 1 lett. b) L. n. 241 del 1990, la legittimazione alla presentazione dell’istanza di accesso deve essere riconosciuta in capo ai "soggetti privati" (anche portatori di interessi superindividuali) titolari di un "interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l'accesso".

La disciplina dell'accesso agli atti amministrativi non condiziona, in particolare, l'esercizio del relativo diritto alla titolarità di una posizione giuridica tutelata in modo pieno, essendo sufficiente il collegamento con una situazione giuridicamente riconosciuta anche in maniera attenuata, sicché la legittimazione all'accesso va riconosciuta a chiunque possa dimostrare che gli atti e/o documenti oggetto dell'accesso abbiano cagionato o siano idonei a cagionare effetti diretti o indiretti nei suoi confronti, indipendentemente dalla lesione di una posizione giuridica, stante l'autonomia del diritto di accesso, inteso come interesse ad un bene della vita, rispetto alla situazione legittimante all'impugnativa dell'atto (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 3 marzo 2020, n. 1551). Con specifico riferimento all’accesso cd. difensivo è stato, inoltre, osservato che la parte istante è tenuta all’adempimento di un onere di allegazione e di prova aggravato, dovendo specificare le finalità dell’accesso nell’istanza di ostensione, nonché dimostrare la necessità (o la stretta indispensabilità per i dati sensibili e giudiziari), la corrispondenza e il collegamento tra la situazione che si assume protetta ed il documento di cui si invoca la conoscenza.

In relazione ai documenti materialmente esistenti (schede di valutazione e curricula), meritano condivisione le censure impugnatorie incentrate sulla carenza di interesse all’accesso, non riscontrandosi quel nesso di necessaria strumentalità caratterizzante l’istituto dell’accesso difensivo, necessario per l’accoglimento della domanda di parte.

Non potrebbe giungersi ad una diversa conclusione, facendo leva sulla disciplina in tema di accesso civico ex D. Lgs. n. 33/2013. Si tratta, infatti, di disciplina che, ai sensi del combinato disposto dell’art. 2 bis, comma 2, D. Lgs. n. 33/2013 e dell’art. 2, comma 1, lett. p, D. Lgs. n. 175/16, è inapplicabile alle società a partecipazione pubblica quotate (che emettono azioni quotate in mercati regolamentati e che hanno emesso, alla data del 31 dicembre 2015, strumenti finanziari, diversi dalle azioni, quotati in mercati regolamentati).

L’appello deve essere accolto nella parte in cui è dedotta: - l’inesistenza parziale della documentazione richiesta, riscontrandosi, al riguardo, un’impossibilità dell’accesso per carenza del suo oggetto; - il difetto di interesse all’ostensione, in relazione a quei documenti pure esistenti (curricula e schede di valutazione), ma non afferenti ai procedimenti di conferimento degli incarichi per cui è causa. Per l’effetto, in riforma della sentenza gravata, deve essere rigettato il ricorso di primo grado, in quanto relativo, in parte, a documenti inesistenti perché mai formati, in altra parte, a documenti non strumentali alle esigenze difensive allegate dall’istante e, in particolare, non rilevanti per la tutela della situazione giuridica soggettiva asseritamente incisa dall’esercizio del potere datoriale per cui è causa. Deve essere assorbita ogni altra censura impugnatoria svolta dall’appellante, in quanto non idonea a mutare l’esito dell’odierna controversia e, dunque, ad influire sulla definizione dell’assetto di interessi per come attuato con l’atto di diniego impugnato in prime cure, da confermare per effetto della presente decisione.

P.Q.M.

si accoglie l’appello e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, rigetta il ricorso di primo grado. Compensa interamente tra le parti le spese del doppio grado di giudizio. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

 

Il principio di diritto: La disciplina in tema di accesso civico ex D.Lgs. n. 33/2013, ai sensi del combinato disposto dell’art. 2 bis, comma 2, D.Lgs. n. 33 cit. e dell’art. 2, comma 1, lett. p, D.Lgs. n. 175/16, è inapplicabile alle società a partecipazione pubblica quotate (che emettono azioni quotate in mercati regolamentati e che hanno emesso, alla data del 31 dicembre 2015, strumenti finanziari, diversi dalle azioni, quotati in mercati regolamentati).

Il caso e il processo: una giornalista dipendente della Rai Radiotelevisione Italiana s.p.a. con la qualifica di redattore ordinario e mansioni di conduttrice denuncia di essere venuta a conoscenza di una serie di nomine, avvenute senza alcun previo interpello necessario per consentire la partecipazione di tutti i dipendenti del TG1 in ipotesi interessati. L’istante impugna le promozioni, le nomine e gli incarichi contestati in quanto disposti in violazione dell’art. 10 della Carta diritti e doveri del giornalista radiotelevisivo del servizio pubblico e, comunque, di legge, contratto e piano triennale per la prevenzione della corruzione; nonché ha diffidato i destinatari della nota al rispetto della normativa operante in materia. La Rai, però, rigetta l’istanza di accesso ai documenti indicati dalla ricorrente. L’istante, poi, chiede l’annullamento del diniego di cui alla nota n. 16640/19 cit. e il conseguente accertamento del proprio diritto di accesso, con condanna della società intimata all’integrale ostensione di determinati documenti. Il Tar Lazio accoglie il ricorso subordinatamente al rispetto di taluni limiti. La Rai appella la sentenza di prime cure, deducendone l’erroneità con l’articolazione di plurime censure, comprendenti la scorretta instaurazione del contraddittorio nel giudizio. La sentenza di prime cure è così annullata e la causa è rimessa al Tar Lazio “onde assicurare, mediante rinnovo della notifica ai controinteressati, l'integrazione del contraddittorio”. Il Tar accoglie il ricorso, ravvisando la sussistenza di un interesse all’accesso qualificato, connotato dai requisiti della personalità, concretezza ed attualità. La Rai appella la sentenza di prime cure, deducendone l’erroneità con l’articolazione di tre motivi di impugnazione. La ricorrente si costituisce in giudizio, resistendo all’appello e chiedendo pure la condanna dell’appellante ai sensi dell’art. 26 c.p.a. La Sezione, con ordinanza n. 904 del 25 febbraio 2022, accoglie l’istanza cautelare presentata dall’appellante.

La soluzione resa dal Consiglio: nell’ottica dei giudici amministrativi, ancora prima di verificare se si faccia questione di documenti amministrativi o di una posizione legittimante all’accesso, è necessario stabilire, sul piano fattuale, se esista realmente quanto forma oggetto dell’istanza ostensiva, altrimenti discorrendosi di questioni meramente astratte e ipotetiche non utili per la soluzione del caso concreto, in cui l’accesso non potrebbe essere, comunque, consentito in quanto, indipendentemente dai profili di qualificazione giuridica, la res oggetto della domanda non sarebbe esistente e, dunque, non potrebbe giustificarsi l’emissione di una sentenza di condanna ad un facere oggettivamente impossibile.

Una volta che la parte resistente abbia dichiarato, assumendone la responsabilità, da un lato, quali siano i documenti inesistenti – per i quali vi è un’oggettiva e assoluta impossibilità di provvedere alla relativa ostensione –, dall’altro, le ragioni sottese alla loro omessa formazione, nella specie riguardanti l’asserita informalità delle procedure selettive in parola e la supposta assenza di un obbligo di forma scritta, il giudice deve prendere atto dell’inesistenza (allegata e giustificata) dei documenti richiesti, pervenendo così al rigetto della pretesa ostensiva per carenza del suo oggetto; fatta eccezione ove dagli atti di causa emergano elementi istruttori volti a minare la veridicità di quanto dichiarato dalla resistente, circostanza nella specie da escludere. L’appello deve trovare accoglimento, nella parte in cui viene dedotta la carenza di un interesse all’accesso in capo all’appellata (secondo motivo). Con riguardo all’accesso cd. difensivo è stato osservato che la parte istante è tenuta all’adempimento di un onere di allegazione e di prova aggravato, dovendo specificare le finalità dell’accesso nell’istanza di ostensione, nonché dimostrare la necessità (o la stretta indispensabilità per i dati sensibili e giudiziari), la corrispondenza e il collegamento tra la situazione che si assume protetta ed il documento di cui si invoca la conoscenza. Alla stregua di tali coordinate ermeneutiche, devono essere negati nella specie i presupposti per consentire l’accesso della ricorrente in prime cure ai curricula e alle schede di valutazione (e esistenti) oggetto dell’istanza. L’appello deve essere accolto nella parte in cui è dedotta: - l’inesistenza parziale della documentazione richiesta, riscontrandosi un’impossibilità dell’accesso per carenza del suo oggetto; - il difetto di interesse all’ostensione, in relazione a quei documenti pure esistenti (curricula e schede di valutazione), ma non afferenti ai procedimenti di conferimento degli incarichi per cui è causa. Per l’effetto, in riforma della sentenza gravata, deve essere rigettato il ricorso di primo grado, in quanto relativo, in parte, a documenti inesistenti mai formati, in altra parte, a documenti non strumentali alle esigenze difensive allegate dall’istante e, in particolare, non rilevanti per la tutela della situazione giuridica soggettiva incisa dall’esercizio del potere datoriale per cui è causa. Deve essere assorbita ogni altra censura impugnatoria svolta dall’appellante, in quanto non idonea a mutare l’esito dell’odierna controversia e, dunque, ad influire sulla definizione dell’assetto di interessi per come attuato con l’atto di diniego impugnato in prime cure, da confermare per effetto della presente decisione.

Gli orientamenti dottrinali e giurisprudenziali sul tema: la graduazione dei motivi si impone “nel giudizio di primo grado” e, più in generale, in relazione ai motivi di ricorso svolti dinnanzi al Tar – ed eventualmente riproposti dinanzi al Consiglio ex art. 101, comma 2, c.p.a. o in forma di critica specifica dello sfavorevole capo di rigetto di prime cure – tesi a fare valere l’illegittimità dell’azione amministrativa in contestazione (Cons. St., Sez. V, 31 maggio 2021, n. 4155). È irrilevante la prospettazione attorea secondo cui i documenti oggetto di istanza di accesso avrebbero dovuto essere formati alla luce della disciplina che regola la materia, “in quanto si tratta di un profilo che esula dall’oggetto del presente giudizio, dove rileva l’esistenza materiale dei documenti, e non una eventuale responsabilità nella mancata formazione degli stessi” (Cons. St., Sez. VI, 28 maggio 2019, n. 3511).

Sul tema dell’accesso civico generalizzato, tra i numerosi, si veda A. Porporato, Il “nuovo” accesso civico generalizzato introdotto dal D.Lgs. 25 maggio 2016, n. 97 attuativo della riforma Madia e i modelli di riferimento, in Federalismi, n. 12, 2017; A. Amodio, Dall’accesso documentale all’accesso civico generalizzato: i nuovi paradigmi della trasparenza dell’azione amministrativa, in GiustAmm.it, n. 5, 2021; C. Puzzo, Il diritto di accesso agli enti locali, Milano, 2021, 233 ss. Per un approfondimento sulle società a partecipazione pubblica quotate, tra i molteplici, si veda L. Torchia, La responsabilità amministrativa per le società in partecipazione pubblica, in Giornale di diritto amministrativo, n. 7, 2009, 791-799; S. Vanoni, Le società quotate a partecipazione pubblica, in Rivista di Diritto Societario, n. 2, 2017, 607-644; V. Donativi, Le società a partecipazione pubblica. Raccolta sistematica della disciplina, commentata e annotata con la giurisprudenza, Assago (MI), 2017.

 

ALTRE PRONUNCE IN RASSEGNA

TAR Piemonte, sez. II - Torino, 21 giugno 2022, dep. 1 luglio 2022 n. 611 - Pres. Bellucci - Rel. Arrivi - (rif. art. 23, co. 16, d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50)

Il giudizio di anomalia è espressione paradigmatica di discrezionalità tecnica, sindacabile solo in caso di manifesta erroneità, irragionevolezza, difetto d'istruttoria e travisamento dei fatti, e ha carattere globale e sintetico, sicché la sua impugnazione non può essere improntata alla "caccia all'errore" su singole voci di costo.

TAR Basilicata, sez. I - Potenza, 22 giugno 2022, dep. 05 luglio 2022, n. 510 - Pres. Donadono - Rel. Mariano - (rif. artt. 84, co. 3 e 4, 89-bis, 91 co. 6 e 94 del D.lgs. 6 settembre 2011, n. 159)

L'informazione antimafia comporta una valutazione di tipo discrezionale da parte dell'autorità prefettizia in ordine al pericolo di infiltrazione mafiosa, in grado di condizionare le scelte e gli indirizzi dell'impresa. Tale pericolo deve essere valutato secondo un ragionamento induttivo, di tipo probabilistico, che non richiede di attingere un livello di certezza oltre ogni ragionevole dubbio, tipico dell'accertamento volto ad affermare la responsabilità penale, e quindi fondato su prove, ma implica una prognosi assistita da un attendibile grado di verosimiglianza, sulla base di indizi gravi, precisi e concordanti, sì da far ritenere "più probabile che non", appunto, il pericolo di infiltrazione mafiosa.

TAR Calabria, sez. I - Catanzaro, 1 luglio 2022, dep. 11 luglio 2022, n. 1270 -  Pres. Iannini - Rel. Levato - ( rif. art. 6, comma 1, l. 13 dicembre 1989, n. 401)

Il c.d. Daspo costituisce una misura di prevenzione o di polizia, la cui adozione può essere riferita anche a condotte che comportano od agevolano situazioni di allarme o di pericolo. Il provvedimento può dunque essere disposto nei confronti di chi, sulla base di elementi oggettivi, risulti aver tenuto una condotta finalizzata alla partecipazione attiva a episodi tali da porre in pericolo la sicurezza pubblica in occasione o a causa delle manifestazioni stesse, e dunque non solo nel caso di accertata lesione, in ottica di repressione, penalmente accertata, ma anche in caso di pericolo di lesione dell'ordine pubblico, in evidente ottica di prevenzione, come appunto nel caso di condotte che comportino o agevolino situazioni di "allarme" o di "pericolo". Infine, ai fini del provvedimento inibitorio delle manifestazioni sportive l'art. 6 L. 13 dicembre 1989, n. 401, la giurisprudenza non richiede, nelle ipotesi di violenza collettiva, che venga accertato uno specifico atto di violenza da parte di ciascun soggetto appartenente al gruppo, poiché i comportamenti sanzionati sono possibili proprio in quanto collettivi e, come tali, risultano minacciosi per l'ordine pubblico.

TAR Sicilia, sez. II - Palermo, 18 maggio 2022, dep. 11 luglio 2022, n. 2259 – Pres. Maisano – Rel. Commandatore

L'interesse del privato ad ottenere il rinnovo del patentino per la vendita di tabacchi deve considerarsi "recessivo" rispetto all'interesse pubblico sotteso alla concessione di nuove autorizzazioni per l'esercizio di "rivendite" di generi di monopolio. Tale affermazione si giustifica dalla fisiologica natura transitoria del patentino per la vendita dei tabacchi, da cui deriva la sua automatica scadenza, sicché l'interesse del privato ad ottenerne il rinnovo deve considerarsi "recessivo" rispetto all'interesse pubblico sotteso alla concessione di nuove autorizzazioni per l'esercizio di vere e proprie "rivendite" di generi di monopolio. E così anche rispetto all'interesse dei nuovi titolari delle autorizzazioni in ultimo menzionate o dei soggetti che aspirano ad ottenerle.

Consiglio di Stato sez. II, 18 gennaio 2022, dep. 22 luglio 2022, n. 6470 - Pres. Castriota – Rel. Frigida – (rif. art. 1349, comma 3, del d.lgs. 15 marzo 2010, n.66)

Il trasferimento per incompatibilità ambientale di un militare ha natura di ordine, pertanto il relativo provvedimento disposto per esigenze di servizio, rientrando nella categoria degli ordini militari, comporta che il correlativo interesse del dipendente a prestare servizio in una determinata sede assuma una rilevanza di mero fatto e non necessita né di particolare motivazione, né di comunicazione di avvio del procedimento e della partecipazione al procedimento dell'interessato.

Consiglio di Stato, sez. III, 19 maggio 2022, dep. 07 luglio 2022, n. 5660 - Pres. Corradino - Rel. Corradino - (rif. art. 9 d.lgs. 25 luglio 1998 n. 286)

Il diniego di rilascio del permesso per soggiornanti di lungo periodo per condanna per reati ostativi deve essere sorretto da un giudizio di pericolosità sociale dello straniero. Tale giudizio deve essere giustificato da una motivazione “articolata” che tenga conto non solo dell'intervenuta condanna, ma di altri elementi, quali ad esempio, la durata del soggiorno nel territorio nazionale, inserimento sociale, familiare e lavorativo dell'interessato. Deve considerarsi esclusa l'operatività di ogni automatismo in conseguenza di condanne penali riportate.

TAR Lazio, sez. III - Roma, 12 luglio 2022, dep. 18 luglio 2022, n. 10163 - Pres. Sapone - Rel. Caputi - (rif. art. 3, comma 1, del d.l. 7 luglio 2022, n.85)

L'art. 3 del decreto legge 7 luglio 2022 n. 85, in assenza di una diversa disposizione transitoria, si applica anche alle fasi non concluse dei procedimenti e dei processi in corso riguardanti "interventi finanziati in tutto o in parte con le risorse previste dal PNRR". Inoltre, ex art. 3, comma 5, del d.l. 85/2022, alle controversie relative all’applicazione del Pnrr si applicano gli articoli 119, comma 2 e 120, commi 9 e 10, del c.p.a., con riferimento al dimezzamento dei termini, al termine di deposito della sentenza e alla redazione della sentenza nella forma semplificata.

TAR Lazio sez. I - Roma, 6 aprile 2022, dep. 18 luglio 2022, n. 10147 - Pres. Amodio - Rel. Petrucciani - (rif. art. 102 del Trattato sul Funzionamento dell'Unione europea)

L'inquadramento di Google come “gatekeeper” per l'accesso ad Android Auto di fatto costituisce è conforme all’applicazione della disciplina eurounitaria (art. 102 TFUE) e alla relativa giurisprudenza, che impone al gatekeeper di astenersi dall'assunzione di una condotta ostativa della concorrenza e quindi - trattandosi di mercati digitali ovvero di mercati delle piattaforme - impone l'obbligo di realizzare l'interoperabilità tra il sistema proprietario e le applicazioni dei terzi-utenti commerciali (es. sviluppatori di app); in questo modo tutti hanno la possibilità di entrare in contatto con l'utente finale e con i relativi flussi informativi salvaguardando il bene dei consumatori e la salute del mercato di riferimento. Pertanto l’inquadramento di Google come “gatekeeper” per l'accesso ad Android Auto non costituisce alcuna anticipazione della disciplina del DMA.

TAR Lazio, sez. III - Roma, 6 giugno 2022, dep. 18 luglio 2022, n. 10132 - Pres. Sapone - Rel. Raganella - (rif. decreto legge 25 maggio 2021 n. 73 e decreto 21 aprile 2020 n. 499)

Il candidato di un concorso pubblico che dopo aver superato la prova scritta non ha potuto partecipare a quella orale, perché in isolamento a causa della pandemia da Covid-19, ha diritto ad una sessione di esame suppletiva, posto che la previsione dell'obbligo di isolamento domiciliare è diretta a tutelare un interesse non solo e non tanto del soggetto infetto o potenzialmente infetto da Covid-19, ma soprattutto quello a impedire la diffusione della pandemia nella collettività. Deve quindi essere accolta la richiesta di annullamento del diario della prove scritte di un concorso nella parte in cui non è stata prevista la possibilità di effettuare delle sessioni suppletive delle prove orali per quei candidati impossibilitati a parteciparvi per questioni riconducibili alla pandemia da Covid-19. Il principio del regolare svolgimento dei procedimenti amministrativi e quello di autoresponsabilità del singolo candidato incontrano un limite nell'emergenza pandemica globale.

TAR Molise, sez. I-Campobasso, 13 luglio 2022, dep. 26 luglio 2022, n. 285 - Pres. Gaviano - Rel. Avino - (rif. art. art. 5. del d.lgs. 14 marzo 2013 n. 33)

Nell'ambito del diritto di accesso, la valorizzazione del principio della massima ostensione non può essere estesa al punto da legittimare un controllo generalizzato, generico e indistinto del singolo sull'operato dell'amministrazione; accanto all'interesse di ogni cittadino al buon andamento dell'attività amministrativa deve stagliarsi un rapporto di necessaria strumentalità tra tale interesse e la documentazione di cui si chiede l'ostensione.

TAR Calabria, sez. II - Catanzaro, 27 luglio 2022, dep. 01 agosto 2022, n. 1430 - Pres. Pennetti - Rel. Levato - (rif. art. 1 l. 7 agosto 1990, n. 241)

La decisone della Pubblica Amministrazione di vietare l'accesso alle spiagge libere ai conduttori di animali e di consentire l'ingresso negli stabilimenti balneari degli animali domestici, previo consenso dei titolari della concessionari, viola il principio di proporzionalità, di matrice eurounitaria e immanente nel nostro ordinamento in virtù del richiamo operato dall'art. 1 l. n. 241/1990, che impone alla pubblica amministrazione di optare, tra più possibili scelte ugualmente idonee al raggiungimento del pubblico interesse, quella meno gravosa per i destinatari incisi dal provvedimento, così evitando  agli stessi inutili sacrifici. Tale decisione risulta, pertanto, irragionevole ed illogica, oltre che irrazionale e sproporzionata, in quanto l'amministrazione avrebbe dovuto valutare la possibilità di perseguire le finalità pubbliche del decoro, dell'igiene e della sicurezza, ovvero dell'incolumità pubblica mediante regole alternative al divieto assoluto di frequentazione delle spiagge.

Consiglio di Stato, sez. III, 16 giugno 2022, dep. 01 agosto 2022, n. 6751 - Pres. Corradino - Rel. Corradino - (rif. art. 9 d.lgs. 25 luglio 1998 n. 286)

Il possesso di un reddito minimo, idoneo al sostentamento dello straniero, costituisce un requisito soggettivo necessario ai fini del rilascio e del rinnovo del permesso di soggiorno, in quanto attinente alla sostenibilità dell'ingresso dello straniero nella comunità nazionale, al suo inserimento nel contesto lavorativo e alla capacità di contribuire con il proprio impegno allo sviluppo economico e sociale del paese al quale ha chiesto di ospitarlo. Il requisito reddituale è infatti finalizzato ad evitare l'inserimento nella comunità nazionale di soggetti che non siano in grado di offrire un'adeguata contropartita in termini di lavoro e, quindi, di formazione del prodotto nazionale e partecipazione fiscale alla spesa pubblica e che, in sintesi, finiscono per gravare sul pubblico erario come beneficiari a vario titolo di contributi e di assistenza sociale e sanitaria, in quanto indigenti; d'altra parte la dimostrazione di un reddito di lavoro o di altra fonte lecita di sostentamento costituisce anche una garanzia del fatto che il cittadino extracomunitario non si dedichi ad attività illecite o criminose.

TAR Sicilia, sez. I - Catania, 22 giugno 2022, dep. 09 agosto 2022, n. 2235 - Pres. Savasta - Rel. Sidoti - (rif. art. artt. 48 e 107 del d.lgs. 18 agosto 2000 n. 267)

Con riferimento alla legittimazione ad agire, la mera vicinanza di un'abitazione ad una discarica non legittima il proprietario frontista ad insorgere avverso il provvedimento di localizzazione di una discarica di rifiuti. Con riferimento all’interesse ad agire del ricorrente che si duole della localizzazione di una discarica di rifiuti in prossimità della propria abitazione, la mera vicinanza di un'abitazione ad una discarica non legittima il proprietario frontista ad insorgere avverso il provvedimento di approvazione dell'opera, essendo al riguardo necessaria la prova del danno che da questa egli riceva nella sua sfera giuridica, o per il fatto che la localizzazione dell'impianto riduce il valore economico del fondo situato nelle sue vicinanze, o perché le prescrizioni dettate dall'autorità competente in ordine alle modalità di gestione dell'impianto non sono idonee a salvaguardare la salute di chi vive nelle sue vicinanze. Tale principio, formatosi in materia di "discariche" di rifiuti, appare applicabile anche al caso concernente un "centro di raccolta differenziata di rifiuti".

TAR Puglia, sez. I - Bari, 13 aprile 2022, dep. 12 agosto 2022, n. 1156 - Pres. Scafuri - Rel. Rotondano.

In caso di procedimenti di tipo concorsuale, la mancata impugnazione della graduatoria finale determina l'improcedibilità del ricorso rivolto avverso il provvedimento di esclusione dal concorso pubblico. L'impugnazione inizialmente proposta, concernente il bando, i giudizi di non idoneità, i provvedimenti di esclusione e/o i provvedimenti di non ammissione a successive prove di esame, deve successivamente estendersi agli ulteriori atti pregiudizievoli, quali l'approvazione della graduatoria finale, perché diversamente si determina l’inutilità dell'eventuale decisione di accoglimento del gravame inizialmente proposto. La mancata impugnazione della graduatoria finale si risolve in un profilo di improcedibilità del ricorso rivolto avverso il provvedimento di esclusione dallo stesso in quanto, per i pubblici concorsi, l'atto finale costituito dalla delibera di approvazione della graduatoria, pur appartenendo alla stessa sequenza procedimentale in cui si colloca l'atto che determina la lesione del ricorrente, non ne costituisce conseguenza inevitabile atteso che la sua adozione implica nuove ed ulteriori valutazioni di interessi, anche di una pluralità di soggetti terzi rispetto al rapporto in origine controverso, comportando una valutazione di dati ed interessi più ampia, tenendo conto della posizione di tutti i concorrenti e non solo di quelli esclusi.

TAR Lazio, sez. I - Roma, 20 luglio 2022, dep. 01 agosto 2022, n. 10834 - Pres. Amodio - Rel. Viggiano - (rif. art. 2, comma 3, decreto ministeriale 1 ottobre 2020 n. 163)

La previsione contenuta nell’art. 2, comma 3, d.m. 163/2020, nella parte in cui dispone che il titolo di avvocato specialista possa essere conferito anche ai titolari di dottorato di ricerca, senza prevedere per costoro ulteriori verifiche, mentre onera i professori ordinari di dimostrare la propria comprovata esperienza sottoponendoli ad una procedura di valutazione, ovvero a seguire con profitto percorsi formativi almeno biennali, è illogica ed incoerente. Il professore universitario ha raggiunto la sua piena maturità, presentando maggiori competenze scientifiche di un dottore di ricerca. Pertanto deve disporsi l'annullamento dell'art. 2, comma 3 d.m. 163/2020, risultando esso illegittimo nella parte in cui non prevede che il titolo di avvocato specialista possa esser conferito dal Cnf anche ai professori ordinari nei relativi settori di specializzazione.

TAR Lazio, sez. I - Roma, 8 luglio 2022, dep. 01 agosto 2022, n. 10855 - Pres. Tricarico - Rel. Viggiano - (rif. art. 8 d.P.R. 5 ottobre 2010 n. 207)

L'abrogazione dell'art. 8 d.P.R. n. 207 del 2010 non ha privato l'Anac del potere di iscrivere nel Casellario informatico le notizie «utili» (vale a dire quelle «riguardanti le imprese che, anche indipendentemente dall'esecuzione dei lavori, sono dall'Autorità ritenute utili ai fini della tenuta del Casellario»). La ratio risiede nella funzionalità di tale attività all'assolvimento dei compiti di supporto delle Stazione appaltanti (per mezzo dello scambio di informazioni) assegnati all'Autorità. Il nuovo Codice dei contratti pubblici si basa sull'utilizzo di plurimi dati ed informazioni tra cui risaltano le menzionate «notizie utili»: in tal senso, l'annotazione costituisce atto a contenuto meramente informativo, che trova piena giustificazione nella funzione surriferita di acquisire e pubblicare ogni notizia ritenuta utile al fine di trasparenza e di corretta conduzione delle procedure ad evidenza pubblica.

TAR Lombardia, sez. IV - Milano, 28 luglio 2022, dep. 01 agosto 2022, n. 1831 - Pres. Caso - Rel. Di Maio - (rif. art. 34-bis, d.lgs. 6 settembre 2011 n. 159)

Il provvedimento di ammissione a controllo giudiziario ai sensi della normativa antimafia non ha effetti retroattivi. Per cui la sopraggiunta ammissione al controllo giudiziario di cui all’art. 34-bis), d.lgs. n. 159 del 2011, di un’impresa attinta da informazione antimafia interdittiva non ha effetti sul provvedimento di esclusione dalla procedura di gara cui la stessa abbia partecipato e dalla quale sia stata esclusa in ragione del provvedimento interdittivo.

TAR Trentino-Alto Adige, sez. I - Trento, 28 luglio, dep. 08 agosto 2022, n. 150 - Pres. Polidori - Rel. Polidori

L'ordinanza contingibile e urgente con la quale il Presidente della Provincia di Trento ha disposto, a fronte di situazione straordinaria di necessità e urgenza determinata dall'emergenza epidemiologica da Covid-19, la sospensione generalizzata dei termini dei procedimenti amministrativi per la formazione degli strumenti urbanistici è nulla, per difetto assoluto di attribuzione. La ragione di tale nullità sta nel fatto che si tratta di provvedimento con cui è sì possibile agire in deroga alla legge, ma che non può rappresentare lo strumento attraverso cui, con riferimento a fattispecie non determinate, sia possibile introdurre una disciplina alternativa a quella prevista dalla legge.

TAR Campania, sez. III - Salerno, 1 luglio 2022, dep. 30 agosto 2022, n. 2262 - Pres. Russo - Rel. Bello - (rif. artt. 3, comma 1, lett. d) e art. 10, comma 1, lett. c) d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380)

La realizzazione di una piscina è configurabile come intervento di ristrutturazione edilizia ai sensi dell'art. 3, comma 1, lett. d), del d.P.R. n. 380 del 2001, nella misura in cui realizza l'inserimento di nuovi elementi ed impianti, ed è quindi subordinata al regime del permesso di costruire, ai sensi dell'art. 10, comma 1, lett. c), dello stesso d.P.R., in quanto comporta una durevole trasformazione del territorio. La realizzazione della stessa integra gli estremi della nuova costruzione, in quanto dà luogo ad una struttura edilizia che incide in modo invasivo sul sito di relativa ubicazione, e postula, pertanto, il previo rilascio dell'idoneo titolo ad aedificandum, costituito dal permesso di costruire, e di conseguenza non può essere attratta alla categoria urbanistica delle mere pertinenze, in quanto non è necessariamente complementare all'uso delle abitazioni e non è solo una attrezzatura per lo svago.

Consiglio di Stato, sez. III, 14 luglio 2022, dep. 01 settembre 2022, n. 7657 - Pres. Corradino - Rel. Corradino - (rif. artt. 11 e 43, r.d. 18 giugno 1931 n. 773)

Nell'ordinamento costituzionale italiano non esiste un diritto di portare armi. Il porto d'armi non costituisce oggetto di un diritto assoluto, rappresentando un'eccezione al normale divieto di detenere armi e potendo essere riconosciuto soltanto a fronte della perfetta e completa sicurezza circa il loro buon uso, in modo da scongiurare dubbi o perplessità, sotto il profilo prognostico, per l'ordine pubblico e per la tranquilla convivenza della collettività.  Il giudizio che compie l'Autorità di pubblica sicurezza è espressione di una valutazione ampiamente discrezionale, che presuppone una analisi comparativa dell'interesse pubblico primario, degli interessi pubblici secondari, nonché degli interessi dei privati, oltre che un giudizio di completa affidabilità del soggetto istante basato su rigorosi parametri tecnici. Nello specifico settore delle armi, tale valutazione comparativa si connota in modo peculiare rispetto al giudizio che tradizionalmente l'Amministrazione compie nell'adottare provvedimenti permissivi di tipo diverso. La peculiarità deriva dal fatto che, stante l'assenza di un diritto assoluto al porto d'armi, nella valutazione comparativa degli interessi coinvolti assume carattere prevalente, nella scelta selettiva dell'Amministrazione, quello di rilievo pubblico, inerente alla sicurezza e all'incolumità delle persone, rispetto a quello del privato, tanto più nei casi di impiego dell'arma per attività di diporto o sportiva. L'apprezzamento discrezionale rimesso all'Autorità di pubblica sicurezza involge soprattutto il giudizio di affidabilità del soggetto che detiene o aspira a ottenere il porto d'armi. A tal fine, l'Amministrazione è chiamata a compiere una valutazione tecnica in ordine al pericolo di abuso delle armi, che deve essere desunta da elementi non meramente immaginari o aleatori. Il pericolo di abuso delle armi è valutato secondo un ragionamento induttivo, di tipo probabilistico, che non richiede di attingere un livello di certezza oltre ogni ragionevole dubbio, tipico dell'accertamento finalizzato ad affermare la responsabilità penale, ma implica una prognosi assistita da un attendibile grado di verosimiglianza, sì da far ritenere "più probabile che non" il pericolo di abuso delle armi.

TAR Sardegna, sez. I - Cagliari, 02 marzo 2022, dep. 03 settembre 2022, n. 607 - Pres. D’Alessio- Rel. Marongiu - (rif. artt. 3 e 6 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380).

La definizione e/o la rinuncia alla pratica di condono pendente per gli illeciti edilizi ha carattere prioritario rispetto all’autorizzazione alla installazione delle opere in sostituzione, atteso che il titolo edilizio per effettuare interventi su un’opera esistente può essere rilasciato solo se quest’ultima non sia abusiva e, dunque, sia stata posta in essere nel rispetto del titolo che ne ha consentito la realizzazione: secondo consolidata giurisprudenza, infatti, in presenza di manufatti abusivi non sanati né condonati, gli interventi ulteriori (sia pure riconducibili, nella loro oggettività, alle categorie della manutenzione straordinaria, del restauro e/o del risanamento conservativo, della ristrutturazione, della realizzazione di opere costituenti pertinenze urbanistiche), ripetono le caratteristiche di illegittimità dell’opera principale alla quale ineriscono strutturalmente, con conseguente obbligo del Comune di ordinarne la demolizione.

TAR Lazio, sez. III bis - Roma, 02 agosto 2022, dep. 08 settembre 2022, n. 1680 - Pres. Stanizzi - Rel. Caputi 

A fronte di provvedimenti di carattere eccezionale e legati a una situazione pandemica, appare priva di logicità e ragionevolezza la mancata previsione di strumenti idonei a garantire la partecipazione di soggetti alle prove concorsuali. La previsione di prove suppletive appare inidonea a incidere sulla par condicio tra i concorrenti e sulla regolarità di svolgimento del procedimento amministrativo, risultando inidonea a incidere sulla capacità dei concorrenti di dimostrare la loro preparazione, in relazione alla aleatorietà - comunque esistente - legata alla traccia che sarà estratta. Il principio di contestuale svolgimento delle prove preselettive risulta quindi cedevole rispetto alla tutela del diritto dei consociati a partecipare a un pubblico concorso al quale non abbiano potuto partecipare per causa di forza maggiore consistente in provvedimenti adottati per motivi sanitari e diretti a tutelare la pubblica incolumità e salute. L'eccezionalità della situazione pandemica appare, pertanto, idonea a giustificare la previsione di prove di carattere suppletivo o di altri strumenti che consentano lo svolgimento della prova concorsuale a dei cittadini ai quali tale partecipazione è inibita per motivi legati alla incolumità pubblica.

TAR Sicilia, sez. III - Palermo, 09 settembre 2022, dep. 13 settembre 2022, n. 2563 - Pres. Lento - Rel. Lento - (rif. artt. 83 e 85 d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50)

È legittimo l'utilizzo in una gara del titolo di studio conseguito all'estero a condizione che sia accompagnato dall'attestazione di equipollenza. Nel caso in cui tra i requisiti di partecipazione ad una gara d'appalto sia specificato il possesso di un titolo di studio conseguito in Italia ed il concorrente intenda utilizzarne uno conseguito all'estero, è necessario che chieda e ottenga l'attestazione di equipollenza entro il termine ultimo previsto per la presentazione dell'offerta.

TAR Veneto, sez. II - Venezia, 13 settembre 2022, dep. 16 settembre 2022, n. 1382 - Pres. Bertagnolli - Rel. Rinaldi

La mancata specificazione e individualizzazione dei motivi di ricorso rende del tutto impossibile al giudice amministrativo accertare la fondatezza delle censure mosse con riferimento alle posizioni così genericamente allegate, in quanto l’indeterminatezza del gravame non consente in alcun modo di distinguere l’effettiva riferibilità delle doglianze alla sfera giuridica delle singole aziende agricole ricorrenti.

TAR Lombardia, sez. I - Milano, 21 aprile 2022, dep. 20 settembre 2022, n. 2022 - Pres. Giordano - Rel. Fornataro

Nei concorsi pubblici la commissione esaminatrice è, di norma, titolare di un´ampia discrezionalità in ordine alla catalogazione dei singoli tipi di titoli valutabili nell´ambito delle categorie generali predeterminate dal bando; all'attribuzione della rilevanza e dell´importanza dei titoli stessi; all´individuazione dei criteri per l´attribuzione ai candidati dei punteggi spettanti per i titoli da essi vantati nell´ambito del punteggio massimo stabilito dal bando, all´evidente fine di rendere concreti, attuali e utilizzabili gli stessi criteri del bando. Secondo i principi, l´esercizio di tale discrezionalità sfugge al sindacato di legittimità del giudice amministrativo, impinguendo nel merito dell´azione amministrativa, salvo che il suo uso non sia caratterizzato da macroscopici vizi di eccesso di potere per irragionevolezza, manifesta iniquità, e palese arbitrarietà.

TAR Toscana sez. I - Firenze, 21 settembre 2022, dep. 28 settembre 2022, n.1090 - Pres. Pupilella - Rel. Viola - (rif. art. 95, comma 15 del d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50)

Appalti, false dichiarazioni: non c’è automaticità dell’esclusione del concorrente. Quest’ultimo va escluso dalla gara solo se le dichiarazioni fuorvianti o false ne compromettono l’integrità e l’affidabilità.


Note e riferimenti bibliografici