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Pubbl. Mer, 1 Giu 2022

La normativa italiana sulle quote di genere dopo la legge Golfo-Mosca

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Giulia Melli



Il presente lavoro approfondisce i progressi legislativi riguardanti il tema delle quote di genere applicate alla composizione degli organi societari che hanno interessato l´ordinamento italiano: partendo dalle disposizioni ricomprese nella legge Golfo-Mosca del 2011 e, per estensione, nel d.P.R. 30 novembre 2012, n. 251, questo contributo vuole sottolineare i cambiamenti subiti dalla disciplina per effetto dei successivi interventi normativi; in particolare, vengono analizzate le modifiche normative intervenute nelle società quotate per effetto delle previsioni contenute nella legge di bilancio 2020, nonché delle novità introdotte dal d.lgs. n. 175 del 2016 (TUSPP) e dalla legge n. 162 del 2021 per quanto concerne le norme riservate alle società a controllo pubblico


ENG This work explores the improvements in the Italian legal framework concerning gender quotas in the composition of corporate boards. After having analysed the regulations contained in the Golfo-Mosca Law of 2011 and, by extension, in the d.P.R. 30 November 2012, n. 251, this paper highlight the changes achieved in gender quotas concerning listed companies caused by the norms contained in the budget law 2020 and, concerning public companies, provoked by the new legal aspects contained in the d.lgs. n. 175 of 2016 (TUSPP) and in the law n. 162 of 2021.

Sommario: 1. Premessa; 2. Il consolidamento delle norme sulle quote di genere nelle società quotate: la legge di bilancio 2020 e il nuovo codice di corporate governance; 3. Le società a controllo pubblico e la disciplina sull'equilibrio di genere: le novità introdotte dal d.lgs n. 175 del 2016 (TUSPP) e dalla legge n. 162 del 2021; 4. Conclusioni.

1. Premessa

Nel 2011 in Italia, secondo il rapporto redatto dalla Consob, la partecipazione delle donne negli organi di amministrazione e controllo delle società italiane si attestava intorno al 7%[1]. Di fronte a questa drammatica sottorappresentazione il legislatore italiano è intervenuto con la L. 12 luglio 2011, n. 120, conosciuta come legge Golfo-Mosca, con la quale l'italia si colloca tra i primi Paesi a ricorrere a quote vincolanti volte a regolare la composizione degli organi societari e promuovere l'equilibrio di genere. Il provvedimento ha infatti modificato gli articoli 147-ter, 147-quater e 148 del d.lgs. n. 58/1998, anche noto come Testo Unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria (TUF)[2], introducendo delle prescrizioni volte ad assicurare la parità di accesso a donne e uomini per quanto riguarda le nomine, le elezioni e le sostituzioni dei componenti degli organi di amministrazione e controllo delle società quotate in mercati regolamentati italiani o di altri Paesi dell’Unione Europea, nonché delle società a controllo pubblico non quotate, regole queste ultime contenute nella stessa legge Golfo-Mosca ed attuate dal d.P.R. 30 novembre 2012, n. 25[3].

Le previsioni ricomprese nella legge Golfo-Mosca, inquadrabili come azioni positive forti o di risultato[4], rappresentano uno strumento legislativo grazie al quale si è data concreta attuazione al disposto dell’articolo 3, comma 2, Costituzione[5]: garantendo delle quote riservate al genere meno rappresentato in ambito societario, e prevedendo anche un meccanismo sanzionatorio in caso di mancato rispetto del criterio del riparto tra i generi, il provvedimento favorisce indirettamente il genere femminile, in quanto è quest’ultimo ad essere da sempre drammaticamente escluso dai processi decisionali, ma è proprio operando come una normativa a tratti diseguale che la L. n. 120/2011 è stata in grado di introdurre il principio di uguaglianza sostanziale nei boards delle società italiane.

La legge Golfo-Mosca, tuttavia, presentava degli evidenti limiti: da un lato l’ambito di applicazione del provvedimento, il quale riguardava solamente le società quotate in mercati regolamentati e le società a controllo pubblico non quotate, due tipologie societarie non così diffuse in Italia, in cui invece tendono da sempre a dominare le PMI, e per le quali era inoltre riscontrabile un marcato disallineamento tra le previsioni dedicate rispettivamente alle società quotate e alle società a controllo pubblico[6]; dall’altro, la limitata efficacia temporale dell’obbligo di riservare un terzo degli amministratori e dei sindaci eletti al genere meno rappresentato, il quale era soggetto a decadenza dopo tre mandati consecutivi[7].

Una simile impostazione avrebbe comportato che, fermo restando l’obbligo del rispetto delle quote per le società neo quotate per i primi tre mandati successivi alla quotazione[8], a partire dal 2022 i vincoli previsti dalla legge Golfo-Mosca non avrebbero più avuto validità nei confronti del 37% delle imprese nazionali con azioni quotate, una percentuale, peraltro, destinata a crescere negli anni successivi, sino ad arrivare al 59% nel 2023 e addirittura all’ 84% nel 2024[9]. Considerazioni analoghe valgono anche con riferimento alle società a controllo pubblico; infatti, il d.P.R. 251/2012, nel recepire le disposizioni in tema di quote di genere per questo secondo insieme di realtà imprenditoriali, aveva previsto il medesimo limite temporale all’interno dell’articolo 3, il quale asseriva che la disciplina in oggetto sarebbe stata applicata per soli tre mandati consecutivi a partire dal primo rinnovo degli organi societari successivo alla data di entrata in vigore del regolamento, corrispondente, nel caso delle società a controllo pubblico, al novembre del 2013.

L’intento perseguito dal legislatore italiano con l’imposizione di quote vincolanti ma temporanee era quello di incoraggiare le imprese a sperimentare i benefici derivanti dalla gender diversity, con la speranza che ciò potesse determinare un cambiamento della cultura aziendale in grado di incidere sulla concezione di governance e renderla maggiormente inclusiva; il rapporto redatto dalla Consob mostra che effettivamente nel 2021, tra le 22 imprese ormai giunte al quarto rinnovo degli organi sociali a seguito dell’entrata in vigore della L. n. 120/2011, e pertanto non più tenute al rispetto del criterio del riparto di genere, le donne continuavano comunque a rappresentare più di un terzo dei membri dei boards occupando il 34,2% delle poltrone[10].

Tuttavia, nonostante questi dati positivi, occorre osservare come nei fatti un numero esiguo di società quotate italiane abbia realizzato le dovute modifiche statutarie atte ad assicurare il mantenimento della gender diversity negli organi sociali anche qualora fossero venuti meno gli obblighi legislativi, le più virtuose sono state quattro realtà societarie, Enel, Tim, Ubi Banca e Leonardo, che hanno previsto nei rispettivi statuti delle apposite clausole volte a preservare le quote di genere a prescindere dall’orizzonte temporale stabilito dal provvedimento[11].   

La legge Golfo-Mosca ha indubbiamente rappresentato un traguardo importante per l’affermazione della parità di genere in ambito societario, ma non costituisce il punto di arrivo del percorso verso la piena equiparazione tra donne e uomini nei vertici aziendali. A seguito di tale normativa si sono infatti resi necessari ulteriori interventi volti, da un lato, a consolidare i risultati raggiunti e, dall’altro, a correggere quelle che erano delle lacune ravvisabili nelle iniziali previsioni in tema di quote di genere.

2. Il consolidamento delle norma sulle quote di genere nelle società quotate: la legge di bilancio 2020 e il nuovo codice di corporate governance

Le regole inerenti alle quote di genere per le società quotate sono state in parte riscritte dalla legge di bilancio del 2020, la n. 160 del 2019, la quale ha consolidato le norme riguardanti tali società, tuttavia, introducendo delle modifiche unicamente per questa macrocategoria di imprese, ha contribuito anche ad accentuare il disallineamento già esistente tra la disciplina riservata alle società quotate e quella invece dedicata alle società a controllo pubblico.

In particolare, le iniziali disposizioni ricomprese nella legge n. 120/2011 differivano per quanto concerne l’individuazione degli organi preposti alla vigilanza e il meccanismo sanzionatorio, mentre prevedevano per entrambe le tipologie societarie il rispetto dei medesimi obblighi di riparto tra i generi nella composizione degli organi di amministrazione e controllo; infatti, sia alle società quotate che alle società a controllo pubblico, veniva imposto di riservare al genere meno rappresentato un terzo dei posti disponibili all’interno di tali organi, stabilendo inoltre che il vincolo avrebbe avuto una durata temporale limitata a soli tre mandati. L’uniformità introdotta dalla legge Golfo-Mosca in relazione a queste ultime previsioni è però venuta meno a seguito dell’approvazione del d.lgs. n. 175 del 2016, il quale ha determinato l’adozione del Testo Unico di riordino delle società a partecipazione pubblica, e poi con il varo della legge di bilancio n. 160 del 2020[12].

Quest’ultima è stata preceduta da due distinti progetti di legge, il d.d.l. n. 1028/2019 e il d.d.l. n. 1095/2019, che proponevano di modificare gli articoli 147-ter e 148 TUF nella parte in cui ciascun disposto sanciva una validità degli obblighi limitata a “tre mandati”, estendendo l’operatività dei vincoli a “sei mandati”. Le due proposte sottolineavano la necessità di rimuovere gli ostacoli che impediscono una parità di accesso alle posizioni di vertice delle società quotate, nonché gli effetti positivi correlati alla board gender diversity: l’idea di base era che un ulteriore intervento legislativo temporalmente limitato avrebbe potuto consolidare gli obiettivi raggiunti e renderli permanenti, contribuendo anche ad innescare dei comportamenti imitativi dei modelli di governance maggiormente inclusivi aldilà dell’ambito di applicazione individuato dalla normativa. I due d.d.l. sono poi confluiti in un unico provvedimento legislativo, l’articolo 58 sexies, l. n. 157 del 19 dicembre 2019, che è poi stato abrogato e trasfuso nell’articolo 1, comma 302, della Legge di Bilancio 2020, con cui sono stati modificati i disposti del TUF citati poc’anzi, stabilendo che le società per azioni quotate debbano prevedere nei propri statuti un criterio di riparto degli amministratori e dei sindaci da eleggere in grado di garantire al genere meno rappresentato almeno “i due quinti” dei posti a disposizione, estendendo inoltre la validità dell’obbligo per “sei mandati consecutivi”[13].

La nuova disciplina ha tuttavia sollevato sin da subito dubbi ed incertezze riguardanti sia il numero dei mandati sia l’applicazione del nuovo criterio del riparto nel caso in cui gli organi societari risultino formati da soli tre componenti. Per quanto concerne il numero dei mandati entro cui le disposizioni devono aver trovato applicazione, l’articolo 1, comma 304, L. 160/2019 afferma solo che «Il criterio di riparto di almeno due quinti previsto dai commi 302 e 303 si applica a decorrere dal primo rinnovo degli organi di amministrazione e controllo delle società quotate in mercati regolamentati successivo alla data di entrata in vigore della presente legge»[14], sarà poi la Consob che, nel recepire le modifiche apportate alla normativa, con la Delibera n. 21359 del 13 maggio 2020 introdurrà al comma 1 dell’articolo 144-undecies.1 del Regolamento Emittenti una precisazione inerente all’operatività temporale del nuovo criterio del riparto, stabilendo che quest’ultimo debba essere applicato «per sei mandati consecutivi a decorrere dal primo rinnovo successivo all’1 gennaio 2020»[15]. Così facendo la data di scadenza delle previsioni ricomprese nella legge n. 120/2011 viene nettamente prorogata, pur salvaguardando sempre la temporaneità di queste ultime, e pertanto, sulla base delle nuove regole in tema di parità di genere, nel caso in cui una società quotata avesse provveduto al rinnovo dei componenti degli organi sociali durante la primavera-estate 2020 le relative disposizioni avrebbero continuato ad essere valide sino al 2038[16].

Un’ulteriore perplessità circa le novità introdotte dalla legge di bilancio 2020 riguardava poi l’innalzamento della quota da riservare al genere meno rappresentato da un terzo a due quinti, una previsione che in determinati casi non risulta così semplice da attuare; infatti, prendendo in considerazione i collegi sindacali, tipicamente semi-rigidi e che a seconda delle scelte operate dallo statuto possono contare dai tre ai cinque membri, il nuovo criterio del riparto, così come individuato dal provvedimento, appare inapplicabile a tali organi per impossibilità aritmetica[17]. Nel merito è nuovamente intervenuta la già citata Delibera della Consob del maggio del 2020, la quale ha modificato il comma 3 dell’articolo 144-undecies.1 del Regolamento Emittenti prevedendo che nel caso in cui gli organi sociali risultino formati da tre componenti «l’arrotondamento avviene per difetto all’unità inferiore»[18], una soluzione che, tuttavia, appare in contrasto con gli obiettivi del legislatore, il quale con le nuove disposizioni normative sembra essere intenzionato ad incrementare il più possibile la differenziazione tra i generi negli organi di governo societari.

In generale, analizzando le modifiche apportate dalla legge n. 160 del 2019 al testo della legge Golfo-Mosca, si può constatare come il principale proposito dell’intervento riformatore fosse quello di continuare il percorso di sensibilizzazione intrapreso dalla normativa sulle quote del 2011, sviluppando ulteriormente il tema dell’equilibrio di genere negli organi sociali fino ad arrivare a superare il confine che circoscrive le quote di genere ai consigli di amministrazione e agli organi di controllo delle società con azioni quotate.

Lo stesso fine è ravvisabile anche nei recenti interventi di autoregolamentazione che si sono interessati di board gender diversity: tra i più significativi e rilevanti rientrano certamente le raccomandazioni ricomprese nel Codice di Autodisciplina delle società quotate. Quest’ultimo, elaborato dal Comitato per la Corporate Governance istituito presso la Borsa italiana S.p.A., con le previsioni introdotte nella versione del 2018, che sono poi state ulteriormente rafforzate da quella approvata nel 2020, contempla il principio della diversità nella composizione degli organi sociali. Nonostante la recente edizione del 2020 manchi di recepire l’innalzamento della quota riservata al genere meno rappresentato previsto dalla legge n. 160/2019, il nuovo Codice presenta comunque degli importanti elementi di novità[19]: ricollegandosi alle previsioni ricomprese nelle versione del 2018 invita gli emittenti ad adottare i criteri di diversità di genere per la formazione dei boards, stabilendo che, a partire dal primo rinnovo successivo alla cessazione degli effetti delle norme che impongono una quota pari o superiore a quella raccomandata dal Codice di Autodisciplina, almeno un terzo dei componenti debba appartenere al genere meno rappresentato[20], ma soprattutto il disposto dell’articolo 2 del nuovo Codice incoraggia le società quotate a dotarsi delle «misure atte a promuovere la parità di trattamento e di opportunità tra i generi all’interno dell’intera organizzazione aziendale, monitorandone la concreta attuazione»[21], confermando in tal modo l’intento ormai diffuso, almeno per quanto concerne la realtà imprenditoriale privata, di accrescere la diversità di genere entro tutti i livelli delle imprese e non solo nei vertici di queste ultime.

3. Le società a controllo pubblico e la disciplina sull’equilibrio di genere: le novità introdotte dal D.lgs n. 175 del 2016 (TUSPP) e dalla legge n.162 del 2021

Le problematiche a cui si è fatto cenno precedentemente, con riferimento all’estensione della normativa sulle quote alle società a controllo a pubblico, hanno reso necessari degli interventi legislativi volti a riorganizzare la disciplina.

Per quanto concerne le partecipazioni societarie delle amministrazioni pubbliche, nel merito l’articolo 18 della legge 7 agosto 2015, n. 124, ha delegato il Governo ad adottare un decreto legislativo per riordinare la materia in oggetto, che ha portato all’approvazione del d.lgs. 175/2016, anche noto come Testo Unico in materia di società a partecipazione pubblica (TUSPP), il quale, all’articolo 11, comma 4, ricomprende anche delle disposizioni inerenti all’equilibrio di genere negli organi societari delle società a partecipazione pubblica. In particolare, tale previsione normativa non si limita a richiamare i criteri stabiliti dalla legge Golfo-Mosca e poi ripresi dal d.P.R. 251/2012, ma introduce anche degli elementi di novità a tutela del principio della parità di genere nelle società controllate da pubbliche amministrazioni[22].

Il disposto dell’art. 11, co. 4, sancisce infatti che «nella scelta degli amministratori delle società a controllo pubblico, le amministrazioni assicurano il rispetto del principio di equilibrio di genere, almeno nella misura di un terzo, da computare sul numero complessivo delle designazioni o nomine effettuate in corso d’anno. Qualora la società abbia un organo amministrativo collegiale, lo statuto prevede che la scelta degli amministratori da eleggere sia effettuata nel rispetto dei criteri stabiliti dalla legge 12 luglio 2011, n. 120»[23], attribuendo dunque l’onere di far rispettare l’obbligo del criterio del riparto alle Pubbliche Amministrazioni, e non più alle società controllate a cui è rivolto il vincolo, riuscendo così ad estendere la portata applicativa del principio della parità di genere anche a quelle imprese che essendo dotate di un organo amministrativo monocratico risultavano escluse dalla disciplina; in tal modo la norma assicura un doppio livello di tutela all’equilibrio tra i generi: un primo livello di cui è incaricata l’amministrazione locale, la quale deve accertarsi che il criterio sia rispettato con riferimento al numero complessivo delle nomine da effettuare nelle società a controllo pubblico, ed un secondo livello il quale invece prevede che, nel caso in cui si sia optato per un organo amministrativo collegiale, spetti agli statuti delle singole società il compito di assicurare l’applicazione del criterio del riparto[24].      

Nonostante le novità introdotte dal TUSPP, la disciplina sull’equilibrio di genere nelle società a controllo pubblico continua ad essere caratterizzata da persistenti lacune normative ma, soprattutto, le disposizioni risultano ancora fortemente disallineate rispetto a quelle dedicate alle società quotate. Partendo dalle carenze legislative che il d.lgs. del 2016 non è riuscito a colmare, la più importante è certamente rappresentata dall’assenza di uno specifico sistema sanzionatorio in caso di violazione dell’art. 11, co. 4; se, infatti, per lo specifico caso di un organo amministrativo collegiale si potrebbe supporre che l’espresso richiamo ai criteri previsti dalla legge Golfo-Mosca possa estendersi anche alle previsioni inerenti al monitoraggio e alla vigilanza, nessuna disposizione analoga è invece rintracciabile nell’ipotesi in cui spetti alle amministrazioni pubbliche assicurare il rispetto dell’equilibrio tra i generi. L’art. 11, co. 4, così formulato comporta dunque delle problematiche applicative: in particolare, nell’eventualità che nel corso dell’anno le designazioni o nomine effettuate dalle amministrazioni pubbliche siano ridotte ad una o due, l’assenza di sanzioni potrebbe portare ad eludere l’obbligo di assegnare un terzo degli incarichi al genere meno rappresentato stabilito dalla norma. Si può pertanto concludere che la mancanza di strumenti coercitivi non solo rappresenta un punto debole della normativa, ma potrebbe anche neutralizzare le novità introdotte con il Testo unico di riordino delle società a partecipazione pubblica[25].

Le criticità ravvisabili nella nuova normativa riservata alle società a controllo pubblico, unite alle differenze innescate dalla legge di bilancio 2020, hanno contribuito ad incrementare il disallineamento già esistente tra società quotate e società partecipate pubbliche. Nello specifico, la discrepanza più evidente tra le due discipline è rintracciabile nella quota da riservare al genere sottorappresentato, la quale nelle società a partecipazione pubblica continua a corrispondere ad un terzo mentre invece, come è stato osservato, per le società quotate è stata innalzata a due quinti;  inoltre, benché sia la legge n. 120/2011 sia la legge n. 160/2019 estendano entrambe l’applicazione del criterio del riparto anche agli organi di vigilanza, altrettanto non può dirsi per il d.lgs. 175/2016, nel quale risulta assente qualsiasi riferimento alla rappresentanza di genere negli organi controllo.

Un ulteriore elemento di difformità riguarda poi la previsione di un limite temporale che precisi il numero dei mandati per i quali le disposizioni sono da ritenersi valide, una delimitazione presente tanto nella legge Golfo-Mosca quanto nella legge bilancio del 2020, ma nuovamente mancante nel TUSPP, e che ha portato a ritenere che quest’ultimo desse per scontata un’operatività sine die delle nuove regole[26].

Le osservazioni finora operate portano a concludere che la normativa così prevista per tali tipologie di imprese non avesse ancora superato le carenze che l’accompagnavano sin dall’emanazione della legge Golfo-Mosca. Si rendeva quindi necessario un ulteriore intervento legislativo che è stato realizzato dalla legge n. 162 del 5 novembre del 2021, la quale, introducendo delle modifiche alle disposizioni in materia di pari opportunità tra uomo e donna in ambito lavorativo, con il disposto dell’articolo 6, comma 1, ha previsto degli importanti elementi di novità per quanto concerne la disciplina sull’equilibrio di genere nelle società a controllo pubblico.

L’intenzione era quella di riallineare, quanto meno in parte, tale legislazione con quella delle società quotate, pertanto il disposto in questione estende alle società a controllo pubblico le previsioni dell’art. 147-ter, co.1-ter, TUF imponendo anche per tali tipologie societarie l’obbligo di assicurare i due quinti degli amministratori eletti al genere meno rappresentato, e chiarendo in tal modo alcuni dei dubbi sollevati dal TUSPP sulla durata temporale dei vincoli, infatti, a seguito della l. n. 162/2021, con riferimento al consiglio di amministrazione «tale criterio di riparto si applica per sei mandati consecutivi»[27]. Sebbene fosse questo il principale scopo perseguito dal legislatore, l’articolo 6, comma 1, della legge n.162/2021 non appare scritto benissimo, infatti richiamando per intero l’art. 147-ter, co. 1-ter, sembra che il provvedimento intenda estendere alle società a controllo pubblico anche il regime sanzionatorio previsto per le società quotate, nonché la vigilanza della Consob;[28] 

Quasi certamente si tratta di una svista da parte del legislatore, ma sarà il regolamento che ancora deve essere adottato, in attuazione delle modifiche introdotte dalla l. n. 162/2021, che dovrà fare chiarezza in materia. Una delle maggiori lacune riscontrabili tanto nel d.P.R. 251/2012 quanto nel d.lgs. 175/2016 era rappresentata dal fatto che tali interventi non ricomprendessero delle specifiche sanzioni pecuniarie in caso di violazione del criterio del riparto tra i generi, la l. n. 162/2021 avrebbe potuto colmare tale mancanza, ma a quanto pare questo compito spetterà ai futuri interventi legislativi.

La legge n.162/2021 rappresenta certamente un importante traguardo in tema di parità tra donne e uomini, in particolare l’articolo 6, ponendosi come obiettivo quello di rimediare alle discrasie esistenti nella disciplina sulle quote tra società a controllo pubblico e società quotate, contribuisce a chiarire dei dubbi interpretativi rimasti irrisolti, tuttavia, finisce anche per generarne di nuovi; infatti, oltre alle perplessità espresse poc’anzi, la scelta di estendere alle società a controllo pubblico unicamente l’art. 147-ter, co. 1-ter, e non anche l’art. 148, co. 1-bis, ricomprendente le previsioni inerenti al criterio del riparto negli organi di controllo, porta a chiedersi se per questi ultimi dovranno continuare a far fede le disposizioni previste dal d.P.R n. 251 del 2012 in tema di quote riservate al genere meno rappresentato e di durata temporale delle norme.

4. Conclusioni

L’analisi inerente all’evoluzione subita dalla normativa italiana sulle quote di genere a seguito dell’entrata in vigore della legge Golfo-Mosca evidenzia quello che risulta essere, allo stato attuale, uno scenario estremamente frammentato e ancora molto lacunoso; infatti, gli interventi realizzati dopo la l. n. 120/2011 hanno contribuito a delineare un quadro d’insieme entro il quale, in sostanza, coesistono due legislazioni parallele e distinte, che solo a tratti coincidono: da un lato, la disciplina vigente per le società quotate, così come modificata dalla legge di bilancio del 2020 e, dall’altro, quella operante per le società a controllo pubblico con le novità introdotte dal TUSPP e dalla legge n. 162/2021. A fronte delle problematiche interpretative e dei disallineamenti che caratterizzano le norme sull’equilibrio di genere negli organi di governo societari, sembrerebbe dunque necessario un intervento legislativo in materia volto ad unificare le varie previsioni esistenti e chiarire i dubbi rimasti irrisolti, tuttavia, sarebbe peraltro auspicabile arrivare al superamento del sistema delle quote di salvaguardia di genere, le quali sono state presentate dalla stessa legge Golfo-Mosca come uno strumento d’ausilio meramente temporaneo[29].

La previsione di una clausola di delimitazione temporale, come si è osservato in questo contributo, si poneva come obiettivo quello di far sperimentare alle imprese i benefici derivanti dalla gender diversity nei boards, con la speranza che ciò potesse persuadere le società a perseguire la strada dell’inclusione attraverso iniziative volontarie; tale traguardo non è ancora stato raggiunto, pertanto, almeno per ora, i vincoli legislativi appaiono indispensabili per il mantenimento della parità di genere nei vertici aziendali, ciò nonostante, le recenti iniziative di autoregolamentazione intraprese per incrementare la presenza femminile nelle posizioni apicali, quali  le raccomandazioni ricomprese nel Codice di Autodisciplina delle società quotate a cui si è fatto cenno, evidenziano che la diversità di genere negli organi societari è ormai percepita come un fattore positivo per le imprese, quasi indispensabile. Tali dati testimoniano, inoltre, che la diversità in Italia inizia finalmente ad essere recepita come un valore da coltivare, aspetto che porta a guardare con fiducia al futuro della normativa nazionale sulle quote, la quale, a prescindere dal successo ottenuto in termini di miglioramento della presenza di donne negli organi di governo societari delle imprese italiane interessate dalla normativa, presenta ancora dei punti deboli.


Note e riferimenti bibliografici

[1] M. BIANCO, A. CIAVARELLA, R. SIGNORETTI, Women on Boards in Italy, in CONSOB Working Paper, 2011, 70.

[2] La L. n. 120/2011 con l’art. 1, comma 1, apporta modifiche all’art 147-ter TFU inserendovi l’art. 1-ter, e afferma che “Lo statuto prevede, inoltre, che il riparto degli amministratori da eleggere sia effettuato in base a un criterio che assicuri l’equilibrio tra i generi. Il genere meno rappresentato deve ottenere almeno un terzo degli amministratori eletti. Tale criterio di riparto si applica per tre mandati consecutivi”; con l’art. 1, comma 2, modifica l’art. 147-quater TUF inserendovi il comma 1-bis, ed amplia lo spettro d’azione dell’articolo 1, stabilendo che esso dovesse essere rispettato anche dalle società che avevano scelto il modello dualistico “qualora il consiglio di gestione sia costituito da un numero di componenti non inferiore a tre, ad esso si applicano le disposizioni dell’articolo 147-ter, comma 1-ter”; con l’art. 1, comma 3, modifica l’art. 148 TUF inserendovi il comma 1-bis, imponendo l’osservanza delle quote di genere anche al collegio sindacale, affermando con riferimento a quest’ultimo che “l’atto costitutivo delle società stabilisce, inoltre, che il riparto dei membri di cui al comma 1 sia effettuato in modo che il genere meno rappresentato ottenga almeno un terzo dei membri effettivi.”

[3] L’art. 3, comma 1, L. n. 120/2011 utilizza la tecnica del rinvio per estendere alle società a controllo pubblico le disposizioni ricomprese nella normativa, ossia l’articolo 1 e l’articolo 2, e con il comma 2 precisa che “con regolamento da adottare entro due mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge ai sensi dell’articolo 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400” ossia entro ottobre del 2012, “sono stabiliti termini e modalità di attuazione del presente articolo al fine di disciplinare in maniera uniforme per tutte le società interessate, in coerenza con quanto previsto dalla presente legge, la vigilanza sull’applicazione della stessa, le forme e i termini dei provvedimenti previsti e le modalità di sostituzione dei componenti decaduti.”

[4] C. SICCARDI, Le quote di genere nei consigli di amministrazione e controllo delle società: problematiche costituzionali, in Rivista AIC, 2013, 3.

[5] Art. 3, comma 2, Costituzione “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”

[6] La principale discrasia era rintracciabile nel sistema sanzionatorio che accompagnava le previsioni normative, infatti per le società a controllo pubblico venne previsto un procedimento meno efficiente di quello delineato per le società quotate dagli articoli 147-ter, comma 1-ter, e 148, comma 1-bis, il quale si sviluppava su ben tre livelli che contemplano misure punitive sempre più severe, ma soprattutto ricomprendeva il ricorso alla sanzione amministrativa pecuniaria, uno strumento che non era invece stato preso in considerazione dall’apparato sanzionatorio dedicato alle società a controllo pubblico; inoltre, per le società a controllo pubblico non esisteva alcun tipo di “mappatura” quando venne varata la legge Golfo-Mosca, pertanto si rivelava difficile identificare tutte le società interessate dalla normativa. A tali problematiche di partenza si andava poi ad aggiungere il fatto che, come figure preposte ai compiti di vigilanza e controllo, vennero identificati il Presidente del Consiglio dei Ministri o il Ministro delegato per le pari opportunità, per i quali tale ruolo rappresentava un’ulteriore aggiunta alle già molteplici mansioni loro assegnate, aspetto che non agevolava lo svolgimento di una vigilanza penetrante e costante come quella invece esercitata dalla Consob sulle società quotate.

[7] Tale clausola di delimitazione temporale era rintracciabile nel disposto dell’art. 2 L. n. 120/2011, il quale stabiliva inoltre che le nuove norme avrebbero trovato applicazione a partire dal primo rinnovo degli organi di amministrazione e degli organi di controllo delle società quotate in mercati regolamentati ad un anno dall’entrata in vigore della legge, ossia per i rinnovi degli organi sociali scaduti a partire dall’approvazione del bilancio dell’esercizio 2012.

[8] Come precisato dalla Consob nella Comunicazione DIE n. 0061499 del 18 luglio 2013.

[9] B. PETRAZZINI, Le donne nei c.d.a.: dati empirici e prospettive, in Speriamo che sia femmina: l'equilibrio fra i generi nelle società quotate e a controllo pubblico nell'esperienza italiana e comparata, a cura di Mia Callegari, Eva R. Desana e Marcella Sarale, Torino, Rubbettino Editore, 2021, 133 ss.

[10] N. LINCIANO, A. CIAVARELLA, G. DI STEFANO, R. SIGNORETTI, L. PIERANTONI, E. DELLA LIBERA, E. FRASCA, Report on corporate governance of Italian listed companies, 2021, reperibile sul sito www.consob.it

[11]  B. PETRAZZINI, Le donne nei c.d.a.: dati empirici e prospettive, in Speriamo che sia femmina: l'equilibrio fra i generi nelle società quotate e a controllo pubblico nell'esperienza italiana e comparata, a cura di Mia Callegari, Eva R. Desana e Marcella Sarale, Torino, Rubbettino Editore, 2021, 133 ss.

[12] E.R. DESANA, F. MASSA FELSANI, Democrazia paritaria e governo delle imprese. Nuovi equilibri e disallineamenti della disciplina, in federalismi.it, 2020, 24, reperibile sul sito www.federalismi.it

[13] B. PETRAZZINI, Le donne nei c.d.a.: dati empirici e prospettive, in Speriamo che sia femmina: l'equilibrio fra i generi nelle società quotate e a controllo pubblico nell'esperienza italiana e comparata, a cura di Mia Callegari, Eva R. Desana e Marcella Sarale, Torino, Rubbettino Editore, 2021, 133 ss.

[14] Legge 27 dicembre 2019, n. 160, articolo 1, comma 304, reperibile sul sito www.gazzettaufficiale.it

[15] Consob, Delibera n. 21359 del 13 maggio 2020, articolo 1, comma 2, punto a), reperibile sul sito www.consob.it

[16] E. R. DESANA, F. MASSA FELSANI, Democrazia paritaria e governo delle imprese. Nuovi equilibri e disallineamenti della disciplina, in federalismi.it, 2020, fascicolo 24, reperibile sul sito www.federalismi.it

[17] Ibid., p.11.

[18] Consob, Delibera n. 21359 del 13 maggio 2020, articolo 1, comma 2, punto b), reperibile sul sito www.consob.it

[19] E. R. DESANA, F. MASSA FELSANI, Democrazia paritaria e governo delle imprese. Nuovi equilibri e disallineamenti della disciplina, in federalismi.it, 2020, fascicolo 24, reperibile sul sito www.federalismi.it

[20] B. PETRAZZINI, Le donne nei c.d.a.: dati empirici e prospettive, in Speriamo che sia femmina: l’equilibrio fra i generi nelle società quotate e a controllo pubblico nell’esperienza italiana e comparata, a cura di Mia Callegari, Eva R. Desana e Marcella Sarale, Torino, Rubbettino Editore, 2021, 133 ss.

[21] Codice di Corporate Governance 2020, articolo 2, raccomandazione 8, reperibile sul sito www.borsaitaliana.it

[22]  T.S. MUSUMECI, L'equilibrio di genere negli organi sociali delle società a controllo pubblico: le novità del TUSPP, in Speriamo che sia femmina: l’equilibrio fra i generi nelle società quotate e a controllo pubblico nell’esperienza italiana e comparata, a cura di Mia Callegari, Eva R. Desana e Marcella Sarale, Torino, Rubbettino Editore, 2021, 121 ss.

[23] Decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 175, articolo 11, comma 4.

[24] T.S. MUSUMECI, L'equilibrio di genere negli organi sociali delle società a controllo pubblico: le novità del TUSPP, in Speriamo che sia femmina: l’equilibrio fra i generi nelle società quotate e a controllo pubblico nell’esperienza italiana e comparata, a cura di Mia Callegari, Eva R. Desana e Marcella Sarale, Torino, Rubbettino Editore, 2021, 121 ss.

[25] Ibidem.

[26] E. R. DESANA, F. MASSA FELSANI, Democrazia paritaria e governo delle imprese. Nuovi equilibri e disallineamenti della disciplina, in federalismi.it, 2020, 24, reperibile sul sito www.federalismi.it

[27 Legge 5 novembre 2021, n. 162, articolo 6, reperibile sul sito www.gazzettaufficiale.it

[28] la L. n. 162 del 5 novembre 2021 all' articolo 6, comma 1,  sancisce infatti che "Le disposizioni di cui al comma 1-ter dell'articolo 147-ter del testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, si applicano anche alle societa', costituite in Italia, controllate da pubbliche amministrazioni ai sensi dell'articolo 2359, commi primo e secondo, del codice civile, non quotate in mercati regolamentati", e nelle note all'articolo pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale viene anche riportato in toto il testo dell'art. 147-ter, comma 1-ter, nella versione modificata dalla legge di bilancio del 2020 ed in vigore per le società quotate.

[29] T. S. MUSUMECI, L’equilibrio di genere negli organi sociali delle società a controllo pubblico: le novità del TUSPP, in Speriamo che sia femmina: l’equilibrio fra i generi nelle società quotate e a controllo pubblico nell’esperienza italiana e comparata, a cura di Mia Callegari, Eva R. Desana e Marcella Sarale, Torino, Rubbettino Editore, 2021, 121 ss.