Pubbl. Ven, 1 Lug 2022
Per le Sezioni Unite la nullità delle fideiussioni omnibus a valle di intese anticoncorrenziali è parziale
Modifica paginaCon sentenza Cass. civ. Sez. Unite, Sent., (ud. 23/11/2021) 30/12/2021, n. 41994, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, chiamate dalla Prima Sezione Civile della medesima Corte Suprema ad esplicitare quale forma di tutela debba riconoscersi al garante che abbia sottoscritto una fideiussione “omnibus” di contenuto conforme allo schema negoziale predisposto dall’ABI, ha enunciato la seguente massima: “I contratti di fideiussione ‘a valle’ di intese ritenute, dall´Autorità Garante, contrastanti con gli artt. 2, comma 2, lett. a) della Legge n. 287 del 1990 e 101 del TFUE, sono parzialmente nulli, ai sensi degli artt. 2, comma 3 della legge citata e dell´art. 1419 c.c., in relazione alle sole clausole che riproducono quelle dello schema
For the United Sections, the nullity of the omnibus guarantees downstream of anti-competitive agreements is partial
By judgment Cass. civ. Sez. Unite, Sent., (ud. 23/11/2021) 30/12/2021, n. 41994, the United Sections of the “Cassazione”, called by the First Civil Section of the Supreme Court to explain which form of protection must be recognized to the guarantor who has signed an “omnibus” guarantee of content in accordance with the negotiation scheme prepared by the ABI, has enunciated the following maxim: “The guarantee contracts ‘downstream’ of agreements declared, by the Guarantor Authority, in relation only to the clauses contrary to Articles. Article 2(2)(a) of Law no. 287 of 1990 and Article 101 TFEU are partially null and void, within the meaning of Articles. 2, paragraph 3 of the aforementioned law and art. 1419 of the Italian Civil Code, inSommario: 1. Il Parere dell’AGCM sullo schema ABI e il successivo Provvedimento n. 55 di Bankitalia; 2. La controversia posta all’attenzione delle Sezioni Unite; 3. Le ragioni a sostegno della nullità totale; 4. Le ragioni a sostegno della sola tutela risarcitoria; 5. Le ragioni a sostegno della nullità parziale; 6. Le risoluzioni delle Sezioni Unite riguardo alla tutela legale da riconoscere al fideiussore; 7. L’ulteriore tutela riconosciuta al fideiussore-consumatore dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea; 8. Conclusioni.
1. Il Parere dell’AGCM sullo schema ABI e il successivo Provvedimento n. 55 di Bankitalia
Lo schema negoziale di fideiussione omnibus è stato predisposto dall’Associazione Bancaria Italiana (in forma abbreviata, “ABI”), nell’ottobre 2002, e successivamente sottoposto al vaglio della Banca d’Italia, allora autorità garante della concorrenza tra gli istituti di credito. Nel novembre dell’anno seguente, la Banca d’Italia ha avviato un’istruttoria volta a verificare la compatibilità di detto schema con la normativa vigente in materia di intese restrittive della concorrenza (la Legge n. 287 del 1990, contenenti le “norme per la tutela della concorrenza e del mercato”, sostanzialmente ricollegate al disposto di cui all’art. 101 TFUE), interpellando, a tal riguardo, in via consultiva, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM).
All’esito degli studi espletati, l’AGCM, con Parere n. 14251 del 20.04.2005, ha rilevato che il modello negoziale in rassegna presentava pattuizioni idonee a restringere la concorrenza - in particolare, quelle contenute agli artt. 2, 6 e 8 di tale schema e denominate, rispettivamente, clausole di “riviviscenza”1, di “rinuncia ai termini ex art. 1957 c.c.”2 e di “sopravvivenza” ovvero di permanenza del vincolo fideiussorio in ipotesi di vicende estintive e di nullità dell’obbligazione principale3 -, in quanto suscettibili di “determinare un aggravio economico indiretto, in termini di minor facilità di accesso al credito” e, nei casi delle “fideiussioni a pagamento”, di accrescere perfino “il costo complessivo del finanziamento per il debitore, che dovrebbe anche remunerare il maggior rischio assunto dal fideiussore”4.
Sulla scorta del parere reso dall’AGCM e dell’istruttoria complessivamente espletata - dalla quale è, peraltro, emerso che numerose banche avevano già adottato, medio tempore, lo schema contrattuale in questione -, la Banca d’Italia ha dunque emesso, in data 02.05.20055, il noto Provvedimento n. 55, osservando come le condizioni generali di contratto comunicate dall’ABI per le fideiussioni omnibus fossero assimilabili alle deliberazioni di un’associazione di imprese e, rientrassero, perciò, nella categoria di “intese” identificate dall’art. 2, comma 1, L. 287/19906.
A mente di tali constatazioni, la stessa Banca d’Italia ha, perciò, concluso che “a) gli articoli 2, 6 e 8 dello schema contrattuale predisposto dall’ABI per la fideiussione a garanzia delle operazioni bancarie (fideiussione omnibus) contengono disposizioni che, nella misura in cui vengano applicate in modo uniforme, sono in contrasto con l’articolo 2, comma 2, lettera a), della legge n. 287/90”, mentre “b) le altre disposizioni dello schema contrattuale non risultano lesive della concorrenza”.
2. La controversia posta all’attenzione delle Sezioni Unite
La causa definita con la sentenza delle SS.UU. in commento trae origine dall’opposizione a decreto ingiuntivo esperita da un fideiussore, nei confronti della banca ingiungente, avanti il Tribunale di Torino. L’ingiunzione di pagamento si riferiva, in particolare, al saldo debitore di un C/C e al saldo residuo di un finanziamento chirografario: rapporti bancari garantiti dal garante opponente in forza di due distinte fideiussioni omnibus, sottoscritte in date 10.05.2004 e 13.06.2006, sino alla concorrenza dell’importo massimo di € 166.000,00, e dichiarati risolti dall’istituto di credito, per inadempimento della società garantita, con lettere raccomandate del 09.02.2009 e del 27.05.2009.
La parte opponente, nell’eccepire la nullità dei succitati contratti di garanzia in virtù della desunta conformità degli stessi al modello di fideiussione censurato dalla Banca d’Italia, ha chiesto al Tribunale di sospendere il giudizio di opposizione così instaurato, in regione dell’avvio, da parte dello stesso garante, di un altro procedimento presso la Corte d’Appello di Roma (Ufficio Giudiziario competente ai sensi del previgente art. 33 L. n. 287/19907, applicabile al caso ratione temporis), volto ad accertare, nello specifico: i) la presunta contrarietà delle fideiussioni in rassegna al disposto di cui all’art. 2, comma 2, lett. a), L. 287/1990 e, conseguentemente, ii) in via principale, la nullità totale o, in subordine, iii) la nullità parziale delle fideiussioni medesime (limitatamente alle relative clausole sub artt. 2, 6 e 8).
Al riguardo, il garante attore, a fondamento della pretesa declaratoria di nullità, ha rimarcato che la Banca d’Italia, con il citato Provvedimento n. 55/2005 (offerto in comunicazione), aveva giudicato contrarie all’art. 2, comma 2, lett. a), L. n. 287/1990, le disposizioni di cui agli artt. 2, 6 e 8 dello schema negoziale di fideiussione omnibus adottato dall’ABI, ove applicate in modo uniforme dagli istituti di credito.
Avendo eccepito la nullità radicale dei contratti di garanzia in parola o, in via gradata, la nullità delle relative clausole sub artt. 2, 6 e 8, il fideiussore ha, altresì, domandato al Collegio capitolino di accertare e dichiarare che nulla fosse comunque dovuto alla banca, in ragione della dedotta inefficacia della clausola sub art. 6 e della sopravvenuta decadenza di cui all’art. 1957 c.c. Come rilevato dall’attore, infatti, la banca aveva risolto i rapporti contrattuali con la società garantita con raccomandata del 24.02.2010, per poi proporre le relative istanze, nei confronti dello stesso fideiussore, solo in data 08.08.2011, ossia ben oltre il termine di sei mesi previsto dal menzionato art. 1957 c.c.
Ebbene, con sentenza n. 3746 dell’11.06.2016, la Corte d’Appello di Roma ha accertato la nullità delle (sole) tre clausole oggetto di censura per violazione dell’art. 2, comma 2, lett. a), L. 287/1990 e, per l’effetto, condannato la banca a risarcire al fideiussore un danno non patrimoniale quantificato in € 5.000,00, oltreché a cancellarne il nominativo dalla Centrale dei Rischi della Banca d’Italia.
Contro la suddetta pronuncia la banca convenuta ha, dunque, esperito ricorso per cassazione, affermando, segnatamente, che la Corte territoriale romana avesse errato nel ritenere: i) la nullità dell’intesa tra banche “a monte”, rilevata da Bankitalia con il ridetto Provvedimento n. 55/2005, trasmissibile ai contratti posti “a valle” di tale intesa; ii) i contratti in contestazione non assimilabili a contratti autonomi di garanzia, attesa la previsione al loro interno (sub art. 7) di una c.d. “clausola di pagamento a prima richiesta”; iii) il garante legittimato a far valere la nullità della clausola sub art. 8, in ragione della pacifica derogabilità al disposto di cui all’art. 1957 c.c. nei contratti autonomi di garanzia.
Avendo ricevuto in esame tale ricorso, la Prima Sezione Civile della Suprema Corte ha subito rilevato che sulla questione inerente la forma di tutela da garantire al soggetto stipulante una fideiussione omnibus, la dottrina e la giurisprudenza non avessero ancora raggiunto un orientamento comune, privilegiando una delle tre soluzioni sino ad allora prospettate: a) la nullità totale del contratto fideiussorio a valle; b) la nullità parziale del contratto medesimo, limitatamente alle clausole riproduttive delle condizioni dell’intesa nulla a monte (quelle sub artt. 2, 6 e 8); c) la sola tutela risarcitoria, a ristoro del pregiudizio patito dal fideiussore mercé la stipula di un contratto contenente le clausole anticoncorrenziali in rassegna.
Per le ragioni che precedono, la Prima Sezione, con Ordinanza interlocutoria n. 11486 del 30.04.2021, ha, dunque, rimesso alle Sezioni Unite la soluzione della controversia, chiedendo di stabilire: 1) se la coincidenza totale o parziale tra le condizioni dell’intesa tra banche a monte e le condizioni del contratto di fideiussione a valle giustifichi la declaratoria di nullità di tale contratto, ovvero il solo risarcimento del danno subito dal fideiussore; 2) quale regime applicare all’azione di nullità, avendo riguardo sia della tipologia di vizio che della legittimazione a farlo valere; 3) se sia ammissibile una declaratoria di nullità parziale della fideiussione.
Muovendo dal proposito di scegliere la più adeguata tutela per il soggetto che abbia sottoscritto fideiussioni conformi al rappresentato modello ABI, le SS.UU. hanno, innanzitutto, rammentato le finalità perseguite dalla disciplina antitrust: tutelare, al contempo, la libertà di iniziativa economica delle imprese (art. 41, comma 1, Cost.) e l’utilità sociale verso la quale tale iniziativa deve necessariamente protendere (art. 41, comma 2-3, Cost.). A tale scopo, il Legislatore ha inteso proibire alle imprese di accordarsi fra loro, in modo da distrarre le attività economiche da scopi di utilità sociale: tanto, per salvaguardare non solo gli interessi delle imprese non partecipanti alle intese anticoncorrenziali, ma anche degli altri soggetti del mercato, come i consumatori, acquirenti finali dei prodotti offerti dal mercato che, a causa delle predette intese, rischiano di veder leso il proprio diritto ad una scelta libera ed effettiva dei prodotti e/o dei servizi in concorrenza.
Nell’approssimare il tema della tutela giuridica da riconoscere al fideiussore, ad ogni modo, le SS.UU. non hanno mancato di precisare che le deroghe apportate al modello codicistico di fideiussione dallo schema ABI sarebbero anche risultate lecite se solo le relative pattuizioni, ritenute anticoncorrenziali da Bankitalia, non fossero state reiteratamente previste dagli istituti di credito nei rispettivi formulari.
3. Le ragioni a sostegno della nullità totale
Secondo parte della giurisprudenza, la nullità delle intese anticoncorrenziali dovrebbe comportare la nullità integrale delle fideiussioni per “nullità derivata”, in ragione del ravvisato “collegamento negoziale” tra intesa anticoncorrenziale a monte e tali contratti di garanzia a valle, in applicazione del principio “simul stabunt simul cadent”, in quanto parti di un’unica pratica illecita. A parere di altri autori, aderenti al medesimo orientamento, invece, la nullità dell’intesa a monte determinerebbe la nullità delle fideiussioni a valle ai sensi dell’art. 1418, comma 2, c.c., realizzando una funzione illecita in quanto contraria alla disciplina, imperativa, delle intese anticoncorrenziali.
Secondo un orientamento diverso, ma comunque coerente con la tesi della nullità totale, i contratti a valle, assorbendo nella loro interezza o attraverso le singole clausole le statuizioni della concertazione poste a monte, sarebbero da ritenersi integralmente nulli perché aventi oggetto funzionale al perseguimento del fine vietato dell’intesa, contravvenendo, così, ai disposti degli artt. 1418, comma 2, e 1346 c.c.
In sintonia con le argomentazioni in rassegna, la Corte d’Appello di Bari, con Sentenza n. 45 del 15.01.2020, ha affermato che: “non avrebbe alcun senso affermare la nullità dell'intesa e, allo stesso tempo, la validità dei contratti stipulati in sua esecuzione»: pertanto, al fine di garantire al consumatore la tutela reale, occorre verificare «in quali termini l'illecito concorrenziale travolga il contratto cd. a valle, e segnatamente se non derivi la nullità dell'intero contratto o delle singole clausole in questione”8.
Taluni esponenti della dottrina, genericamente menzionati dalle SS.UU. hanno, inoltre, ritenuto che la nullità dei contratti a valle sarebbe da intendersi di tipo non “testuale”, ma “virtuale”, derivando dalla violazione delle norme anticoncorrenziali da parte delle intese a monte. Sul punto, i promotori di tale impostazione osservano che le disposizioni di cui agli artt. 1941, 1939 e 1957 c.c. sarebbero singolarmente derogabili, ma la loro deroga cumulativa determinerebbe un effetto distorsivo della concorrenza e violerebbe, perciò, il disposto dell’art. 2, comma 2, lett. a), L. n. 287/1990.
4. Le ragioni a sostegno della sola tutela risarcitoria
Le SS.UU. hanno, poi, richiamato il terzo filone interpretativo, che riteneva, quale unico rimedio esperibile dal garante che avesse stipulato una fideiussione conforme al modello in contestazione, quello del risarcimento del danno, a sanzione del dolo incidente, ex art. 1440 c.c.
Certamente non sono mancate pronunce giurisprudenziali favorevoli a tale filone. Si rievoca, al riguardo, la sentenza della Terza Sezione Civile della Suprema Corte n. 9384, pubblicata il 11.06.2003: “Dalla declaratoria di nullità di una intesa tra imprese per lesione della libera concorrenza, emessa dalla Autorità Antitrust ai sensi dell’art. 2 della legge n. 287 del 1990, non discende automaticamente la nullità di tutti i contratti posti in essere dalle imprese aderenti all'intesa, i quali mantengono la loro validità e possono dar luogo solo ad azione di risarcimento danni nei confronti delle imprese da parte dei clienti”.
Partendo dall’inequivocità del dettato normativo contenuto nell’art. 2, comma 3, L. cit. (“le intese vietate sono nulle ad ogni effetto”), tuttavia, i Giudici di legittimità hanno fugato ogni dubbio sul tema, dichiarando inammissibile la sola tutela risarcitoria, slegata da quella reale, quale rimedio a salvaguardia della posizione del fideiussore.
5. Le ragioni a sostegno della nullità parziale
Argomentando sui motivi per i quali privilegiare, fra i tre orientamenti sopra rappresentati, quello posto a fondamento della tutela reale parziale - eventualmente accompagnata da quella risarcitoria, laddove ne sussistano i presupposti -, le SS.UU. hanno subito menzionato un precedente arresto della Cassazione (il n. 3556 del 13.02.2020), che aveva già dato risalto alla tesi per cui la presenza di pattuizioni anticoncorrenziali all’interno del contratto fideiussorio non poteva comportare la nullità integrale del contratto medesimo, ai sensi dell’art. 1419 c.c., risultando illogico pensare che il garante non avrebbe rilasciato tale garanzia se non fosse stata provvista di clausole come quelle contenute agli artt. 2, 6 e 8, a lui sfavorevoli.
A supporto della nullità parziale, espressione del favor nutrito dal Legislatore verso la conservazione dei contratti, la stessa Suprema Corte si era pronunciata anche l’anno precedente (con sentenza n. 24044 del 26.09.2019): “Le clausole frutto di intese illecite, favorevoli alla banca, che non incidono sulla struttura e sulla causa del contratto, ovvero non pregiudicano gli interessi in gioco, non possono che comportare una declaratoria di nullità parziale relativa alle dette clausole e giammai una nullità in toto dell'intero contratto”.
In sintonia con tale, da ultimo privilegiata dalle SS.UU. nella decisione in commento, si è schierata anche la giurisprudenza di merito e, segnatamente, la Sezione XIV del Tribunale di Milano, la quale, con sentenza dello scorso 22.01.2022, ha dichiarato: “la Suprema Corte, con la recente pronuncia n. 41994/2021, a sezioni unite, nell'ammettere la c.d. tutela reale, cioè la sanzione della nullità, accanto alla tutela meramente risarcitoria per equivalente, per il caso di violazione della disciplina antitrust in questione, ha ritenuto che si configuri qui mera nullità parziale, limitata, cioè, alle sole clausole contrattuali illecite, sul rilievo per cui tale nullità meglio si contempera col principio generale di conservazione del negozio giuridico”.
6. Le risoluzioni delle Sezioni Unite riguardo alla tutela legale da riconoscere al fideiussore
Alla luce della digressione compiuta, le SS.UU. hanno rimarcato come solamente le clausole di cui agli artt. 2, 6 e 8 dello schema ABI siano state considerate dalla Banca d’Italia in grado di aggravare ingiustificatamente la posizione del fideiussore - in quanto reputate idonee ad “addossare al fideiussore le conseguenze negative derivanti dall’inosservanza degli obblighi di diligenza della banca ovvero dall’invalidità i dall’inefficacia dell’obbligazione principale” -, tanto da essere considerate, nel ridetto Provvedimento n. 55, le uniche disposizioni contrastanti il precetto dell’art. 2, comma 2, lett. a), L. n. 287/1990, sempre che applicate dalle banche in modo uniforme.
Ora, nell’identificare la più adeguata tutela reale da riconoscere al fideiussore, le SS.UU. hanno ritenuto che l’esercizio dell’azione di nullità, accompagnata eventualmente anche dall’azione di risarcimento ex art. 33, L. 287/1990, spetti tanto agli imprenditori quanto ai consumatori, qualificabili entrambi come soggetti del mercato interessati alla conservazione del carattere competitivo dello stesso.
Procedendo, così, all’analisi del diritto comunitario vigente, le SS.UU. hanno evidenziato come, a mente della decisione della Commissione CE n. 93/50 del 23.11.1992, la nullità delle concertazioni tra imprese a monte (conformemente a quanto prevede l’art. 85, comma 2, Trattato CE) non produca automaticamente la nullità dei contratti a valle e, al contempo, il consumatore abbia sempre la possibilità di sciogliersi da tali contratti, secondo le modalità previste dagli ordinamenti nazionali.
Pertanto, le conseguenze della violazione dell’art. 101 TFUE da parte delle intese tra imprenditori non promanano direttamente dal diritto comunitario, bensì dall’ordinamento di ciascuno Stato membro, sicché i consumatori, per far valere la nullità delle intese poste a monte dei contratti da essi stipulati non possono che rivolgersi ai giudici competenti del relativo Stato di appartenenza, che decideranno sulle domande giudiziali presentate loro alla luce delle norme di diritto interno e comunitario.
Le SS.UU. hanno, quindi, concluso che la tutela reale adeguata ai fini perseguiti dalla disciplina antitrust, tanto interna quanto comunitaria, sia la nullità parziale, determinante la declaratoria di nullità delle sole pattuizioni comunemente contenute agli artt. 2, 6 e 8 dei contratti fideiussori (ossia, le ridette clausole di riviviscenza, rinuncia ai termini ex art. 1957 c.c. e sopravvivenza), e tanto, anche in concreta applicazione dei principi di conservazione dei contratti e di autonomia negoziale delle parti.
In ogni caso, i Giudici di legittimità hanno fatto salvo l’interesse del contraente che invochi l’estensione all’intero contratto della nullità inficiante le singole clausole dello stesso, ammesso che questi dimostri l’interdipendenza fra il contratto medesimo e le clausole anticoncorrenziali, ma hanno escluso che tale estensione possa essere rilevata ex officio dal giudice di merito.
Rinviando, poi, ad una precedente pronuncia della stessa Cassazione (la n. 2314 del 05.02.2016), infatti, i Supremi Giudici hanno osservato che, per estendere la nullità di singole clausole contrattuali o di parti di esse all’intero contratto, è necessario che il contraente dimostri che la parte di negozio colpita da nullità non abbia esistenza autonoma, ma sia in correlazione inscindibile con il resto dello statuto negoziale, con l’effetto che il contratto non sarebbe stato stipulato senza la parte affetta da nullità.
Tuttavia, come già accennato, nel caso della fideiussione omnibus l’estensione della nullità delle singole clausole all’intero contratto non potrebbe definirsi ipotesi logicamente percorribile. Infatti, ponendo le clausole sub artt. 2, 6 e 8 un regime più gravoso per il garante, è innegabile che questi avrebbe, a maggior ragione, stipulato una fideiussione priva di dette clausole. L’interesse del fideiussore alla stipula del contratto in questione è, peraltro, da ricollegarsi al fatto che lo stesso garante si presume legato alla parte garantita, a sua volta interessata alla concessione del finanziamento a copertura del quale la Banca ha, per l’appunto, preteso il rilascio della fideiussione.
A ben vedere, poi, la stessa Corte di Giustizia europea aveva affermato, già da tempo, che la sanzione della nullità non potesse che applicarsi alle sole clausole contrattuali colpite da divieto, a meno che le stesse non risultassero “inseparabili” dal contratto inteso nella sua interezza (cfr. Coste Giustizia, C-56/65, 30.06.1966).
Le SS.UU., inoltre, non hanno mancato di precisare che la condotta posta in essere dalle imprese può definirsi contraria alla disciplina antitrust anche quando costituita dalla combinazione di più atti di natura diversa, anziché unicamente da negozi giuridici, sempreché tra tali atti sussista un c.d. “collegamento funzionale”. Per questo, i Supremi Giudici hanno ritenuto che la violazione della normativa antitrust sussiste ogniqualvolta sia riscontrabile tale funzionalità.
Premesso ciò, le SS.UU. hanno ritenuto sussistente un collegamento di tipo funzionale tra l’intesa a monte e il singolo contratto fideiussorio a valle, quando quest’ultimo riproduca, interamente o finanche parzialmente, il contenuto del modello ABI, così da costituire un mezzo di attuazione dell’intesa anticoncorrenziale.
7. L’ulteriore tutela riconosciuta al fideiussore-consumatore dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea
Con sentenza pubblicata in data 17.05.2022, a definizione delle cause riunite C-693/19 e C-831/19, la Corte di Lussemburgo ha esteso al fideiussore che rivesta la qualifica di consumatore, ingiunto da un banca a pagare un debito contratto dal soggetto garantito, la possibilità di chiedere l’accertamento della nullità delle clausole della fideiussione omnibus da lui sottoscritta per violazione della norma di cui all’art. 2, comma 2, lett. a) L. 287/1990, anche dopo il passaggio in giudicato del decreto ingiuntivo emesso nei suoi confronti per mancata opposizione ex art. 645 c.p.c.
Nel dettaglio, sia il procedimento di rinvio che ha dato corso alla causa n. C-693/19, sia quello che ha condotto all’instaurazione della causa n. C-831/19 costituivano esecuzioni forzate avviate, entrambe avanti il Tribunale di Milano, in forza di provvedimenti monitori divenuti definitivi verso i rispettivi debitori esecutati, ambedue sottoscrittori di fideiussioni.
Nel primo procedimento esecutivo, l’esecutato, intimato a pagare un debito derivante da un finanziamento, vantando il proprio status di consumatore, ha contestato la validità del titolo esecutivo azionato nei propri confronti, censurando il carattere abusivo della clausola di tale finanziamento relativa al computo degli interessi moratori.
Nel secondo procedimento, invece, l’esecutato era stato ingiunto dall’istituto procedente a pagare i debiti contratti verso quest’ultimo dalla società garantita in forza di determinati contratti di fideiussione omnibus. Avvalendosi, anche in tal caso, del proprio status di consumatore, l’esecutato ha invocato il carattere abusivo delle clausole contenute in tali fideiussioni, sulla base delle quali erano stati emessi i decreti ingiuntivi azionati nella procedura esecutiva e, così, contestato la validità degli stessi titoli esecutivi.
Ebbene, tanto il creditore procedente nella prima esecuzione forzata, tanto quello del secondo procedimento espropriativo hanno resistito alle eccezioni dei rispettivi debitori esecutati, sostenendo l’intangibilità di cosa giudicata attribuibile ai titoli esecutivi ivi azionati.
Pertanto, i Giudici assegnatari di entrambe le procedure esecutive hanno ritenuto di sospendere le stesse, chiedendo, per l’appunto, alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea se e a quali condizioni le norme di cui agli artt. 6, par. 115, e 7, par. 116, della Direttiva 93/13/CEE ostino ad un ordinamento nazionale, come quello italiano, che preclude al Giudice dell’esecuzione di svolgere un sindacato intrinseco su un decreto ingiuntivo passato in giudicato e - nel caso in cui il consumatore-esecutato contesti l’abusività di una clausola contenuta nel contratto sulla base del quale si è formato il titolo esecutivo - di superare gli effetti del giudicato implicito, anche qualora l’esecutato, all’epoca dell’emanazione di tale decreto ingiuntivo, abbia ignorato il proprio status di consumatore ai sensi della direttiva in rassegna.
Posto tale quesito, la Corte, in primo luogo, ha ricordato che l’art. 33 del D.Lgs. n. 2006 del 06.09.2005 (c.d. Codice del Consumo) prevede, segnatamente:
“1. Nel contratto concluso tra il consumatore ed il professionista si considerano vessatorie le clausole che, malgrado la buona fede, determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto.
2. Si presumono vessatorie fino a prova contraria le clausole che hanno per oggetto, o per effetto, di: […]
f) imporre al consumatore, in caso di inadempimento o di ritardo nell'adempimento, il pagamento di una somma di denaro a titolo di risarcimento, clausola penale o altro titolo equivalente d'importo manifestamente eccessivo”.
Inoltre, la stessa Corte, richiamando l’art. 36, paragrafi 1 e 3, del Codice del Consumo, ha osservato:
“1. Le clausole considerate vessatorie ai sensi degli articoli 33 e 34 sono nulle mentre il contratto rimane valido per il resto. […]
3. La nullità opera soltanto a vantaggio del consumatore e può essere rilevata d'ufficio dal giudice”.
Date tali premesse e rammentando, altresì, il contenuto delle disposizioni di cui agli artt. 633, 640, 641 e 650 c.p.c. e 2909 c.c., la Corte di Lussemburgo ha rilevato come “la normativa nazionale prevede che, nell’ambito del procedimento di esecuzione dei decreti ingiuntivi non opposti, il giudice dell’esecuzione non possa esercitare un controllo nel merito del decreto ingiuntivo né controllare, d’ufficio o su domanda del consumatore, il carattere abusivo delle clausole del contratto sulla base di tale decreto ingiuntivo, per via dell’autorità di cosa giudicata implicita acquisita da quest’ultimo”.
A tale assunto, la Corte ha fatto seguito, osservando che “una normativa nazionale secondo la quale un esame d’ufficio del carattere abusivo delle clausole contrattuali si considera avvenuto e coperto dall’autorità di cosa giudicata anche in assenza di qualsiasi motivazione in tal senso contenuta in un atto quale un decreto ingiuntivo può, tenuto conto della natura e dell’importanza dell’interesse pubblico sotteso alla tutela che la direttiva 93/13 conferisce ai consumatori, privare del suo contenuto l’obbligo incombente al giudice nazionale di procedere a un esame d’ufficio dell’eventuale carattere abusivo delle clausole contrattuali”.
Sulla scorta di quanto evidenziato, la Corte ha ritenuto necessario, al fine di garantire un’effettiva tutela giurisdizionale al debitore-consumatore, che il Giudice dell’esecuzione valuti l’eventuale carattere abusivo delle clausole del contratto sulla base del quale sia stato emesso il decreto ingiuntivo azionato nella procedura espropriativa, ancorché non opposto dallo stesso debitore-consumatore - reputando, peraltro, irrilevante che lo stesso debitore abbia precedentemente ignorato il proprio status di consumatore ai sensi della Direttiva 93/13 -, in quanto ogni giudicante nazionale è tenuto a rilevare d’ufficio la nullità di una clausola contrattuale abusiva secondo la vigente normativa comunitaria.
Pertanto, chiarito dalle SS.UU. della Suprema Corte che le fideiussioni omnibus contenenti le cc.dd. clausole di “riviviscenza”, di “rinuncia ai termini ex art. 1957 c.c.” e di “sopravvivenza” - previste, rispettivamente, agli artt. 2, 6 e 8 del suddetto modello di fideiussione e ritenute dalla Banca d’Italia contrarie alla vigente normativa antitrust - debbano ritenersi nulle limitatamente a tali clausole, a meno che risulti che i contraenti non le avrebbero stipulate in mancanza dei suddetti precetti invalidi, la Corte di Giustizia, con sentenza emanata lo scorso 17.05.2022, ha specificato ulteriori profili di tutela per i consumatori che abbiano sottoscritto fideiussioni di questo tipo, statuendo: “una normativa nazionale secondo la quale un esame d’ufficio del carattere abusivo delle clausole contrattuali si considera avvenuto e coperto dall’autorità di cosa giudicata anche in assenza di qualsiasi motivazione in tal senso contenuta in un atto quale un decreto ingiuntivo può, tenuto conto della natura e dell’importanza dell’interesse pubblico sotteso alla tutela che la direttiva 93/13 conferisce ai consumatori, privare del suo contenuto l’obbligo incombente al giudice nazionale di procedere a un esame d’ufficio dell’eventuale carattere abusivo delle clausole contrattuali”.
8. Conclusioni
Esaminando gli arresti delle SS.UU. della Cassazione e della Corte di Giustizia in una cornice comune, è possibile comprendere entro quali limiti il garante che vanti la qualifica di consumatore e che abbia sottoscritto una fideiussione omnibus di contenuto conforme al censurato modello ABI possa ricevere adeguata tutela giurisdizionale.
Ebbene, alla luce delle suddette pronunce, il fideiussore, pur non potendo ottenere l’integrale annullamento del contratto di garanzia concluso, ma la sola declaratoria di nullità delle clausole di riviviscenza, rinuncia ai termini ex art. 1957 c.c. e sopravvivenza in esso presenti - salva specifica allegazione e prova, da parte dello stesso, dell’interesse a stipulare tale contratto solo se contenente le pattuizioni invalide in parola -, può invocare la suddetta declaratoria di nullità parziale anche dopo essere stato ingiunto al pagamento del debito garantito e senza che, avverso tale ingiunzione, abbia interposto opposizione ex art. 645 c.p.c.
Infatti, con la sentenza ivi richiamata, la Corte di Lussemburgo ha sollecitato la giurisprudenza italiana a compiere una netta inversione di rotta rispetto a quella precedentemente seguita. Sul punto, si rammenta che la stessa Cassazione aveva attribuito, sino a questo momento, al decreto ingiuntivo non opposto l’autorità di cosa giudicata, non solo con riferimento al credito azionato dall’ingiungente, ma anche in relazione al titolo posto a fondamento di tale credito, così precludendo ogni ulteriore esame delle ragioni addotte alla base della domanda di pagamento, e tanto, in applicazione del principio del c.d. “giustificato implicito”.
Conformemente agli indirizzi dettati dalle Sezioni Unite della Suprema Corte e dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, in definitiva, il fideiussore-consumatore che non abbia opposto il decreto ingiuntivo emesso nei suoi confronti, ignorando all’epoca il proprio status di consumatore, potrà ottenere, anche dopo l’avvio dell’esecuzione forzata e previo esperimento di un idoneo atto di opposizione, l’accertamento di tale status, la declaratoria di nullità delle clausole contrattuali abusive ai sensi della menzionata Direttiva 93/13 - quali, per l’appunto, le pattuizioni delle fideiussioni omnibus conformi alle clausole sub artt. 2, 6 e 8 del modello ABI - e, per l’effetto, la caducazione del titolo esecutivo azionato dal creditore procedente.
1 Art. 2, Schema A.B.I.: “il fideiussore è tenuto a rimborsare alla banca le somme che dalla banca stessa fossero state incassate in pagamento di obbligazioni garantite e che dovessero essere restituite a seguito di annullamento, inefficacia o revoca dei pagamenti stessi, o per qualsiasi altro motivo”.
2 Art. 6, Schema A.B.I.: “i diritti derivanti alla banca dalla fideiussione restano integri fino a totale estinzione di ogni suo credito verso il debitore, senza che essa sia tenuta ad escutere il debitore o il fideiussore medesimi o qualsiasi altro coobbligato o garante entro i tempi previsti, a seconda dei casi, dall’art. 1957 cod. civ., che si intende derogato”.
3 Art. 8, Schema A.B.I.: “qualora le obbligazioni garantite siano dichiarate invalide, la fideiussione garantisce comunque l'obbligo del debitore di restituire le somme allo stesso erogate”.
4 Cfr. Parere AGCM n. 14251, in www.agcm.it.
5 Cfr. Provvedimento Banca d’Italia n. 55 del 02.05.2005, in www.bancaditalia.it.
6 L. 287/1990, art. 2 - Intese restrittive della libertà di concorrenza: “1. Sono considerati intese gli accordi e/o le pratiche concordate tra imprese nonché le deliberazioni, anche se adottate ai sensi di disposizioni statutarie o regolamentari, di consorzi, associazioni di imprese ed altri organismi similari”.
7 L. 287/1990, art. 2 - Intese restrittive della libertà di concorrenza: “2. Sono vietate le intese tra imprese che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare in maniera consistente il gioco della concorrenza all'interno del mercato nazionale o in una sua parte rilevante, anche attraverso attività consistenti nel: a) fissare direttamente o indirettamente i prezzi d'acquisto o di vendita ovvero altre condizioni contrattuali”.
8 Cfr. www.plusplus24diritto, 2020.
9 Cfr. CED, Cassazione, 2003.
10 Cfr. www.plusplus24diritto, 2020.
11 Cfr. www.Ilcaso.it, 2019.
12 Cfr. A. LA LUMIA in www.ntplusdiritto, 2022.
13 Cfr. CED, Cassazione, 2016.
14 Cfr. www.eur-lex.europa.eu.
15 Art. 6, par. 1, della Direttiva 93/13/CEE: “Gli Stati membri prevedono che le clausole abusive contenute in un contratto stipulato fra un consumatore ed un professionista non vincolano il consumatore, alle condizioni stabilite dalle loro legislazioni nazionali, e che il contratto resti vincolante per le parti secondo i medesimi termini, sempre che esso possa sussistere senza le clausole abusive”.
16 Art. 7, par. 1, della Direttiva 93/13/CEE: “Gli Stati membri, nell'interesse dei consumatori e dei concorrenti professionali, provvedono a fornire mezzi adeguati ed efficaci per far cessare l'inserzione di clausole abusive nei contratti stipulati tra un professionista e dei consumatori”.