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Pubbl. Mar, 11 Lug 2023

La differenziazione nell´Unione Europea

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Angela Nardiello
Laurea in GiurisprudenzaUniversità degli Studi di Salerno



L’elaborazione di questo lavoro mette in relazione i temi dell’integrazione europea con la gestione delle differenze nazionali. Si è tenuta presente la fecondità dell’ordinamento europeo, che ha determinato l’origine di specifici istituti, lo studio del principio di sussidiarietà e le relazioni di rilievo giuridico tra ordinamento europeo e ordinamenti nazionali. Fondamentale, a tal proposito è la tecnica di governo dell’UE che non procede unicamente alla riduzione delle differenze, ma ha l’obiettivo di “fare la differenza”, attraverso un collegamento tra governo e amministrazioni che assuma la configurazione di un vero e proprio coordinamento, che disciplini interessi diversi al fine di conseguire interessi comuni, valorizzando le differenze quale mezzo governativo di integrazione.


ENG

The differentiation in the European Union

The preparation of this work aims to link the issues of European integration with the management of national differences. We consider that the European legal system has led to the origin of specific institutions, the study of the principle of subsidiarity and the legal relations between the European legal system and the other national legal ones. The European strategy is key, in this regard, because it doesn’t proceed just to the reducing differences, but wants to ”make a difference” through a link between government and local administrations that takes the form of a real coordination, governing different interests that reach common interests, highlighting differences as government tool of integration.

Sommario: 1. Integrare le differenze per “fare la differenza”; 2. La differenza come limite; 3. Conclusioni. 

1. Integrare le differenze per “fare la differenza”

L’ordinamento europeo è definito un ordinamento composito[1], in quanto rappresenta l’idea di un’organizzazione unitaria nella quale le differenze non vengono annullate, come efficacemente sintetizzato nel motto dell’Europa “Uniti nella diversità” e positivizzato nell’art. 8 del Trattato del 2004 che prevedeva l’adozione di una Costituzione per l’Europa, mai entrato in vigore.

Non a caso questo era anche uno degli obiettivi proposti già nel 1941 nel Manifesto di Ventotene da alcuni intellettuali, come Ernesto Rossi e Altiero Spinelli, i quali, preoccupati per la ricostruzione delle economie prostrate dalla guerra e  per la protezione contro l’emergente imperialismo sovietico[2], miravano alla costruzione di un grande mercato progettato dai padri fondatori, «che avevano compreso quanto fosse importante incontrarsi, commerciare, lavorare insieme organizzando una società più ricca, più creativa, più intelligente, più giusta e più forte nel mondo. La condivisione di uno spazio di vita economica e sociale comune nel rispetto delle nostre diversità, il desiderio di essere nel contempo nutriti e consolidati da un interesse a stare insieme: questa era ed è ancora oggi l’ambizione del grande mercato europeo»[3].

Il diniego di Francia e Olanda alla nascita di una Costituzione europea ha, così, favorito rigurgiti di orgoglio nazionale, nonostante la crescita del sistema comunitario e l’allargamento dell’Unione avessero  dimostrato che «l’intervento del diritto comunitario non costituisce un “attentato” agli ordinamenti costituzionali nazionali bensì piuttosto uno strumento di notevole potenzialità anche per dare sviluppo a principi e valori presenti nelle Costituzioni ma spesso negletti o dimenticati»[4].

Ad ogni modo il riconoscimento delle differenze in una organizzazione unitaria non è una peculiarità della sola Unione europea, ma è altresì presente nei principali sistemi giuridici statuali[5], ove esistono articolazioni territoriali[6] derivate da ordinamenti statuali sovrani[7]. Si può, comunque, rimarcare una diversità tra le plurali esperienze statuali – dove l’unità è presunta – e l’esperienza comunitaria dove, invece, l’unità è un obiettivo che muove da un dato di partenza, costituito dalla specificità di diverse realtà.

Ne discende che «nell’UE l’unità è l’obiettivo da perseguire, la differenziazione non si misura rispetto a una unità preesistente, ma a una unità prefigurata e auspicata, alla quale continuamente tendere e basata, di volta in volta, su un equilibrio dinamico all’interno del quale le differenze non vengono cancellate, ma ordinate»[8]. Riflessione, questa, enunciata già da Giordano Bruno nel saggio “Le ombre delle idee”, laddove l’Autore sostiene che una grande diversità richiede un corrispondente ordine e viceversa, e «nessun ordine si ritrova dove non esiste alcuna diversità»[9].

È indiscutibile, tuttavia, che le differenze storiche e culturali costituiscono i fattori che possono facilmente rendere la struttura dell’UE più stabile e funzionale e soprattutto più resistente a qualsiasi spinta secessionista, attraverso un condiviso processo di integrazione tra popoli.

Gli studiosi tuttora si interrogano su come preservare l’unità nella differenza e su quale ruolo essa abbia nei processi di integrazione dell’Unione europea come potenzialità e come strumento di coordinamento, oltre la sua natura di “limite”.

2. La differenza come limite

Comunemente la differenza è ritenuta un limite per l’unità e per l’autonomia di un ordinamento, anche se già Hegel riteneva che «la limitazione non può essere un elemento estraneo al processo della vita». La differenza, pertanto, ha la funzione di creare quelle condizioni che sono in grado di attuare il suo stesso superamento[10].

Accade così che sia gli apparati amministrativi, a causa delle loro differenze organizzative, sia le varie prassi degli Stati membri influenzano in diverso modo il processo unitario, anche perché i trattati istitutivi stipulati dai padri fondatori hanno sostenuto l’opzione degli ordinamenti internazionali che riconoscono agli Stati il ruolo di rendere operante il diritto dell’Unione europea.

Indubbiamente lo strumento operativo più idoneo per l’integrazione europea è la riduzione delle differenze che è un obiettivo da perseguire – secondo il legislatore – attraverso il conferimento di una maggiore importanza agli organismi centrali di governo.

Il rapporto tra differenza ed integrazione deve, allora, essere visto come virtuoso contrasto, in quanto l’ordinamento europeo è tanto più forte quanto più vengono superate le differenze nazionali.

Ne consegue che la centralità dell’Europa, derivante da un siffatto processo di centralizzazione, esalta il potere decisionale delle istituzioni, con il conseguente rafforzamento decisionale delle funzioni della Commissione e del Parlamento europeo.

Ci si trova, allora, di fronte ad una ricomposizione inter-istituzionale che, coinvolgendo tutti i governi degli Stati membri, mira al raggiungimento di un essenziale e precipuo obiettivo, ovvero quello di creare un equilibrio ampio e resistente a qualsiasi eventuale spinta demolitiva, benché l’allargamento della Commissione a 28 componenti, prima della Brexit, e 27 attualmente, indebolisca la capacità politica di far funzionare le istituzioni dell’UE. Pertanto, ogni Stato membro deve adottare misure che lo conducano ad equilibrare, con vincoli esterni, i propri interessi.

E qui la Corte di giustizia dell’Unione europea, la cui attività risulta fondamentale per la realizzazione del processo di integrazione ai fini delle riduzioni delle differenze, svolge un’importante funzione su due livelli: il primo tutela il rispetto e la garanzia della disciplina europea di diritto; il secondo pone l’accento sull’applicazione del “diritto derivato” attraverso il rinvio pregiudiziale da parte dei giudici nazionali.

La giurisprudenza, inoltre, ha dato e dà un valido contributo al superamento ed alla rimozione degli ostacoli nazionali che si frappongono all’affermazione delle libertà di circolazione delle persone, dei beni, dei servizi e dei capitali, tutelate sin dal Trattato istitutivo della Comunità economica europea. Ne consegue che il processo di integrazione, attivamente sostenuto dalla Corte di Lussemburgo, tenendo nel dovuto conto le motivazioni sociali, ha ridisegnato, riducendoli o rimuovendoli, gli ambiti propri degli Stati membri. È questo il fenomeno dell’«integration through law o anche judicial harmonisation».

Inoltre, sono stati creati appositi apparati amministravi sovranazionali[11], nel segno di un ordinamento UE indipendente sia da ciascuno Stato nazionale, sia dagli organi europei, anche con la funzione precipua di svolgere parte dei consueti poteri nazionali[12]. In qualche caso, come è avvenuto per la Banca centrale europea, sono state costituite autorità indipendenti nell’esercizio dei poteri nazionali tradizionali.[13].

Rientra in tale ambito anche la crescita di Agenzie europee che si sono affermate sia quantitativamente che qualitativamente, avendo assunto un ruolo indipendente nella determinazione e regolazione degli standard europei[14].

In ogni caso, il punto centrale dell’unità dell’ordinamento europeo è rappresentato dal mercato[15] che, dapprima “comune”, poi “unico” e, infine, “interno”, ha originato e rafforzato l’unità regolativa dell’ordinamento comunitario prima e di quello europeo, dopo[16]. «In realtà, la realizzazione del mercato unico ha richiesto l’adozione di regole europee, volte ad assestare e uniformare settori retti da discipline nazionali non di rado incompatibili con il principio dell’economia di mercato in libera concorrenza, oltre che divergenti. Anche i processi di liberalizzazione hanno generato un bisogno di nuove regole maggiore che in passato, pur se si tratta di regole europee, le quali subentrano a quelle nazionali»[17].

Al riguardo si segnala un’interessante comparazione tra le istituzioni europee e quelle statunitensi, oggetto di uno studio coordinato da Berman (Beverley 1987) in tre volumi e settanta articoli.

Il primo libro raccoglie in una rubrica interdisciplinare una serie di tre visioni di insieme relative alla dimensione politica, legale ed economica dell’America e dell’Europa. Il sapore interdisciplinare permea tutto il volume, per esempio, nella giustapposizione, nel secondo libro, di un trattamento di lawyerlike, di scelta di legge e un resoconto delle decisionalità. Una lettura intelligente del libro rende abbondantemente chiaro che il federalismo europeo non può essere adeguatamente studiato solo in termini politici, economici o legali. Il mercato interno, ancora non pienamente attuatosi, punta sulla piena realizzazione delle politiche economiche comuni, avvalendosi della collaborazione con le autorità degli Stati membri, all’insegna di un’autentica costituzione della sovranità delle istituzioni europee.

3. Conclusioni

La riduzione delle differenze conduce principalmente al rafforzamento delle regole UE di un mercato unico che si basi essenzialmente sulla tecnica dell’armonizzazione.

Quest’ultima si traduce, così, non solo nella rimozione degli ostacoli, ma anche, all’occorrenza, in uno strumento di ravvicinamento dei diversi ordinamenti[18]. I suoi effetti «variano a seconda della fonte di diritto utilizzata e del grado di dettaglio della previsione normativa europea. Come dimostra il caso delle direttive, l’armonizzazione non cancella necessariamente un certo grado di differenziazione tra gli Stati membri; ma anche i regolamenti spesso non esauriscono gli spazi d’intervento sul piano applicativo»[19], la concertazione tende a costituire un sistema di regole diretto a ridurre sovranità e differenze tra gli Stati membri.

La conformazione europea innesca così un processo di adattamento da parte delle amministrazioni degli Stati membri, delle prescrizioni sovranazionali oggetto del controllo della Commissione e dei giudici europei. Sicché alla disciplina del procedimento amministrativo nazionale si affianca sempre più spesso la previsione di un intervento della Commissione o di un altro ufficio europeo, sviluppo che «prefigura il passaggio dalla esecuzione decentrata a una esecuzione congiunta e la messa a punto di procedimenti composti europei»[20].

L’armonizzazione, la combinazione di fattori di integrazione positiva con quelli di integrazione negativa e la costruzione del mercato unico hanno, così, contribuito a determinare l’affievolimento del diritto nazionale e la supremazia del diritto UE[21], che, gradualmente, ha preteso la disapplicazione dei provvedimenti legislativi e amministrativi nazionali in contrasto con il diritto dell’Unione europea, determinando un’indubbia centralizzazione del potere decisionale a scapito delle differenze[22].

Questo fenomeno ha, altresì, investito il campo dei diritti fondamentali ad opera principalmente della Corte di giustizia[23], sulla base della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, nonché della prevista adesione dell’UE alla CEDU[24], rafforzando i principi di uniformità e di unità[25].

E qui giova evidenziare come la CEDU realizzi, nella sua concreta applicazione, un tentativo di sintesi tra l’universalità dei diritti fondamentali ed i particolarismi e le specificità dei vari ordinamenti nazionali.

Attraverso questi processi, la differenza sviluppa un ruolo residuale nell’ostacolare l’integrazione, perché demarca, da un lato, l’ambito delle competenze possedute singolarmente dagli Stati membri; dall’altro le competenze, non assegnate all’UE, che riflettono solo gli interessi locali. In questo senso «la differenza pone un limite esterno alle competenze dell’UE. La residualità esprime qui la classificazione tecnica delle competenze degli stati membri, mentre non sta a indicare il loro valore che in questo senso è tutt’altro che residuale. Per altro verso, però, la differenza arresta i processi di integrazione lì dove l’integrazione attraverso il mercato non sembra possibile. Così la differenza è tollerata quando si verificano fallimenti di mercato o quando il mercato non opera, anche se in misura strettamente limitata o proporzionata al conseguimento delle finalità che il mercato da solo non riesce a garantire»[26].

Anche in materia di tutela della cultura e dei patrimoni culturali nazionali sono ravvisabili limiti al processo di integrazione, perché l’UE non può sostituirsi alla eterogeneità storica e sociale degli Stati[27]. Evidentemente il tema e la questione delle differenze sono particolarmente delicati, in quanto il loro superamento deve attuarsi in un ambito che realmente riesca ad armonizzare tutte le varie istanze umane, culturali ed economiche, essendo questi valori ben radicati nella storia dei diritti nazionali e rappresentando qualcosa di più ampio rispetto a specifici settori.

L’armonizzazione, l’integration through law e la supremazia del diritto dell’Unione europea rappresentano, quindi, importanti elementi su cui fondare l’integrazione delle differenze tra gli Stati membri, pur restando la differenza un ambito su cui si deve concentrare una sempre più crescente attenzione.


Note e riferimenti bibliografici

[1] S. CASSESE, L’Unione europea come organizzazione pubblica composita, in Riv. it. dir. pubbl. comunit., 2000, p. 990 ss. Si veda, anche, S. Cassese, Che tipo di potere pubblico è l’Unione europea?, in ID., Lo spazio giuridico globale, Laterza, Roma-Bari, 2003.

[2] U. DRAETTa, Elementi di diritto dell’Unione Europea, Giuffrè, Milano, 2009.

[3] Comunicazione della Commissione europea al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni, Per un’economia sociale di mercato altamente competitiva, Bruxelles, 27/10/2010.

[4] A. CELOTTO, T. GROPPI, Diritto UE e diritto nazionale, in A. ADINOLFI, P. LANG, Il Trattato che adotta una Costituzione, Giuffrè, Milano, 2006.

[5] Con riguardo alla valenza costituzionale del principio di differenziazione nell’ordinamento italiano e ai fini di considerazioni generali sul valore giuridico della differenziazione cfr. E. Carloni, Lo stato differenziato. Contributo allo studio dei principi di uniformità e differenziazione, Giappichelli, Torino, 2004. Al riguardo giova sottolineare che tale principio all’indomani della modifica del titolo V della Costituzione è entrato nella Costituzione e rappresenta, insieme ad altri, uno dei più importanti principi per quanto concerne il riparto delle funzioni amministrative e l’organizzazione delle amministrazioni. Inoltre, quanto al valore della differenziazione ai tempi della crisi, cfr. E.M. MARENGHI, Il diritto ai tempi della crisi: la regolazione possibile, in Riv. it. dir. pub. com., 2010.

[6] Sulla conciliazione tra sovranità statuale e unitarietà dell’ordinamento europeo si possono vedere i contributi di A. TIZZANO, Appunti sul Trattato di Maastricht: struttura e natura dell’Unione europea, in Foro it., 1995.

[7] U. DRAETTA, Elementi di diritto dell’UE, Giuffrè, Milano, 2009.

[8] L. TORCHIA, Il governo delle differenze, Il Mulino, Bologna, 2006.

[9] G. BRUNO, Le ombre delle idee, 1582, ora a cura di Di Rienzo, Hoepli, Milano, 2004.

[10] Sul punto si sottolinea che alla base dell’emanazione del nuovo atto per il mercato unico, la differenza come “limite” viene ritenuta la principale ratio sottesa ai processi di armonizzazione. Per approfondimenti v. Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni, Per un’economia sociale di mercato altamente competitiva, Bruxelles, 27/10/2010.

[11] Il carattere armonizzatorio della proliferazione variegata degli apparati amministrativi europei è sottolineato da A. MASSERA, I principi generali, in M.P. CHITI, G. GRECO (a cura di), Trattato di diritto amministrativo europeo, Giuffrè, Milano, 2007.

[12] Cfr. V. GIOMI, F MERUSI, Politica economica e monetaria, in M.P. CHITI, G. GRECO (a cura di), Trattato di diritto amministrativo europeo, Giuffrè, Milano, 2007.

[13] Si tratta dell’istituzione di tre autorità di settore nel 2011, quali: l’Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati, istituita con il regolamento UE 1095/2010; l’Autorità bancaria europea, istituita con il regolamento UE 1093/2010 e l’Autorità europea delle assicurazioni e delle pensioni aziendali e professionali, istituita con il regolamento UE 1094/2010.

[14] Al riguardo si segnala per la sua peculiarità l’Agenzia per la cooperazione fra i regolatori nazionali dell’energia, istituita con il regolamento CE 713/2009, in quanto si differenzia per la sua spiccata autonomia e indipendenza dalla Commissione, nonché per i suoi poteri contenziosi di cui sono, invece, prive le altre agenzie.

[15] R. ADAM, Il diritto del mercato interno: l’art. 100 A del Trattato Cee e l’armonizzazione delle legislazioni, in A. MASSERA (a cura di), Ordinamento comunitario e pubblica amministrazione, Il Mulino, Bologna, 1994. Recentemente su questi temi è tornata M. LOTTINI, Il mercato europeo. Profili pubblicistici, Jovene, Napoli, 2010, sottolineando le implicazioni limitanti del mercato europeo sull’esercizio dei poteri pubblici statuali.

[16] All’indomani dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona non si usa più la denominazione di “Comunità europea”, bensì quella di “Unione europea”; ne dovrebbe, dunque, discendere la modificazione del lessico, sostituendo il termine ‘comunitario’ con quello di “europeo”. Tuttavia in dottrina e giurisprudenza continuano ad utilizzarsi entrambi i termini vista la perdurante efficacia del termine “comunitario” nel connotare la qualità dell’ordinamento dell’Unione europea e, considerata, l’ambiguità del termine “europeo” che connota molto più di un semplice ordinamento.

[17] F. GIGLIONI, Governare per differenza, Metodi europei di coordinamento, ETS, Pisa, 2012.

[18] R. ADAM, Il diritto del mercato interno: l'art. 100 A del Trattato Cee e l’armonizzazione delle legislazioni, p. 23.

[19] F. GIGLIONI, Governare per differenza, op. cit.

[20] G. DELLA CANANEA (a cura di), Diritto amministrativo europeo, Giuffré, Milano, 2011.

[21] Relativamente alle tecniche che combinano fattori di integrazione positiva con quelli di integrazione negativa cfr. F.W. SCHARPF, Governare l’Europa, Il Mulino, Bologna, 1999. Si tenga contro, altresì, che il processo di supremazia del diritto europeo è stato ripercorso, prendendo in considerazione anche delle varianti emerse in tempi più recenti.

[22] L. BORRELLO, E. CASSESE, E. CHITI, Il mercato interno e le politiche dell’Unione europea, in S. Cassese (a cura di), La nuova costituzione economica, Laterza, Roma-Bari, 2012.

[23] J.H.H. WEILER, La Costituzione dell’Europa, Il Mulino, Bologna, 2003, ove si evidenzia il ruolo rilevante rivestito dalla Corte di giustizia nell’enucleazione di tutta una serie di principi fondamentali tratti dai principi comuni degli Stati membri.  

[24] L’adesione è ora sancita dall’art. 6 del TUE. Al riguardo v. A. DI STASI, La vetero-nova quaestio dell’adesione dell’Unione europea alla CEDU nella prassi delle istituzioni europee, in Grotius, Numero speciale 2012, p. 7 ss.; A. Gianelli, L’adesione dell’Unione europea alla CEDU secondo il Trattato di Lisbona, in Dir. Un. eur., 2009, n. 3, p. 678 ss. e p. 699; J. Jacqué, The accession of the European Union to the European Convention on human rights and fundamental freedoms, in CML Rev., 2011, n. 4, p. 995 ss. ; V. Zagrebelsky, La prevista adesione dell’Unione europea alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, in www.europeanrights.eu, dicembre 2007.

[25] Il rafforzamento delle Corti europee, tanto la Corte di giustizia quanto la CEDU, producono altre conseguenze di centralizzazione degli ordinamenti che potrebbe perfino portare ad una progressiva marginalizzazione delle corte costituzionali nazionali. Cfr. M. Cartabia, I diritti fondamentali in Europa dopo Lisbona: verso nuovi equilibri?, in Gior. dir. amm., 2010. Sulla CEDU, cfr. le sentenze riportate in A. Di Stasi (a cura di), CEDU e ordinamento italiano, Cedam, Padova, 2016, in particolare il caso Khlarfia, sent. I.IX.2015, ric. n.16483/12 in tema di migranti irregolari.

[26] F. GIGLIONI, op. cit.

[27] G. DELLA CANANEA, L’Unione europea. Un ordinamento composito, cit. Ivi l’Autore sottolinea come la diversità culturale costituisca il substrato ineliminabile dell’UE rispetto al quale l’ordinamento europeo si limita a riconoscerne la pluralità e la coesistenza. Proprio in considerazione del fatto che l’UE non si configura come un vero e proprio Stato, la multinazionalità rappresenta un tratto peculiare.