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Pubbl. Lun, 4 Lug 2022

La particolare tenuità del fatto non è esclusa dalla ricorrenza del reato continuato

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Annamaria Di Clemente



Le Sezioni Unite penali della Corte di Cassazione, con recentissima sentenza del 12 maggio 2022, n. 18891, sono intervenute a dirimere il contrasto giurisprudenziale insorto in ordine all’applicabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto nei casi in cui ricorra la continuazione del reato.


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The particular tenuousness of the fact is not excluded from the recurrence of the continued crime

The United Criminal Sections of the Court of Cassation, with the very recent sentence of May 12, 2022, no. 18891, intervened to settle the jurisprudential conflict that arose in relation to the applicability of the cause of exclusion of punishment due to particular tenuousness of the fact in cases where the continuation of the crime occurs.

Sommario: 1. Introduzione; 2. Il reato continuato: elementi costitutivi e trattamento sanzionatorio; 3. L’istituto dell’esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto: requisiti ed ambito applicativo; 4. Il primo e più risalente orientamento giurisprudenziale che esclude automaticamente l'applicabilità della causa di non punibilità ai reati avvinti dal vincolo della continuazione; 5. Il secondo più recente e prevalente orientamento giurisprudenziale che non identifica la continuazione automaticamente con l'abitualità nel reato; 6. Il recentissimo intervento delle Sezioni Unite penali della Corte di Cassazione con sentenza del 12 maggio 2022, n. 18891; 7. Brevi riflessioni conclusive.

1. Introduzione

A seguito dell’introduzione nel nostro ordinamento, per effetto del d.lgs. 16 marzo 2015, n. 28, dell’art. 131-bis c.p. rubricato "Esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto”, in attuazione della legge 28 aprile 2014, n. 67 (Deleghe al Governo in materia di pene detentive non carcerarie e di riforma del sistema sanzionatorio. Disposizioni in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova e nei confronti degli irreperibili), il tema della conciliabilità degli istituti del reato continuato e della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto ha fatto registrare, nel corso degli anni, contrapposti orientamenti in giurisprudenza.

Tali istituti, se pur rispondenti ad esigenze e finalità diverse, sono entrambi, come si vedrà più avanti, ispirati al principio del favor rei.

La questione che ha dato origine al contrasto giiurisprudenziale è rappresentata dalla valenza o meno dell’automatica preclusione per il giudice, chiamato a pronunciarsi, della possibilità di concedere la causa di non punibilità di cui all'art. 131-bis c.p., a seconda, quindi, che si ritenga la continuazione quale ipotesi configurante ex se il “comportamento abituale”, tale cioè da escluderne a priori l’applicabilità, ovvero se, diversamente, sia demandata al giudicante l’indagine del caso concreto al fine di accertare, di volta, in volta, l’effettiva abitualità della condotta del reo.

Prima di esaminare il recente intervento della Cassazione a Sezioni Unite, in funzione nomofilattica, gioverà illustrare le argomentazioni rispettivamente offerte a sostegno dei contrapposti orientamenti, precedute dalla breve presentazione degli istituti interessati anche alla luce dei contributi offerti dalla dottrina penalistica.

2. Il reato continuato: elementi costitutivi e trattamento sanzionatorio

L’istituto giuridico del reato continuato è previsto e disciplinato dall’articolo 81, secondo comma, c.p., la cui attuale formulazione, come modificata dall’art. 8 del decreto legge 11 aprile 1974, n. 99 (Provvedimenti urgenti sulla giustizia penale), convertito in legge 7 giugno 1974, n. 220, ne ha ampliato la portata applicativa fino a ricomprendervi anche le ipotesi di violazioni “di diverse disposizioni di legge”.

Invero, a norma di tale articolo è configurabile il reato continuato allorquando uno stesso soggetto compia anche in tempi diversi, con più azioni od omissioni, una pluralità di violazioni della stessa o di diverse disposizioni di legge in esecuzione - questa la principale caratterizzazione - dello stesso disegno criminoso.

Il reato continuato costituisce, quindi, una chiara ipotesi di concorso materiale di reati, in contrapposizione a quello formale, a seconda dei casi omogeneo, se per pluralità di violazioni della stessa norma, ovvero eterogeneo, se per pluralità di violazioni di norme diverse, la cui peculiarità, come già evidenziato, è rappresentata dalla medesimezza, ed unitarietà, del disegno criminoso. 

Tale peculiarità rileva anche ai fini della ratio del trattamento sanzionatorio, come previsto dall’art. 81, comma 1, c.p.,  mitigato e, pertanto, meno afflittivo [1], atteso il minor disvalore rinvenibile nella condotta di chi, anche a distanza di tempo, abbia diretto la pluralità di reati commessi verso un unico scopo criminoso [2]

Più precisamente, secondo la giurisprudenza e la dottrina maggioritaria, tale unicità di scopo perseguito dal reo priva ciascuna violazione di autonomia sua propria, per essere, diversamente, un frammento dell’insieme in cui rientra e ne forma parte integrante [3].

E’ appena il caso di precisare, inoltre, che, più di recente, l'articolo 81 c.p. è stato ulteriormente modificato con la legge n. 251 del 2005, che ha aggiunto il comma quarto secondo cui «fermi restando i limiti indicati al terzo comma, se i reati in concorso formale o in continuazione con quello più grave sono commessi da soggetti ai quali sia stata applicata la recidiva prevista dall’articolo 99, quarto comma, l’aumento della quantità di pena non può essere comunque inferiore ad un terzo della pena stabilita per il reato più grave».

3. L’istituto dell’esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto: requisiti ed ambito applicativo

La generale causa di esclusione della punibilità prevista dall’art. 131-bis c.p. per particolare tenuità del fatto si raccorda con l’altrettanto generale presupposto dell’offensività della condotta, la cui ricorrenza è indispensabile ai fini della sanzionabilità di qualsivoglia condotta che si ponga in violazione di legge [4].

Invero, con l’introduzione di tale istituto il legislatore ha inteso demandare al giudice la valutazione, nel caso concreto, sulla meritevolezza della pena in considerazione della carica offensiva del fatto di reato, astrattamente integrato in tutti i suoi elementi costitutivi, la cui eventuale "esiguità" determina l’inadeguatezza dell’irrogazione di una sanzione penale anche nel minimo [5].

Ciò, evidentemente, in ossequio ai principi fondamentali che informano il nostro diritto penale, quali: la natura di extrema ratio della risposta punitiva, la proporzionalità tra sanzione ed offensività del fatto, la finalità rieducativa della pena, nonché l'esigenza di deflazione dei carichi giudiziari.

In questo senso si sono già chiaramente espresse le Sezioni Unite, che hanno affermato che «il fatto particolarmente lieve, cui fa riferimento l'art. 131-bis c.p., è comunque un fatto offensivo, che costituisce reato e che il legislatore preferisce non punire, sia per affermare la natura di extrema ratio della pena e agevolare la "rieducazione del condannato", sia per contenere il gravoso carico di contenzioso penale gravante sulla giurisdizione»[6]

Il fatto, quindi, se pur antigiuridico ed offensivo non è punibile attesa la ricorrenza delle condizioni previste dall’art. 131-bis c.p., che, al primo comma, prevede che «Nei reati per i quali è prevista la pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni, ovvero la pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena, la punibilità è esclusa quando, per le modalità della condotta e per l'esiguità del danno o del pericolo, valutate ai sensi dell'articolo 133, primo comma, l'offesa è di particolare tenuità e il comportamento risulta non abituale».

Pertanto, ai fini dell’esclusione della punibilità, è necessario considerare, quali parametri fondamentali di riferimento, le modalità della condotta, laddove quest’ultima risulti, nel caso concreto, avere una scarsa incidenza offensiva ed al tempo stesso risulti priva del carattere dell’abitualità.     

La particolare tenuità del fatto è, tuttavia, da escludersi, a norma del secondo comma dell’art. 131-bis c.p., quando l’autore abbia agito per motivi abietti o futili, o con crudeltà, anche in danno di animali, ovvero abbia adoperato sevizie o, ancora, abbia profittato delle condizioni di minorata difesa della vittima, anche in riferimento all'età della stessa, oppure, con riguardo più propriamente al danno, nei casi in cui la condotta abbia cagionato o da essa siano derivate, quali conseguenze non volute, la morte o le lesioni gravissime di una persona.

Inoltre, sempre a norma del secondo comma in esame, l’offesa non può essere ritenuta di particolare tenuità quando si procede per delitti per i quali è prevista una pena superiore nel massimo a due anni e sei mesi di reclusione, commessi in occasione o a causa di manifestazioni sportive, ovvero, quali ulteriori ipotesi, laddove ricorra uno dei casi di cui agli articoli 336, 337 e 341-bis c.p., quando il reato è commesso nei confronti di un ufficiale o agente di pubblica sicurezza o di un ufficiale o agente di polizia giudiziaria nell'esercizio delle proprie funzioni, nonché nell'ipotesi di cui all'articolo 343 c.p..

4. Il primo e più risalente orientamento giurisprudenziale che esclude automaticamente l'applicabilità della causa di non punibilità ai reati avvinti dal vincolo della continuazione 

Muovendo, ora, l'obiettivo di indagine alla questione rimessa alle Sezioni Unite della Cassazione ed ai contrasti interpretativi che avevano reso necessario l'intervento del supremo Consesso, si osserva che secondo il primo orientamento, inizialmente dominante, non vi sarebbe compatibilità tra la causa di non punibilità per la particolare tenuità del fatto ed il reato continuato, integrante quest’ultimo ipotesi di "comportamento abituale", ostativo ex se al riconoscimento del beneficio, atteso che la reiterazione delle condotte penalmente rilevanti sarebbe sintomatica di una devianza non occasionale [7]

Pertanto, secondo tale impostazione ermeneutica, la continuazione precluderebbe l'operatività dell'art. 131-bis c.p. .

In particolare, si è rilevato che le locuzioni "reati della stessa indole" e "reati aventi ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate”, come previste, ai fini della ricorrenza dell’abitualità del comportamento, dal terzo comma dell’art. 131-bis c.p., non implicherebbero un pregresso accertamento in sede giudiziaria del requisito dell'abitualità.

Secondo tale corrente esegetica, infatti, potrebbero formare oggetto di valutazione anche condotte prese in considerazione nell'ambito del medesimo procedimento, con il duplice effetto, per un verso, di ampliare ulteriormente il novero dei casi in cui il comportamento può ritenersi abituale e, per l’altro, considerata la ridondanza del richiamo testuale alle “condotte plurime, abituali e reiterate”, di ritenere tali anche quelli aventi ad oggetto i reati avvinti dal vincolo della continuazione.

Per altro aspetto, sempre nel solco dell’orientamento in esame, si è osservato come la reiterata violazione della stessa norma incriminatrice o di diverse disposizioni penali sorrette dalla stessa ratio puniendi varrebbe a connotare il fatto, considerato nella sua dimensione plurima, di una gravità tale da far escludere il carattere della particolare tenuità.

Inoltre, a sostegno di tale linea interpretativa è stato rimarcato che la minore intensità del dolo espresso nel corso della progressione criminosa della continuazione, benché rilevante ai fini del trattamento sanzionatorio, nel senso dell’attenuazione del suo carattere afflittivo, non consentirebbe di ritenere il fatto, se pur con il riconoscimento dell'unicità del disegno criminoso, come una devianza di natura occasionale.

5. Il secondo più recente e prevalente orientamento giurisprudenziale che non identifica la continuazione automaticamente con l'abitualità nel reato

All'orientamento di cui sopra si è contrapposta una diversa corrente esegetica, oggi prevalente, che ritiene applicabile al reato continuato la causa di non punibilità di cui all'art. 131-bis c.p.[8] attesa la non assimilabilità, tout court, delle nozioni di continuazione e di abitualità nel reato.

Invero, non si è mancato di osservare come gli indici rivelatori di un’abitudine al crimine, secondo la formulazione di cui al terzo comma dell’art. 131-bis c.p., non sarebbero necessariamente riscontrabili nel reato continuato, la cui configurabilità, infatti, non ne postulerebbe la ricorrenza.

Pertanto, come pure precisato a sostegno di tale indirizzo interpretativo, la logica antinomia tra reato continuato e particolare tenuità del fatto sarebbe riscontrabile dal giudice, di volta in volta, solo laddove le violazioni, espressione del medesimo disegno criminoso, fossero in numero tale da rappresentare una serialità nel delinquere, ovvero laddove la progressione criminosa fosse dimostrativa di una particolare intensità del dolo o della carica offensiva, così da esplicitare la ricorrenza di una chiara tendenza o inclinazione al crimine e, conseguentemente, una altrettanto chiara incompatibilità con il giudizio di particolare tenuità dell'offesa in tal modo arrecata.

Inoltre, l’applicabilità del beneficio della particolare tenuità del fatto al reato continuato è stata, in alcuni casi, subordinata all’esigenza di operare un distinguo tra la continuazione connotata da una pluralità di condotte espressive di un medesimo disegno criminoso, ma realizzate in contesti spazio-temporali diversi (continuazione diacronica), e quella in cui i plurimi comportamenti illeciti vengano postiin essere in un unico contesto spazio-temporale (continuazione sincronica), riconoscendone solo in quest’ultimo caso la compatibilità.

In altri casi ancora, incentrando l’attenzione sulla voluntas legis sottesa all’art. 131-bis c.p., si è affermarto che l’esclusione del reato continuato da tale ambito normativo finirebbe per frustrare proprio gli obiettivi di depenalizzazione e della conseguenziale deflazione processuale prefigurati dal legislatore.

Altra argomentazione offerta a sostegno della compatibilità tra gli istituti in esame, è rappresentata dalla ingiustificabile disparità di trattamento con la figura del concorso formale di reati di cui all’art. 81, primo comma, c.p. che ne deriverebbe se si escludesse automaticamente la nozione di reato continuato dal campo di operatività dell’art. 131-bis c.p.

Infine, in una prospettiva squisitamente sistematica del codice penale, si è osservato che precludere il beneficio della particolare tenuità del fatto in presenza nel caso di reato continuato, connotato, come già visto, da una pluralità di azioni od omissioni in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, con la previsione di un trattamento sanzionatorio mitigato, ispirato, quindi, al principio del favor rei, rappresenterebbe una chiara contraddizione del sistema.

6. Il recentissimo intervento delle Sezioni Unite penali della Corte di Cassazione con sentenza del 12 maggio 2022, n. 18891

L’intervento delle Sezioni Unite con la sentenza in esame trae origine da un giudizio avente ad oggetto il delitto di violenza privata continuata di cui agli artt. 81, secondo comma, e 610 c.p..

In sede di gravame, la Corte di Appello, in parziale riforma della sentenza pronunciata in primo grado dal Tribunale, aveva dichiarato la responsabilità dell’imputato per il delitto in oggetto, sostituendo, allora, alla pena detentiva di giorni venti di reclusione, irrogata all’esito del giudizio di primo grado, la corrispondente pena pecuniaria, e confermando nel resto le decisione impugnata.

In particolare, nel confermare detta decisione, la Corte non accoglieva la richiesta formulata dall'imputato ai sensi dell'art. 131-bis c.p. di declaratoria della non punibilità per la particolare tenuità del fatto, sul rilievo che «il riconoscimento del vincolo della continuazione tra condotte reiterate e di eguale indole, poste in essere dall'imputato nell'arco temporale di un mese» sarebbe stato «ostativo ai fini dell'applicazione della relativa causa di non punibilità».

L’imputato aveva, allora, proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di Appello, affidandolo a due motivi. 

Con il primo motivo aveva dedotto l'erronea applicazione della legge penale in riferimento all'art. 131-bis c.p., nonché il difetto di motivazione sulla ricorrenza dell'elemento dell'abitualità, affermata, quest’ultima, in considerazione del vincolo della continuazione tra le condotte poste in essere dal ricorrente, benché le stesse, connotate dall'occasionalità e da modesti effetti lesivi, fossero state dal medesimo realizzate «nell'arco di soli tre giorni e nel ristretto lasso temporale di un mese, nel medesimo luogo  e nei confronti della stessa persona».

Con il secondo motivo, l'interessato aveva lamentato l'erronea applicazione della legge penale in relazione all'art. 610 c.p., attesa l’insussistenza degli elementi costitutivi di tale delitto.

La Corte di Cassazione, Quinta Sezione Penale, investita del ricorso, rimarcando l'esistenza di contrasti interpretativi nella giurisprudenza di legittimità in ordine all'operatività dell'art. 131-bis c.p. in caso di reato continuato, aveva, allora, rimesso la questione alle Sezioni Unite per la relativa risoluzione.

Invero, nell’ordinanza di rimessione, la Corte, richiamando preliminarmente la natura giuridica, i presupposti applicativi e le finalità proprie della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto di cui all'art. 131-bis c.p., aveva illustrato le principali argomentazioni offerte a sostegno dei due rispettivi e contrapposti orientamenti giurisprudenziali delineatisi in ordine al riconoscimento o meno della particolare tenuità del fatto in caso di reato continuato.

La questione di diritto sottoposta all'esame delle Sezioni Unite era stata, quindi, così formulata: «se la continuazione tra i reati sia di per sé sola ostativa all'applicazione della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, ovvero lo sia solo in presenza di determinate condizioni».

Ebbene, le Sezioni Unite, dopo la disamina dei due diversi orientamenti giurisprudenziali, come già illustrati, hanno ritenuto di condividere l'impostazione ermeneutica seguita dall’indirizzo secondo cui «l’esclusione di profili di incompatibilità strutturale tra il reato continuato e la particolare tenuità del fatto comporta la necessità di valutare, caso, per caso, le condizioni e i presupposti di compatibilità di tale interrelazione, sulla base di una complessiva analisi della vicenda in concreto sottoposta al vaglio dell'autorità giudiziaria». 

In tale prospettiva, quindi, il giudice, accertata nel caso concreto la ricorrenza di una pluralità di condotte illecite frutto della medesima risoluzione criminosa, dovrebbe valutare se la stessa presenti o meno i caratteri della particolare tenuità secondo i canoni indicati dalla previsione normativa di cui all'art. 131-bis c.p.

Pertanto, la rilevata assenza di profili di incompatibilità tra gli istituti in esame non determinerebbe, ex se, l’incondizionata applicabilità del beneficio della particolare tenuità del fatto ai casi concreti di ricorrenza del reato continuato.

Ciò che a tal fine rileverebbe, hanno precisato le Sezioni Unite, sarebbe la modalità della condotta comprensiva sia dell'elemento soggettivo del reato, sia dell’esiguità del danno o del pericolo, per la cui valutazione il giudice dovrebbe adottare, quali parametri di riferimento, i criteri direttivi previsti dall'art. 133, primo comma, c.p., come espressamente richiamati dalla disposizione di cui all'art. 131-bis, primo comma, c.p.; criteri, questi, ritenuti idonei a disvelare una particolare attitudine del soggetto a violare in modo seriale la legge penale.

Nel fare ciò, il giudice dovrebbe, in caso di diniego, «motivare in maniera adeguata sulle forme di estrinsecazione del comportamento incriminato, al fine di valutarne la gravità, l’entità del contrasto rispetto alla legge e, conseguentemente, il bisogno di pena, dovendosi ritenere insufficiente il richiamo a mere clausole di stile»[9].

L’offesa cagionata al bene giuridico, in ogni caso, non potrebbe essere ritenuta di particolare tenuità, ai fini della concessione del relativo beneficio, al ricorrere di una delle ipotesi tassative previste dall’art. 131-bis, secondo comma, c.p., suddivise, a seconda della connotazione, in tre gruppi: il primo rappresentato da determinate motivazioni e circostanze della condotta - si pensi, ad esempio, ai motivi abietti o futili ovvero all'aver approfittato delle condizioni di minorata difesa della vittima -; il secondo relativo alle conseguenze, anche non volute, derivate dalla condotta medesima - si pensi, ad esempio, alle lesioni gravissime arrecate ad una persona -;  il terzo rappresentato da specifiche figure di reato - si pensi, ad esempio, al reato di violenza o minaccia a un pubblico ufficiale di cui all’art. 336 c.p.

Fuori da tali ipotesi, la compatibilità dei due istituti in esame, continuazione e particolare tenuità del fatto, sarebbe coerente, hanno chiarito le Sezioni Unite, con la ratio ispiratrice della causa di non punibilità in esame e, quindi, con i principi di proporzione e finalità rieducativa della pena in considerazione dell’esiguità del disvalore penale, considerato nel suo complesso e, quindi, con riguardo alla condotta, alla colpevolezza nonché al danno.

Ad avviso della suprema Corte, quindi, nei casi di reato continuato «l’eventuale connotazione di abitualità del comportamento deve essere necessariamente valutata in concreto, in modo da evitare automatismi preclusivi che irragionevolmente ostino al riconoscimento della causa di esclusione della punibilità nei confronti di persone per le quali non sia effettivamente individuabile alcuna esigenza special-preventiva». 

Per quanto riguarda, inoltre, la rilevanza del parametro della “condotta susseguente al reato”, le Sezioni Unite, nel superare il precedente indirizzo ermeneutico e sulla premessa della valorizzazione da parte del legislatore di tale specifico criterio, hanno affermato che nell'ambito del giudizio di particolare tenuità dell'offesa, anche detto parametro possa assurgere ad elemento suscettibile di considerazione ai fini dell'apprezzamento della entità del danno ovvero come possibile spia dell'intensità dell'elemento soggettivo.

Sotto altro profilo, vale a dire sulla rilevanza, della ricorrenza di una pluralità di reati della stessa indole, le Sezioni Unite hanno affermato che laddove il nesso della continuazione riguardasse solo due reati della stessa indole, ovvero i reati non fossero della stessa indole (in quest'ultimo caso prescindendo anche dal dato numerico), la speciale causa di non punibilità, ricorrendo gli ulteriori presupposti di cui alla disposizione codicistica in disamina, potrebbe trovare applicazione.

Per altro aspetto, ma sempre nell'ottica dell'operatività dell'art. 131-bis c.p., la suprema Corte ha osservato che, pur senza negare rilevanza alla graduazione della dilatazione del contesto spazio-temporale in cui sono state relaizzate le condotte illecite,, tale criterio, in mancanza di altri indici rilevatori, non potrebbe valere ex se ad escluderne l’applicabilità della causa di non punibilità, fuori dei casi, quindi, di continuazione sincronica.

Alla luce di tutte le articolate argomentazioni svolte e, sin qui, sinteticamente illustrate, le Sezioni Unite hanno, allora, affermato che non sussistono «ostacoli di ordine logico-sistematico all'applicabilità al reato continuato della causa di esclusione della punibilità prevista dall'art. 131-bis cit.».

La questione sollevata in virtù dell’ordinanza di rimessione, è stata, pertanto, risolta con l’enunciazione dei seguenti principi di diritto: 
 

- «La pluralità di reati unificati nel vincolo della continuazione non è di per sé ostativa alla configurabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto prevista dall'art. 131-bis cod. pen., salve le ipotesi in cui il giudice la ritenga idonea, in concreto, ad integrare una o più delle condizioni tassativamente previste dalla suddetta disposizione per escludere la particolare tenuità dell'offesa o per qualificare il comportamento come abituale»; 
- «In presenza di più reati unificati nel vincolo della continuazione, la causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto può essere riconosciuta dal giudice all'esito di una valutazione complessiva della fattispecie concreta, che, salve le condizioni ostative previste dall'art. 131-bis cod. pen., tenga conto di una serie di indicatori rappresentati, in particolare, dalla natura e dalla gravità degli illeciti in continuazione, dalla tipologia dei beni giuridici protetti, dall'entità delle disposizioni di legge violate, dalle finalità e dalle modalità esecutive delle condotte, dalle loro motivazioni e dalle conseguenze che ne sono derivate, dal periodo di tempo e dal contesto in cui le diverse violazioni si collocano, dall'intensità del dolo e dalla rilevanza attribuibile ai comportamenti successivi ai fatti». 

7. Brevi riflessioni conclusive

La questione affrontata dalle Sezioni Unite ha evidenti ed importanti implicazioni nei casi concreti posti all’attenzione del giudice il quale, fuori da qualsivoglia aprioristica ritenuta incompatibilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto con la pluralità di reati unificati dal vincolo della continuazione, e salve naturalmente, come già osservato, le condizioni ostative previste dall'art. 131-bis, secondo comma, c.p., dovrà svolgere una valutazione complessiva, ai fini della concessione ovvero del diniego del beneficio in esame, alla luce dei criteri indicatori enunciati.

Ciò, come visto, in ossequio alla finalità propria di tale istituto, scongiurando, in tal modo, la punibilità in tutti i casi in cui non ricorra quel disvalore che giustifica, diversamente, l’applicabilità della pena e senza, pertanto, frustrarne il fine ultimo e risolutivo rappresentato, giova ricordarlo, dalla rieducazione e dal recupero sociale del condannato, contenendo, al contempo, il gravoso carico di contenzioso penale gravante sulla giustizia.


Note e riferimenti bibliografici

[1] Ai sensi e per gli effetti dell’art. 81, comma 1, c.p. “È punito con la pena che dovrebbe infliggersi per la violazione più grave aumentata sino al triplo…”.

[2] ved. MARINUCCI, DOLCINI, GATTA, Manuale di Diritto Penale, Parte generale, Milano, 2019, 589: “la ratio storica dell'istituto risiede nell'attenuazione delle pesanti conseguenze derivanti dal cumulo materiale delle pene”.

[3] In tal senso, ex plurimis,  Cass., 17 novembre 2015, n. 896; Cass., 3 ottobre 2013, n. 5599; in dottrina, ANTOLISEI, CONTI, Manuale di diritto penale, Parte generale, Milano, 2003, 528; FIANDACA, MUSCO, Diritto penale. Parte generale, Bologna, 2014, 707 ss.; MANTOVANI, Diritto penale, Parte generale, Padova, 2001, 512.

[4] in tal senso, Corte Costituzionale, 16 maggio 2019, n. 120.

[5] Sul tema si veda AMARELLI, voce Particolare tenuità del fatto, in Enc. dir. Annali, X, 2017, I; GROSSO, La non punibilità per particolare tenuità del fatto, in Dir. pen. proc., 2015, 5, 517 ss.; MANTOVANI, La non punibilità per particolare tenuità del fatto, in Giust. pen., 2015, 7, 321 ss.; MARINUCCI, DOLCINI, GATTA, op. cit., 463.

[6] Cass., Sez. Un., 25 febbraio 2016, n. 13681.

[7] Per tale orientamento, in giurisprudenza, ex plurimis, Cass., 20 marzo 2019, n. 18192; Cass., 25 settembre 2018, n. 44896; Cass., 28 maggio 2015, n. 29897; in dottrina, tra gli altri, AMARELLI, La particolare tenuità del fatto nel sistema della non punibilità, in Riv. pen., 2019, 1, 7; MARINUCCI, DOLCINI, GATTA, op. cit., 464.

[8] Per tale orientamento, in giurisprudenza, ex plurimis, Cass., 15 settembre 2021, n. 36534; Cass., 27 gennaio 2020, n. 11591; Cass., 10 settembre 2019, n. 42579; Cass., 13 novembre 2019, n. 10111; Cass., 29 marzo 2017, n. 19932; in dottrina, si veda BRIZI, L'applicabilità dell'art. 131-bis nelle ipotesi di continuazione di reati: un dialogo davvero (im)possibile?, in Cass. pen., 2016, 9, 3279; SANTINI, Non punibilità per particolare tenuità del fatto e reato continuato, 30 giugno 2017, in www.dirittopenalecontemporaneo.it.

[9] In tal senso Cass., 20 dicembre 2018, n. 18180, richiamata nella sentenza dalle Sezioni Unite nella sentenza annotata.