Pubbl. Mer, 31 Ago 2022
Il nuovo modello di crescita europeo tra Green Deal, digitalizzazione e tutela dei diritti umani
Modifica paginaLa presente ricerca si pone l´obiettivo di affrontare un quesito tanto delicato quanto urgente, ovvero quali sono le sfide che l´Unione europea dovrà affrontare nel prossimo trentennio, e quali le criticità che, nel raggiungere determinati obiettivi ecologici, gli Stati membri potranno incontrare.
Towards a green, digital and resilient economy: our European Growth Model
This research aims to address a question that is as delicate as it is urgent, namely what are the challenges that the European Union will have to face in the next thirty years and what are the criticalities that, in achieving certain ecological objectives, the Member States may encounter.Sommario: 1. Inquadramento del tema; 2. Il ruolo del Consiglio dell’Unione europea e del Parlamento europeo nel processo di adozione del Green Deal; 3. Il dibattito internazionale: il cambiamento climatico è una crisi dei diritti umani senza precedenti?; 4. Climate change litigation: la nuova frontiera della tutela giurisdizionale dell’ambiente; 5. Il divario generazionale e la digitalizzazione come volano per il Green Deal; 6. Conclusioni.
1. Inquadramento del tema
I cambiamenti climatici rappresentano, da alcuni anni a questa parte, una minaccia molto seria per l’Europa e per il mondo. Pertanto, l’Unione europea, per superare le sfide che vengono continuamente poste al benessere dell’ecosistema europeo e mondiale, si è impegnata nella realizzazione di un piano di transizione ecologica con l’obiettivo di raggiungere l’impatto climatico zero entro il 2050.
Il Green Deal è, dunque, il primo piano strategico che trasformerà̀ definitivamente l’economia europea in un’economia moderna, competitiva ed efficiente sotto il profilo delle risorse.
Il tema è quello per cui l’Europa a 27 velocità è responsabile di quasi un terzo delle emissioni mondiali di gas che riducono l’ozono. A ciò si aggiunge, secondo quanto riportato da studi condotti dai comitati di ricerca costituiti in seno alla Commissione europea, che oltre il 50 per cento di tutta la superficie in cui si collocano gli ecosistemi in Europa, è minacciato da problemi di gestione e da altri fattori di stress.
Tali numeri, hanno poi subito un impatto più acuto con l’esplosione dell’emergenza sanitaria dovuta alla pandemia da Covid – 19: si stima che, entro il 2030, i livelli di anidride carbonica dovrebbero raddoppiare e la temperatura del mare, in estate, dovrebbe aumentare di circa due gradi. Pertanto, vista l’esigenza di fornire alcune risposte ai cittadini europei, si è ritenuto opportuno formulare degli interrogativi da sottoporre agli esperti:
- Perché non esigere un’energia piú pulita?
- Perché non coltivare il progetto di un’industria sostenibile e digitale?
- Perché non esigere un’economia più sostenibile, che possa garantire la tutela della biodiversità?
In merito alla prima domanda, va detto che oltre il 75 per cento delle emissioni di gas a effetto serra è legato alla produzione e all’uso di energia all’interno dell’Unione.[1]
Questo sinallagma possiede in nuce i semi di uno studio da sviluppare, potendo rappresentare il punto dal quale ripensare l’attuale sistema di riscaldamento globale e valutare scelte energetiche alternative e rinnovabili.
Sul secondo punto: l’Ue dovrà intervenire con l’introduzione di politiche di economia circolare nell’ottica di ingentilire le industrie ad alta intensità̀ energetica (carbone e acciaio, principalmente), appoggiare politiche di prodotti sostenibili concentrate sulla riduzione di materiali e sul rafforzamento dei processi di riciclo e, da ultimo, sostenere l’adozione di strumenti ad alto impatto digitale volti ad incoraggiare l’utilizzo di soluzioni di Cloud che consentano il trasferimento automatizzato e protetto di dati tra i dispositivi.
Sul terzo punto, va posto in premessa che oltre la metà del GDP (“Gross Domestic Product”), stimato intorno a 40 trilioni di euro, dipende dall’ambiente e dalle sue risorse: ciò potrebbe essere un bene, se l’azione dell’uomo si fosse evoluta anche nel senso di assicurare un’adeguata tutela delle diversità biologiche. Tuttavia, la mano dell’homus economicus rivela, a tutt’oggi, la propria carenza nel tutelare ciò che è “Altro da Sé[2] ”.
Ne è un chiaro esempio il rapporto della Commissione europea 2030 su una strategia per la biodiversità, il quale ci rende edotti del fatto che la popolazione globale di specie selvatiche è diminuita, in media, del 60 per cento nelle ultime due generazioni, mentre un milione di specie è interamente a rischio di estinzione.
2. Il ruolo del Consiglio dell’Unione europea e del Parlamento europeo nel processo di adozione del Green Deal
Il Green Deal è stato avviato dalla Commissione nel dicembre 2019 e con esso l’Unione europea punterà ad arrivare a emissioni nette zero in tre decenni.
Il processo di adozione prevedeva che la Commissione presentasse al Consiglio dell'UE e al Parlamento europeo le sue proposte e iniziative previste nell'ambito del Green Deal[3].
I ministri dell'UE, riuniti in varie formazioni del Consiglio, discutevano poi le misure legislative e non legislative proposte. Nel caso di proposte legislative, l'obiettivo finale è quello di adottare una normativa, nella maggior parte dei casi secondo la procedura legislativa ordinaria in base alla quale il Consiglio e il Parlamento europeo decidono in qualità̀ di co - legislatori[4].
Con il regolamento sulla normativa climatica europea, l’ambizione politica di raggiungere la neutralità climatica entro il 2050 divenne per l’Ue un obbligo giuridico a tutti gli effetti, vincolante e con degli orizzonti nel breve termine: con la sua adozione, gli Stati membri si sono impegnati a ridurre le emissioni di gas a effetto serra nell’Unione di almeno il 55 per cento entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990.
Tale ambizioso traguardo potrà essere raggiunto, in primo luogo, mettendo a punto delle azioni volte a definire il ritmo di riduzione delle emissioni fino al 2050 per garantire prevedibilità alle imprese, ai portatori di interessi e ai cittadini; in una fase successiva, si svilupperà un sistema per monitorare i progressi compiuti verso il conseguimento dell’obiettivo e poter così riferire in merito ad essi; infine, nella terza e ultima fase, si punterà ad agire in maniera concreta per garantire una transizione verde efficiente dal punto di vista economico - ambientale ed equa da un punto di vista sociale.
Tra gli elementi dell’accordo, va menzionata l’istituzione di un comitato scientifico consultivo europeo sui cambiamenti climatici, composto da quindici esperti scientifici incaricati di fornire consulenza scientifica e di riferire in merito alle misure adottate dall’Ue, agli obiettivi climatici e ai bilanci indicativi per i gas a effetto serra.
Inoltre, i negoziatori hanno convenuto che la Commissione proporrà un ulteriore termine per il 2040, o al più tardi entro sei mesi dal primo bilancio globale effettuato nel quadro dell’accordo di Parigi.
Nelle more di questi adempimenti, sarà pubblicato un bilancio di previsione indicativo3 per i gas a effetto serra per il periodo 2030-2050 unitamente alla metodologia utilizzata.
Nell’arco del trentennio, la Commissione manterrà un dialogo aperto e costante con i comparti economici, i quali sceglieranno di elaborare delle tabelle di marcia indicative per il conseguimento dell’obiettivo della neutralità climatica prevista per il 2050. La Commissione farà, a sua volta, un monitoraggio di tali tabelle, agevolerà il dialogo a livello dell’Ue e condividerà le best pratices fra i portatori di interesse.
3. Il dibattito internazionale: il cambiamento climatico è una crisi dei diritti umani senza precedenti?
Dagli anni 2000 l’uomo occidentale è di nuovo al centro dell’universo - in una sorta di prospettiva umanistico – rinascimentale dell’era postmoderna – ed è chiamato ad intervenire nel solco di alcune materie che determineranno cambiamenti importanti[5].
Nell’immaginario collettivo, il termine “krisis2” desta preoccupazione in quanto si tende, per dottrina consolidata, ad associarlo ad eventi negativi.
La memoria storica, in effetti, non si esime dal fare continui richiami agli anni delle gravi crisi economiche legate al petrolio e alle oscillazioni valutarie; né, allo stesso modo, potrebbe negarsi che la crisi del ’29 abbia segnato un’epoca piegando l’economia mondiale sotto il profilo della produzione e dei consumi.
Peraltro, come in precedenza accennato, la crisi economica che investe anche quella del rapporto tra diritto penale, sovranità e territorio, unita alla consapevolezza che alcune categorie di reati, per la loro dimensione e per la difficoltà di accertamento, non possono essere efficacemente represse soltanto all’interno dei confini nazionali, rende indefettibile il passaggio da sistemi penali costruiti su misura dello Stato-nazione ad una dimensione internazionale del contrasto alla criminalità[6].
Mutatis mutandis, il mondo, specie all’alba della pandemia da Covid - 19, è stato metaforicamente chiamato in giudizio quale parte soccombente a rispondere di una crisi dei diritti umani senza precedenti storici.
Il rapporto pubblicato il 7 giugno 2021 da Amnesty International “Stop burning our rights! What governments and corporations must do to protect humanity from the climate crisis[7]” mostra cosa accade ad un Paese o ad una comunità quando vengono colpite dalla crisi climatica.
Nello studio vengono esposti gli effetti a catena che possono compromettere il diritto di ogni individuo a vivere una vita dignitosa, rappresentando una minaccia per la sopravvivenza culturale di interi popoli. Basti pensare alle ondate di calore e agli incendi, alle tempeste tropicali e agli eventi di siccità: se a questi si aggiungono altri fenomeni fra loro concatenati, come l’innalzamento dei livelli oceanici e la fusione delle calotte polari, gli effetti negativi si riverberano su milioni di persone fra loro sconosciute il cui destino è unito unicamente dal fattore climatico.
Circa trent’anni fa, il mondo ha iniziato a trattare il tema del riscaldamento globale in maniera più urgente. All’epoca si era deciso di attribuire un ruolo chiave alla COP, la Conferenza delle parti sorta a seguito della Convenzione sui cambiamenti climatici (UNFCCC), stipulata fra le Nazioni Unite e i paesi della comunità internazionale: gli Stati negoziatori, mossi dall’intento comune di limitare l’aumento della temperatura globale al di sotto dei due gradi celsius, con le successive conferenze si sono posti l’obiettivo di ridurla fino a 1,5 gradi.
Tali impegni, confluendo nel documento conclusivo dell’Accordo di Parigi[8] del 2015, sono stati affiancati da nuovi targets volti tanto a guidare l’approccio comune alle tematiche relative al clima e alla tutela dell’ambiente, quanto a mobilitare i fondi necessari per raggiungerli.
L’Organizzazione mondiale della sanità, “OMS”, in occasione della Seconda Conferenza Globale sulla Salute e dei governi mondiali[9] tenutasi a luglio 2021, aveva stimato che tra il 2030 e il 2050 la crisi climatica sarebbe stata causa di duecentocinquantamila morti in più all’anno, soprattutto tra bambini, donne e soggetti più vulnerabili.
Stime Istat chiarificano che quasi sette milioni di persone muoiono, ogni anno, a causa dell’inquinamento atmosferico provocato dall’insostenibilità̀ del sistema dei trasporti e dalle fonti di energia domestica che contribuiscono, direttamente o indirettamente, al cambiamento climatico.
4. Climate change litigation: la nuova frontiera della tutela giurisdizionale dell’ambiente
L’impatto ambientale del cambiamento climatico ha condotto gli Stati alla necessità di adottare misure di prevenzione sempre più stringenti. Fra queste, si è ritenuto necessario istituire dei climate change centers[10] a carattere multidisciplinare. I meccanismi di tutela, infatti, possono essere attivati contro lo Stato a fronte del mancato adempimento degli impegni assunti in sede sovranazionale.
Il panorama attuale in materia di climate change affonda le proprie radici nel sistema dell’Organizzazione delle Nazioni Unite e si è ampiamente sviluppato anche nel contesto dell’Unione europea.
Nel quadro dei rimedi di natura contrattuale messi a punto dall’ONU si segnalano, tra i numerosi, la Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti climatici del 1992, il Protocollo di Kyoto del 1997 e l’Accordo di Parigi del 2015.
Nel sistema dell’Unione Europea, invece, vi sono diversi strumenti volti a contrastare gli effetti del cambiamento climatico che, nella fattispecie, attengono alla riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra, alla tutela della qualità dell’aria e alle politiche energetiche.
Proprio con riferimento all’area geografica dell’Unione europea, si segnalano due recenti pronunce di condanna: la prima, contro l’Italia, per il mancato rispetto degli obblighi sovranazionali; la seconda, contro la Francia, volta a contrastare i fenomeni di inquinamento e a contenere le emissioni dei gas ad effetto serra entro i limiti fissati.
L’Italia è stata destinataria di una sentenza di condanna da parte della Corte di Giustizia dell’Unione europea all’esito di una procedura di infrazione[11] per il perdurante superamento delle soglie di emissione del PM10 su vaste porzioni del proprio territorio e la conseguente violazione della direttiva 2008/50 sulla qualità dell’aria.
Il 3 febbraio 2021, con una sentenza che molti non hanno tardato a definire storica - perché costituisce il primo precedente francese di condanna dello Stato alla cifra simbolica di un Euro in un giudizio promosso da associazioni ambientaliste - la Francia è stata condannata dal Tribunale amministrativo di Parigi[12] per inadempimento degli obblighi assunti in materia di cambiamento climatico, nonchè per il conseguente danno ecologico derivante dal mancato rispetto delle regole sulla riduzione delle emissioni dei gas ad effetto serra.
Nei suoi rapporti annuali, infatti, l’Haut Conseil pour le Climat aveva notato come le azioni intraprese dalla Francia non fossero ancora all’altezza delle sfide e degli obiettivi che si era posta, riscontrando la mancanza di riduzione sostanziale dei gas ad effetto serra in tutti i settori interessati, che avevano contribuito ad aggravare il danno ecologico.
Queste pronunce, seppur nella loro diversità, si inseriscono all’interno di un mosaico che mira a responsabilizzare gli Stati, attraverso il contenzioso, con riguardo a fenomeni, che – direttamente o indirettamente – possono incidere sul cambiamento climatico.
La tutela giurisdizionale e quella amministrativa offrono, più di ogni altra misura, la soluzione giuridicamente vincolante a queste emergenze.
In via strettamente stragiudiziale, spiccano le azioni proposte dai cittadini o dalle associazioni non aventi scopo di lucro nei confronti degli Stati, i cd. “suits against governments”, affinché attuino politiche finalizzate a combattere i cambiamenti climatici evitando di mettere a repentaglio la salute e la proprietà dei propri cittadini. Ad esse si aggiungono le azioni promosse dai privati nei confronti delle imprese considerate autrici delle emissioni, le cd. corporate duties to the public: trattasi di azioni risarcitorie extra - contrattuali finalizzate a causare un esborso per l’impresa autrice delle immissioni, con l’intento di indurla a mutare le proprie politiche aziendali in materia di immissioni.
5. Il divario generazionale e la digitalizzazione come volano per il Green Deal
Il processo di raggiungimento degli obiettivi ambientali, che si è posto il Green Deal, ha origine da un percorso condiviso da tutti gli Stati membri della comunità ed affida alle nuove tecnologie un ruolo centrale. La serie di iniziative (di matrice giuridica, amministrativa, o stragiudiziale), promosse per affrontare il cambiamento, saranno anche una strategia di crescita in grado di creare nuovi posti di lavoro e costruire un’economia dei paesi europei più sostenibile.
Nel Rapporto Il Divario generazionale tra conflitti e solidarietà, presentato nel marzo del 2017, è stata per la prima volta denunciata la gravità del divario generazionale che colpisce oltre 12 milioni di persone, tanti sono attualmente i cittadini italiani tra i 15 e i 34 anni (generazione Zero e Millennial).
A tutt’ oggi, secondo le rilevazioni Istat per l’anno 2018, poco meno di un quarto sono in condizioni di inoccupazione, volontaria o meno, trattasi dei cosiddetti “Not [engaged] in Education, Employment or Training, o “NEET[13]”.
Si è dunque intrapreso un percorso che, in tal senso, ha condotto all’emanazione di successivi rapporti volti a tracciare le linee guida di un vero e proprio piano Marshall per i giovani italiani, proponendo una legge quadro che potesse mettere a sistema tutte le misure generazionali presenti nel nostro ordinamento nonché una manovra finanziaria di trenta miliardi di euro in tre anni per ridurre nel medio periodo l’attuale costo che la collettività sostiene per i NEET (stima su dati Eurofound).
Sulla scorta di questi tentativi, la digitalizzazione proposta dalla Commissione vorrà agire da volano per la miglior realizzazione del Piano verde di ripresa europea.
Il 22 gennaio 2021 sono state varate le Nuove linee guida della Commissione europea[14] indirizzate agli Stati membri per la stesura dei Piani nazionali di Ripresa e Resilienza (PNRR) per l’accesso al Recovery Fund, lo strumento istituito dall’Unione europea per direzionare le risorse finanziare a favore degli Stati membri. Il Recovery Fund, a sua volta, si inserisce all’interno del Next Generation EU, un programma con orizzonti temporali di lungo termine per guidare la transizione ecologica e digitale dell’Unione Europea.
Nel Next Generation EU, infatti, le politiche a favore dei giovani non sono più un obiettivo trasversale, ma diventano una priorità̀ assoluta e centrale, uno dei pilastri cardine. In particolare, il piano si propone di delineare le politiche “per la prossima generazione” riguardanti gli ambiti dell’istruzione, la cura dell’infanzia, le competenze (ivi incluse quelle digitali), l’aggiornamento e la riqualificazione professionale, l’occupazione e l’equità intergenerazionale[15].
Il percorso per il decennio digitale costituisce la proposta della Commissione a sostegno della trasformazione digitale europea entro il 2030. Si prevede che, ogni anno, la Commissione pubblichi la relazione sullo "stato del decennio digitale". Nei cinque mesi successivi alla pubblicazione della relazione, la Commissione e gli Stati membri collaboreranno strettamente per individuare i settori in cui i progressi sono risultati insufficienti e per concordare misure finalizzate al conseguimento degli obiettivi. Gli Stati membri potranno allora adeguare le tabelle di marcia strategiche nazionali per tenere conto delle raccomandazioni contenute nella relazione, nonché proporre ulteriori azioni e/o progetti correttivi anche a carattere multinazionale.
6. Conclusioni
Al termine di quanto finora esposto, si può affermare che ci si è proposti di svolgere un’analisi sugli orizzonti di crescita che intende darsi l’Unione europea nel trentennio 2020 - 2050, all’indomani dell’elezione del nuovo Presidente a capo della Commissione. Quest’ultima, infatti, ha spostato il termometro dell’interesse politico dalle questioni finanziarie a quelle “green”, dando spazio ai temi che oggi sono al centro delle esigenze mondiali.
Già da un decennio si aspira a realizzare la transizione energetica[16], purché essa si muova nel solco del rispetto e della tutela internazionale dell’ambiente, giovando anche dell’ausilio degli strumenti di high technology forniti dal settore della digitalizzazione. L’organo che contribuisce a definire la strategia globale dell’Unione si è posto obiettivi chiari, annunciando che il buon esito di questi dipenderà innanzitutto dall’impegno profuso dagli Stati membri.
Nel conseguire il comune progetto di sostenibilità, gli Stati si impegneranno ad osservare il principio della “tassonomia”; per ciò solo, contribuiranno a realizzare un elenco delle attività̀ e dei settori che verranno considerati “verdi”, ossia compatibili con gli obiettivi ambientali. Ad alcune materie verranno destinate i fondi monetari dell’Unione europea (una parte dei quali è già prevista dal PNRR[17] , segnatamente così distribuiti: 40, 32 miliardi per digitalizzazione, innovazione, competitività, cultura e 59,47 miliardi per la transizione ecologica), nel quadro del rispetto degli obblighi di due diligence e di human rights contenuti nella proposta[18] di Direttiva adottata dalla Commissione europea il 23 febbraio 2022.
Inoltre, grazie all’impiego di smart devices[19] posti a supporto di attività tanto lavorative quanto domestiche, cui ha fatto seguito una rapida diffusione delle smart grid[20] collocate in contesti urbani a più alta intensità energetica, oggi si assiste ad un vero e proprio tsunami tecnologico che si espone alle avanguardie della cosiddetta “era della modernità̀ liquida”.
Il succitato fenomeno sociale, il cui antesignano è il sociologo Zygmunt Bauman[21] , comporta vantaggi e svantaggi che non si distribuiscono in egual misura per la popolazione mondiale. Nel mondo globale e liquido, interconnesso e veloce, la stessa pandemia da Covid - 19 non è un fatto meramente sanitario: essa esce dagli ospedali, attacca il sostrato economico della comunità e cambia le relazioni sociali di ognuno, nel tempo e nello spazio.
E sotto il cielo globale è venuto il tempo per astenersi dai contatti umani: quell’astenersi che, con il “distanziamento” sociale, ha impedito alla popolazione di lavorare, produrre, esportare, importare, offrire e consumare, con conseguenze esiziali per molti e non del tutto riparabili per altri[22].
La quinta dimensione globale si estende nello spazio virtuale della cibernetica e comprende la sfera dell’“Internet Of Things” (“Internet delle Cose”); essa non fa mistero circa la propria intenzione di agevolare il transito ad una nuova era digitale nell’ottica di un futuro sostenibile, intelligente ed inclusivo.
Tuttavia, il risvolto della medaglia nel campo della digitalizzazione non sempre è positivo, e richiede un approccio cauto ai nuovi strumenti di fluida intermediazione.
Giova precisare, a tale scopo, che la minaccia di un attacco di cyber – crime si innesta con estrema rapidità dalle falle di sistema: esse rappresentano il presupposto principe affinché i cyber offensori si possano introdurre in maniera del tutto impercettibile, provocando sia danni di natura patrimoniale che non patrimoniale, indirizzati ad enti giuridici e a persone fisiche, talvolta anche gravi.
Dopo aver subito l’attacco, infatti, le conseguenze per il dispositivo ormai infetto sono verosimilmente irreversibili. L’unica soluzione realmente efficace ad evitare un’escalation disruptive del danno, è quella di assicurare una corretta prevenzione.
Può essere opportuno, a tal fine, eseguire delle prassi esemplari che consistono nell’adottare adeguati sistema di firewall in grado di rimbalzare la minaccia. Nondimeno, tali attività risultano imprescindibili dall’osservanza, primaria, degli obblighi di pubblicità e privacy posti a tutela della certezza dei rapporti giuridici fra le parti interessate, nonché fra queste e le terze parti.
A tale onere non si può venir meno al giorno d’oggi, specie nella misura in cui le aziende collaborano con diversi clienti e fornitori, che svolgono funzioni sempre più business – critical lungo la supply – chain della gestione del rischio con le parti esterne.
Inoltre, le aziende sono onerate di svolgere un periodo di mentoring aziendale nei confronti delle risorse umane fornendole, sin dal loro ingresso, di adeguate guidelines e mettendole nelle condizioni di conoscere lo statuto aziendale, nonché di dotarle dei dispositivi aziendali già provvisti di sistemi di cloud – computing ed ottimizzazione dell’IT ibrido.
Dal valore dei contenuti che costituiscono l’oggetto della presente disamina, si ritiene possibile immaginare un orizzonte di progresso dal quale, peraltro, non si esclude che possano scaturire proposte e relative soluzioni di ottimo che si rivelino concretamente realizzabili.
[1]European Commission, Factsheet: EU 2030 biodiversity strategy, Maggio 2020.
[2] Si vuol ricomprendere, nel concetto di Altro, tanto l’epifania di un valore aggiunto rispetto al proprio, quanto la fortuna di poterne apprezzare e riconoscere la Bellezza.
[3] U. DRAETTA, F. BESTAGNO, A. SANTINI, Elementi di diritto dell’Unione europea, Milano, 2018, pp. 144-148. Nell’ambito delle procedure legislative ordinarie, il potere di iniziativa spetta di regola alla Commissione. L’art. 17, n.2, TUE dispone, infatti, come segue: “Un atto legislativo dell’Unione può essere adottato solo su proposta della Commissione”. La proposta della Commissione costituisce un atto formale, che ha natura interorganica, in quanto non è rivolto verso l’esterno, ma è diretto ad altre istituzioni dell’UE.
[4] U. DRAETTA, F. BESTAGNO, A. SANTINI, Elementi di diritto dell’Unione europea, Milano, 2018, pp. 148 -151. La procedura legislativa ordinaria consiste “nell’adozione congiunta di un regolamento, di una direttiva o di una decisione da parte del Parlamento europeo e del Consiglio su proposta della Commissione” (art. 289, n.1, TFUE). Essa corrisponde a quella che, prima del Trattato di Lisbona, era chiamata procedura di codecisione, originariamente introdotta nell’ordinamento dell’UE dal Trattato di Maastricht e in seguito perfezionata dal Trattato di Amsterdam.
[5] G. SAPELLI, G. VITTADINI, Quale futuro per l’Europa? Percorsi per una rinascita, Milano, 2014.
[6] A. MATTARELLA, La futura convenzione Onu sul cybercrime e il contrasto alle nuove forme di criminalità̀ informatica, in Sistema Penale, marzo 2022.
[7] AMNESTY INTERNATIONAL, Stop burning our rights! What governments and corporations must do to protect humanity from the climate crisis: report
[8] Con circa 40.000 partecipanti, è stato il Summit sul cambiamento climatico con maggiore portata mediatica dopo quello svoltosi a Copenaghen nel 2009 (nell’ambito della COP 15). L’accordo di Parigi è entrato in vigore nel 2016 e ha avuto il pregio di essere il primo di carattere vincolante e di portata globale per il contrasto ai cambiamenti climatici.
[9] La Seconda Conferenza Globale sulla Salute e sul Clima, tenutasi il 7 e l’8 luglio 2016 rappresenta un incontro tra i ministri della Salute e dei governi mondiali, voluto dall’OMS e dal governo francese per l’attuazione degli accordi di Parigi (the Paris Agreement), raggiunti il 12 dicembre 2015 in occasione della COP 21, in programma in Marocco.
[10] Risale al 2008 l’istituzione del Grantham Research Institute on Climate Change and the Environment presso la London School of Economics and Political Science di Londra.
[11] Corte di Giustizia UE (Grande Sezione), C-644/18, 10 novembre 2020.
[12] Tribunal administratif de Paris, décision du 14 Octobre 2021, n°1904967, 1904968, 1904972, 1904976/4-1
[13] Dall'acronimo inglese di Not [engaged] in Education, Employment or Training lett. "Non [attive] in istruzione, in lavoro o in formazione", il Neet è una persona che in un dato momento non studia, né lavora né riceve una formazione. In statistica, sono anche note come persone inattive. Tuttavia, il fenomeno dei NEET è solo uno degli effetti delle cause che producono il persistente divario, ascrivibili al debito pubblico, al sistema pensionistico, alla mancata parità di genere e al reddito dei giovani.
[14] Avv. Rosalia MEGNA, Lavoro e opportunità per i giovani: apprendistato e misure occupazionali, in Intervento al Corso di Diritto del Lavoro – 7 maggio 2021, Corso di Laurea magistrale in Giurisprudenza LMG/01, Palermo, 2021.
[15] Si promuovono azioni a favore dei giovani per garantire “[...] che la prossima generazione di europei non sia permanentemente colpita dall’impatto della crisi COVID – 19 e che il divario generazionale non si approfondisca ulteriormente” (Commissione UE, Linee guida 22.1.2021 SWD (2021) 12 final – parte I, pilastro 6)
[16] La transizione energetica è un processo che consiste nel passaggio dall’utilizzo di fonti di produzione non rinnovabili ad energie rinnovabili, nell’ottica di ridurre il livello di inquinamento mondiale causato dalle emissioni di diossido di carbonio. Attualmente le fonti fossili sono ancora responsabili di oltre l’80% dei consumi globali di energia: è fondamentale un cambio di rotta per ridurre la dipendenza da questo tipo di energia e limitare l'aumento di temperatura a cui è sottoposto il pianeta. L’unica soluzione percorribile è quella di una transizione energetica radicale, che permetta di raggiungere l’ambizioso obiettivo di combattere il cambiamento climatico.
[17] Il “Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza” (PNRR) si inserisce nel quadro di “Next Generation UE”, un progetto di rilancio economico dedicato agli Stati membri dell’Unione europea. Al PNRR è stato assegnato un pacchetto di investimenti e riforme da attuarsi per mezzo risorse stanziate pari a 191,5 miliardi di euro. Esso si articola in sei missioni: digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura; rivoluzione verde e transizione ecologica; infrastrutture per una mobilità sostenibile; istruzione e ricerca; inclusione e coesione; salute.
[18] European Commission, Proposal for a Directive on corporate sustainability due diligence.
[19] G. GUASTELLA, Attacco informatico alle Utilities: quali i rischi e quale la prassi? Report Difesa, 25 febbraio 2021.
[20] G. GUASTELLA, ibidem: Anche il linguaggio si è adeguato all’era della digitalizzazione, ragion per cui si è pensato ad un nuovo paradigma di riferimento, atteso che con l’evoluzione tecnologica, anche le stesse città si trasformano. L’espressione smart grid indica un insieme di reti che, grazie allo scambio reciproco d’informazioni, permette di gestire e monitorare la distribuzione di energia elettrica da tutte le fonti di produzione. Consente di soddisfare le diverse richieste di elettricità degli utenti collegati, produttori e consumatori in maniera più efficiente, razionale e sicura (ad esempio gli impianti fotovoltaici residenziali o aziendali o le piccole centrali a biomassa), essendo allacciati direttamente alla rete elettrica di distribuzione.
[21] Z. BAUMAN, Wasted Lives. Modernity and its Outcasts, Polity Press, 2007.
[22] C. M. CAMMALLERI, Il sostegno al reddito delle famiglie: una babele definitoria, in Dall’emergenza al rilancio, a cura di A. Garilli, Torino, 2020.
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