ISCRIVITI (leggi qui)
Pubbl. Gio, 14 Lug 2022
Sottoposto a PEER REVIEW

Osservatorio di Giurisprudenza amministrativa - Aprile/Giugno 2022

Modifica pagina

Luana Leo
Dottorando di ricercaLUM Giuseppe Degennaro



Osservatorio trimestrale relativo alle principali sentenze emesse dalla Corte Costituzionale, dai Tribunali amministrativi regionali e dal Consiglio di Stato in tema di Giurisprudenza amministrativa. Periodo Aprile-Giugno 2022.


ENG Quarterly observatory on the main judgments issued by the Constitutional Court, by the regional administrative Courts and by the Council of State on the subject of administrative Jurisprudence. Period April-June 2022.

Indice: 1) Bilancio e contabilità pubblica - Norme della Regione Molise Finanziamento della legge regionale n. 26 del 2002, avente a oggetto l'istituzione del Fondo per l’occupazione dei disabili; 2) Appalto di opere pubbliche – Limiti del potere giudiziario; 3) Azione volta alla tutela del diritto di accesso civico – Eventuale natura politica degli accordi di cooperazione.

 

SENTENZE IN PRIMO PIANO

1) Bilancio e contabilità pubblica - Norme della Regione Molise - Finanziamento della legge regionale n. 26 del 2002, avente a oggetto l’istituzione del Fondo per l'occupazione dei disabili

Corte cost., 5 aprile 2022, dep. 5 maggio 2022, n. 110 – Pres. Amato – Rel. Antonini – (rif. art. 7 della legge della Regione Molise 04 maggio 2021, n. 2)

(omissis)

 

RITENUTO IN FATTO

Con ricorso notificato il 5 luglio 2021 e depositato il 13 luglio 2021 (reg. ric. n. 35 del 2021), il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha impugnato l’art. 7 della legge della Regione Molise 4 maggio 2021, n. 2 (Legge di stabilità regionale anno 2021), in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione, in relazione all’art. 42, comma 5, lettera d), del decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118 (Disposizioni in materia di armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio delle Regioni, degli enti locali e dei loro organismi, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 5 maggio 2009, n. 42).

La disposizione impugnata prevede, al comma 1, che «a decorrere dal 2021 le entrate incassate dall’Ente a titolo di “Contributi esonerativi per l’occupazione dei diversamente abili”, derivanti dalle sanzioni amministrative irrogate ai datori di lavoro inadempienti agli obblighi occupazionali previsti dalla legge 12 marzo 1999, n. 68 (Norme per il diritto al lavoro dei disabili) e dai contributi correlati agli esoneri parziali concessi ai sensi dell’articolo 5 della legge n. 68/1999, previste al Titolo 3, Tipologia 200, categoria 300 del bilancio di previsione regionale, sono vincolate a finanziare nella spesa il “Fondo regionale per l’occupazione dei disabili - legge regionale n. 26/2002”, alla Missione 12, Programma 02, Titolo 1».

Al comma 2 specifica poi che «la destinazione d’uso delle relative risorse finanziarie è vincolata alle finalità dell’anzidetto Fondo ovvero al finanziamento dei programmi regionali di inserimento lavorativo dei disabili e dei relativi servizi di sostegno e di collocamento mirato, ai sensi dell’articolo 14, comma 1, della legge n. 68/1999 e dell’articolo 3 della legge regionale 28 ottobre 2002, n. 26 (Istituzione del Fondo per l’occupazione dei disabili, ai sensi dell’art. 14 della legge n. 68/1999)».

Ad avviso del ricorrente il suddetto art. 7 si porrebbe in contrasto con l’art. 42, comma 5, lettera d), del d.lgs. n. 118 del 2011, ai sensi del quale «è possibile attribuire un vincolo di destinazione alle entrate straordinarie non aventi natura ricorrente solo se la regione non ha rinviato la copertura del disavanzo di amministrazione negli esercizi successivi e ha provveduto nel corso dell’esercizio alla copertura di tutti gli eventuali debiti fuori bilancio».

Per contro, «risultando assoggettata a piano di rientro dal disavanzo», la Regione Molise non potrebbe imprimere uno specifico vincolo alle entrate considerate nell’impugnato art. 7, difettando il «requisito dell’assenza di disavanzi da ripianare», come affermato da questa Corte (sono citate le sentenze n. 49 del 2018 e n. 279 del 2016).

La difesa regionale sottolinea, anzitutto, che l’impugnata disposizione della legge reg. Molise n. 2 del 2021 fisserebbe «la destinazione d’uso di entrate da accertare e incassare a decorrere dal 2021», così da finanziare gli interventi per la disabilità stanziati nella Tabella A allegata alla legge stessa.

Argomenta poi che la previsione dell’art. 42, comma 5, lettera d), del d.lgs. n. 118 del 2011, evocata dal ricorrente a sostegno del motivo di impugnazione, sarebbe «del tutto inconferente e non [potrebbe] essere assunta a parametro interposto di costituzionalità».

Ad avviso della difesa regionale tale esito sarebbe anche attestato dalle stesse pronunce di questa Corte che il ricorrente ha invece richiamato a sostegno della propria ricostruzione.

Da ultimo la Regione resistente osserva, in via subordinata, che il principio contabile evocato a sostegno della censura «non sarebbe applicabile al caso di specie anche perché le sanzioni amministrative non costituirebbero entrate “straordinarie” o “non ricorrenti”».

Il Presidente del Consiglio dei ministri ritiene non fondati gli argomenti della difesa della resistente, anzitutto perché le quote vincolate del risultato di amministrazione avrebbero la funzione di evitare che le risorse dell’ente confluiscano nella quota disponibile, essendo invece le stesse destinate alla copertura di specifiche spese sulla base dei vincoli derivanti dalle fonti normative.

Inoltre, il parametro interposto evocato nel motivo d’impugnazione sarebbe pertinente essendo la ratio dello stesso orientata a comprimere la discrezionalità degli enti in disavanzo quanto all’utilizzo di entrate straordinarie «in favore della necessità di concludere i percorsi di rientro anche prima dei tempi programmati».

Pertanto la Regione Molise, assoggettata a piano di rientro dal disavanzo, non potrebbe – in una legge che, come quella impugnata, compone il ciclo di bilancio – attribuire vincoli di destinazione alle entrate straordinarie, non aventi natura ricorrente; tali sarebbero quelle derivanti dalle sanzioni amministrative per le violazioni della legge 12 marzo 1999, n. 68 (Norme per il diritto al lavoro dei disabili), come peraltro confermerebbe il contenuto del punto 5 dell’Allegato 7 al d.lgs. n. 118 del 2011.

La memoria della Regione Molise ribadisce invece l’erroneità del parametro interposto evocato dal ricorrente – l’art. 42, comma 5, lettera d), del d.lgs. n. 118 del 2011 – richiamando anche pronunce della Corte dei conti che, in sede di parifica dei rendiconti regionali, avrebbero applicato tale disposizione «esclusivamente nella valutazione della corretta composizione del risultato di amministrazione».

 

RITENUTO IN DIRITTO

Nel merito, la questione non è fondata.

Il ricorso statale contesta alla Regione Molise, che ha in corso un piano di rientro dal disavanzo di amministrazione, la possibilità di attribuire un vincolo di destinazione ad alcune entrate straordinarie non aventi natura ricorrente, atteso che l’art. 42, comma 5, lettera d), del d.lgs. n. 118 del 2011, evocato quale parametro interposto dell’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., consente ciò «solo se la regione non ha rinviato la copertura del disavanzo di amministrazione negli esercizi successivi e ha provveduto nel corso dell’esercizio alla copertura di tutti gli eventuali debiti fuori bilancio».

Il presupposto interpretativo del ricorso statale è dunque, da un lato, che alle specifiche entrate oggetto dell’impugnato art. 7 della legge reg. Molise n. 2 del 2021 sia applicabile il suddetto principio contabile e, dall’altro, che la facoltà da quest’ultimo astrattamente prevista non fosse in concreto esercitabile, in difetto della specifica condizione dell’assenza di disavanzi non ripianati.

Tale assunto è però del tutto erroneo.

Il ricorrente ha infatti omesso di considerare che il vincolo alle risorse oggetto della previsione impugnata non è attribuito dalla medesima norma regionale, bensì discende direttamente dalla legge statale, ovvero dal disposto dell’art. 14 della legge 12 marzo 1999, n. 68 (Norme per il diritto al lavoro dei disabili).

Tale disposizione, ai primi due commi, demanda alle Regioni sia la istituzione del «Fondo regionale per l’occupazione dei disabili […], da destinare al finanziamento dei programmi regionali di inserimento lavorativo e dei relativi servizi», sia la determinazione con legge regionale delle «modalità di funzionamento e [de]gli organi amministrativi» dello stesso; al comma 3, soprattutto, stabilisce che «al Fondo sono destinati gli importi derivanti dalla irrogazione delle sanzioni amministrative previste dalla presente legge ed i contributi versati dai datori di lavoro ai sensi della presente legge […]» quando questi siano esonerati, alle condizioni fissate dall’art. 5, comma 3, dall’obbligo di assunzione dei disabili.

Il vincolo di destinazione previsto dalla norma impugnata ha, quindi, ad oggetto le medesime entrate considerate dall’art. 14 della legge n. 68 del 1999 ed è del resto coerente con la disciplina del fondo regionale per l’occupazione dei disabili già istituito dalla stessa resistente con la legge della Regione Molise 28 ottobre 2002, n. 26 (Istituzione del Fondo per l’occupazione dei disabili, ai sensi dell’art. 14 della legge n. 68/1999) che, rispettivamente agli artt. 2 e 3, individua le risorse del fondo e la destinazione dello stesso nei puntuali termini di cui all’art. 14 della citata legge statale n. 68 del 1999, cui dà attuazione.

Ciò porta ad escludere una portata innovativa all’art. 7 della legge reg. Molise n. 2 del 2021 – al più evocata dall’espressione «a decorrere dal 2021» con cui la stessa disposizione esordisce – e a riconoscere, invece, alla stessa un carattere meramente confermativo del precedente – e ben più risalente – vincolo di destinazione.

Così ricostruito il quadro normativo in cui è coinvolta la norma impugnata, ne consegue che non trova applicazione il principio contabile evocato dal ricorrente, che è invece inerente all’autonoma attribuzione di un vincolo di destinazione da parte della Regione.

P.Q.M.

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 7 della legge della Regione Molise 4 maggio 2021, n. 2 (Legge di stabilità regionale anno 2021), promossa, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri.

Il principio di diritto: si omette di tenere presente che il vincolo alle risorse oggetto della previsione impugnata non è attribuito dalla stessa norma regionale, ma discende direttamente dalla legge statale, ovvero dal disposto dell’art. 14 della l. 12 marzo 1999, n. 68 (“Norme per il diritto al lavoro dei disabili”). L’art. 14, comma 3, della l. n. 68/1999, nel prevedere che al fondo regionale “sono destinati gli importi” di talune entrate derivanti dall’applicazione della legge stessa, ha finalizzato tali proventi al finanziamento degli interventi individuati dagli enti territoriali a favore dei soggetti svantaggiati.

Il caso e il processo: il Presidente del Consiglio dei ministri impugna l’art. 7 della legge della Regione Molise 4 maggio 2021, n. 2 (“Legge di stabilità regionale anno 2021”), in riferimento all’art. 117, comma 2, lett. e), Cost., in relazione all’art. 42, comma 5, lett. d), del d.lgs. 23 giugno 2011, n. 118 (“Disposizioni in materia di armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio delle Regioni, degli enti locali e dei loro organismi, a norma degli artt. 1 e 2 della l. 5 maggio 2009, n. 42”). In particolare, l’art. 7 si porrebbe in netto contrasto con l’art. 42, comma 5, lett. d), del d.lgs. n. 118 del 2011, ai sensi del quale “è possibile attribuire un vincolo di destinazione alle entrate straordinarie non aventi natura ricorrente solo se la regione non ha rinviato la copertura del disavanzo di amministrazione negli esercizi successivi e ha provveduto nel corso dell’esercizio alla copertura di tutti gli eventuali debiti fuori bilancio”. Di conseguenza, sarebbe violato l’art. 117, comma 2, lett. e), Cost., poiché l’ art. 42, comma 5, lett. d), esprimerebbe, con funzione di norma interposta, la competenza legislativa esclusiva statale in materia di armonizzazione dei bilanci pubblici.

La soluzione resa dalla Consulta: la Corte ha respinto il ricorso, dichiarando non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 7 della legge della Regione Molise 4 maggio 2021, n. 2 (“Legge di stabilità regionale anno 2021”), promossa, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lett. e), Cost., dal Presidente del Consiglio dei Ministri. Secondo i giudici, tale fattispecie rientra nei vincoli “previsti dalla legge statale nei confronti delle Regioni”. Si tratta di vincoli ai quali la Regione, nell’ambito del ciclo di bilancio, deve assicurare attuazione proprio in forza della previsione statale e per i quali non rileva – a differenza di quelli autonomamente decisi dalla Regione e rientranti nella lettera d) del richiamato comma 5 dell’art. 42 – che sia in corso il ripiano del disavanzo o che non siano stati coperti tutti gli eventuali debiti fuori bilancio.

Gli orientamenti dottrinali e giurisprudenziali sul tema: la modalità di alimentazione degli interventi finanziati dal fondo regionale è connessa all’esigenza di tutela di situazioni di particolare vulnerabilità (Corte cost., n. 83/2019; Corte cost., n. 232/2018, Corte cost., n. 258/2017; Corte cost., n. 275/2016 e n. 215 del 1987; Corte cost., n. 10/2022).

Sull’occupazione dei soggetti disabili a livello regionale, tra i molteplici, si veda A. Tursi, Le nuove convenzioni per l'inserimento lavorativo dei disabili e dei soggetti svantaggiati tramite cooperative sociali, due anni dopo, in Giornale di diritto del lavoro e di relazioni industriali, n. 1, 2006; M. Bucciarelli, C. Cellai, Inserimento lavorativo e inclusione delle persone con disabilità. Punto di arrivo o di partenza?, in Quaderni di Tecnostruttura, n. 24, 2006; G. Testi, La riforma del welfare e le nuove pensioni, Santarcangelo di Romagna (RN), 2008; D. Garofalo, “Welfare”, Promozione dell’occupazione e neoregionalismo, in Rivista del Diritto della Sicurezza Sociale, n. 3, 2009, 635-652; S. Angeloni, L’aziendabilità. Il valore delle risorse disabili per l'azienda e il valore dell'azienda per le risorse disabili, Milano, 2010; D. Garofalo, Jobs act e disabili, in Rivista del Diritto della Sicurezza Sociale, n. 1, 2016, 89-116; A.D. Marra, I fondi strutturali Europei, la disabilità e le politiche regionali, Vicalvi (FR), 2015; I. Bresciani, L’inserimento lavorativo delle persone con disabilità, Roma, 2018.

 

2) Appalto di opere pubbliche – Limiti del potere giudiziario

Tar Basilicata, 27 aprile 2022, dep. 12 maggio 2022, n. 356 – Pres. Donadono – Rel. Mariano (rif. l. 8 agosto 1992, n. 359)

(omissis)

 

RITENUTO IN FATTO

Con il presente ricorso, depositato in data 21/9/2020, a seguito di rituale riassunzione (derivante dalla declinatoria di giurisdizione pronunciata dalla Corte di Appello di Potenza con sentenza n. 874/2019 del 13/12/2019), il Geom. – titolare dell’omonima impresa di costruzioni – ha chiesto l'accertamento del diritto alla revisione prezzi con riferimento al contratto di appalto stipulato in data 12/12/1988, avente ad oggetto i lavori di urbanizzazione primaria della zona P.I.P. del Comune di Tursi, nonché la declaratoria dell’obbligo, da parte di detto Ente civico, di adottare un provvedimento espresso sull’istanza di revisione prezzi presentata dal ricorrente in data 13/11/1993 (reiterata il 26/4/1994 e il 22/5/1997).

Emerge in fatto quanto segue: - con contratto del 12/12/1988, il Comune di Tursi ha affidato alla Ditta edile del ricorrente l'appalto per l’esecuzione dei lavori di urbanizzazione primaria della zona P.I.P. (con scadenza prevista in data 6/9/1989), per l’importo complessivo di Lire 1.348.843.908; - in data 13/11/1993, ricorrendone i presupposti (ossia la posticipazione della scadenza contrattuale al 31/3/1994, in ragione di plurime sospensioni dei lavori per cause non imputabili all’appaltatore), il ricorrente ha formulato istanza di revisione dei prezzi; - con deliberazione n. 494 del 24/9/1994, la Giunta Comunale di Tursi ha riconosciuto detta pretesa, quantificandola nella misura di Lire 44.061.380 (IVA inclusa); 25/05/22, 09:14 3/7 - in data 14/6/1999, reputata insoddisfacente detta quantificazione, il ricorrente ha citato il Comune dinanzi al Tribunale di Matera, chiedendo la condanna dell’ente al pagamento del compenso revisionale nella misura dovuta (oltreché degli interessi legali e moratori per il ritardato pagamento del primo e del quinto stato di avanzamento). Con sentenza n. 49 del 16/5/2011, il Tribunale di Matera, accogliendo la domanda attorea, ha condannato il Comune di Tursi al pagamento in favore dell’odierno ricorrente della somma di Euro 214.829,24, oltre interessi successivi alla data del 31/12/2008, sino al soddisfo; - con sentenza n. 874 del 13/12/2019, la Corte di Appello di Potenza (evocata dal soccombente Comune) ha, tuttavia, dichiarato il difetto di giurisdizione del Giudice ordinario sulla domanda di pagamento della revisione del prezzo dell’appalto, ritenendo che l’oggetto del giudizio vertesse (oltreché sul quantum) sull’an del compenso revisionale, stante l’inidoneità della deliberazione della Giunta Comunale, n. 494 del 24/9/1994, a riconoscere il diritto alla revisione dei prezzi in favore dell’appaltatore, trattandosi di atto promanante da un organo sprovvisto di competenza in materia (da attribuirsi, invece, in via esclusiva, al Consiglio comunale.

 

RITENUTO IN DIRITTO

Il ricorso è in parte inammissibile e in parte irricevibile.

La domanda di accertamento del diritto alla revisione prezzi è inammissibile, avendo essa ad oggetto una situazione giuridica che ha la consistenza di interesse legittimo.

Deve, infatti, ritenersi – in coerenza con le generali coordinate di riparto giurisdizionale applicabili ratione temporis - che “in tema di appalto di opere pubbliche, la posizione soggettiva dell'appaltatore in ordine alla facoltà dell'amministrazione di procedere alla revisione dei prezzi - secondo la disciplina vigente anteriormente all'entrata in vigore del d.l. 11 luglio 1992, conv. in l. 8 agosto 1992 n. 359, che ha soppresso tale facoltà, sostituita poi dal diverso sistema di adeguamento previsto dalla legge quadro in materia di lavori pubblici 11 febbraio 1994 n. 109 - è tutelabile dinanzi al g.a. quando attenga all'an della revisione, in quanto correlata all'esercizio di un potere discrezionale riconosciuto dalla norma alla stazione appaltante, sulla base di valutazioni correlate a preminenti interessi pubblicistici. Essa acquista natura e consistenza di diritto soggettivo, tutelabile dinanzi al g.o., quando il diritto alla revisione derivi da apposita clausola stipulata, in deroga alla regolamentazione legale, anteriormente all'entrata in vigore della l. 22 febbraio 1973 n. 37 - che ha vietato ogni genere di accordo incidente su questo aspetto del rapporto - ovvero quando l'amministrazione abbia già esercitato il potere discrezionale a lei spettante adottando un provvedimento attributivo, o ancora abbia tenuto un comportamento tale da integrare un implicito riconoscimento del diritto alla revisione, così che la controversia riguardi soltanto il quantum della stessa”.

La domanda diretta alla declaratoria dell’illegittimità del silenzio sull’istanza di riconoscimento del compenso revisionale del 13/11/1993 è, invece, irricevibile.

L’art. 31, co. 2, cod. proc. amm. prescrive che “L’azione avverso il silenzio può essere proposta fintanto che perdura l’inadempimento e, comunque, non oltre un anno dalla scadenza del termine di conclusione del procedimento”. In specie, va rilevato che detta azione è stata proposta per la prima volta con il ricorso in riassunzione, dunque ben oltre il richiamato termine decadenziale (considerato che l’istanza volta al riconoscimento della revisione prezzi è stata presentata in data 13/11/1993 e reiterata, da ultimo, il 22/5/1997); né a tal fine può invocarsi la clausola di salvezza degli effetti sostanziali e processuali prevista dall’art. 11 cod. proc. amm., stante l’innovatività della domanda in esame rispetto al petitum dell’originario giudizio civile. Ciò fermo restando che, secondo quanto previsto dalla richiamata disposizione, costituisce facoltà della parte riproporre l’istanza amministrativa per cui è causa.

P.Q.R.

si dichiara il ricorso in parte inammissibile e in parte irricevibile.

 

Il principio di diritto: alla posizione giuridica azionata deve essere riconosciuta la consistenza dell’interesse legittimo, stante la mancata estrinsecazione del relativo potere autoritativo relativamente e non potendo il giudice sostituirsi all’Amministrazione rispetto ad un obbligo di provvedere gravante su di essa (art. 34, comma 2, cod. proc. amm.).

Il caso e il processo: il titolare di un’impresa di costruzioni ha chiesto l’accertamento del diritto alla revisione prezzi con riferimento al contratto di appalto stipulato, incentrato sui lavori di urbanizzazione primaria della zona P.I.P. del Comune di Tursi, nonché la declaratoria dell’obbligo, da parte dell’Ente civico, di adottare un provvedimento espresso sull’istanza di revisione prezzi presentata dal ricorrente. Il Tribunale di Matera, accogliendo la domanda, ha condannato il Comune di Tursi al pagamento in favore del ricorrente di una data somma. Tuttavia, la Corte di Appello di Potenza ha dichiarato il difetto di giurisdizione del Giudice ordinario sulla domanda di pagamento della revisione del prezzo dell’appalto, statuendo che l’oggetto del giudizio vertesse (oltreché sul quantum) sull’an del compenso revisionale.

La soluzione resa dal Tar: la domanda di accertamento del diritto alla revisione prezzi è inammissibile, avendo ad oggetto una situazione giuridica che ha la consistenza di interesse legittimo. La domanda finalizzata alla declaratoria dell’illegittimità del silenzio sull’istanza di riconoscimento del compenso revisionale è, invece, irricevibile. L’azione avverso il silenzio è stata proposta per la prima volta con il ricorso in riassunzione, ovvero ben oltre il termine decadenziale.

Gli orientamenti dottrinali e giurisprudenziali sul tema: “in tema di appalto di opere pubbliche, la posizione soggettiva dell’appaltatore in ordine alla facoltà dell’amministrazione di procedere alla revisione dei prezzi - secondo la disciplina vigente anteriormente all’entrata in vigore del d.l. 11 luglio 1992, conv. in l. 8 agosto 1992, n. 359, che ha soppresso tale facoltà, sostituita poi dal diverso sistema di adeguamento previsto dalla legge quadro in materia di lavori pubblici 11 febbraio 1994, n. 109 - è tutelabile dinanzi al g.a. quando attenga all’an della revisione, in quanto correlata all'esercizio di un potere discrezionale riconosciuto dalla norma alla stazione appaltante, sulla base di valutazioni correlate a preminenti interessi pubblicistici. Essa acquista natura e consistenza di diritto soggettivo, tutelabile dinanzi al g.o., quando il diritto alla revisione derivi da apposita clausola stipulata, in deroga alla regolamentazione legale, anteriormente all'entrata in vigore della l. 22 febbraio 1973, n. 37 - che ha vietato ogni genere di accordo incidente su questo aspetto del rapporto - ovvero quando l’amministrazione abbia già esercitato il potere discrezionale a lei spettante adottando un provvedimento attributivo, o ancora abbia tenuto un comportamento tale da integrare un implicito riconoscimento del diritto alla revisione, così che la controversia riguardi soltanto il quantum della stessa” (Cass. civ. sez. un., 13 settembre 2005, n. 18126; in linea con ciò, Cons. Stato, sez. III, 22 giugno 2018, n. 3827; Cons. Stato, sez. V, 22 dicembre 2014, n. 6275; Cons. Stato 24 gennaio 2013, n. 465; Cass. civ., sez. un., 31 ottobre 2008, n. 26298). Vi è l’impossibilità per il giudice amministrativo di procedere all’accertamento e alla condanna rispetto ad una pretesa che, nella sua fase inziale, presuppone l’esercizio di attività amministrativa e si connota, pertanto, in termini di interesse legittimo (Cons. Stato, sez. II, 6 maggio 2020, n. 2860; Cons. Stato, sez. III, 6 agosto 2018, n. 4827; T.A.R. Campania, Napoli, sez. V, 4 febbraio 2019, n. 566).

Sulla posizione del potere giudiziario in materia, tra i tanti, si veda M. Cozzio, Il contributo della giurisprudenza all'evoluzione delle regole sugli appalti pubblici, in Il diritto dell’economia, n. 1, 2013, 1-258; S. Amorosino, I giudici amministrativi e le attività economiche, in Analisi Giuridica dell’Economia, n. 2, 2018, 449-458; G. Leone, Legittimazione ed interesse ad agire tra giurisdizione soggettiva e oggettiva del giudice amministrativo, in Persona e Amministrazione, n. 2, 2019, 73-83; F. Guerra, Per una storia italiana del tempo presente: gli appalti, la mafia e il potere supplente della magistratura, in Revista De Italianística, n. 39, 2019, 68-77.

 

3) Azione volta alla tutela del diritto di accesso civico – Eventuale natura politica degli accordi di cooperazione

Cons. St., Sez. III, sent. 5 maggio 2022, dep. 10 giugno 2022, n. 4735 – Pres. Maruotti – Rel. Tomaiuoli (rif. art. 5, comma 1, d.lgs. n. 33/2013)

(omissis)

RITENUTO IN FATTO

L’Avvocato, in data 17 febbraio 2021, presentava istanza di accesso civico, ai sensi dell’art. 5, comma 1, del decreto legislativo 14 marzo2013, n. 33 (Riordino della disciplina riguardante il diritto di accesso civico e gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni), ai testi dell’Accordo internazionale di cooperazione concluso tra Italia e Gambia il 29 luglio 2010 e del Memorandum of understanding sottoscritto a Roma il 6 giugno 2015, così come modificato il 26 ottobre 2017, sul presupposto che essi, in quanto accordi internazionali, sarebbero oggetto di pubblicazione obbligatoria, ai sensi dell’art. 4 della legge 11 dicembre 1984, n. 839 (Norme sulla Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana e sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana).

In subordine, l’accesso veniva richiesto in base all’art. 5, comma 2, del medesimo d.lgs. n. 33 del 2013 e in relazione alle sole parti relative alla cooperazione in materia di rimpatri.

In data 8 marzo 2021, il Ministero dell’interno - dipartimento della pubblica sicurezza - direzione centrale dell’Immigrazione e della polizia delle frontiere rigettava l’istanza, ai sensi dell’art. 5-bis, comma 1, lettere a) e d), del d.lgs. n. 33 del 2013.

Avverso tale diniego l’Avvocato presentava istanza di riesame indirizzata al responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza.

Anche l’istanza di riesame veniva respinta, in ragione dell’affermata natura di intesa intergovernativa – non internazionalmente vincolante – di entrambi gli atti oggetto della richiesta di accesso, dal che la conseguente applicabilità delle cause di esclusione previste dai commi 1, lettere a) e d), e 3, del citato art. 5- bis del d.lgs. n. 33 del 2013.

Avverso i dinieghi di ostensione e per l’accertamento del suo diritto di accesso agli atti in parola, l’istante proponeva ricorso innanzi al Tar Lazio, deducendo la loro natura di accordi internazionali, la conseguente obbligatorietà della loro pubblicazione e quindi l’operatività dell’art. 5, comma 1, del d.lgs. n. 33 del 2013.

Si costituivano il Ministero dell’interno e il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, eccependo la natura meramente tecnico-amministrativa e di intesa intergovernativa degli accordi stipulati con il Gambia, «non internazionalmente vincolanti» perché sottoscritti «da un organo della Pubblica amministrazione che non rappresenta un soggetto di diritto internazionale» e non ostensibili per evitare un pregiudizio concreto alla tutela della sicurezza e dell’ordine pubblico e alle relazioni internazionali «che l’Italia intrattiene con paesi terzi».

Con la sentenza in epigrafe indicata, il Tar Lazio respingeva il ricorso, ritenendo che la ricorrente avesse agito per interessi personali e non «della collettività generale dei cittadini» e che fosse corretta la qualificazione, operata dall’Amministrazione, degli accordi in questione come accordi intergovernativi, di natura tecnico-amministrativa e non internazionalmente vincolanti, donde la non necessità della loro pubblicazione e la operatività delle cause di esclusione dall’accesso civico di cui all’art. 5-bis, comma 1, lettere a) e d), del d.lgs. n. 33 del 2013, legittimamente poste alla base dei dinieghi di ostensione.

L’appellante lamenta l’erroneità della sentenza di primo grado: 1) per avere ritenuto il suo difetto di legittimazione attiva, dal momento che per l’accesso civico la legge non impone che l’istante si faccia portatore di un interesse pubblico ulteriore a quello immanente all’ostensione degli atti, specie ove si tratti di accesso civico «ordinario»; 2) per avere ritenuto che si tratti di accordi amministrativi di cooperazione di polizia e non di accordi internazionali in forma semplificata, aventi natura politica e soggetti a pubblicazione perché impegnano lo Stato nelle relazioni internazionali, senza che possano essere fatte valere le cause di esclusione dall’accesso di cui all’art. 5-bis del d.lgs. n. 33 del 2013 (e salva, comunque, l’apposizione del segreto di Stato); 3) per non avere compensato le spese di lite, stante la novità della questione.

 

RITENUTO IN DIRITTO

La questione della rilevanza o meno della natura politica o amministrativa degli accordi in esame, può passarsi all’esame del primo motivo di gravame, con cui l’appellante lamenta che erroneamente il Tar Lazio l’abbia ritenuta portatrice di un interesse personale e non della collettività, inidoneo a sorreggere l’istanza di accesso civico.

Il motivo è fondato.

Il primo giudice ha ritenuto che quello della ricorrente sia, «per sua stessa ammissione», «un interesse legato alla sua attività professionale di difensore di cittadini gambiani trattenuti presso i centri di rimpatrio», dal che il ritenuto difetto di allegazione, prima ancora che di prova, del necessario «interesse proprio della generalità dei cittadini al riguardo».

L’art. 1 del d.lgs. n. 33 del 2013 afferma, al comma 1, che «la trasparenza è intesa come accessibilità totale dei dati e documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, allo scopo di tutelare i diritti dei cittadini, promuovere la partecipazione degli interessati all’attività amministrativa e favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche»; e, al comma 2, che «la trasparenza, nel rispetto delle disposizioni in materia di segreto di Stato, di segreto d’ufficio, di segreto statistico e di protezione dei dati personali, concorre ad attuare il principio democratico e i principi costituzionali di eguaglianza, di imparzialità, buon andamento, responsabilità, efficacia ed efficienza nell’utilizzo di risorse pubbliche, integrità e lealtà nel servizio alla nazione. Essa è condizione di garanzia delle libertà individuali e collettive, nonché dei diritti civili, politici e sociali, integra il diritto ad una buona amministrazione e concorre alla realizzazione di una amministrazione aperta, al servizio del cittadino». Quanto all’accesso civico, che insieme agli obblighi di pubblicazione è strumento fondamentale dell’attuazione del principio di trasparenza, l’art. 5, comma 1, del d.lgs. n. 33 del 2013, dispone che «l’obbligo previsto dalla normativa vigente in capo alle pubbliche amministrazioni di pubblicare documenti, informazioni o dati comporta il diritto di chiunque di richiedere i medesimi, nei casi in cui sia stata omessa la loro pubblicazione». Ai sensi del successivo comma 2, «allo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico, chiunque ha diritto di accedere ai dati e ai documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, ulteriori rispetto a quelli oggetto di pubblicazione ai sensi del presente decreto, nel rispetto dei limiti relativi alla tutela di interessi giuridicamente rilevanti secondo quanto previsto dall’articolo 5-bis». Il comma 3, poi, prevede che «l’esercizio del diritto di cui ai commi 1 e 2 non è sottoposto ad alcuna limitazione quanto alla legittimazione soggettiva del richiedente. L’istanza di accesso civico identifica i dati, le informazioni o i documenti richiesti e non richiede motivazione».

L’attrazione degli accordi in questione all’ambito di operatività dell’accesso civico semplice comporta che non possono rilevare le cause di esclusione indicate dall’art. 5-bis del medesimo decreto legislativo, perché esso, ai commi 1, 2 e 3, espressamente delimita la sua operatività in relazione al solo accesso civico generalizzato di cui all’art. 5, comma 2, avente ad oggetto gli atti diversi da quelli per cui il legislatore ha dettato la regola della necessaria pubblicità.

Non può invece ritenersi condivisibile l’opzione ermeneutica che riconduce all’area di operatività dell’accesso civico generalizzato, per come introdotto dal decreto legislativo 25 maggio 2016, n. 97 (Revisione e semplificazione delle disposizioni in materia di prevenzione della corruzione, pubblicità e trasparenza, correttivo della legge 6 novembre 2012, n. 190 e del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33, ai sensi dell’articolo 7 della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche), non solo gli atti non oggetto di pubblicazione obbligatoria, ma anche quelli oggetto di pubblicazione obbligatoria in forza di norme esterne al citato decreto e, in particolare e per quanto qui rileva, gli atti assoggettati a pubblicazione dalla legge n. 839 del 1984.

Esclusa la sussistenza di altre ragioni ostative all’accoglimento della domanda di accesso, resta dunque da appurare se con gli accordi internazionali in questione lo Stato italiano si sia impegnato nei confronti del Gambia, come dedotto dalla parte appellante. Con i dinieghi impugnati e con la memoria difensiva depositata nel corso del giudizio di primo grado, il Ministero dell’interno ha affermato che gli accordi sarebbero stati stipulati da un organo della pubblica amministrazione «che non rappresenta un soggetto di diritto internazionale (così, il diniego del 9aprile 2021)»; quanto all’assunzione o meno di impegni nei confronti del Gambia, invece, il Ministero non ha preso specifica posizione, coerentemente, del resto, con le dedotte esigenze di tutela della sicurezza nazionale, dell’ordine pubblico e delle relazioni internazionali con la controparte gambiana.

Sussistono, tuttavia, diversi indici che potrebbero deporre per l’assunzione di specifici obblighi da parte dello Stato italiano nei confronti del Gambia.

Quanto alla possibile riconducibilità alla Repubblica, può osservarsi, infatti, che gli accordi aventi ad oggetto la politica migratoria, il controllo delle frontiere e la lotta alla criminalità organizzata – per la evidente delicatezza degli interessi politici sottesi e degli stessi rapporti internazionali cui afferiscono – normalmente vengono adottati dagli organi del potere esecutivo comunemente riconosciuti come autorizzati ad impegnare lo Stato italiano nelle relazioni con i paesi esteri (id est, il Presidente del Consiglio dei ministri o il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale) ovvero da soggetti “plenipotenziari”, a tanto autorizzati dai primi o dal Governo.

Quanto, invece, alla possibile presenza di specifici obblighi nelle relazioni con il Gambia, vi sono le risultanze degli atti parlamentari riportate dalla parte appellante (e ricordate al punto 3 che precede), tra cui spiccano le dichiarazioni del Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionale rese il 9 giugno 2016 in sede di risposta scritta ad interrogazione: «il 29 luglio 2010 è stato firmato a Banjul tra i rispettivi Ministeri dell’interno un accordo fra Italia e Gambia per il rafforzamento della cooperazione di polizia nella lotta contro il traffico di migranti e l’immigrazione irregolare, che prevede forme di assistenza tecnica e di fornitura di materiali, corsi di formazione, nonché lo scambio di funzionari

In presenza dei ricordati indici, il Collegio ritiene indispensabile, per decidere il secondo motivo di appello, acquisire, entro il termine di sessanta giorni decorrente dalla comunicazione della presente sentenza non definitiva, una documentata relazione.

P.Q.R.

accoglie il ricorso in relazione al primo motivo e, per l’effetto, in riforma della sentenza di primo grado, accerta la legittimazione soggettiva dell’appellante a proporre l’istanza di accesso civico di cui in parte motiva; 2) dispone gli adempimenti istruttori di cui al punto 8.5. della motivazione, entro il termine di sessanta giorni ivi previsto, impregiudicata la decisione su ogni altra questione di rito, nel merito e sulle spese, che verranno liquidate al definitivo.

 

Il principio di diritto: ai fini della decisione del giudice amministrativo sull’azione volta alla tutela del diritto di accesso civico, in riferimento agli accordi internazionali di cooperazione conclusi tra Italia e Gambia, l’eventuale natura politica e non amministrativa degli stessi non rileva ai fini della sottrazione alla giurisdizione amministrativa prevista, per gli atti politici, dall’art. 7, comma 1, seconda parte, cod. proc. amm., in quanto tale esclusione riguarda l’impugnazione dei medesimi atti politici, ovverosia il sindacato giurisdizionale sull’esercizio del potere politico e, specularmente, sul suo mancato esercizio; sindacato che, ovviamente, non è esercitato nell’ipotesi di azione volta alla tutela del diritto di accesso civico.

Il caso e il processo: si avanza istanza di accesso civico, ai sensi dell’art. 5, comma 1, del d.lgs. 14 marzo 2013, n. 33, ai testi dell’Accordo internazionale di cooperazione concluso tra Italia e Gambia il 29 luglio 2010 e del Memorandum of understanding sottoscritto a Roma il 6 giugno 2015, così come modificato il 26 ottobre 2017, sul presupposto che essi, in quanto accordi internazionali, sarebbero oggetto di pubblicazione obbligatoria, ai sensi dell’art. 4 della l. 11 dicembre 1984, n. 839. Il Ministero dell’interno – dipartimento della pubblica sicurezza – direzione centrale dell’Immigrazione e della polizia delle frontiere rigettava l’istanza, ai sensi dell’art. 5-bis, comma 1, lett. a) e d), del d.lgs. n. 33/2013. Avverso tale diniego si presenta istanza di riesame indirizzata al responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza, con cui si sostiene l’inapplicabilità delle cause di esclusione dall’accesso civico fatte valere dall’Amministrazione, trattandosi di atti soggetti a pubblicazione obbligatoria in forza dell’art. 4 della l. n. 839/1984. Avverso i dinieghi di ostensione e per l’accertamento del suo diritto di accesso agli atti in parola, l’istante proponeva ricorso innanzi al Tar Lazio, deducendo la loro natura di accordi internazionali, la conseguente obbligatorietà della loro pubblicazione e quindi l’operatività dell’art. 5, comma 1, del d.lgs. n. 33/2013. Il Tar Lazio respingeva il ricorso, ritenendo che la ricorrente avesse agito per interessi personali e non “della collettività generale dei cittadini” e che fosse corretta la qualificazione, operata dall’Amministrazione, degli accordi in questione come accordi intergovernativi, di natura tecnico-amministrativa e non internazionalmente vincolanti, donde la non necessità della loro pubblicazione e la operatività delle cause di esclusione dall’accesso civico di cui all’art. 5-bis, comma 1, lett. a) e d), del d.lgs. n. 33/2013, legittimamente poste alla base dei dinieghi di ostensione.

La soluzione resa dal Consiglio di Stato: il Collegio osserva che, ove si ravvisi l’obbligo di pubblicazione ai sensi degli artt. 1 e 4 della l. n. 839/1984, il suo inadempimento comporta che gli accordi in questione possano essere oggetto di accesso civico semplice, poiché il più volte menzionato art. 5, comma 1, del d.lgs. n. 33/2013 attribuisce a chiunque il diritto di accedere ai documenti, alle informazioni o ai dati oggetto di pubblicazione obbligatoria “ai sensi della normativa vigente” e non solo, quindi, in forza degli obblighi specificamente posti dal d.lgs. n. 33/2013. L’attrazione degli accordi in questione all’ambito di operatività dell’accesso civico semplice comporta, altresì, che non possono rilevare le cause di esclusione indicate dall’art. 5-bis del medesimo decreto legislativo, perché esso, ai commi 1, 2 e 3, espressamente delimita la sua operatività in relazione al solo accesso civico generalizzato di cui all’art. 5, comma 2, avente ad oggetto gli atti diversi da quelli per cui il legislatore ha dettato la regola della necessaria pubblicità. Non può invece ritenersi condivisibile l’opzione ermeneutica che riconduce all’area di operatività dell’accesso civico generalizzato, per come introdotto dal d.lgs. 25 maggio 2016, n. 97, non solo gli atti non oggetto di pubblicazione obbligatoria, ma anche quelli oggetto di pubblicazione obbligatoria in forza di norme esterne al citato decreto e, in particolare e per quanto qui rileva, gli atti assoggettati a pubblicazione dalla legge n. 839/1984.

Gli orientamenti dottrinali e giurisprudenziali sul tema: l’eventuale natura politica e non amministrativa degli accordi oggetto di causa non può rilevare ai sensi dell’art. 7 cod. proc. amm., primo comma, seconda parte, dato che la sottrazione alla giurisdizione amministrativa ivi prevista con riferimento agli atti politici riguarda la loro impugnazione, ossia il sindacato sull’esercizio del potere politico e, specularmente, sul suo mancato esercizio (Cons. St., sez. VI, 29 ottobre 2021, n. 7250). L’accesso civico “generalizzato” di cui all’art. 5, comma 1, d.lgs. n. 33/2013, “non è sottoposto ad alcun limite quanto alla legittimazione soggettiva del richiedente e senza alcun onere di motivazione circa l’interesse alla conoscenza (Ad. plen., sentenza 2 aprile 2020, n. 10). Il principio di trasparenza non può rendere inoperante l’istituto del segreto, che resta strumento irrinunciabile per tutelare supremi ed insopprimibili interessi dello Stato (Corte cost., n. 40/2012; Corte cost., n. 106/2009; Corte cost., n. 86/1977; Corte cost., n. 82/1976).

Sulla tutela del diritto di accesso civico, tra i diversi, si veda A. Contieri, Trasparenza e accesso civico, in Nuove Autonomie, n. 3, 2014, 563-576; M.R. Spasiano, Riflessioni in tema di trasparenza anche alla luce del diritto di accesso civico, in Nuove Autonomie, n. 1, 2015, 63-79; D.U. Galetta, Accesso civico e trasparenza della Pubblica Amministrazione alla luce delle (previste) modifiche alle disposizioni del D. Lgs. n. 33/2013, in Federalismi, n. 5, 2016. Sugli accordi di cooperazione, tra i numerosi, si veda F. De Vittor, Responsabilità degli Stati e dell’Unione europea nella conclusione e nell’esecuzione di ‘accordi’ per il controllo extraterritoriale della migrazione, in Diritti umani e Diritto internazionale, n. 2, 2018, 5-27; F. Martines, La Cooperazione tra l’Unione Europea e i Paesi ACP: il lascito dell’Accordo di Cotonou e le sfide per un (nuovo?) partenariato, in A. Di Stasi, G. Fauceglia, G. Martino, P. Pennetta (a cura di), Liber amicorum per Massimo Panebianco, Napoli, 2020, 383-403.

 

ALTRE PRONUNCE IN RASSEGNA

TAR Catania, Sez. I, 23 marzo 2022, dep. 4 aprile 2022, n. 964 – Pres. Savasta – Rel. Sidoti – (rif. artt. 20, comma 2, lett. b, d.lgs. n. 175/2016)

Incombe sulla giurisdizione di legittimità del giudice amministrativo la cognizione della controversia avente ad oggetto la legittimità (o meno) delle deliberazioni del Consiglio comunale di messa in liquidazione di una società partecipata, adottate nell’ambito degli adempimenti di cui all’art. 20, d.lgs. n. 175/2016 (“Razionalizzazione periodica delle partecipazioni pubbliche”), in quanto gli atti in questione sono espressione del potere autoritativo delle amministrazioni pubbliche, teso, tra l’altro, all’esigenza di razionalizzazione e riduzione della spesa pubblica (art. 1, d.lgs. n. 175/2016); essi involgono posizioni di interesse legittimo finalizzato al corretto esercizio del potere da parte della società, la quale fa per l’appunto valere un interesse legittimo come aspirazione al conseguimento o al mantenimento di un bene o di una utilità in conseguenza dell’azione amministrativa (in tal caso al mantenimento in vita della società) a fronte dell’esercizio del detto potere autoritativo.

La scelta del Comune di procedere alla messa in liquidazione di una società partecipata a seguito della ricognizione ai sensi dell’art. 20, d.lgs. n. 175/2016 deve essere esternata con motivazione da inserire nella relazione tecnica per dare conto delle ragioni dell’ipotesi ritenuta sussistente (nel caso di specie art. 20, comma 2, lett. b) e del modello scelto (messa in liquidazione) per affrontarla.

Consiglio di Stato, Sez. VI, 31 marzo 2022, dep. 6 aprile 2022, n. 2564 – Pres. Montedoro – Rel. Carpino (rif. art. 33, l. n. 47/1985; art. 21-nonies, l. n. 241/1990)

In via generale non sussiste un obbligo di riesame su istanza del privato volta a sollecitare l’autotutela, salvo eccezionali casi di autotutela doverosa per espressa disposizione di legge o per conclamate e rilevanti esigenze di equità e giustizia.

Consiglio di Stato, Sez. VI, 24 marzo 2022, dep. 11 aprile 2022, n. 2655 – Pres. Volpe – Rel. Tarantino – (rif. artt. 22 e ss. l. n. 241/1990; art. 5 comma 2, d.lgs. n. 33/2013)

E’ legittimo il diniego di accesso alla documentazione propedeutica ad un servizio giornalistico, che conterrebbe informazioni false ed errate in relazione alla tutela dell’onore dell’istante se nell’istanza non è spiegato quale nesso di strumentalità sussista tra l’accesso ai documenti preparatori e la lesione dell’onore paventato dall’istante, considerato che si tratta di documentazione, che non è stata diffusa all’esterno. E’ manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2-bis, comma 2, lett. b), d.lgs. n. 33/2013, per violazione degli artt. 3, 97 e 117 Cost. che, nel tracciare l’ambito soggettivo di applicazione del diritto di accesso civico, dettando regimi differenziati in ragione delle specifiche caratteristiche strutturali che connotano le diverse persone giuridiche, sottrae all’accesso civico le società in controllo pubblico quotate, quale è la Rai.

Consiglio di Stato, Sez. V, 17 marzo 2022, dep. 13 aprile 2022, n. 2800 – Pres. Caracciolo – Rel. Di Matteo – (rif. art. 80, comma 5, lett. c e c-ter, d.lgs. n. 50/2016)

Non v’è dubbio che sia rimessa alla discrezionalità dell’amministrazione la valutazione in punto di affidabilità dell’operatore economico, ossia di formulare un giudizio prognostico sulla sua capacità di eseguire correttamente il contratto in affidamento alla luce delle sue pregresse vicende professionali (cfr. ex multis, Cons. Stato, sez. V, 27 ottobre 2021, n. 7223; in generale sul contenuto del giudizio dell’amministrazione, cfr. Cons. Stato, sez. V, 8 gennaio 2021, n. 307), ma è necessario che detto giudizio abbia a presupposto precise circostanze fattuali che dell’affidabilità dell’operatore possano far dubitare: un “grave illecito professionale” (nel caso dell’art. 80, comma 5, lett. c) ovvero “significative o persistenti carenze nell’esecuzione di precedente contratto” (nel caso dell’art. 80, comma 5, lett. c-ter).

Consiglio di Stato, A.P., 16 marzo 2022, dep. 14 aprile 2022, n. 5 – Pres. Frattini – Rel. Simonetti – (rif. artt. 7 e 8, l. n. 362/1991)

La nozione di “esercizio della professione medica”, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 7, comma 2, secondo periodo, l. n. 362/1991, deve ricevere un’interpretazione funzionale ad assicurare il fine di prevenire qualunque potenziale conflitto di interessi derivante dalla commistione tra questa attività e quella di dispensazione dei farmaci, in primo luogo a tutela della salute; in tal senso deve ritenersi applicabile la situazione di incompatibilità in questione anche ad una casa di cura, società di capitali e quindi persona giuridica, che abbia una partecipazione in una società, sempre di capitali, titolare di farmacia; una società concorre nella “gestione della farmacia”, per il tramite della società titolare cui partecipa come socio, qualora, per le caratteristiche quantitative e qualitative di detta partecipazione sociale, siano riscontrabili i presupposti di un controllo societario ai sensi dell’art. 2359 c.c., sul quale poter fondare la presunzione di direzione e coordinamento ai sensi dell’art. 2497 cc.

Consiglio di Stato, Sez. II, 23 febbraio 2022, dep. 19 aprile 2022, n. 2953 – Pres. Saltelli – Rel. Manzione – (rif. artt. 3, 7, 8 e 21-octies, l. n. 241/1990)

I Piani per gli insediamenti produttivi (P.I.P.) costituiscono uno dei primi esempi codificati di strumento urbanistico la cui attuazione è rimessa in larga parte allo strumento convenzionale accessivo; attraverso gli stessi, previsti dall’art. 27, l. n. 865/1971, i Comuni dotati di piano regolatore o di programma di fabbricazione, oltre ad imprimere un regime giuridico lato sensu “produttivo” ad una determinata zona, garantiscono l’accesso alle aree ivi comprese ad operatori economici che le devono utilizzare in funzione dello stesso, prevedendo che all’atto della concessione dei lotti, in proprietà o in superficie, nella percentuale normativamente data, venga siglata una convenzione finalizzata allo scopo.

L’inadempimento agli obblighi assunti con la convenzione, riconducibile al modello della concessione-contratto, può comportare il ricorso ai normali rimedi civilistici, giusta il rinvio contenuto al riguardo nell’art. 11, comma 2, della l. n. 241/1990, laddove si afferma che “si applicano, ove non diversamente previsto, i principi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti in quanto compatibili”. E’ altresì possibile che ne consegua l’irrogazione di sanzioni, per lo più di natura pecuniaria. La decadenza, espressamente prevista quale sanzione con riferimento alle convenzioni accessive ai Piani per l’edilizia economica e popolare (P.E.E.P., di cui all’art. 35, l. n. 865/971), in quanto tuttavia riferita al diritto di superficie, non alla proprietà, in ragione della sua particolare afflittività può essere irrigata solo se prevista nel modello di convenzione approvato dal Consiglio comunale unitamente all’atto di pianificazione, e per quegli obblighi che siano individuati come strettamente funzionali all’obiettivo di politica, anche economica, sotteso all’atto di governo del territorio.

Consiglio di Stato, Sez. IV, 17 marzo 2022, dep. 19 aprile 2022, n. 2915 – Pres. Poli – Rel. Conforti – (rif. art. 22-bis d.lgs. n. 504/1995)

E’ legittimo il d.m. 17 febbraio 2015 n. 37 – recante “Regolamento recante modalità di applicazione dell'accisa agevolata sul prodotto denominato biodiesel, nell'ambito del programma pluriennale 2007-2010, da adottare ai sensi dell'art. 22-bis, d.lgs. n. 504/1995 – atteso che il riesercizio del potere regolamentare dell’amministrazione si è realizzato legittimamente in ottemperanza ai giudicati del Consiglio di Stato e non poteva non implicare una rideterminazione dei coefficienti sulle quote di biodiesel fiscalmente agevolato già assegnate nelle annualità del programma trascorse. La responsabilità dell’amministrazione per lesione dell’affidamento ingenerato da un regolamento, poi annullato in sede giurisdizionale, postula che sulla sua legittimità sia sorto un ragionevole convincimento, il quale è escluso in caso di illegittimità evidente o quando il medesimo destinatario abbia conoscenza dell’impugnazione contro lo stesso provvedimento.

Consiglio di Stato, A.P., 23 febbraio 2022, dep. 21 aprile 2022, n. 6 – Pres. Frattini – Rel. Perotti – (rif. artt. 822, 823, 830 c.c.)

E’ configurabile mera irregolarità sanabile, con conseguente applicabilità del regime di cui all’art. 44, comma 2, c.p.a., nel caso di un ricorso notificato privo di firma digitale; in tal caso il ricorrente ben può, in applicazione dei principi di pienezza ed effettività della tutela giurisdizionale amministrativa (art. 1 c.p.a.) e di ragionevole durata del processo (art. 2, comma 2, c.p.a.), provvedere direttamente a rinotificare l’atto con firma digitale, ancor prima che il giudice ordini la rinnovazione della notifica; il termine per il deposito del ricorso, di cui al combinato disposto degli artt. 94, comma 1, e 45 c.p.a., andrà fatto decorrere dalla data dell’effettiva notifica dello specifico atto concretamente depositato.

Consiglio di Stato, Sez. III, 12 aprile 2022, dep. 22 aprile 2022, n. 3108 – Pres. Corradino – Rel. Noccelli – (rif. artt. 1 e 2, d. lgs. n. 159/2011; artt. 110 e 610 c.p.; art. 18, R.D. n. 773/1931)

E’ illegittimo il foglio di via obbligatorio adottato nei confronti di un lavoratore per avere preso parte attivamente alle manifestazioni sindacali attraverso il picchettaggio davanti ad uno stabilimento, senza tuttavia specificare quali concrete condotte violente egli abbia posto in essere.

Consiglio di Stato, Sez. VI, 7 aprile 2022, dep. 29 aprile 2022, n. 3408 – Pres. Simonetti – Rel. Ponte (rif. art. 13, legge n. 47/1985)

Le eccezioni preliminari, compresa quella di prescrizione quinquennale che siano state sollevate per la prima volta solo in sede di riassunzione dinanzi al giudice amministrativo e non per contrastare l’originaria proposizione della domanda, dinanzi al giudice civile nel termine di decadenza di cui all’art. 167 c.p.c., appaiono tardive e, conseguentemente, inammissibili; il processo iniziato davanti ad un giudice di una giurisdizione, che ha poi dichiarato il proprio difetto di giurisdizione, e riassunto nel termine di legge davanti al giudice, indicato dal primo come dotato di giurisdizione, non costituisce, infatti, un nuovo ed autonomo procedimento, ma la naturale prosecuzione dell’unico giudizio per quanto inizialmente introdotto davanti al giudice carente della giurisdizione.

Consiglio di Stato, Sez. V, 12 aprile 2022, dep. 3 maggio 2022 n. 3453 – Pres. Caracciolo – Rel. Urso – (rif. art. 80, comma 5, lett. c, c-bis, c-ter, f-bis, e 6, d.lgs. n. 50/2016; artt. 95 e 97, d.lgs. n. 50/2016)

Va confermato il principio che afferma l’irrilevanza del precedente illecito professionale della consorziata (anche qualora esecutrice per conto del consorzio nell’ambito di altro affidamento) rispetto ai requisiti del consorzio stabile in sé (su cui cfr. Cons. Stato, V, 14 aprile 2020, n. 2387); in termini generali, detto principio si pone peraltro in linea con quello per cui occorre che le imprese esecutrici siano esse stesse in possesso dei requisiti generali, non potendosi avvantaggiare dello “schermo di copertura” ritraibile dal consorzio (cfr. Cons. Stato, V, 9 ottobre 2020, n. 6008; 30 settembre 2020, n. 5742; 5 maggio 2020, n. 2849; 5 giugno 2018, n. 3384 e 3385; 26 aprile 2018, n. 2537).

Consiglio di Stato, Sez. III, 7 aprile 2022, dep. 3 maggio 2022, n. 3457 – Pres. Maruotti – Rel. De Miro – (rif. art. 20, comma 2, d.lgs. n.75/2017)

I tratti distintivi che connotano in modo tipico il contratto d’appalto e valgono a differenziarlo dalla somministrazione di personale, precisando che essi “consistono nell’assunzione da parte dell’appaltatore: a) del potere di organizzazione dei mezzi necessari allo svolgimento dell’attività richiesta; b) del potere direttivo sui lavoratori impiegati nella stessa; c) del rischio di impresa (si veda in tal senso l’art. 29, d.lgs. n. 276/2003, il quale recita: “Ai fini dell’applicazione delle norme contenute nel presente titolo, il contratto di appalto, stipulato e regolamentato ai sensi dell’art. 1655 c.c., si distingue dalla somministrazione di lavoro per la organizzazione di mezzi necessari da parte dell’appaltatore, che può anche risultare, in relazione alle esigenze dell’opera o del servizio dedotti in contratto, dall’esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nell’appalto, nonché per l’assunzione, da parte del medesimo appaltatore, del rischio di impresa”).

Consiglio di Stato Sez. V, 31 marzo 2022, dep. 4 maggio 2022, n. 3492 – Pres. Sabatino – Rel. Di Matteo – (rif. art. 3, l. n. 241/1990; art. 97 Cost.)

L’avviso con il quale è dato avvio alla procedura è l’unico atto cui occorre far riferimento per stabilire i requisiti di ammissione delle imprese a finanziamento; non gli altri atti che l’avviso abbiano preceduto e in seguito ai quali sia stato adottato.

Consiglio di Stato, Sez. I, 27 aprile 2022, dep. 5 maggio 2022, n. 804 – Pres. Torsello – Rel. Argiolas (rif. art. 79, comma 2, lett. c, d.P.R. n. 207/2010)

Nelle ipotesi previste dagli artt. 46, d.l. n. 189/2016 (c.d. decreto sisma 2016)  e 6, d.l. n. 23/2020 (c.d. decreto liquidità), l’accertamento, ai sensi dell’art. 79, comma 2, lett. c), d.P.R. 207/2010,  dell’idoneità economico-finanziaria degli esecutori di lavori pubblici può temporaneamente prescindere dalla disponibilità di un patrimonio netto di valore positivo solo con riferimento alle imprese i cui dati di bilancio sono cambiati in esito agli eventi cui si riferisce la normativa emergenziale.

Consiglio di Stato, Sez. VI, 21 aprile 2022, dep. 9 maggio 2022, n. 3605 – Pres. Montedoro – Rel. Maggio – (rif. art. 87, comma 9, d.lgs. 259/2003; l. n. 587/1971; art. 4, l. n. 1089/1939)

Le ville vesuviane incluse nell’elenco approvato con d.m. 19 ottobre 1976 costituiscono beni culturali ex lege, indipendentemente da chi ne sia il proprietario, di modo che ai fini dell’applicazione della tutela predisposta dalla normativa generale su detti beni, è irrilevante accertare a chi spetti il diritto dominicale su di esse.

Consiglio di Stato, Sez. V, 17 marzo 2022, dep. 11 maggio 2022, n. 3725 – Pres. Caracciolo – Rel. Di Matteo – (rif. art. 97 Cost.)

Nell’offerta tecnica possono essere inclusi singoli elementi economici che siano resi necessari allo scopo di rappresentare le soluzioni realizzative dell’opera o del servizio oggetto di gara (cfr. Cons. Stato, sez. V, 22 febbraio 2016, n. 703), purché siano elementi economici che non fanno parte dell’offerta economica, quali i prezzi a base di gara, i prezzi di listini ufficiali, i costi o i prezzi di mercato, ovvero siano elementi isolati e del tutto marginali dell’offerta economica che non consentano in alcun modo di ricostruire la complessiva offerta economica o ancora consistano nell’assunzione di costi di prestazioni diverse da quelle apprezzate nell’offerta economica, anche se comunque da rendere a terzi in base al capitolato e remunerate dalla stazione appaltante (cfr. Cons. Stato, sez. V, 11 giugno 2018, n. 3609; V, 13 giugno 2016, n. 2530; III, 20 gennaio 2016, n. 193).

TAR Toscana, Sez. I, 11 maggio 2022, dep. 19 maggio 2022, n. 685 – Pres. Pupilella – Rel. Viola – (rif. art. 97 Cost.; artt. 23, 31, 77, 95, d.lgs. n. 50/2016)

Si richiama una recente decisione della Sezione che ha rilevato come “la giurisprudenza …(abbia) in più occasioni ribadito che il provvedimento di esclusione dalla gara è di pertinenza della stazione appaltante, e non già dell’organo straordinario-Commissione giudicatrice; la documentazione di gara può, comunque, demandare alla Commissione giudicatrice ulteriori compiti, di mero supporto ed ausilio del RUP, ferma rimanendo la competenza della stazione appaltante nello svolgimento dell’attività di amministrazione attiva alla stessa riservata (Consiglio di Stato sez. VI, 8 novembre 2021, n. 7419).

TAR Bari, Sez. II, 28 aprile 2022, dep. 20 maggio 2022, n. 730 – Pres. Tricarico – Rel. Allegretta – (rif. 9, 30, 53, 58, 72, 73, 74, 75, 76, 79, comma 6-bis, 83, commi 8 e 9; 213, comma 12, d.lgs. n. 50/2016; art. 19, d.l. n. 90/2014, conv. in l. n. 114/2014)

È respinta la voce riferita al danno curriculare, per mancato assolvimento del relativo onere probatorio. Il danno al curriculum e all’immagine professionale non può essere definito come derivante dalla mancata partecipazione a una qualsiasi procedura di aggiudicazione, ma deve essere oggetto di puntuale allegazione e dimostrazione da parte del danneggiato.

TAR Umbria, Sez, I, 15 marzo 2022, dep. 26 maggio 2022, n. 339 – Pres. Potenza – Rel. Mattei – (rif. art. 80, d.lgs. n. 50/2016; art. 80, comma 5, lett. f) bis del Codice Appalti)

Come chiarito dalla giurisprudenza – per integrare un illecito professionale rilevante al fine dell’esclusione da una procedura di gara – “da un lato occorre che il comportamento pregresso assuma la qualificazione oggettiva di comportamento in grado d’incrinare l’affidabilità e integrità dell’operatore nei rapporti con l’amministrazione (…) dall’altro, il fatto così qualificato va messo in relazione con il contratto oggetto dell’affidamento, così da poter declinare in termini relativi e concreti la nozione d’inaffidabilità e assenza d’integrità, ai fini della specifica procedura di gara interessata” (cfr., ex multis, Consiglio di Stato, sez. V, n. 307/2021).

Consiglio di Stato, Sez. VII, 17 maggio 2022, dep. 31 maggio 2022, n. 4425 – Pres. Lipari – Rel. Castorina – (rif. art. 92, comma 2, DPR n. 207/2010; art. 83, comma 8, d.lgs. n. 50/2016)

Nei raggruppamenti misti, ai fini di una legittima partecipazione alla gara, la capogruppo mandataria deve essere qualificata ed eseguire i lavori in misura maggioritaria in relazione alla categoria prevalente indipendentemente e a prescindere dal fatto che esista, eventualmente, nel medesimo raggruppamento, un'altra impresa mandante che esegua prestazioni relative a una o più categorie scorporabili, il cui valore complessivo sia superiore a quello dei lavori svolti dalla stessa mandataria.

Consiglio di Stato, Sez. V, 19 maggio 2022, dep. 1 giugno 2022, n. 4474 – Est. Sabatino – Rel. Quadri – (rif. art. 83, comma 1, lett. a, e comma 3, d.lgs. n. 50/2016; art. 9, comma 1, lett. c, del disciplinare; artt. 3 e 97 Cost.; art. 97, comma 3 e 6, d.lgs. n. 50/2016; art. 18 del disciplinare; art. 95, comma 8 e 10, d.lgs. n. 50/2016; artt. 10 e ss. del disciplinare; art. 26 c.p.a.; artt. 91, 92, 93, 94, 96 e 97 c.p.c.)

La dimostrazione dell’iscrizione alla Camera di Commercio per una definita attività (oggetto dell’affidamento) vuol significare che, attraverso la certificazione camerale, deve accertarsi il concreto ed effettivo svolgimento, da parte della concorrente, di una determinata attività, adeguata e direttamente riferibile al servizio da svolgere e che attività effettivamente esercitata ed oggetto sociale non possono essere considerati come concetti coincidenti.

TAR Bologna, Sez. II, 6 aprile 2022, dep. 10 giugno 2022, n. 511 – Pres./Rel.. Mozzarelli – (rif. art. 16-septies, comma 2, lett. g, d.l. n. 146/2021)

E’ rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, per contrasto con gli artt. 24 e 113 Cost., dell’art. 16-septies, comma 2, lett. g), d.l. 21 ottobre 2021, n. 146, come introdotto dalla l. conv. n. 215/2021, dal momento che prevede l’impossibilità per il creditore degli enti del servizio sanitario regionale della Calabria di ottenere dal giudice amministrativo la tutela giurisdizionale esecutiva.

TAR Bologna, Sez. I, 25 maggio 2022, dep. 13 giugno 2022, n. 512 – Pres. Migliozzi – Rel. Amovilli – (rif. art. 215, d.lgs. n. 50/2016; artt. 9, lett. bb e 11, comma 7, “Contratto di programma 2016/2020”; art. 26, comma 6, lett. a, d.lgs. n. 50/2016; art. 47 D.P.R. n. 207/2010; art. 14-quater, comma 1, l. n. 241/1990)

L’art. 26, comma 6, d.lgs. n. 152/2006 nella formulazione “pro tempore” vigente in tema di efficacia quinquennale della valutazione di impatto ambientale non si applica anche alla verifica di assoggettabilità a VIA (screening) di cui all’art. 19 d.lgs. n. 152/2006 dal momento che anche l’art. 8-bis, comma 6, della Direttiva 2011/92 non impone agli Stati membri la fissazione di un termine di efficacia alla stessa VIA. E’ da ritenersi ammissibile l’azione di accertamento atipica a tutela di posizioni sostanziali di interesse legittimo qualora essa: a) risulti indispensabile per la soddisfazione concreta della pretesa sostanziale del ricorrente (ex multis Consiglio di Stato sez. V, 27 marzo 2013, n. 1799); b) non possa dirsi elusiva del termine di decadenza per l’impugnazione degli atti autoritativi (ex multis T.A.R. Lazio Roma, sez. I, 1 settembre 2021, n. 9488) c) non risulti violato l’art. 34, comma 2, c.p.a., inerente il divieto di sindacato sui poteri autoritativi ancora non esercitati dall'Amministrazione (T.A.R. Toscana sez. III, 7 febbraio 2020, n. 174).

Consiglio di Stato, Sez. IV, 19 maggio 2022, dep. 14 giugno 2022 n. 4831 – Pres. Poli – Rel. Martino – (rif. art. 80, comma 10 bis, d.lgs. n. 50/2016)

Il provvedimento con il quale una stazione appaltante ammette alla gara un concorrente ritenendo non rilevanti a tal fine le pregresse vicende professionali da questi dichiarate non richiede in linea di massima un’analitica motivazione in proposito, ma è correttamente e congruamente motivato anche con il fatto stesso dell’ammissione, dato che in questo caso la motivazione si desume per implicito e si identifica con l’adesione alle controdeduzioni sul punto del concorrente stesso.

Consiglio di Stato, Sez. II, 31 maggio 2022, dep. 14 giugno 2022 n. 4857 – Pres. Castriota Scanderbeg – Res.. Boscarino – (rif. artt. 96, commi 4 e 5, 101 cod. proc. amm.; art. 334 c.p.c.)

Nel processo amministrativo di appello è inammissibile la mera riproposizione dei motivi (o delle domande) di primo grado senza che sia sviluppata alcuna confutazione della statuizione del primo giudice, considerato che l’effetto devolutivo dell’appello non esclude l’obbligo dell’appellante di indicare nell'atto di appello le specifiche critiche rivolte alla sentenza impugnata e le ragioni per le quali le conclusioni, cui il primo giudice è pervenuto, non sono condivisibili, non potendo il ricorso in appello limitarsi ad una generica riproposizione degli argomenti dedotti in primo grado (Consiglio di Stato, sez. II, 7 marzo 2022, n. 1641).

Consiglio di Stato, Sez. V, 10 marzo 2022, dep. 20 giugno 2022 n. 5027 – Pres. Lotti – Rel. Bottiglieri (rif. artt. 30, 68, 90 comma 8, d.lgs. n. 50/2016)

Il principio di equivalenza presuppone la corrispondenza delle prestazioni del prodotto offerto, ancorché difforme dalle specifiche tecniche indicate dalla stazione appaltante, quale “conformità sostanziale” con le specifiche tecniche, nella misura in cui queste vengano nella sostanza soddisfatte: nell’ambito di una procedura a evidenza pubblica, le caratteristiche minime stabilite nella documentazione di gara non debbono intendersi come vincolanti nel quomodo, ma soltanto quoad effectum, nel senso che le offerte sono ritenute rispettose della lex specialis laddove siano, comunque, capaci di conseguire il fine ultimo dell’affidamento.

Consiglio di Stato, Sez. III, 9 giugno 2022, dep. 21 giugno 2022, n. 5093 – Pres. Maruotti – Rel. Maiello – (rif. artt. 84, comma 4, e 91, comma 6, d.lgs. n. 159/2011)

Le stazioni appaltanti, ai sensi degli artt. 92 e 94 del Codice Antimafia, nel caso di sopravvenienze di un’interdittiva antimafia, cui si riconnette l’accertamento dell'incapacità originaria del privato ad essere destinatario di un rapporto con la pubblica amministrazione, sono tenute a recedere dai contratti, fatto salvo il pagamento del valore delle opere già eseguite e il rimborso delle spese sostenute per l’esecuzione del rimanente, nei limiti delle utilità conseguite.

TAR Venezia, Sez. II, 28 aprile 2022, dep. 21 giugno 2022 n. 1065 – Pres. Pasi – Rel. Amorizzo – (rif. art. 80, d.lgs. n. 50/2016)

La collocazione al secondo posto in graduatoria di un operatore attribuisce allo stesso “una posizione particolarmente qualificata nell’ambito della procedura di gara” (T.A.R. Puglia, sez. III, 20 giugno 2017, n. 679; T.A.R. Veneto, sez. I, 4 luglio 2019, n. 803). Rispetto all’intenzione palesata dal ricorrente di introdurre azioni giudiziarie a tutela delle proprie ragioni, non può ritenersi superflua la conoscenza di documenti da cui possono emergere fatti che potenzialmente costituiscono cause ostative all’aggiudicazione.

Consiglio di Stato, Sez. III, 19 maggio 2022, dep. 23 giugno 2022, n. 5171 – Pres. Corradino – Rel. Ferrari – (rif. art. 4, comma 3, d.lgs. n. 286/1998)

Vanno rimesse alla Corte costituzionale, ai sensi dell’art. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1 e dell’art. 23, l. 11 marzo 1953, n. 87, le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 4, comma 3, d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, per contrasto con agli artt. 3, 117, comma 1, Cost. in riferimento all’art. 8 Cedu nella parte in cui prevede che il reato di cui all’art. 474 c.p., rubricato “introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi”, sia automaticamente ostativo al rilascio ovvero al rinnovo del titolo di soggiorno.

TAR, Napoli, Sez. V, 10 maggio 2022, dep. 24 giugno 2022, n. 4325 – Pres. Abruzzese – Rel. D’Alterio – (rif. 80, commi 4 e 5, lett. c-bis, 83, comma 9, e 110, comma 3, d.lgs. n. 50/2016)

Ai fini della partecipazione alle procedure di evidenza pubbliche, l’impresa in concordato omologato non necessita di ulteriori autorizzazioni del giudice delegato o del tribunale, essendo il ruolo del tribunale limitato al controllo dell’attività tramite il commissario giudiziale (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 22 ottobre 2018, n. 6030 e 29 maggio 2018, n. 3225; Cass. civ., nn. 12265/2016, 16598/2008, 23638/2007, 23271/2006; Cons. Stato, Sez. V, 29 maggio 2018, n. 3225 e Sez. III, 19 luglio 2019; Trib. Padova, 29 luglio 2015, Trib. Pistoia, 31 marzo 2010).


Note e riferimenti bibliografici