Pubbl. Mar, 27 Set 2022
L´Adunanza Plenaria si esprime sull´accesso alle cartelle Equitalia ove la cartella di pagamento non sia più disponibile
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Ilaria Travaglione
Nota a Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 14 marzo 2022, n. 4, Presidente Frattini, Estensore Veltri. Il presente contributo, dopo aver evidenziato l’evoluzione giurisprudenziale che ha interessato la tematica del diritto di accesso, con specifico riguardo al diritto di accesso documentale agli atti di natura tributaria, si propone di analizzare l’iter argomentativo seguito dall´Adunanza Plenaria n. 4 del 2022, nella soluzione dei quesiti sottoposti alla sua attenzione dalla IV Sezione del Consiglio di Stato, in ordine all’ostensibilità delle cartelle di pagamento, nell’ipotesi in cui le stesse non siano più detenute dal concessionario (rectius: agente) per la riscossione.
Sommario: 1. Il diritto di accesso agli atti, tra esigenze di difesa ed esigenze di segretezza; 2. Il diritto di accesso alle cartelle di pagamento, non più detenute né riproducibili dall'agente per la riscossione. La remissione della questione all'Adunanza Plenaria; 2.1. I fatti di causa; 2.2. Il contrasto interpretativo; 2.3. La soluzione fornita dall'Adunanza Plenaria n. 4 del 2022.
Con sentenza n. 4 del 14 marzo 2022, l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato si è interrogata in ordine all’ostensibilità delle cartelle di pagamento, nell’ipotesi in cui le stesse non siano più detenute dal concessionario (rectius: agente) per la riscossione.
L’Adunanza ha formulato i seguenti principi di diritto:
«1) Il concessionario, ai sensi dell’art. 26 comma 5 del DPR 602/73, ha l’obbligo di conservare la copia della cartella di pagamento, anche quando esso si sia avvalso delle modalità semplificate di diretta notificazione della stessa a mezzo di raccomandata postale;
2) Qualora il contribuente richieda la copia della cartella di pagamento, e questa non sia concretamente disponibile, il concessionario non si libera dell’obbligo di ostensione attraverso il rilascio del mero estratto di ruolo, ma deve rilasciare una attestazione che dia atto dell’inesistenza della cartella, avendo cura di spiegarne le ragioni.»
1. Il diritto di accesso agli atti, tra esigenze di difesa ed esigenze di segretezza
Prima di passare in rassegna l’iter argomentativo seguito dal Supremo Consesso nella soluzione dei quesiti sottoposti alla sua attenzione dalla IV Sezione del Consiglio di Stato, occorre preliminarmente e brevemente soffermarsi sull’evoluzione giurisprudenziale che ha interessato la tematica del diritto di accesso, con specifico riguardo al diritto di accesso documentale agli atti di natura tributaria.
La giurisprudenza ormai consolidata ritiene che «non vi sia ragione per negare, in linea di principio, al privato "il diritto di accesso alle cartelle esattoriali che lo riguardano»[1].
L’accesso documentale, disciplinato agli artt. 22 ss. l. 241/1990, è, infatti, principio generale dell’azione amministrativa[2] e rappresenta il primo momento di passaggio da un modello ispirato al principio di segretezza degli atti a un sistema in cui la Pubblica Amministrazione, nel tentativo di ricostruire il rapporto di fiducia con il privato cittadino, può essere destinataria di un’istanza di ostensione.
Pur non essendo in grado di soddisfare efficacemente la visione della trasparenza come accessibilità totale[3] – diversamente dall’accesso civico semplice e generalizzato, che, viceversa, sono funzionali a garantire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche –cionondimeno, l’accesso documentale sembra porre meno problemi di interferenza con la disciplina della protezione dei dati personali e della riservatezza, di quanto non facciano le altre forme di accesso, così da realizzare un efficace punto di equilibrio tra i contrapposti valori in gioco[4].
Nell’accesso documentale convivono, de facto, «due anime»[5]: una funzionale alla partecipazione, e strumento di attuazione dei principi di imparzialità e trasparenza amministrativa (accesso partecipativo); l’altra legata all’obiettivo di difesa degli interessi del richiedente (accesso difensivo).
Se, da un lato, l’accesso difensivo è fattispecie ostensiva autonoma, dotata di una vis espansiva tale da superare finanche le preclusioni ordinarie a cui è soggetto l’accesso partecipativo; dall’altro, la giurisprudenza, sia nazionale che comunitaria, si è più volte interrogata sul difficile punto di equilibrio fra diritto di accesso agli atti, garanzia del diritto di difesa ed esigenze di riservatezza del procedimento vantate dall’Amministrazione – specialmente finanziaria – nonché di tutela dei terzi[6].
In particolare, il legislatore ha introdotto stringenti limitazioni volte ad escludere, in capo ai contribuenti, le facoltà riconosciute dalla l. 241/1990. In particolare, l’art. 24, comma 1, lett. b), Legge n. 241/1990, esclude il diritto di accesso nell’ambito dei procedimenti tributari, per i quali «restano ferme le particolari norme che li regolano».
Tale previsione appare, tuttavia, in evidente contrasto con il rispetto dei principi di contraddittorio, partecipazione e trasparenza e del diritto della difesa, che costituisce principio generale anche del diritto dell’Unione europea, e «che trova applicazione ogniqualvolta l’Amministrazione si proponga di adottare nei confronti di un soggetto un atto che gli arreca pregiudizio»[7].
Invero, i giudici comunitari[8] hanno più volte chiarito che «in forza di tale principio, i destinatari di decisioni che incidono sensibilmente sui loro interessi devono essere messi in condizione di manifestare utilmente il loro punto di vista in merito agli elementi sui quali l’Amministrazione intende fondare la sua decisione»[9].
Ne discende che, per garantire l’effettività della tutela, deve essere riconosciuto al contribuente il diritto di accesso agli atti anche prima dell’emissione di un provvedimento impositivo, purché non vi osti la presenza di “obiettivi di interesse generale”.
Allo stesso modo, la giurisprudenza nazionale ha, d’altra parte, fornito un’interpretazione costituzionalmente orientata delle disposizioni in materia di accesso agli atti, sancendo che il divieto di cui all’art. 24, comma 1, lett. b), L. 241/1990 deve intendersi limitato «alla fase di pendenza del procedimento tributario, non rilevandosi esigenze di ‘segretezza’ nella fase che segue la conclusione del procedimento con l’adozione del procedimento definitivo di accertamento dell’imposta dovuta sulla base degli elementi reddituali che conducono alla quantificazione del tributo»[10].
Diversamente opinando, si giungerebbe alla «singolare conclusione che, in uno Stato di diritto, il cittadino possa essere inciso dalla imposizione tributaria – pur nella più lata accezione della ‘ragion fiscale’ – senza neppure conoscere il perché della imposizione e della relativa quantificazione»; dunque, in violazione del proprio diritto di difesa[11].
Tali principi sono stati poi confermati anche dalla giurisprudenza successiva, che, in tema di accesso agli atti tributari, intestati al contribuente e detenuti del concessionario (rectius: agente) della riscossione, ha sancito che, soltanto nella fase di pendenza del procedimento tributario gli atti sono inaccessibili, non rilevando, viceversa, alcuna esigenza di segretezza nella fase successiva. Ne conviene che l’Amministrazione è obbligata a rendere ostensibili gli atti richiesti e non è titolare di alcun margine discrezionale in merito[12].
D’altro canto – per quel che qui interessa – la legittimazione e l’interesse del contribuente ad accedere ad atti funzionali all’attivazione procedure di esecuzione sono riconosciuti anche attraverso la previsione normativa di specifici obblighi in capo all’agente per la riscossione[13].
2. Il diritto di accesso alle cartelle di pagamento, non più detenute né riproducibili dall'agente per la riscossione. La remissione della questione all'Adunanza Plenaria
Tanto precisato, oggetto della questione esaminata dall’Adunanza Plenaria[14] non è la legittimazione e l’interesse del contribuente ad accedere agli atti richiesti (ritenuti pacifici), quanto piuttosto l’incompleto riscontro ad un’istanza di ostensione formulata dal contribuente, qualora gli atti non siano più nella disponibilità dell’Agente della Riscossione.
2.1. I fatti di causa
La fattispecie esaminata trae origine da un’istanza di accesso agli atti, avente ad oggetto l’ostensione di diciotto cartelle di pagamento.
L’agente della riscossione, a fronte della richiesta, aveva, tuttavia, osteso la sola documentazione relativa alla notificazione delle predette cartelle, senza fornire copia delle cartelle stesse, in quanto dichiarate “estinte”, salvo una, per la quale veniva rilasciato il solo estratto di ruolo.
Il parziale diniego si fondava, dunque, sulla dichiarata impossibilità di produrre copia delle cartelle, in quanto delle stesse esisteva un unico esemplare, già utilizzato per la notifica.
Invero, l’indisponibilità, in concreto, da parte dell’Agente della Riscossione della cartella di pagamento è un’eventualità legata alla circostanza che, ordinariamente, il sistema informatico consente la stampa di un unico originale della cartella[15], e che la stessa può, per legge, essere notificata mediante modalità semplificate di diretta notificazione a mezzo di raccomandata postale senza intermediazione (art. 26, primo comma, d.P.R. n. 602 del 1973)[16].
L’istante, tuttavia, impugnava il diniego parziale di accesso agli atti innanzi al Tar di Latina, in quanto non gli sarebbe stata in tal modo consentita la verifica dell’esatta corrispondenza di quanto riportato nel ruolo con le cartelle stesse.
I giudici di prime cure respingevano il ricorso, attribuendo valenza solutoria alla documentazione relativa alla sola attività di notificazione.
L’istante proponeva, pertanto, appello, deducendo l’erroneità della sentenza, e la IV Sezione del Consiglio di Stato, rilevando un contrasto giurisprudenziale sul punto, rimetteva all’Adunanza Plenaria le seguenti questioni di diritto:
«a) se il concessionario possa essere esonerato dalla conservazione della copia della cartella di pagamento;
b) se la cartella, ai fini dell’accesso, possa essere surrogata dall’estratto di ruolo.»
2.2. Il contrasto interpretativo
Ebbene, secondo un primo filone interpretativo[17], la cartella di pagamento avrebbe natura sostanzialmente certificativa dei dati contenuti nel ruolo e, poiché all’Agente della riscossione è attribuita la facoltà di conservare la “matrice”, in alternativa a copia della cartella (art. 26, quinto comma, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602), pur non disconoscendosi, in linea di principio, l’esistenza del diritto in capo al contribuente di ottenere l’esibizione delle cartelle esattoriali che lo riguardano, nel merito l’istanza può legittimamente essere respinta, vista l’impossibilità in concreto di esibizione del documento. In tal caso, può attribuirsi valenza surrogatoria e liberatoria al rilascio di un semplice “estratto di ruolo”.
Il secondo filone ermeneutico, riconoscendo autonomia e infungibilità alla cartella di pagamento, ritiene che l’agente della riscossione «a piena tutela dell’interesse del privato, sia comunque tenuto ad attestare – con una specifica dichiarazione formale, della quale si assume la responsabilità, contenuta nella copia dell’estratto di ruolo prodotta o in un autonomo documento – che i dati riportati nell’estratto corrispondono alle risultanze dei ruoli e che né presso di sé né presso altra Amministrazione esistono gli originali richiesti»[18]. In altri termini, ai fini dell’accesso, l’estratto di ruolo non è equipollente alla cartella esattoriale.
Un terzo filone interpretativo ritiene che la cartella di pagamento abbia valenza insostituibile nell’esecuzione esattoriale. In particolare, è espressamente previsto in capo all’Agente della Riscossione l’obbligo di conservare il documento e detenerlo ai fini dell’accesso, almeno per cinque anni. Pertanto, onde adempiere correttamente agli obblighi normativamente imposti, «non è possibile ritenere che l’agente della riscossione non sia in possesso dei ruoli: può non essere in possesso di questi ultimi “in forma cartacea”, ma certamente non può non avere archiviazione degli stessi, quale che ne sia il metodo (in caso contrario mancherebbe la “memoria” del presupposto stesso dell’attività di recupero)»; ad ogni modo, «non può configurarsi attività di notificazione che non preveda la conservazione dell’originale (o comunque di altra copia) dell’atto del quale è stata notificata una copia (v. art. 137, co. 2, c.p.c.)» [19]. Sarebbe, d’altro canto, irragionevole un sistema che fa dipendere la disponibilità dell’atto dalla scelta delle modalità di notificazione.
2.3. La soluzione fornita dall’Adunanza Plenaria n. 4 del 2022
Evidenziato il contrasto giurisprudenziale sul punto, in risposta ai quesiti sottoposti dalla Sezione rimettente, il Supremo Consesso chiarisce, innanzitutto, che la cartella di pagamento è documento amministrativo accessibile ai sensi dell’art. 22 della legge 241/90[20], e deve «escludersi che la stessa rientri nell’area dei procedimenti tributari per i quali l’art. 24 della medesima fonte “esclude” l’accesso”», in quanto presuppone la conclusione del procedimento tributario e costituisce il primo atto dell’esecuzione esattoriale.
La cartella esattoriale, prevista dall’art. 25 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, ha, invero, funzione composita, in quanto:
- Da un lato, la sua notificazione consente al contribuente di conoscere l’esistenza del titolo esecutivo posto a base dell’esecuzione esattoriale e costituito dal ruolo[21],
- Dall’altro, essa incorpora in sé anche il contenuto del precetto, tipico atto dell’esecuzione civile[22];
- In alcuni casi, poi, assume funzione impositiva in senso sostanziale, al pari di un atto di accertamento (come nel caso della cartella di pagamento emessa nell’ambito della procedura di controllo automatizzato delle dichiarazioni reddituali, ai sensi dell’art. 36 bis dal dPR 600/1973).
In altri termini, la cartella di pagamento rappresenta «l’emersione documentale di uno snodo indefettibile dell’esecuzione esattoriale», la cui notifica «assolve uno actu le funzioni che nella espropriazione forzata codicistica sono svolte dalla notificazione del titolo esecutivo ex art. 479 c.p.c. e dalla notificazione del precetto».
Si distingue ontologicamente dall’estratto di ruolo, che invece è «atto del concessionario, relativo al singolo contribuente, che non contiene alcuna pretesa impositiva, e non è specificamente previsto da alcuna disposizione di legge», con valenza meramente ricognitiva del contenuto del ruolo[23].
Proprio la natura tipica e giuridicamente infungibile dalla cartella di pagamento, nell’ambito dell’esecuzione esattoriale, pone in capo all’Agente della Riscossione l’obbligo di conservare il documento e detenerlo ai fini dell’accesso.
L’art. 26, quinto comma, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, che disciplina proprio gli obblighi di conservazione ed esibizione della cartella di pagamento, impone in capo all’Agente della Riscossione il dovere di «conservare per cinque anni la matrice o la copia della cartella con la relazione dell’avvenuta notificazione o l’avviso del ricevimento ed hanno l’obbligo di farne esibizione su richiesta del contribuente o dell’amministrazione».
Il Supremo Collegio evidenzia, tuttavia, che il riferimento alla “matrice” è del tutto anacronistico, alludendo a una modalità di produzione della cartella invalsa al tempo in cui il ruolo era ancora cartaceo, e antecedente alla “dematerializzazione” dei ruoli, dovuta al D.Lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, e al D.M. 03 settembre 1999, n. 321.
Ne consegue che unica modalità alternativa di conservazione dell’atto è rappresentata dall’effettuazione della copia della cartella stessa, anche digitale, purché conforme all’originale.
Pertanto, «ove il contribuente chieda accesso alla cartella di pagamento e questa rientri nel periodo di obbligatoria conservazione», non potrà attribuirsi valenza surrogatoria al rilascio di un mero estratto di ruolo, ma «è solo con il rilascio della copia della cartella di pagamento […] che il concessionario adempie esattamente ai suoi obblighi di ostensione».
Del resto, la semplificazione nel procedimento di notifica della cartella, senza intermediari, non può comportare il venir meno dell’obbligo di generazione e conservazione di una copia cartacea o digitale della cartella stessa.
La Corte Costituzionale, con sentenza 175 del 23 luglio 2018, chiamata a pronunciarsi sulla legittimità della notificazione “diretta” e semplificata delle cartelle esattoriali, senza intermediario, ha chiarito che tale regime differenziato, giustificato dalla peculiare funzione pubblicistica svolta dall’Agente della riscossione, non supera il “limite inderogabile” alla discrezionalità del legislatore posto dal diritto di difesa del notificatario, in quanto, è comunque garantita al destinatario una “effettiva possibilità di conoscenza” della cartella di pagamento.
Conformemente, l’Adunanza Plenaria ritiene che anche il dovere dell’Agente della Riscossione di favorire il diritto del contribuente di accedere alla copia della cartella che «proprio a causa delle modalità semplificatorie della notificazione “diretta”, egli assume di non aver conosciuto materialmente» sia necessario al fine di soddisfare l’esigenza di “effettiva possibilità di conoscenza” dell’atto.
Pertanto, il Concessionario dovrà dotarsi di un sistema organizzativo che consenta il rilascio della copia dell’atto a suo tempo notificata in forma diretta e semplificata, pena la violazione dei doveri su di esso incombenti e previsti dall’art. 26 d.P.R. 602/1973.
Tanto precisato, il Supremo Consesso evidenzia che nel caso in cui la violazione dell’obbligo di conservazione e detenzione ha, di fatto, reso non disponibile una copia della cartella, «il concessionario dovrà rilasciare specifica attestazione della mancata detenzione della cartella, avendo cura di specificarne le cause, essendo evidente che l’obbligo di concreta ostensione incontra il limite della oggettiva possibilità».
In sintesi, dunque, l’Adunanza Plenaria, formula i seguenti principi di diritto:
«1) Il concessionario, ai sensi dell’art. 26 comma 5 del DPR 602/73, ha l’obbligo di conservare la copia della cartella di pagamento, anche quando esso si sia avvalso delle modalità semplificate di diretta notificazione della stessa a mezzo di raccomandata postale;
2) Qualora il contribuente richieda la copia della cartella di pagamento, e questa non sia concretamente disponibile, il concessionario non si libera dell’obbligo di ostensione attraverso il rilascio del mero estratto di ruolo, ma deve rilasciare una attestazione che dia atto dell’inesistenza della cartella, avendo cura di spiegarne le ragioni.»
[1] Cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 13 aprile 2021, n. 3048; in senso conforme, Consiglio di Stato, sez. IV, 6 novembre 2017, n. 5128; Cass. pen., sez. III, 19 gennaio 2016, n. 4654.
[2] Per un corretto inquadramento sistematico dell’istituto si vedano: F. CARINGELLA, Manuale di diritto Amministrativo, Parte Generale e Parte Speciale, XV Ed., Dike, 2022, p. 971 ss. M. SANTISE, Coordinate ermeneutiche di diritto amministrativo, Giappichelli, Torino, 2018, p. 391 ss. In Giurisprudenza, in particolare, Consiglio di Stato, Sez. IV, 15 maggio 2020 n. 3101: «a livello ordinamentale la giurisprudenza amministrativa si è ormai consolidata nel senso che l'art. 22 comma 2, l. n. 241 del 1990 secondo cui l'accesso ai documenti amministrativi, attese le sue rilevanti finalità di pubblico interesse costituisce principio generale dell'attività amministrativa al fine di favorire la partecipazione e di assicurarne l'imparzialità e la trasparenza, introduce al comma 3 il principio della massima ostensione dei documenti amministrativi, salve le limitazioni giustificate dalla necessità di contemperare il suddetto interesse con altri interessi meritevoli di tutela, riconoscendo il diritto di accesso agli atti a chiunque vi abbia interesse in quanto finalizzato alla tutela di situazioni giuridicamente rilevanti, ossia a quei soggetti, compresi quelli portatori di interessi pubblici o diffusi, che abbiano un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l'accesso»; in senso conforme anche: Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 25 settembre 2020, n. 19 – Pres. Patroni Griffi, Est. Lageder.
[3] L’accesso documentale è pur sempre un istituto personale e individuale, poiché destinato a tutelare le esigenze del singolo, ossia di colui che abbia un interesse serio, diretto, concreto e attuale, e qualificato dalla pertinenza a una situazione giuridica tutelata, collegata a un documento di cui è richiesta l’ostensione, nel senso di ostacolarne o impedirne il soddisfacimento. «Si tratti o meno di accesso endo-procedimentale, è un accesso qualificato dalla pertinenza a un procedimento, cioè a un'attività amministrativa di interesse del singolo» (F. PATRONI GRIFFI, La trasparenza della pubblica amministrazione tra accessibilità totale e riservatezza, in www.federalismi.it, 2013, p. 3).
[4] F. PATRONI GRIFFI, La trasparenza della pubblica amministrazione tra accessibilità totale e riservatezza, in www.federalismi.it, 2013, p. 8.
[5] Consiglio di Sato, Adunanza Plenaria 25 settembre 2020, n. 19 – Pres. Patroni Griffi, Est. Lageder.
[6] R. GAROFOLI, G. FERRARI, Manuale di diritto amministrativo, Nel Diritto Editore, XII Ed., p. 787 ss.; con specifico riguardo alla materia finanziaria: G. DELLABARTOLA, Diritto di accesso agli atti del procedimento tributario (quasi) senza limiti, in Corriere Tributario 6/2018.
[7] A. R. CIARCIA, L’accesso agli atti dell’amministrazione finanziaria (tra aperture europee e limiti della normativa amministrativa interna, in www.rivistadirittotributario.it, 01 Febbraio 2021.
[8]Corte di giustizia dell'Unione europea, sentenza del 9 novembre 2017, n. 298/3, causa C-298/16: «33. In una procedura di verifica fiscale, volta ad accertare se i soggetti passivi abbiano adempiuto i loro obblighi in materia, è infatti legittimo attendersi dagli stessi che chiedano l'accesso a tali documenti e informazioni, al fine, eventualmente, di fornire spiegazioni o di far valere i loro motivi rispetto al punto di vista dell'amministrazione tributaria. 34. L'effettivo rispetto dei diritti della difesa richiede tuttavia l'esistenza di una possibilità reale di accesso ai suddetti documenti e alle suddette informazioni, a meno che obiettivi di interesse generale giustifichino la restrizione di tale accesso. 35. Secondo una giurisprudenza costante della Corte, infatti, il principio generale del diritto dell'Unione del rispetto dei diritti della difesa non si configura come una prerogativa assoluta, ma può soggiacere a restrizioni, a condizione che queste rispondano effettivamente a obiettivi di interesse generale perseguiti dalla misura di cui trattasi e non costituiscano, rispetto allo scopo perseguito, un intervento sproporzionato e inaccettabile, tale da ledere la sostanza stessa dei diritti così garantiti (sentenze del 26 settembre 2013, Texdata Software, C/418/11, EU:C:2013:588, punto 84, nonché del 3 luglio 2014, Kamino International Logistics e Datema Hellmann Worldwide Logistics, C?129/13 e C/130/13, EU:C:2014:2041, punto 42)».
[9] Principi ribaditi anche dalla Corte di giustizia dell’Unione europea, sez. VI, con sentenza 4 giugno 2020, n. 430. In senso conforme anche Corte di giustizia dell'Unione euorpea, sentenze 18 dicembre 2008, Sopropé, C-349/07 e 22 ottobre 2013, Sabou, C-276/12).
[10] Cfr. ex plurimis, Consiglio di Stato sez. IV 28/03/2012 n. 1816; Sez. IV, sentenza 13 gennaio 2010, n. 53; Sez. IV, sentenza 21 ottobre 2008, n. 5144.
[11] Cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 21 ottobre 2008, n. 5144.
[12] Cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV, 24 settembre 2020, n. 5565; Sez. IV, 6 febbraio 2019, n. 906; Sez. IV, 12 maggio 2014, n. 2422.
[13] Come si vedrà, infatti, l’art. 26 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, sancisce che «il concessionario deve conservare per cinque anni la matrice o la copia della cartella con la relazione dell’avvenuta notificazione o l’avviso del ricevimento ed ha l’obbligo di farne esibizione su richiesta del contribuente o dell’amministrazione».
[14] Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 14 marzo 2022, n. 4, Presidente Frattini, Estensore Veltri.
[15] Cassazione, sez. III, 23 giugno 2015, n. 12888: «La cartella esattoriale non è altro che la stampa del ruolo in unico originale notificata alla parte, ed il titolo esecutivo è costituito dal ruolo. L’amministrazione non è quindi in grado di produrre le cartelle esattoriali, il cui unico originale è in possesso della parte debitrice. Essendo stati prodotti gli estratti del ruolo, essi sono validi ai fini probatori e in particolare, per quanto qui interessa, sia per la prova del credito esattoriale che per individuare a tutela di quale tipo di credito agisca l’amministrazione».
[16] Sulla legittimità di tale forma di notificazione “diretta” in forma semplificata, si veda: Corte costituzionale, sentenza n. 175 del 23 luglio 2018, con cui la Consulta ha, altresì, chiarito che «l’art. 6 dello statuto dei diritti del contribuente legittima un’applicazione estensiva dell’istituto della rimessione in termini, sì da tutelare il contribuente che non abbia avuto «effettiva conoscenza» dell’atto restituendolo nel termine di decadenza, di cui all’art. 19 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), per impugnare l’atto».
[17] In questo senso, si è espressa la IV Sezione del Consiglio di Stato con le pronunce: Cons. Stato, Sez IV, 26 maggio 2017, n. 2477; 7 agosto 2017, n. 3947; 1 luglio 2021, n. 5035.
[18] Così, Cons. Stato, Sez. IV, 6 novembre 2017, n. 5128; 20 novembre 2020, n. 7226.
[19] In questi termini, Cons. Stato, Sez. IV, 12 maggio 2014, n. 2422 e, da ultimo, con ampiezza di argomenti, Cons. Stato, sez. IV, 26 febbraio 2021, n. 1667.
[20] Inteso come ogni rappresentazione del contenuto di atti esistenti e detenuti dalla Pubblica Amministrazione – differente da quanto previsto dalla disciplina in materia di accesso alle informazioni ambientali – e anche se non siano stati formati dalla P.A. stessa.
[21] Invero, ai sensi dell’art. 21 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, «la notificazione della cartella di pagamento vale anche come notificazione del ruolo».
[22] Infatti, ai sensi dell’art. 25, secondo comma, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, «la cartella di pagamento contiene l’intimazione ad adempiere l’obbligo risultante dal ruolo entro il termine di sessanta giorni dalla notificazione, con l’avvertimento che, in mancanza, si procederà ad esecuzione forzata”, nonché “l’indicazione della data in cui il ruolo è stato reso esecutivo» (comma 2 bis dell’art. 25 cit.). Essa riporta inoltre le «avvertenze concernenti le modalità e i termini di impugnazione»(art. 6 comma 2 del DM 321/99 cit.).
[23] cfr. Cass., sez.un., 14 aprile 2020, n. 7822. Si veda anche, Cassazione, sez. III, 23 giugno 2015, n. 12888: «L’estratto di ruolo è una riproduzione fedele ed integrale degli elementi essenziali contenuti nella cartella esattoriale: esso deve contenere tutti i dati essenziali per consentire al contribuente di identificare a quale pretesa dell’amministrazione esso si riferisca (e per consentire al contribuente di apprestare le sue difese e al giudice ove adito di verificare la fondatezza della pretesa creditoria o gli altri punti sollevati dall’opponente) perché contiene tutti i dati necessari ad identificare in modo inequivoco la contribuente, ovvero nominativo, codice fiscale, data di nascita e domicilio fiscale; tutti i dati indispensabili necessari per individuare la natura e l’entità delle pretese iscritte a ruolo, ovvero il numero della cartella, l’importo dovuto, l’importo già riscosso e l’importo residuo, l’aggio, la descrizione del tributo, il codice e l’anno di riferimento del tributo, l’anno di iscrizione a molo, la data di esecutività del ruolo, gli estremi della notifica della cartella di pagamento, l’ente creditore (indicazioni obbligatoriamente previste dall’art. 25 del d.P.R. n. 602 del 1073 (ndr art. 25 del d.P.R. n. 602 del 1973), oltre che dagli artt. 1 e 6 del d.m. n. 321 del 1999)».