ISCRIVITI (leggi qui)
Pubbl. Mer, 29 Giu 2022

L´insegnamento della religione cattolica in Italia: profili storico giuridici

Giancarlo Ruggiero
Dottorando di ricercaNessuna



Il presente contributo intende analizzare l´insegnamento della religione cattolica all´interno dello ordinamento italiano. Ad una prima parte di carattere storico - giuridico, se ne affiancherà una seconda riguardante l´attuale assetto legislativo con particolare attenzione tanto alla normativa canonica tanto a quella civile al fine di cogliere, da un punto di vista normativo, la specificità ed unicità di tale insegnamento all´interno del complesso mondo della scuola italiana.


Sommario: 1.Introduzione; 2. L'insegnamento della religione cattolica in Italia: dalla legge Casati al Concordato del 1984; 3. L'attuale assetto canonico; 4. Profili giuridici dell'insegnamento della religione cattolica: le Intese del 1985 e del 1990; 5) La legge 186 del 2003: 6) L'Intesa del 2012; 7) Conclusioni. 

Sommario: 1.Introduzione; 2. L'insegnamento della religione cattolica in Italia: dalla legge Casati al Concordato del 1984; 3. L'attuale assetto canonico; 4. Profili giuridici dell'insegnamento della religione cattolica: le Intese del 1985 e del 1990; 5) La legge 186 del 2003: 6) L'Intesa del 2012; 7) Conclusioni. 

1. Introduzione

Il presente contributo intende riflettere intorno ad un tema dall'importanza non indifferente per le sue importanti implicazioni nell'ordinamento italiano ovvero quello relativo all'insegnamento della religione cattolica. La sua pregnanza appare ben evidente a motivo della sua dimensione trasversale dal momento che, oltre al profilo più marcatamente canonico, tale insegnamento risulta essere costituivo anche per quanto attiene alla legislazione scolastica ma più in generle per tutto il diritto vigente.

Proprio per i motivi poc'anzi espressi, risulta essere opportuno descrivere la sua identità giuridica offrendo, nel contempo, un'analisi storica attraverso la quale è possibile ricavare l'iter che ha portato all'attuale legislazione vigente. Particolare risalto sarà dato alla normativa canonica e in particolare agli attuali canoni 804 e 805.

2. L'insegnamento della religione cattolica in Italia: dalla legge Casati al Concordato del 1984

Tracciare una storia dell’insegnamento della religione cattolica all’interno dell’ordinamento italiano non è cosa semplice: si tratta, in verità, di un insegnamento dall’evidente complessità che ha subito, nel corso del tempo, diverse modificazioni fino all’attuale legislazione. Punto di partenza, in questo percorso storico, non può che essere lo Statuto Albertino promulgato dal Re Carlo Alberto di Sardegna, a seguito dei moti rivoluzionari del 1848 in cui, art.1, si dichiara esplicitamente «la religione cattolica, apostolica e romana è la sola religione dello Stato»[1] stabilendo per ciò che riguarda gli altri culti la semplice  tolleranza  apparendo, pertanto, in posizione marginale rispetto alla religione cattolica. Tale riferimento funge, come è stato notato[2], da base “implicita” rispetto ai successivi provvedimenti primo fra tutti la legge Casati del 18 novembre 1859 verso cui rivolgiamo la nostra attenzione. 

E’, infatti, attraverso tale legge, a firma del conte Gabrio Casati allora ministro della pubblica amministrazione del Regno di Sardegna, che assistiamo ad una prima sistematizzazione dell’insegnamento della religione cattolica. Se è vero che già con la legge Buoncompagni del 1848 quest'ultima fu elevata a «fondamento dell’educazione»[3], è solo con la legge di cui si tratta che l’insegnamento della religione cattolica viene posto come obbligatorio in tutte le scuole elementari (art.315), mentre per quanto riguarda i gradi superiori dell’istruzione pubblica tale insegnamento veniva impartito da un “direttore spirituale” di nomina ministeriale.

Si sanciva inoltre l’obbligo di frequenza a cui però erano esonerati, secondo l’art. 222, gli alunni acattolici o quelli il cui padre o l’avente diritto avessero dichiarato di provvedere privatamente. Per quanto concerne la scuola elementare si predeva inoltre, all’art. 325, un esame semestrale da parte del parroco, il quale provvedeva ad esaminare gli alunni sulla “storia sacra” e sul “catechismo della diocesi”[4].

Negli anni successivi, complici i rapporti sempre più tesi tra lo Stato Pontificio e il neonato Regno d’Italia, l’insegnamento della religione cattolica andò sempre più ridimensionandosi tant’è che, già nel 1870, una circolare del ministro Correnti rese facoltativo il suddetto insegnamento prevedendo che fosse impartito unicamente nel caso in cui lo avessero richiesto espressamente i genitori[5] ;lo stesso ministro, con un’ulteriore circolare dell’ luglio 1871 se da un lato ribadisce all’interno della scuola elementare dell’istruzione religiosa dall’altro afferma l’assenza da parte degli scolari di «[…] sottomettersi alle lezioni di catechismo e di storia sacra. In tal modo l’istruzione religiosa è proclamata facoltativa»[6]

Sarà però la legge Coppino del 15 luglio 1877 a sferrare un duro colpo per quanto riguarda tale insegnamento: la legge, infatti, non menziona più la religione cattolica come materia da insegnare nella scuola elementare provvedendo, all’uopo, all’istituzione di un nuovo insegnamento concernente i doveri del cittadino, preludio della futura educazione civica[7].

L'assetto così delineato cominciò a modificarsi con il nuovo secolo  sopratutto attraverso la  progressiva distensione dei rapporti tra Chiesa e Stato; eco di tali effetti, per quanto concerne il nostro argomento, sarà la riforma Gentile, voluta dall’omonimo ministro entrata in vigore con due regi decreti rispettivamente del 6 maggio e 1 ottobre 1923.

È nel secondo che troviamo spunti interessanti per quanto concerne l’istruzione religiosa all’interno delle scuole elementari a cui il predetto regio decreto si riferisce.  Leggiamo infatti, all’art.3, «a fondamento e coronamento della istruzione elementare in ogni suo grado è posto l’insegnamento della dottrina cristiana secondo la forma ricevuta nella tradizione cattolica», con una formula che accolse, in verità, il plauso di tutto il mondo cattolico anche quello delle fasce più moderate[8].

Commentando brevemente la disposizione notiamo la pregnanza e l’importanza che assume l’insegnamento della religione cattolica. Va detto, comunque, che il ruolo di coronamento di cui la stessa legge parla va letto nel contesto globale di tutta la riforma per cui, come è stato notato, per Gentile la religione appariva «come una sorta di filosofia interiore, ingenua, adatta ai bambini e utile per educare, in età infantile, alcune disposizioni dello spirito, come l’apertura alla dimensione spirituale, la moralità ma che con il procedere dell’età essa doveva essere superata, grazie ad un esercizio più maturo e consapevole della razionalità».[9]

A questo insegnamento erano preposti degli insegnanti la cui idoneità veniva riconosciuta dal Regio Provveditore secondo il conforme parere della competente autorità ecclesiastica. Proprio l’insegnante di religione, secondo il dettato normativo, doveva apparire come un testimone della fede chiamato a far sì che questa si rigeneri da spirito a spirito secondo un modello di stampo catechetico capace di  toccare la profondità del cuore degli infanti favorendo in essi la contemplazione delle cose e della vita morale[10].

La riforma Gentile, come detto, rappresenta la "base"  sulla quale si inserirà il Concordato concluso l’11 febbraio 1929 tra Chiesa e Stato. Afferma l’art.36: «L’Italia considera fondamento e coronamento dell’istruzione pubblica l’insegnamento della dottrina secondo la forma ricevuta dalla tradizione cattolica. E perciò consente che l’insegnamento religioso ora impartito nelle Scuole pubbliche Elementari abbia un ulteriore sviluppo nelle Scuole Medie secondo programmi da stabilirsi d’accordo tra la Santa Sede e lo Stato».

La norma, come si può notare, si richiamava alla già menzionata riforma Gentile riconoscendo il ruolo costitutivo della religione cattolica il cui insegnamento era riservato principalmente a sacerdoti o religiosi, approvati dall’autorità ecclesiastica e solo sussidiariamente da laici muniti di apposito certificato rilasciato da parte dell’Ordinario. La preferenza accordata da parte del legislatore nei confronti dei chierici o dei religiosi se da un lato appare figlia dei tempi dall’altra può essere interpretata in senso più positivo soprattutto nell'evidenziare uno  stretto collegamento tra questa tipologia di insegnamento e l’azione pastorale della Chiesa nel territorio di riferimento.[11]

Nell'assetto normativo così delineato, si inseriscono due ulteriori provvedimenti di notevole spessore.

Il primo è rappresentato dalla legge n.824 del 5 luglio 1930, rimasta a lungo la principale fonte normativa di riferimento sul tema; in essa, oltre all’obbligo dell’istruzione religiosa nelle scuole di ogni ordine e grado salvo relativo esonero richiesto (art.2) e il divieto di attribuire un voto di profitto in termini numerici (art.4), l’art.5 delinea per la prima volta lo status giuridico dell’insegnante di religione. Questi viene nominato attraverso il conferimento di apposito incarico da parte del capo d’istituto, inteso l’Ordinario diocesano per una durata massima di 18 ore.

Tale incarico, può, tuttavia, a norma dell’art.6, essere altresì revocato durante l’anno d’accordo con l’autorità ecclesiastica. Infine, l’art. 7, afferma che l’insegnante di religione viene equiparato agli altri diritti tanto per quanto riguarda i diritti e doveri tanto per la partecipazione ad ogni adunanza collegiale tanto parziale tanto plenaria. Il secondo provvedimento degno di nota è costitutivo dal r.d. n. 1015del 10 luglio 1930 in cui venivano stabiliti i programmi di insegnamento. Questi entrarono, come si evince dal tenore della disposizione, in vigore solo con l’approvazione del Re e con la firma del ministro senza esplicita menzione di una previa approvazione da parte della S. Sede[12].

Tali programmi erano raggruppati in quattro sequenze a seconda dei diversi ordini e gradi di scuola: A1 per le scuole di avviamento al lavoro e quelle d’arte; A2 per le scuole commerciali ed agrarie, B1 per i Ginnasi, B2 per i Licei.[13] Peculiare risultava, invece, la normativa per le classi prima e seconda dell’Istituto magistrale in cui le ore di religione erano due e non già una.

Gli anni successivi al 1948, anno di promulgazione della Carta Costituzionale, segnano per il tema trattato  una fase tumultuosa: se da un lato, si diceva, l’art.36 non risulta essere in contrasto con la visione di una scuola laica[14], quale doveva essere, dall’altro  si evidenziava  una vera e propria incongruenza tra il testo concordatario e quello costituzionale. Tale ambiguità, del resto, era presente anche all’interno dei provvedimenti relativi ai programmi d’insegnamento come dimostrano quelli emanati per la scuola primaria il 15 giugno 1955 nei quali l’insegnamento religioso viene considerato fondamento e coronamento di tutta l’opera educativa con un’evidente ripresa della locuzione gentiliana e del concordato ancora vigente pur se in un contesto ordinamentale completamente diverso da quello precedente.

Dopo varie vicissitudini il 18 febbraio 1984 viene firmato a Roma il nuovo Concordato tra la Repubblica Italiana e la S. Sede: si tratta, come è stato affermato, di un “accordo quadro”[15] il quale  si limita a dettare norme generali di principio rimandando a successive intese la descrizione più specifica su determinati temi. In particolare, dopo aver richiamato all’art.9 comma 1, il diritto della Chiesa Cattolica di erigere scuole di ogni ordine e grado con il riconoscimento della loro piena libertà e il trattamento equipollente dei loro alunni rispetto a quelli italiani.

Il comma 2 afferma  « La Repubblica italiana, riconoscendo il valore della cultura religiosa e tenendo conto che i principi del cattolicesimo fanno parte del patrimonio storico del popolo italiano, continuerà ad assicurare, nel quadro delle finalità della scuola, l'insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche non universitarie di ogni ordine e grado.

Nel rispetto della libertà di coscienza e della responsabilità educativa dei genitori, è garantito a ciascuno il diritto di scegliere se avvalersi o non avvalersi di detto insegnamento. All'atto dell'iscrizione gli studenti o i loro genitori eserciteranno tale diritto, su richiesta dell'autorità scolastica, senza che la loro scelta possa dar luogo ad alcuna forma di discriminazione».

Dal tenore della norma è possibile dedurre anzitutto un vero e proprio cambiamento di rotta rispetto alle disposizioni precedenti: se da un lato scompare la dicitura “fondamento e coronamento” dall’altro, però, si riconosce il valore culturale di qualsiasi religione ed in modo specifico di quella cattolica dal momento che quest’ultimi fanno parte del patrimonio della Repubblica Italiana. Non si tratta, pertanto, di una benevola concessione[16] quanto della constatazione incontrovertibile che i principi del cattolicesimo hanno segnato da sempre l'identità del nostro paese.

Accanto a questa importante considerazione si ribadisce la non obbligatorietà di questo insegnamento nel pieno rispetto della libertà e della coscienza di ognuno evitando, dunque, qualsiasi forma di discriminazione come già enunciato da parte della Costituzione ed in particolare agli artt.9 e 30.

Da ultimo l’inciso “nel quadro delle finalità della scuola” permette di non considerare l’insegnamento della religione cattolica come un corpo estraneo quanto come un vero e proprio insegnamento da inserire armoniosamente nel quadro degli obiettivi generali dell’ordinamento scolastico[17].  

A tal proposito, secondo parte della dottrina, l’inserimento dell’insegnamento della religione “nel quadro delle finalità della scuola” permette, altresì, di ripensare alla stessa figura del docente, ivi compreso quello di religione cattolica, il quale, da questo momento, comincia ad assumere quei tratti di professionista competente, dotato di preparazione e di autonomia didattica, che sono patrimonio comune dell’intera classe docente all’interno. della scuola, e che hanno il loro principale strumento di garanzia nella stabilità del rapporto di lavoro.[18]

In sintesi possiamo affermare come il concordato del 1984 segna, per ciò che attiene all’oggetto del presente lavoro, una nuova stagione di vitalità; pur nella generalità della norma, il legislatore ha voluto riconoscere la rilevanza della religione cattolica nell’ordinamento italiano: il quadro delineato nel 1984 permette all’interprete di sottolineare come lo Stato italiano non si dimostra affatto restio o reticente rispetto all’istruzione religiosa ma, al contrario, ne riconosce tutta la sua specificità e peculiarità senza, tuttavia, né imporla né considerarla obbligatoria.

Sarebbero state le successive Intese a specificare, più nel dettaglio, i criteri, i requisiti e le condizioni affinché il suddetto insegnamento risulti essere ben delineato nei suoi elementi costitutivi ed operativi. E’ dunque, alle sopracitate intese che rivolgiamo ora la nostra attenzione dopo aver, tuttavia, prima esposto la normativa canonica vigente a cui le stesse intese si uniformano pienamente.

3. La normativa canonica

Prima di affrontare, nel dettaglio, le norme previste dalle Intese del 1985 e del 2012, risulta essere opportuno richiamare le disposizioni del Codice di Diritto Canonico a cui si rifà esplicitamente il Protocollo Addizionale allegato al Concordato del 1984. Leggiamo infatti all’art.9 punto a). «L'insegnamento della religione cattolica […] è impartito – in conformità alla dottrina della Chiesa e nel rispetto della libertà di coscienza degli alunni – da insegnanti che siano riconosciuti idonei dall'autorità ecclesiastica, nominati, d'intesa con essa, dall'autorità scolastica».

Nel testo, come è possibile osservare, si subordina l’insegnamento della religione cattolica al riconoscimento dell’idoneità ecclesiastica concessa dall’autorità ecclesiastica.

Tralasciando, in questa sede, il significato giuridico da attribuire al termine idoneità, ci occupiamo qui di analizzare i canoni 804 e 805 che risultano i due riferimenti espressi dal Codice per quanto attiene gli insegnanti di religione. Afferma il can. 804 par.1 «Ecclesiae aucoritati subicitur institutio et educaito religiosa catholica quae in quibuslibet scholis imperitur aut variis comunicationis socialis instrumentis procuratur; Episcoporum conferentiae est de hoc actionis campo normas generales edicere, atque Episcopi dioecesani est eundem ordinare et in eum invigiliare».

Il canone in esame riconosce, in primo luogo, che è sottoposta all’autorità della Chiesa l’istruzione e l’educazione religiosa cattolica impartita in ogni scuola[19]: non si tratta, quindi, di un “monopolio” che la Chiesa intende avere nei confronti dell’educazione quanto di riconoscere l’esclusiva competenza da parte dell’autorità ecclesiale di « […] stabilire i contenuti autentici dell'insegnamento della religione cattolica nella scuola, che garantisce di fronte ai genitori e agli stessi alunni, l'autenticità dell'insegnamento che si trasmette come cattolico.

La chiesa riconosce questo compito come suo ratione materiae e lo rivendica come di propria competenza, indipendentemente dalla natura della scuola (statale o non statale, cattolica o non cattolica) in cui è impartito.[20]

Una particolare competenza viene riservata anzitutto alle Conferenze episcopali attraverso l’emanazione di norme generali[21], ed in secondo luogo al Vescovo diocesano tanto un potere normativo attraverso disposizioni più generali tanto un potere di vigilanza affinché i principi della dottrina e le norme emanate vengano correttamente poste in essere e rispettate. Il secondo par. del can. 804 risulta essere, per il nostro lavoro, più specifico. Leggiamo infatti: «Loci Ordinarius sollicitus sit, ut qui ad religionis institutionem in scholis, etiam non catholicis, deputentur magistrii recta doctrina, vitae christianae testimonio, atque arte pedagogica sint praesentantes».

Spetta dunque all’Ordinario del luogo – e non necessariamente il Vescovo[22] -provvedere che coloro che sono deputati all’insegnamento della religione cattolica devono essere forniti dei seguenti elementi: a) retta dottrina, b) testimonianza di vita cristiana, c) abilità pedagogica. Con retta dottrina si intende come «conoscenza obiettiva e completa dei contenuti della rivelazione cristiana e della dottrina della Chiesa»[23].

Con la testimonianza di vita cristiana si fa riferimento ad un modo di vivere coerentemente la fede professata, nel quadro di una responsabile comunione ecclesiale» mentre l’abilità pedagogica può essere definita una competenza pedagogica, metodologica, didattica e relazionale in funzione di un insegnamento competente ed efficace per la società e la cultura di oggi.

Il secondo canone di riferimento è quello successivo, il can. 805 il quale afferma: «Loci Ordinario pro sua dioecesi ius est nominandi aut probandi magistros religionis, itemque si religionis mourumve ratio id requirat, amovendi aut exigendi ut amoveantur». Il dispositivo conferma il munus dell’Ordinario del luogo a cui spetta non solo nominare ma anche revocare la suddetta idoneità. In particolare, l’art.2 par. 2 della Delibera n.41 della Cei, conferma tale possibilità in capo all’Ordinario nel caso in cui sia stata accertata una grave carenza per ciò che concerne la retta dottrina o l’abilità pedagogica oppure risulti essere un comportamento pubblico o notorio contrario con la morale cattolica.

Nel caso in esame, tuttavia, il par. 3 della già menzionata delibera dispone la convocazione da parte dell’Ordinario dell’insegnante e la successiva contestazione dei fatti a suo carico. A questi è concesso un tempo di dieci giorni per presentare memorie e documenti per la sua difesa. Al termine di tale periodo, sussistendone i motivi, l’ordinario provvederà ad emanare apposito decreto di revoca. Quest’ultimo dovrà essere reso per iscritto ai sensi del can.51 e regolarmente intimato a norma dei cann. 54-55[24].

Infine, sarà premura dell’Ordinario informare l’autorità scolastica circa la revoca dell’idoneità quando tale decreto risulti essere definitivamente esecutivo.

4. Profili giuridici dell'insegnante di religione: le intese del 1985 e del 1990

Dopo essersi soffermati, seppur in breve, sulla normativa canonica di riferimento, continuiamo la nostra analisi sull’evoluzione storico – giuridica circa l’insegnamento della religione cattolica in Italia. Il Concordato del 1984, come visto, si limita ad indicare solo alcune norme di carattere generale lasciando ad un Protocollo addizionale il compito di descrivere più dettagliatamente alcuni aspetti attinenti ai rapporti tra Stato e Chiesa. L’art.9.2 afferma:

«a) l'insegnamento della religione cattolica nelle scuole indicate al n. 2 è impartito - in conformità alla dottrina della Chiesa e nel rispetto della libertà di coscienza degli alunni - da insegnanti che siano riconosciuti idonei dall'autorità ecclesiastica, nominati, d'intesa con essa, dall'autorità scolastica. Nelle scuole materne ed elementari detto insegnamento può essere impartito dall'insegnante di classe, riconosciuto idoneo dall'autorità ecclesiastica, che sia disposto a svolgerlo.

b) Con successiva intesa tra le competenti autorità scolastiche e la Conferenza Episcopale Italiana verranno determinati: 1) i programmi dell'insegnamento della religione cattolica per i diversi ordini e gradi delle scuole pubbliche; 2) le modalità di organizzazione di tale insegnamento, anche in relazione alla collocazione nel quadro degli orari delle lezioni; 3) i criteri per la scelta dei libri di testo; 4) i profili della qualificazione professionale degli insegnanti.

c) Le disposizioni di tale articolo non pregiudicano il regime vigente nelle regioni di confine nelle quali la materia è disciplinata da norme particolari».

Come si può notare, il presente protocollo, pur essendo piuttosto chiaro nella sua formulazione, rimanda ad una successiva Intesa per la definizione dei contenuti su quattro ambiti specifici. Tale Intesa sarebbe stata conclusa l’anno successivo, con il DPR del 16 dicembre 1985. Entrando nel dettaglio  della suddetta intesa, del resto alquanto analitica[25], l’art.1.2 stabilisce che i programmi relativi all’insegnamento della religione cattolica sono emanati attraverso decreti a firma del Presidente della Repubblica previa intesa con la Cei a cui spetta la competenza esclusiva a definire la conformità di questi ultimi con la dottrina della Chiesa.

Da ciò è possibile ricavare che, a differenza di quanto accadeva nella precedente legislazione concordataria, lo Stato rinuncia a fissare unilateralmente tali programmi lasciando così il ruolo di principale attore nella definizione di quest’ultimi nei confronti della Cei che tuttavia non ha diretta forza operativa all’interno dell’ordinamento italiano. In altri termini la norma qui esaminata evidenzia da un lato l’incompetenza da parte dello Stato a definire questioni di carattere religioso mentre dall’altro riconosce la sua sovranità nell’emanare provvedimenti normativi vigenti nel suo ordinamento senza, però, fissarne il contenuto[26].

Andando avanti nell’analisi dell’intesa, oltre alle modalità organizzative (2.1 e ss.) e ai libri di testo considerati veri e propri libri scolastici (3), il legislatore tratteggia nei punti  4.3 e 4.4 i profili di qualificazione professionale degli insegnanti. La norma segna un passaggio notevole rispetto a quella precedentemente in vigore perché, per la prima volta, tratteggia i requisiti professionali richiesti per impartire il suddetto insegnamento.

Dispone il punto. 4.3: «nelle scuole secondarie di primo e secondo grado l’insegnamento della religione cattolica può essere affidato a chi abbia almeno uno dei seguenti titoli: a) titolo accademico (baccalaureato, licenza o dottorato) in teologia o nelle altre discipline ecclesiastiche, conferito da una facoltà  approvata dalla Santa Sede; b) attestato di compimento del regolare corso di studi teologici in un seminario maggiore; c) diploma accademico di magistero in scienze religiose, rilasciato da un istituto di scienze religiose approvato dalla Santa Sede; d) diploma di laurea valido nell’ordinamento italiano, unitamente a un diploma rilasciato da un istituto di scienze religiose riconosciuto dalla Conferenza Episcopale Italiana», mentre al punto 4.4 prevede per le scuole elementari, oltre che da un insegnante del circolo didattico riconosciuto idoneo dall’Ordinario diocesano, anche da sacerdoti e diaconi o religiosi in possesso di qualificazione riconosciuta dalla CEI, da chi sia in possesso di diploma di scuola secondaria superiore e abbia conseguito almeno un diploma riconosciuto dalla Conferenza episcopale italiana. 

Tali titoli sono stati ufficialmente richiesti a partire dall’anno scolastico 1990 – 1991.

In linea di massima, si può affermare che l’intesa del 1985 chiuda quel processo di rinnovamento per l’IRC iniziato già prima della revisione del concordato del 1984 e che ebbe, proprio con quest’ultimo, il suo primo riconoscimento giuridico in particolare per quanto attiene al riconoscimento della professionalità degli insegnanti di religione; costoro, infatti, per lo più laici, sono chiamati ad acquisire non semplici conoscenze ma vere e proprie competenze che permettano loro di svolgere un proficuo e fruttuoso lavoro in classe.

In altri termini, l’intesa del 1985, apre il “cantiere” di una incisiva riforma non solo per quanto attiene all’insegnamento della religione cattolica ma più incisivamente nei confronti di coloro che sono deputati a svolgere tale insegnamento:essi, allora, non sono da considerarsi come “estranei” rispetto agli altri docenti ma parte integrante dell’intera scuola con le proprie finalità e le proprie specificità[27].

Tale professionalità si evidenzia, altresì, al n.4.7 in cui si prescrive il necessario aggiornamento professionale da parte dei medesimi insegnanti da attuare di concerto tra Stato e Conferenza episcopale italiana. Il panorama giuridico tracciato dall’intesa del 1985 fu oggetto, già nel 1990, di una prima modifica con il DPR n.202 del 23 giugno 1990 in cui, tra le diverse modifiche, introduce tra il punto 2.6 e 2.7, il punto 2.6 bis nel quale si stabilisce che il riconoscimento dell’idoneità concessa dal Vescovo ha effetto permanente salvo revoca. Interessante la riforma del punto 2.7 in cui leggiamo «gli insegnanti incaricati di religione cattolica fanno parte della componente docente negli organi scolastici con gli stessi diritti e doveri degli altri insegnanti ma partecipano alle valutazioni periodiche e finali solo per gli alunni che si sono avvalsi dell’insegnamento della religione cattolica, fermo quanto previsto dalla normativa statale in ordine al profitto e alla valutazione per tale insegnamento».

La norma, come si può facilmente comprendere, segna un ulteriore passaggio per ciò che attiene alla professionalizzazione degli insegnanti di religione che vengono così equiparati, come già accennato, agli altri docenti pur se in relazione unicamente a coloro che si sono avvalsi del suddetto insegnamento[28].

Alla luce di quanto detto in precedenza, risulta evidente che tanto l’intesa del 1985 e quella del 1990 hanno voluto incidere soprattutto per ciò che attiene ai titoli di qualificazione professionale per l’insegnamento della religione cattolica. Pertanto la semplice idoneità concessa dall’Ordinario non può essere considerato requisito sufficiente quanto sono fondamentali e necessari appositi titoli di studio che ogni Idr deve possedere assieme alla predetta doneità da considerarsi, in questo senso, complementare. 

Tuttavia, le due intese, per quanto profondamente innovative, non hanno de facto modificato lo status giuridico dell’insegnante di religione che dunque appariva ancora normato dalla l. del 5 giugno 1930 n. 824. Tale assetto sarebbe stato confermato negli anni successivi fino alle incisive modifiche avvenute sia con la l.186 del 2003 sia con l’intesa del 2012 che rappresentano le due fonti normative principali a cui è necessario richiamarsi al fine di ricostruire oggi l’identità giuridica dell’insegnante di religione.

5. La legge 186 del 2003

La normativa sugli insegnanti di religione ha subito un radicale mutamento attraverso la l. 186 del 2003 contenente “Norme sullo stato giuridico degli insegnanti di religione cattolica degli istituti e delle scuole di ogni ordine e grado”.[29] Già ad una prima lettura colpisce l’inciso “stato giuridico degli insegnanti di religione” che  permette di considerare questi ultimi come dotati di una certa stabilità ovvero titolari di un proprio status giuridico superando, in questo senso, la normativa precedente risalente al 1930, in cui si parlava semplicemente di incaricato «vale a dire di titolare di insegnamento per posti non costituenti cattedre di ruolo»[30].

Tuttavia, al fine di comprendere la ratio sottesa alla legge esaminata è necessario richiamare alcuni punti. In primo luogo, la garanzia dell’offerta dell’ Irc all’interno della scuola deriva da uno specifico impegno assunto da parte dello Stato a seguito degli accordi di Villa Madama. In secondo luogo, la configurazione scolastica dell’Irc viene inserita nelle finalità della scuola. In terzo luogo, la disciplina dell’Irc è caratterizzata da un impianto metodologico i cui contenuti sono rimessi direttamente all’autorità confessionale. In quarto luogo non va dimenticato come il suddetto insegnamento garantisce la libertà religiosa[31].

Dopo aver analizzato, seppur in estrema sintesi, le premesse su cui si basa la suddetta legge procediamo ad analizzare il suo contenuto . L’art.1 prevede l’istituzione di due distinti ruoli regionali articolati  per  ambiti  territoriali corrispondenti alle diocesi,  del  personale docente e corrispondenti ai cicli scolastici previsti dall'ordinamento stabilendo altresì, al comma 2,  che nei confronti degli Idr si applicano le norme  di stato giuridico e il trattamento economico previsti dal testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di ogni ordine e grado, di cui al decreto legislativo 16 aprile 1994 n. 297 […] e dalla contrattazione collettiva.

Peculiare risulta essere l’art.2 secondo cui spetta al Ministro dell’istruzione stabilire di concerto il Ministro dell'economia e delle finanze e  con il Ministro per la funzione pubblica, con decreto, la dotazione organica degli insegnanti di religione cattolica nella misura parti al 70% rispetto ai posti effettivamente disponibili distinguendo tra Idr di ruolo e non. L’art.3 dispone che l’accesso all’insegnamento di religione cattolica è subordinato al superamento di un concorso per titoli ed esami per i posti annualmente disponibili.

A tali concorsi che, a detta della norma, devono tenersi ogni tre anni su base regionale, possono partecipare coloro che sono in possesso dell’idoneità rilasciata dal proprio Ordinario e che abbiano gli appositi titoli professionali richiesti secondo l’art.4 dell’Intesa del 1985. Per quanto riguarda le commissioni d’esame, la legge prescrive che esse siano composte da professore universitario o da un dirigente scolastico  o  da  un  ispettore tecnico, e composte da due docenti a tempo  indeterminato,  con almeno cinque anni di anzianità.

La suddetta norma, inoltre, riduce a tutti gli effetti il potere discrezionale dell’Ordinario circa la scelta dei docenti: egli, infatti, deve trarre i nominativi dei docenti da assumere con contratto a tempo indeterminato dall’elenco trasmessogli dal direttore regionale a seguito dell’espletamento del concorso.

Si tratta, tuttavia, di un semplice elenco e non di una graduatoria cosicché questi non è vincolato dalla posizione o collocazione del singolo docente nell’assegnazione delle sedi[32]. Continuando l’analisi della legge 186\2003 l’art.4 fa riferimento alla mobilità degli insegnanti di religione prevedendo l’applicazione nei loro confronti delle disposizioni vigenti limitatamente ai passaggi, per il medesimo insegnamento, da un ciclo di scuola e solo nei confronti di quegli insegnanti in possesso dell’idoneità diocesana i quali, nel caso in cui sia stata revocata loro l’idoneità non vengono licenziati ma possono essere inseriti nei ruoli di insegnamento di un’altra materia o partecipare alle procedure di mobilità collettiva.[33]

L’art. 5 contiene, infine disposizioni finali e transitorie prevedendo che l’accesso al primo concorso venga riservato solo a quegli insegnanti che abbiano prestato servizio continuativo per almeno quattro anni    corso   degli   ultimi   dieci anni  e  per  un  orario complessivamente  non  inferiore alla metà' di quello d'obbligo anche in  ordini  e  gradi  scolastici  diversi,  e  siano  in possesso dei requisiti previsti dall'articolo 3, commi 3 e 4.

La legge 186 del 2003 giunge, dunque, al termine di un complesso iter volto a rendere stabilità nei confronti degli insegnanti di religione mediante il passaggio  da un rapporto del tutto singolare ad un inquadramento giuridico conforme ed unitario rispetto a quello degli altri docenti.

Da un punto di vista ecclesiastico il presente provvedimento inserisce maggiormente l’insegnamento della religione cattolica all’interno delle finalità della scuola ovvero permette di leggere quest’ultimo come un servizio reso nei confronti del cittadino lasciandolo comunque libero di decidere se usufruirne o meno[34].

Con questa legge, dunque, l’insegnante di religione ha definitivamente acquisito un ruolo di perfetta “parità” rispetto agli altri sia per quanto attiene alla titolarità di diritti e doveri sia per le modalità di assunzione tramite concorso pur salvaguardando quel carattere di specificità proprio di tale insegnamento tanto per ciò che attiene per i programmi d’esame tanto per l’accesso al loro primo inquadramento di ruolo.

6. L'Intesa del 2012

La legge 186 del 2003, come notato, segna  per quanto concerne l'insegnamento della religione cattolica in Italia, una svolta decisiva. E'proprio su questa base che si innesta la nuova Intesa firmata il 28 giugno 2012 da parte del Cardinale Bagnasco per la Cei e dal ministro Profumo per il MIUR..

Essa intesa risulta essere articolata in quattro punti e in due obiettivi generali consistenti, il primo nel ridefinire il profilo di qualificazione professionale dei futuri insegnanti di religione cattolica, armonizzando il percorso formativo richiesto per l’insegnamento della religione cattolica con quanto previsto, oggi, per l’insegnamento nelle scuole di ogni ordine e grado in Italia” ed il secondo nel “definire una nuova versione delle indicazioni per l’insegnamento della religione cattolica nel secondo ciclo, sulla base di rinnovati documenti che il MIUR ha elaborato in un quadro di riforme dell’intero sistema educativo di istruzione e formazione.[35]

In altre parole, attraverso questa Intesa, si è voluto “riscrivere” il testo in vigore precedentemente, migliorando i profili di qualificazione degli insegnanti di religione in modo tale da renderli conformi tanto  alle nuove norme previste per il reclutamento degli insegnanti stessi tanto alle diverse novità introdotte nel mondo accademico[36].  

Entrando all’interno della vigente Intesa, dopo un breve preambolo introduttivo, il punto n.2 stabilisce le modalità di organizzazione dell’insegnamento della religione cattolica. In primo luogo, viene ribadito il carattere non obbligatorio di questo insegnamento e l’assenza di qualunque forma di discriminazione. In particolare, si sottolinea come la scelta riguardante la religione cattolica ha effetto per tutto l’anno «[…] fermo restando, anche nelle modalità di applicazione, il diritto di scegliere ogni anno se avvalersi o non avvalersi dell'insegnamento della religione cattolica».

Norme peculiari vengono previste per quanto riguarda le ore di insegnamento nella scuola primaria (2.4) e per quanto concerne la scelta dei docenti (2.5) i quali sono nominati d’intesa con l’Ordinario diocesano , dalle competenti autorità scolastiche mentre al punto 2.7 si conferma il carattere permanente dell’idoneità concessa salvo revoca da parte dell’autorità ecclesiastica di riferimento. Continuando l’analisi dell’Intesa, il punto n.3 detta norme specifiche per i libri di testo; in particolare si conferma che tali libri sono tesi scolastici a tutti gli effetti, i quali per poter essere utilizzati all’interno delle scuole necessitano del nulla osta della Cei e dell’approvazione dell’Ordinario competente.

Tanto il nulla osta tanto l’approvazione devono essere menzionati nel testo stesso[37] .Tuttavia è il punto 4 a presentare delle novità significative: la nuova Intesa infatti prevede nelle scuole secondarie di primo e secondo grado il possesso di adeguato titolo accademico (baccalaureato – licenza – dottorato) in teologia o in altre discipline ecclesiastiche conferito  da una facoltà approvata dalla Santa Sede ovvero, attestato di compimento del regolare corso di studi teologici in un seminario maggiore ed infine laurea magistrale in scienze religiose conseguita presso un istituto superiore di scienze religiose approvato dalla Santa Sede.

Altra novità riguarda l’insegnamento della religione cattolica nella scuola dell’infanzia e in quella primaria. Il punto 4.2.2 stabilisce come quest’ultimo possa essere impartito o da insegnanti in possesso dei requisiti di cui al punto precedente ovvero da sacerdoti, diaconi e religiosi in possesso dell’idoneità di cui al can.804 ed infine da insegnanti della sezione o della classe purché in possesso di uno specifico master di secondo livello per l’insegnamento della religione cattolica approvato dalla Conferenza episcopale italiana.

Sulla base di quanto poc'anzi esposto l' Intesa del 2012 può essere sintentizzata in quattro concetti chiave che ne costituiscono il "cuore" di riferimento : unitarietà, specificità, elevamento e gradualità. Per quanto riguarda il primo perché gli Idr seguono lo stesso processo formativo e necessitano degli stessi titoli per tutti i livelli scolastici. Sulla specificità a motivo della peculiarità dei percorsi teologici evitando percorsi “misti” con laure civili e percorsi ecclesiastici abbreviati[38].

Il terzo punto consiste nell’innalzamento del livello dei titoli di studio previsti nelle scuole di ogni ordine e grado ed infine la gradualità essendo previsto un periodo di transizione nel quali gli Idr hanno la possibilità di mettersi in regola e di acquisire i nuovi titoli[39].

7. Conclusioni

Al termine di questo breve lavoro valga qualche considerazione conclusiva. L'attuale assetto normativo previsto per l'insegnamento della religione cattolica appare come il risultato di diversi provvedimenti che hanno portato, pian piano, a definire la sua identità e specificità. L' Idr rappresenta un vero e proprio insegnamento impartito da professionisti, forniti di titolo idoneo, inseriti all'interno dei processi formativi del complesso mondo scolastico.

L' Intesa del 2012, proprio a tal riguardo, ha inteso operare una migliore qualificazione dei docenti di religione cattolica al fine di garantire un insegnamento efficace ed efficiente  e sopratutto giuridicamente ben definito e capace, pertanto, di offrire, nei confronti di coloro che se ne avvalgono, contenuti di qualità inserendosi, così,a  buon diritto, all'interno delle stesse finalità della scuola. L'insegnamento della religione cattolica, dunque, si presenta come un vero e proprio insegnamento, certamente specifico nei suoi contenuti ma capace di offrire il suo contributo verso il pieno sviluppo della personalità dello studente, vera e propria finalità dell'istruzione stessa. 


Note e riferimenti bibliografici

[1] Ampia la letteratura sull’art.1 dello Statuto Albertino si veda F. RACCIOPPI – I. BRUNELLI, Commento allo Statuto del Regno. Vol.1. dall’art.1 all’art.23, Torino, 1909. C.A. JEMOLO, La natura e la portata dell’art.1 dello Statuto, in Rivista italiana di diritto pubblico, 1913, 249-267.

[2] A. PORCARELLI,  Nuovi percorsi e materiali per il concorso a cattedra, Torino, 2020, 242.

[3] Per approfondimenti si rimanda a G.OTTAVIANI, La scuola del Risorgimento. Cinquant’anni della scuola italiana. 1860-1910, Roma, 2009.

[4] Cfr. S. SANTAMAITA, Storia della scuola. Dalla scuola al sistema formativo, Milano, 1999.

[5] ibid., 47.

[6] Così G. BONETTA ,Scuola e socializzazione fra ‘800 e ‘900. Milano, 1989,132-133.

[7] Per maggiori approfondimenti sulla legge Coppino: G. PIERI, Educazione, Cittadinanza e Volontariato; frontiere pedagogiche, Firenze, 2013, 51. S. SANTAMAITA, Storia della scuola, 67-70.

[8] Sul punto L. PAZZAGLIA, Consensi e riserve nei giudizi dei cattolici sulla riforma gentile,  in Opposizioni alla riforma Gentile. Quaderni  del Centro Studi C. Trabucco, Torino, 1985.

[9]  Così A. PORCARELLI, Nuovi percorsi e materiali, 245 e ss.

[10] Per approfondimenti si veda K. COLOMBO, La pedagogia filosofica di Giovanni Gentile, Milano, 2004.

[11] A. PORCARELLI, Nuovi percorsi e materiali, 252.

[12] Il punto è ben espresso da S. CICATELLI, Guida all’insegnamento della religione cattolica. Secondo le nuove Indicazioni, Brescia, 2015,183.

[13] Si veda A. PORCARELLI, Nuovi percorsi e materiali, 251.

[14] Cfr. A. TALAMANCA, Libertà della scuola, libertà nella scuola, Padova, 1975.

[15] Si veda E. VITALI – A. G. CHIZZONITI, Diritto ecclesiastico: manuale breve. Tutto il programma d’esame con domande e risposte commentate, Milano, 2012, 15 e ss

[16] S. CICATELLI, Introduzione alla legislazione scolastica per insegnanti, Brescia, 2020, 364.

[17] Si veda A. PORCARELLI, Nuovi percorsi e materiali, 270.

[18] Cfr. F. E. ADAMI ,  Brevi note sullo status giuridico dell’insegnante di religione, in Studi di diritto ecclesiastico in tema di insegnamento, Padova, 1987, pp.79 e ss.

[19] Come ben si sa, l’istruzione è stata per lunghi secoli, una delle principali attività della Chiesa. Non è un caso che l’attuale codice dedica numerosi canoni tanto all’istruzione tanto alle scuole. Per maggiori approfondimenti L. CHIAPPETTA, Il Codice di diritto canonico: commento giuridico – pastorale, 2, Bologna, 2011, 42 e ss.

[20] Così CONGREGAZIONE PER L’EDUCAZIONE CATTOLICA, Lettera circolare sull’insegnamento della religione nella scuola, 5 maggio 2009, in Communicationes, 41, 2009, 317 e ss.

[21] Si tratta in modo particolare delle delibere.

[22] Sulla distinzione tra Vescovo e Ordinario del luogo cfr. veda V. DE PAOLIS – A. D’AURIA, Le norme generali: commento al Codice di diritto canonico, Città del Vaticano, 2014.

[23] Cfr. CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Delibera n.57, 21 settembre 1990, in Notiziario della Conferenza Episcopale Italiana, n.8, 212-213.

[24] Per approfondimenti sul concetto canonico di decreto e sui canoni qui menzionati si veda V. DE PAOLIS – A. D’AURIA, Le norme generali, 232 e ss.

[25] Così A. PORCARELLI, Nuovi percorsi, 271.

[26] ibid., 272.

[27] Sulla professionalità degli insegnanti si rimanda a E. DAMIANO,  L’insegnante etico. Saggio sull’insegnamento come professione morale, Assisi, 2007.

[28] Sul punto E. VITALI – A. G. CHIZZONITI, Diritto ecclesiastico, 170 e ss.

[29] Tra i commenti alla legge 186 del 2003 si segnala P. CAVANA, Prime osservazioni sulla legge che riforma lo stato giuridico dei docenti di religione, in Annali 2002-2004,347-372. V. PRIMERANO, Lo stato giuridico degli insegnanti dopo la legge 186\2003, in Riv. giur. scuola, 2004, 109 e ss.

[30] Cfr. G. DELLA TORRE, Lezioni di diritto ecclesiastico, Torino, 2004.

[31] Così. A. GIANNI , La legge sul ruolo degli insegnanti di religione cattolica, in Quaderni di diritto e politica ecclesiastica, 2004, 2, 382-383.

[32] L. NANNIPIERI  Insegnanti di religione cattolica e poteri dell'Ordinario diocesano, in Riv. italana di diritto del lavoro», 2006, 1,  71-72

[33] P. CONSORTI, Diritto e religione, Bari, 2014, 118.

[34] A. GIANNI, La legge sul ruolo degli insegnanti di religione cattolica, in Quaderni di diritto e politica ecclesiastica»,393.

[35] Così direttamente il testo dell’Intesa introdotta con il DPR 175 del 2012.

[36] Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, Dipartimento per l’Istruzione, Circolare del 6 novembre 2012.

[37] A tal proposito si richiamano i canoni 822 -832 ed in particolare il can. 827. Per maggiori approfondimenti L. CHIAPPETTA,  Il Codice di diritto canonico, 2, 65 e ss.

[38] A. PORCARELLI, Nuovi percorsi e materiali, 312.

[39] S. CICATELLI, Prontuario giuridico IRC, Brescia, 2012, 107 e ss