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Pubbl. Gio, 20 Ott 2022

Definizione normativa e classificazione dei rifiuti radioattivi

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Gabriele Bernardini



La grande dimensione internazionale delle criticità connesse con l´uso dell´energia nucleare ha dato luogo alla adozione di numerose convenzioni e trattati internazionali che sono stati, o sono, in via di recepimento anche nel nostro Paese.


Sommario: 1. Premessa; 2. il trattato Euratom; 3.Il Codice IAEA; 4. La definizione normativa dei rifiuti radioattivi in Italia; 5. La classificazione dei rifiuti radioattivi: la normativa internazionale; 6. La classificazione dei rifiuti radioattivi in Italia; 7 Conclusioni.

1. Premessa

La grande dimensione internazionale delle criticità connesse con l’uso pacifico dell’energia nucleare ha dato luogo alla adozione di numerose convenzioni e trattati internazionali che sono stati, o sono, in via di recepimento da parte del nostro paese, che aderisce anche ai diversi organismi europei e internazionali che si occupano della materia in questione (IAEA, EURATOM, OECD-NEA, etc.).

2. Il trattato Euratom

Il primo passaggio formale per provare a uniformare i criteri di gestione dell’uso pacifico dell’energia nucleare nell’Unione Europea fu il Trattato istitutivo della Comunità Europea dell'Energia Atomica (EURATOM)[1] entrato in vigore il 25 marzo 1957.

L’obiettivo dei primi paesi fondatori (Belgio, Francia, Germania, Italia, Lussemburgo e Olanda) era di dare avvio all’incremento dell’utilizzo dell’energia nucleare come mezzo per arrivare all’indipendenza energetica, di cooperare alla formazione e allo sviluppo delle industrie nucleari europee e di provvedere affinché tutti gli Stati membri potessero avere beneficio dallo sviluppo dell'energia atomica, garantendo la sicurezza di rifornimento del combustibile.  

Allo stesso tempo il trattato doveva garantire un livello di sicurezza elevato per la popolazione, assicurando che le materie nucleari destinate a fini civili non venissero utilizzate per scopi militari. In tale ottica il trattato istituì un sistema di controlli (in sinergia con quelli della IAEA) atti a garantire che le materie nucleari non venissero distolte per scopi diversi dalle finalità civili cui erano destinate.

Lo schema istituzionale del trattato è, in linea di massima, simile a quello del trattato CEE istitutivo della Comunità Economica Europea ed è basato su un "triangolo istituzionale": Consiglio, Commissione e Parlamento Europeo, tuttavia, la Comunità Europea dell'Energia Atomica non si è tuttora fusa con l'Unione Europea e conserva una personalità giuridica slegata, pur inglobando le stesse istituzioni europee. 

Grazie al trattato EURATOM la Commissione Europea acquisisce lo status di autorità regolatoria sovra-nazionale in tre ambiti principali: la protezione sanitaria dalle radiazioni, il commercio delle materie fissili e le salvaguardie nuclear.

Tuttavia il trattato non approfondisce molto gli aspetti operativi di sicurezza degli impianti e di gestione dei rifiuti radioattivi, probabilmente perché nel periodo in cui venne redatto queste criticità non erano considerate di grande rilevanza[2], tali aspetti sono stati affrontati a livello di singoli Stati e solo le organizzazioni internazionali quali la IAEA[3] e la OECD-NEA[4] hanno promosso e anche oggi promuovono la standardizzazione e l’armonizzazione dei criteri e delle procedure di sicurezza più idonee. 

3. Il Codice IAEA

L’utilizzo della radioattività e delle sue proprietà in numerosi settori porta alla produzione di materiali radioattivi che, quando non possono essere più utilizzati, diventano rifiuti radioattivi. Questi rifiuti, emettendo radioattività, devono essere gestiti in maniera adeguata ad evitare rischi per l’uomo e per l’ambiente.

Esistono diverse categorie di rifiuti radioattivi, alle quali corrispondono diverse modalità di gestione a seconda della concentrazione di radionuclidi e del tempo in cui la radioattività decade. A tale riguardo è stata data una definizione chiara di rifiuti radioattivi all’interno del Codice IAEA[5] in particolare all’articolo 2 e recita(per opportunità di analisi e studio citerò il testo in inglese): “ is any material that contains or is contaminated with radionuclides at concentrations or radioactivity levels greater that the established by the competent authorities and for which no use is foreseen.”[6] .

L'espressione exempt quantities, secondo la nota 3 all'articolo 2, sarebbe la quantità di concentrazione di radionuclidi, di contaminazione o di attività radioattiva al di sotto della quale, secondo la dichiarazione dell'autorità competente di uno Stato, non è necessario applicare il regime del codice. In assenza di criteri o standard comuni per l'esercizio della discrezionalità individuale, si rimetteva nelle mani dei singoli Stati la decisione su quale fosse l'effettivo campo di applicazione di questo strumento internazionale. 

Conseguentemente l'articolo 3 del codice dell’IAEA ne incorpora i principi generali, ossia il principio di riduzione al minimo della produzione dei rifiuti radioattivi e quello dell'obbligo dello Stato di gestire in sicurezza quelli presenti sul proprio territorio, o sottoposti alla sua giurisdizione, in modo da proteggere l'ambiente e la salute dell'uomo.[7]

Nel campo sovranazionale dopo la stesura finale del Codice del 1990, prese piede l’idea che vi fosse necessità di adottare degli standard vincolanti per l’esatta e corretta gestione dei rifiuti radioattivi. Nel 1994 i tempi erano ormai maturi e la Conferenza Generale dell’IAEA invitò il Board of Governors a iniziare i lavori[8].

Fu instituito un gruppo di esperti tecnici e giuristi, i quali riunitosi per sei volte tra il luglio 1995 e il marzo 1997 giunsero all’elaborazione di una versione provvisoria di una Convenzione sulla gestione dei rifiuti radioattivi; la bozza di Convenzione fu sottoposta ad una conferenza diplomatica, la quale ne adottò il testo definitivo il 5 settembre 1997[9]

Tale Convenzione riveste un ruolo fondamentale sia per quanto concerne l'indirizzo di diversi standards agli Stati contraenti ma soprattutto per la nuova definizione di rifiuto radioattivo che possiamo trovare all’ articolo 2, par. h, il quale enuncia: “per «rifiuti radioattivi» s’intendono le materie radioattive sotto forma gassosa, liquida o solida per le quali nessun uso ulteriore è previsto dalla Parte contraente o da una persona fisica o giuridica la cui decisione è accettata dalla Parte contraente, e che sono controllati in quanto rifiuti radioattivi, da un organismo di regolamentazione in conformità del quadro legislativo e regolamentare della Parte contraente.” Invito a notare come la definizione di rifiuto radioattivo dipende interamente dallo Stato contraente, in aggiunta si specifica che la Convenzione si applica esclusivamente ai rifiuti di origine civile la cui radioattività sia dovuta al ciclo di combustione nucleare, e non a quelli radioattivi per la presenza incidentale di materiali radioattivi di derivazione naturale; ovviamente vi sono delle eccezioni riscontrabili già all’articolo 3, par. 2 della Convenzione.[10] 

Reputo interessante notare come la necessità di sottoporre alla Convenzione i rifiuti radioattivi non manifestò alcun dubbio sostanziale ad assoggettare la gestione sicura dei residui di combustile nucleare utilizzato (la spent fuel)[11] ad un trattato internazionale. Il compromesso con i Paesi che chiedevano in ogni caso l’assoggettamento della spent fuel ai medesimi standard di sicurezza previsti per i rifiuti radioattivi, fu raggiunto con la creazione di una Joint Convention[12], ossia con l’incorporazione, nel medesimo strumento internazionale, di due Convenzioni diverse, una per ciascuna delle sostanze considerate, a cui applicare i medesimi obiettivi in termini di gestione sicura delle stesse.

4. La definizione normativa dei rifiuti radioattivi in Italia

In Italia dopo tale sviluppo dottrinale e aggiungerei anche istituzionale, si giunge alla contaminazione della definizione di rifiuto radioattivo all’interno del nostro ordinamento attraverso un iter normativo relativamente complesso, infatti la definizione di rifiuto radioattivo trova riscontro nell’articolo 4, punto 3, lettera i, del decreto legislativo n. 230 del 17 marzo 1995 e s.m.i. “Attuazione delle direttive 89/618/Euratom, 90/641/Euratom, 96/29/Euratom, 2006/117/Euratom in materia di radiazioni ionizzanti, 2009/71/Euratom in materia di sicurezza nucleare degli impianti nucleari e 2011/70/Euratom in materia di gestione sicura del combustibile esaurito e dei rifiuti radioattivi derivanti da attività civili: “…qualsiasi materia radioattiva in forma gassosa, liquida o solida, ancorché contenuta in apparecchiature o dispositivi in genere, per la quale nessun riciclo o utilizzo ulteriore è previsto o preso in considerazione dall'autorità di regolamentazione competente o da una persona giuridica o fisica la cui decisione sia accettata dall'autorità di regolamentazione competente e che sia regolamentata come rifiuto radioattivo dall'autorità di regolamentazione competente”.

Oggi nel nostro Paese la definizione normativa di rifiuto radioattivo è contenuta all’interno del d.lgs. n° 101, 31 luglio 2020[13], terrei a far notare come la definizione di rifiuto radioattivo sia molto distante ed estranea dalla definizione di "rifiuto" contenuta nell'articolo 183 del d.lgs. 3 aprile 2006 n. 152. 

5. La classificazione dei rifiuti radioattivi: la normativa internazionale

La definizione di rifiuto radioattivo permette a questo punto di analizzare come tale fattispecie di rifiuto venga classificata, poiché esistono diverse categorie di rifiuti radioattivi e individuando tali categorie si possono attuare diverse modalità e criteri di gestione, tenendo conto soprattutto della concentrazione di radionuclidi e delle tempistiche in cui la radioattività decade.

Ai fini di una esatta gestione della sicurezza e dello smaltimento finale, possono essere presi in considerazione svariati criteri[14] per classificare i rifiuti radioattivi. I principi più importanti sono basati sul contenuto di radioattività, in quanto è quello che determina il livello di protezione richiesto durante le diverse fasi di gestione; poi il tempo di dimezzamento dei radionuclidi, in quanto circoscrive il periodo di tempo durante il quale il rifiuto seguita a rappresentare un pericolo potenziale e quindi indica le modalità di smaltimento finale.

Sulla base del contenuto di radioattività è ancora molto comune l’uso delle seguenti definizioni: Rifiuti ad alta attività (HLW), Rifiuti a media attività (ILW), Rifiuti a bassa attività (LLW).[15] In ambito internazionale l’impegno di definire una classificazione condivisa finalizzata allo smaltimento ha prodotto nel tempo diverse proposte di classificazione e in particolare, in ambito IAEA vi è stata una prima proposta ufficiale pubblicata nella Safety Guide “Classification of Radioactive Waste” (Safety Series N° 111-G-1.1, 1994) che definisce le classi di rifiuto in cinque categorie: Exempt waste (EW), Low and intermediate level waste (LILW), Short lived waste (LILW-SL), Long lived waste (LILW-LL), High level waste (HLW)[16]. La Safety Guide 111-G-1.1 è stata attualmente revisionata[17] sia per dare una maggiore enfasi alla sicurezza nel lungo periodo e sia per una migliore definizione dei rifiuti ad attività molto bassa (ad es. i rifiuti provenienti dallo smantellamento degli impianti nucleari)e tale nuova pubblicazione ufficiale[18] è stata prodotta dopo aver seguito il consueto iter di commenti e revisione da parte dei Paesi membri.

La nuova classificazione prevede sei classi di rifiuti radioattivi: Exempt waste (EW): come la precedente; Very short lived waste (VSLW): rifiuti che possono essere stoccati per un limitato periodo di tempo (fino a pochi anni) in attesa del decadimento della radioattività a valori tali da permetterne il rilascio incondizionato.

Sono rifiuti contenenti radionuclidi a breve vita prodotti principalmente da attività medicali o di ricerca; Very low level waste (VLLW): rifiuti che superano i limiti degli EW, ma che non richiedono un alto livello di contenimento e isolamento e che di conseguenza possono essere smaltiti in depositi superficiali senza necessitare di particolari strutture di protezione e con un limitato regime di controlli.

Tipicamente in questa classe sono compresi terra proveniente da bonifiche e pietrisco da demolizione, entrambi con leggera contaminazione; Low level waste (LLW): rifiuti che contengono radionuclidi a concentrazione superiore ai livelli di rilascio, ma con un limitato contenuto di radionuclidi a lunga vita. Richiedono un robusto isolamento e contenimento per un periodo di tempo fino a qualche centinaio di anni.

Sono quindi destinati tipicamente a depositi ingegneristici superficiali o a bassa profondità; Intermediate level waste (ILW): rifiuti che, per il contenuto di radioattività, in particolare i radionuclidi a lunga vita, richiedono un più alto livello di contenimento e isolamento di quanto possa garantire un deposito di superficie.

Rifiuti che, pur non avendo una significativa potenza termica, hanno una concentrazione di radionuclidi a lunga vita, in particolare alfa emettitori, superiore a quella normalmente ammessa per un deposito di superficie.

Sono destinati quindi allo smaltimento in depositi con barriere ingegneristiche e naturali a una maggiore profondità (non meglio definita); High level waste (HLW): rifiuti con un contenuto di radioattività tale da generare una significativa potenza termica per effetto del processo di decadimento oppure con un alto contenuto di radionuclidi a lunga vita. Lo smaltimento generalmente ammesso per tale tipologia è quello in depositi estremamente profondi (diverse centinaia di metri) con barriere geologiche stabili[19].

Sul presupposto del modello collettivo di classificazione, ogni Stato membro deve poi occuparsi di comporre un sistema di classificazione nazionale minuzioso e coerente con la normativa sovranazionale.

6. La classificazione dei rifiuti radioattivi in Italia

Teoricamente non c’è nessun obbligo a seguire lo schema di classificazione proposto dalla IAEA, ma nella pratica gli stati contraenti della Joint Convention hanno l’impegno di avere un sistema di classificazione statale compatto con i requisiti di sicurezza deliberati dalla Convenzione stessa, che a sua volta si ispira agli standards IAEA. Dunque, nel tempo i vari sistemi di classificazione nazionali, pur nella loro eterogeneità, si sono sempre di più uguagliati ed in particolar modo per quanto riguarda i rifiuti con radionuclidi a lunga vita.

L’Italia sul tema della classificazione dei rifiuti radioattivi da molto tempo adotta la "nota" Guida Tecnica N° 26[20] dell'ENEA-DISP[21]; sulla base della Guida Tecnica 26 i rifiuti radioattivi sono classificati in tre categorie, in dipendenza della concentrazione e caratteristiche dei radionuclidi contenuti[22].

La revisione e aggiornamento della Guida Tecnica 26 ha avuto un passaggio normativo estremamente complesso che iniziò con il decreto legislativo 31/2010[23] il quale faceva riferimento alla classificazione dei rifiuti radioattivi allora vigente (ex Guida Tecnica n. 26 dell’ENEA-DISP) e indicava che erano destinati allo smaltimento nel Deposito Nazionale i rifiuti radioattivi a bassa e media attività, mentre erano destinati all’immagazzinamento nello stesso, a titolo provvisorio di lunga durata, i rifiuti ad alta attività. In seguito, con Decreto Ministeriale 7 agosto 2015[24], la classificazione nazionale dei rifiuti radioattivi è stata mutata, conformandola agli standard internazionali.

In appoggio a quest’ultima, i rifiuti radioattivi rivolti allo smaltimento nel Deposito Nazionale sono denominati a molto bassa e bassa attività (VLLW-Very Low Level Waste e LLW-Low Level Waste), mentre quelli destinati allo stoccaggio-immagazzinamento a titolo temporaneo di lunga durata sono denominati rifiuti radioattivi a media e alta attività (ILW-Intermediate Level Waste e HLW-High Level Waste). Nei documenti del Progetto Preliminare[25] si utilizza la classificazione indicata nel decreto legislativo 31/2010, che suddivide i rifiuti radioattivi in bassa, media e alta attività. Secondo quanto indicato nel decreto legislativo n. 45/2014[26] di recepimento della Direttiva 2011/70/EURATOM[27] è stato emanato il Decreto ministeriale del 7 agosto 2015 che ha definito, in linea con i più recenti standard IAEA, la nuova classificazione dei rifiuti radioattivi nazionali. Sono così oggi suddivisi in cinque tipologie: a vita media molto breve; attività molto bassa; bassa attività; media attività e alta attività.

Un ulteriore elemento contenuto all’interno del D.M. del 7 agosto 2015 prevede come la nuova classificazione possa essere collocata all’interno delle tre categorie della Guida Tecnica 26; nel dettaglio: nella  prima categoria troviamo i rifiuti radioattivi a vita media molto breve e rifiuti radioattivi di attività molto bassa[28],  nella seconda categoria sono presenti i rifiuti radioattivi di bassa attività mentre terza e ultima categoria sono presenti i rifiuti radioattivi di media attività ed infine i rifiuti radioattivi di alta attività.

Il decreto interministeriale di classificazione dei rifiuti radioattivi è in vigore dal 20 agosto 2015. A partire da quella data tutti i soggetti che producono o che gestiscono i rifiuti radioattivi devono adottare la nuova classificazione e, entro sei mesi dalla stessa, devono aggiornare le registrazioni e la tenuta della contabilità dei rifiuti radioattivi.[29]

7. Conclusioni

A conclusione di questo elaborato possiamo affermare, in base alla ricerca svolta, che in Italia i rifiuti radioattivi prodotti vengono custoditi a oggi in depositi temporanei che ne consentono la gestione in sicurezza e l’isolamento dall’ambiente circostante.

Conseguentemente non si deve in nessun modo pensare che tale tematica sia ormai superata anzi si deve rilevare come tali depositi temporanei debbano essere superati al più presto ed in questo contesto la S.O.G.I.N. Spa sta procedendo in modo "spedito" all'individuazione di un Deposito Unico Nazionale in grado di ospitare i rifiuti radioattivi è molto importante notare come tali tipologie di rifiuti provengano dal passato esercizio, dallo smantellamento degli impianti nucleari e dalle attività nel campo sanitario, industriale e della ricerca.[30] 

Oggi il dibattito sull'energia nucleare sta tornando prepotentemente sul palcoscenico politico e istituzionale ma serve anche affrontare il tema non solo di dove installe le centrali nucleare ma soprattutto affrontare in modo chiaro e possibilmente serio il tema dello stoccaggio dei rifiuti e delle scorie radioattive poiché oggi tale discussione non è più rimandabile.  


Note e riferimenti bibliografici

[1] Trattato che istituisce la Comunità europea dell'energia atomica (CEEA o Euratom); firmato a Roma (Italia), il 25 marzo 1957; data di entrata in vigore: 1° gennaio 1958.

[2] L. Colella; Il diritto dell’energia nucleare in Italia e in Francia: profili comparati della governance dei rifiuti radioattivi tra ambiente, democrazia e partecipazione; Aracne editrice;2017

[3] L'Agenzia internazionale per l'energia atomica (detta anche AIEA o IAEA dal nome inglese International Atomic Energy Agency) è un'agenzia autonoma fondata il 29 luglio 1957, con lo scopo di promuovere l'utilizzo pacifico dell'energia nucleare e di impedirne l'utilizzo per scopi militari.

[4] L'Agenzia per l'energia nucleare (AEN), in lingua inglese Nuclear Energy Agency (NEA), è un'organizzazione internazionale intergovernativa che agisce sotto l'egida dell'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE). Fondata il 1º febbraio 1958 col nome di European Nuclear Energy Agency (ENEA), cambiò la sua denominazione nel 1972 con l'adesione del Giappone. Fonte: http://www.nea.fr.

[5] La Guida “Schedules of Provisions of the IAEA Regulations for the Safe Transport of Radioactive Material; La Guida è disponibile al seguente link:

https://www.iaea.org/publications/14686/schedules-of-provisions-of-the-iaea-regulations-for-the-safe-transport-of-radioactive-material-2018-edition .

[6] Codice IAEA art.2 traduzione in italiano: “per rifiuto radioattivo si intende qualsiasi materiale che contenga o sia contaminato da radionuclidi a concentrazioni o livelli di radioattività superiori alle quantità di esodo stabilite dalle autorità competenti e per il quale non è previsto alcun uso.

[7] Per approfondimenti Fodella A., Il movimento transfrontaliero di rifiuti pericolosi nel diritto Internazionale, Torino, Giappichelli editore, 2004.

[8] Resolution GC (XXXVIII)/RES/6, IAEA General Conference, 38th Session, September 1994.

[9]  Jankowitsch & Tonhauser, Joint Convention on the Safety of Spent Fuel Management and on the Safety of Radioactive Waste Management (Joint Convention), in NLB, 1997, p.9 e ss. .

[10] Art.3, par.2 “La presente Convenzione si applica altresì alla sicurezza dello smaltimento dei rifiuti radioattivi quando questi ultimi risultano da applicazioni civili. Tuttavia, essa non si applica ai rifiuti che contengono unicamente materie radioattive naturali e che non provengono dal ciclo del combustibile nucleare, a meno che non costituiscano una fonte sigillata ritirata dal servizio o siano dichiarati rifiuti radioattivi ai fini della presente Convenzione dalla Parte contraente.”

[11] Il c.d. spent fuel: molti Paesi considerando la spent fuel come una risorsa piuttosto che un rifiuto, per la possibilità di essere “rivitalizzata” attraverso il reprocessing, che ne permette un nuovo utilizzo come fonte di energia, con forti guadagni. Si veda anche Forti, La Russia spazzino atomico, in Il Manifesto, 15 febbraio 2001.

[12]    IAEA Joint Convention on the Safety of Spent Fuel Management and on the Safety of Radioactive Waste Management, INFCIRC/546

[13]  Definizione contenuta all’articolo 7 n.124) «rifiuti radioattivi»: qualsiasi materiale radioattivo in

forma   gassosa, liquida   o   solida, ancorché contenuto in apparecchiature o dispositivi in genere, ivi comprese le sorgenti dismesse, per il quale nessun riciclo o utilizzo ulteriore è previsto o preso in considerazione dall'Ispettorato nazionale per la sicurezza nucleare e la radioprotezione (ISIN) o da una persona giuridica o fisica la cui decisione sia accettata dall'ISIN e che sia regolamentata come rifiuto radioattivo dall'ISIN, ivi inclusi i Paesi di origine e di destinazione in applicazione della sorveglianza e il controllo delle spedizioni transfrontaliere, o di una persona fisica o giuridica la cui decisione è accettata da tali Paesi, secondo le relative disposizioni legislative e regolamentari.

[14] Luce A.; Decommissioning e gestione rifiuti radioattivi: la situazione internazionale e in Italia, 2009, pag. 29.: “

  1. Origine: industriale, ricerca e applicazioni medicali, centrali nucleari, ciclo del combustibile, smantellamento di impianti nucleari, etc.;
  2. Proprietà radiologiche: tempo di dimezzamento dei radionuclidi contenuti nel rifiuto, generazione di calore, intensità di dose, tipo di emissione radiologica (alfa, beta, gamma), concentrazione e radiotossicità dei radionuclidi, contaminazione superficiale, etc.;
  3. Proprietà fisiche: stato (liquido, solido, aeriforme), comprimibile o non comprimibile, volatilità, solubilità, etc.;
  4. Proprietà chimiche: rischio chimico, corrosione, contenuto organico, combustibile-non combustibile, reattività, generazione di gas, etc.”.

[15] Fonte: Enea.

[16] Nel dettaglio: Exempt waste (EW): livelli di attività minori o uguali ai livelli di clearance, basati su una dose annuale ai membri della popolazione minore di 0.01 mSv. Low and intermediate level waste (LILW): attività maggiore ai livelli di clearance e potenza termica minore a 2kW/m. . Short lived waste (LILW-SL): basse concentrazioni di radionuclidi a lunga vita (alfa minore di 4000 Bq/g per singolo manufatto ma minore di 400 Bq/g come valore medio). Long lived waste (LILW-LL): radionuclidi a lunga vita con concentrazioni superiori ai limiti stabiliti per i LILW-SL. High level waste (HLW): potenza termica maggiore di 2kW/m3 e radionuclidi a lunga vita con concentrazioni superiori ai limiti stabiliti per i LILW-SL.

Fonte: Classification of Radioactive Waste (Safety Series N° 111-G-1.1, 1994).

[17] Interessante la dichiarazione della International Atomic Energy Agency, Classification of Radioactive Waste, Safety Series No. 111-G-1.1, IAEA, Vienna (1994): “The classification scheme developed previously is not completely comprehensive in that it does not cover all types of radioactive waste, nor does it provide a direct linkage with disposal options for all types of radioactive waste. These aspects of the former classification scheme have been deemed limitations on its use and application.”

[19] Il termine "rifiuto esente" è stato mantenuto dalla precedente classificazione schema per coerenza; tuttavia, una volta che tali rifiuti sono stati eliminati dal controllo normativo, non sono considerati rifiuti radioattivi. General Safety Guide No. GSG-1; per testo integrale si rimanda a “www-pub.iaea.org” pagina 5.

[20] pubblicata per la prima volta su Sicurezza e Protezione N. 14, Maggio-Agosto 1987

[21] oggi ISPRA,

[22] I. Categoria Rifiuti la cui radioattività decade in tempi dell'ordine di mesi o al massimo di qualche anno (es. rifiuti da impieghi medici o di ricerca);

II. Categoria Rifiuti che decadono in tempi dell'ordine delle centinaia di anni a livelli di radioattività di alcune centinaia di Bq/g, e che contengono radionuclidi a lunghissima vita media a livelli di attività inferiori a 3700 Bq/g nel prodotto;

III. Categoria Rifiuti che decadono in tempi dell'ordine delle migliaia di anni a livelli di radioattività di alcune centinaia di Bq/g, e che contengono radionuclidi a lunghissima vita media a livelli di attività superiori a 3700 Bq/g nel prodotto condizionato. Fonte: Guida Tecnica 26.

[23] D.lgs. 15 febbraio 2010, n. 31, Disciplina dei sistemi di stoccaggio del combustibile irraggiato e dei rifiuti radioattivi, nonché benefici economici, a norma dell'articolo 25 della legge 23 luglio 2009, n. 99. Entrata in vigore del provvedimento: 23/03/2010.

[25] Sogin ha pubblicato sul sito depositonazionale.it le osservazioni e le proposte tecniche pervenute sulla CNAPI, la Carta Nazionale delle Aree Potenzialmente Idonee, pubblicata il 5 gennaio scorso assieme al Progetto preliminare del Deposito Nazionale e Parco Tecnologico (DNPT) e tutti i documenti correlati, dopo aver ricevuto il nulla osta dai Ministeri dello Sviluppo Economico e dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare (oggi Ministero della Transizione Ecologica).

[26] DECRETO LEGISLATIVO 4 marzo 2014, n. 45. Attuazione della direttiva 2011/70/EURATOM, che istituisce un quadro comunitario per la gestione responsabile e sicura del combustibile nucleare esaurito e dei rifiuti radioattivi.

[27] DIRETTIVA 2011/70/EURATOM DEL CONSIGLIO del 19 luglio 2011 che istituisce un quadro comunitario per la gestione responsabile e sicura del combustibile nucleare esaurito e dei rifiuti radioattivi; per testo integrale si veda “eur-lex.europa.eu”.

[28] Si noti come tale tipologia di rifiuti si collochi in una zona intermedia tra la I e la II Categoria ai sensi DECRETO 7 agosto 2015. Classificazione dei rifiuti uti radioattivi, ai sensi dell’articolo 5 del decreto legislativo 4 marzo 2014, n. 45.

[29] Fonte: “Programma Nazionale per la gestione del combustibile esaurito e dei rifiuti radioattivi” elaborato ai sensi del Decreto Legislativo n.45/2014 di recepimento della Direttiva 2011/70/EURATOM che istituisce un quadro comunitario per la gestione responsabile e sicura del combustibile nucleare esaurito e dei rifiuti radioattivi Testo consolidato a seguito del procedimento di Valutazione Ambientale Strategica concluso con il decreto di VAS n.340 del 10 dicembre 2018.

[30] Fonte Sogin S.P.A. .