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Pubbl. Gio, 16 Giu 2022
Sottoposto a PEER REVIEW

La pena di morte nella Costituzione degli Stati Uniti: il principio dignità e i suoi riflessi sul V e VIII emendamento

Michele Deodato



Il saggio analizza la difficile coesistenza della relazione tra il principio dignità e l´VIII emendamento della Costituzione degli Stati Uniti del 1787 alla luce dei recenti casi della Corte Suprema (Baze v. Rees e Bucklew v. Precythe). In particolare, il saggio esamina la stretta correlazione tra il principio dignità e il principio libertà e le loro ripercussioni sulla relazione con la pena di morte e viene evidenziata una possibile interpretazione ermeneutica, secondo la costituzione vivente, del V ed VIII emendamento


Sommario: 1. Considerazioni preliminari; 2. Il ruolo del giudice di common law negli Stati Uniti; 3. Lo sviluppo del balancing test e la sua evoluzione giurisprudenziale; 4. Querelle tra sostenitori dell’Original Intent e della living constitution; 5. Dignity and liberty nella Costituzione USA del 1787 come un Giano Bifronte dello stesso diritto; 6. Il principio dignità e l’VIII emendamento e il rapporto con la death penality nella Costituzione USA 1787 Als Ganzes; 7.  Judicial review of legislation: prospettive e sviluppi futuri di un sindacato di legittimità costituzionale di tipo diffuso, ispirato al judicial review of legislation, nel sistema di giustizia costituzionale italiano.

Sommario: 1. Considerazioni preliminari; 2. Il ruolo del giudice di common law negli Stati Uniti; 3. Lo sviluppo del balancing test e la sua evoluzione giurisprudenziale; 4. Querelle tra sostenitori dell’Original Intent e della living constitution; 5. Dignity and liberty nella Costituzione USA del 1787 come un Giano Bifronte dello stesso diritto; 6. Il principio dignità e l’VIII emendamento e il rapporto con la death penality nella Costituzione USA 1787 Als Ganzes; 7.  Judicial review of legislation: prospettive e sviluppi futuri di un sindacato di legittimità costituzionale di tipo diffuso, ispirato al judicial review of legislation, nel sistema di giustizia costituzionale italiano.

1. Considerazioni preliminari

Ebbe un bel dire le volontà sono libere e che non voleva né l’una né l’altra cosa, fu necessario fare una scelta. Si risolse in virtù del dono di Dio che si chiama libertà, a passare trentasei volte sotto le bacchette”[1]

Si è scelto di iniziare il paragrafo con una citazione del filosofo francese, poiché essa embrica perfettamente la concezione assiologica del principio libertà nel XVIII secolo. In tale paragrafo iniziale si delineerà l’evoluzione del principio libertà in rapporto con la parallela evoluzione delle esigenze di sicurezza e con il libero arbitrio.

Si metterà altresì in risalto il rapporto tra il principio libertà e le esigenze di sicurezza che richiedono le società postmoderne del rischio che può analizzato solo mediante la tecnica del bilanciamento. È nell’ottica del bilanciamento che deve, de plano, essere affrontato il complesso rapporto tra libertà e sicurezza. Il principio libertà, infatti, è uno dei valori fondativi della Costituzione statunitense del 1787 (si pensi al I emendamento).

Pertanto, prima di iniziare l'analisi del complesso rapporto tra il principio dignità e la pena di morte, è necessario delineare la genesi della Costituzione USA del 1787 e il processo di formazione degli Stati Uniti d’America. È opportuno soffermarsi brevemente sugli eventi che portarono all'indipendenza delle 13 colonie inglesi dalla madrepatria. Così come le rivoluzioni sono spinte da motivazioni politico-sociali, allo stesso modo anche le guerre di indipendenza hanno un sostrato di ragioni politico-sociali.

Per comprendere le motivazioni che condussero alla formazione degli Stati Uniti d’America, è e necessario tenere ben presente la composizione della popolazione, che abitava nel 13 colonie del Nord America. Le summenzionate colonie britanniche ebbero fin dall'inizio un forte contenuto pluralistico, dovuto principalmente alle guerre di religione che avevano coinvolto l'Europa (e che si conclusero con la pace di Westfalia del 1648) e che di conseguenza avevano costretto coloro che venivano perseguitati nel continente europeo, a causa della propria fede, a spostarsi in altri territori, come giustappunto il Nord America.

Delle 13 colonie inglesi oltreoceano. “Nella seconda metà del Settecento erano divise in tre grandi aree dai caratteri relativamente distinti. L'area settentrionale era popolata in prevalenza da immigrati di origini inglese e puritani (puritanesimo). L'agricoltura era fiorente e la terra era in gran parte nelle mani di piccoli e medi proprietari. La pesca aveva un ruolo importante il commercio era sviluppato. Anche nelle colonie dell'area centrale prosperava l'agricoltura, ma il ceto dominante era costituito da agiati commercianti. Assai alta era la componente della popolazione venuta dalla Germania e dall'Olanda. Qui era forte il senso della tolleranza religiosa, data la molteplicità delle sette protestanti”[2].

L’elemento religioso, pertanto, ebbe molta importanza nei territori delle 13 colonie oltreoceano e la tolleranza ed il compromesso furono essenziali per evitare guerre di religione, e caratterizzarono così i nascenti Stati Uniti d'America. Le 13 colonie britanniche ebbero, dunque, un forte contenuto pluralistico, frutto dell'incontro di diverse culture e religioni. Poste tali premesse di carattere sociologico-culturale, va tenuto dunque presente che alla base della rivoluzione americana, più che un problema di carichi fiscali troppo elevati nei confronti dei coloni, fu centrale il problema della rappresentanza.

È noto che il motto dei rivoluzionari americani fu no taxation without representation.  Tale pretesa ebbe origine dalla guerra dei Sette anni (1756-1763), “durante la quale i coloni avevano sostenuto attivamente la Gran Bretagna contro la Francia; le colonie si erano rafforzate in questi ultimi anni attraverso l'aspirazione alla parità con i cittadini britannici e ad avere una propria rappresentanza nel Parlamento di Londra. Il governo britannico, invece, per rafforzare le nuove conquiste e di stabilire delle finanze statali, ribadì il vincolo coloniale ed inasprì (1763-1765) la politica fiscale (tasse sugli zuccheri e imposta di bollo), generando un crescente malcontento”[3].

Fu così, dunque che si acuì lo scontro tra la madrepatria e le tredici colonie del Nord America, ed in particolare “la nuova legge sul tè (Tea act) del 1773 e l'introduzione delle c.d. leggi intollerabili (Coercitive acts), volevano le libertà locali accentrando il potere nelle mani delle autorità politiche e militari britanniche, che provocarono la reazione dei coloni che convocarono (1774) a Filadelfia il primo Congresso continentale”[4].

Dopo tale Congresso la lotta d’indipendenza divenne militare e le tredici colonie britanniche cominciarono a lottare per la loro indipendenza dalla Corona e dal governo britannico. I “successivi scontri (1775) tra le truppe britanniche e i gruppi di ribelli diedero il via alla ribellione armata, che assunse i tratti di una guerra di liberazione nazionale”[5]. Infatti, gli scontri si acuirono e la “rescissione formale dei rapporti con la Gran Bretagna avvenne il 4 luglio 1776 con la Dichiarazione di Indipendenza redatta da T. Jefferson, in cui si sanciva la forma repubblicana del nuovo paese; si affermavano i diritti naturali e inalienabili dell'uomo (vita, libertà e felicità), il principio della sovranità popolare e il diritto dei popoli alla rivoluzione e all'indipendenza”[6]. Fu solamente con “la Pace di Parigi (1783), che la Gran Bretagna riconobbe l'indipendenza delle ex colonie costituitesi negli Stati Uniti d’America”[7].

A differenza di molte altre rivoluzioni, gli Stati Uniti d’America tardarono ad avere una costituzione scritta ed un catalogo di diritti. Quest'ultimo arrivò soltanto nel 1791 con i dieci emendamenti, che introdussero nella Costituzione del 1787, un catalogo dei diritti (definito Bill of Rights). Tale cambiamento, dapprima la redazione di un testo costituzionale nel 1787 e successivamente una carta dei diritti, rappresentò un punto di svolta nella storia del costituzionalismo.

La costituzione degli Stati Uniti non solo precedette cronologicamente le varie carte costituzionali che furono redatte nel continente europeo nel corso del XVIII e XIX secolo, ma portò alla creazione di un modello di giustizia costituzionale. Difatti, “storicamente la giustizia costituzionale, intesa soprattutto come giudizio sulla conformità della legge alla costituzione (la judical review of legislation), nasce nell'esperienza nordamericana, decenni dopo la proclamazione dell'indipendenza e l'approvazione della Costituzione del 1787”[8], sviluppando così un sindacato di costituzionalità delle leggi, che aveva eguali solo in Inghilterra, seppur con modalità differenti. La costituzione statunitense venne concepita dai Framers, come una carta di tipo rigido “nel senso che prevedeva un particolare procedimento per la sua revisione (quello estremamente complesso disciplinato dall'emendamento V), ma non prevedeva un sistema di giustizia costituzionale pur contenendo il suo emendamento VI co. 2, la seguente affermazione “Questa Costituzione […] Costituisce la legge Suprema del Paese e i giudici di ogni Stato saranno tenuti a conformarsi ad essa […]”; una disposizione chiara nel collocare le norme costituzionali al vertice dell'ordinamento giuridico, in una posizione di supremazia gerarchica nei confronti della legge e di ogni altra fonte”[9], preparando il terreno per lo sviluppo di un solido modello di giustizia costituzionale.

Tale sistema di controllo delle leggi, venne estrapolato dai giudici della Corte Suprema, mediante l'interpretazione sistematica della carta costituzionale. Tale modello di giustizia costituzionale, definito “judical review of legislation, ebbe origine da una famosissima sentenza del presidente della Corte Suprema, il giudice John Marshall (1803), affrontò con grande chiarezza e lucidità il problema del rapporto tra norme costituzionali e norme di legge ordinaria, per arrivare a concludere che, sulla base di quanto disposto dal richiamato VI emendamento co. 2, non potevano esservi dubbi circa la supremazia delle prime rispetto alle seconde, con la conseguenza che spettava ai giudici accertare la conformità delle leggi (che dovevano applicare nei loro giudizi) rispetto alla costituzione e, in caso di accertato contrasto, disapplicare la legge incostituzionale”[10].

La sentenza Malbury v. Madison, redatta mentre la Corte Suprema presieduta dal giudice J. Marshall, segnò un punto di svolta epocale nella storia del costituzionalismo statunitense, ed a fortiori, da quel momento in poi “tutti i giudici americani svolsero questa funzione di garanzia della rigidità della costituzione (esercitata dunque in modo diffuso e non riservata ad un organo giurisdizionale speciale), secondo le regole proprie dell'ordinamento giudiziario e in particolare del principio dello stare decisis (ossia del valore vincolante del precedente giudiziario)”[11], e tale principio fece sì che le sentenze “in punto di costituzionalità o incostituzionalità di una legge, adottate da un giudice, vincolassero la decisione di un altro giudice che avrebbe affrontato successivamente la stessa questione; un vincolo che è che tanto più forte quanto di livello più elevato è il giudice che ha dato luogo al precedente”[12].

L’importanza della testé richiamata sentenza, fu di attribuire ai singoli judges il potere di annullare le leggi in contrasto con la carta fondamentale, e la sentenza non a caso “stabilì che “the Constitution is superior to any ordinary act of the legislature” e che ogni giudice fosse tenuto a considerare nulla (e dunque non applicare) la legge che non fosse conforme a Costituzione”[13].

Va osservato che il principio della c.d. “supremacy of the Constitution venne affermato nel Federalist: nel brano 78 è contenuta l'affermazione che il potere giudiziario è the least dangerous branche che qualora dovesse verificarsi una discordanza insanabile, tra la legge costituzionale e la legge ordinaria si dovrà naturalmente dar prevalenza a quella verso cui si è legati da obblighi maggiori”[14], ossia la Costituzione del 1787. Gli Stati Uniti d’America furono tra i primi paesi a dotarsi di una costituzione scritta. Il lemma costituzione deriva dal vocabolo latino constitutio, e come si ricava facilmente dal verbo constituire, il sostantivo constitutio è traducibile con il vocabolo italiano di fondamenta. Queste sono alla base di qualsiasi edificio (difficilmente un palazzo senza fondamenta resterebbe in piedi, bensì collasserebbe).

Le fondamenta rappresentano, a fortiori, sia il punto di partenza delle costruzioni di un edificio, che le congiunture della costruzione stessa. Allo stesso modo nel diritto costituzionale ed altresì nel diritto pubblico comparato, le Costituzioni sono le fondamenta delle società pluralistiche, nonché le legature delle frammentate società che costituiscono le moderne democrazie pluralistiche. In una famosa frase di Cicerone si legge che “est igitur, inquit Africanus, res publica res populi, populus autem non omnis hominum quoquo modo congregatus, sed coetus moltitudinis iuris consensu et utilitatis comunione sociatus”[15].

Tale frase fu alla base del pensiero della c.d. contrattualistica ed in particolare del pensiero di J. Locke, il quale concepì la società sulla base di un contratto sociale tra individui “(pactum unionis) e teorizzò in piena consonanza con le istanze borghesi della rivoluzione parlamentare inglese e con le lotte per rafforzare il ruolo della Camera dei Comuni, un modello di governo fondato sul presupposto che il potere può venire esercitato solo su mandato fiduciario (trust), e sull'idea della limitazione e della separazione dei poteri come condizione essenziale della sicurezza dei diritti individuali”[16]. Tali idee filosofiche di Locke ebbero influenza durante la redazione della Costituzione di Filadelfia del 1787.

Non a caso “tra i coloni americani era radicata- e praticata- la tesi per cui lo Stato si fondava su di un convenant, cioè un contratto di società (la trasposizione della dottrina biblica dell'alleanza tra Dio e il suo popolo): notissimo è il contratto di piantagione (che pone le regole per la Fondazione e la vita di una comunità organizzata), concluso nel 1620 a bordo della Mayflower tra i Pilgrim Fathers”[17].

Senza dubbio la Costituzione statunitense del 1787 e i 10 emendamenti del 1791, portarono una ventata di aria fresca per l'evoluzione storica dei diritti costituzionali, anche se perlopiù concepiti inizialmente come diritti negativi (o di difesa).

Tale interesse per i diritti fondamentali posti in testi scritti, fu segnato da due importanti avvenimenti a distanza di pochi anni l'uno dall'altro. Il primo fu la Dichiarazione dei Diritti dell'Uomo e del Cittadino del 26 agosto 1789, il secondo furono i 10 emendamenti del 1791 alla costituzione statunitense, che introdusse un catalogo dei diritti fondamentali.

Infatti, “è opinione consolidata che la vicenda storica dei diritti fondamentali prende l'avvio con le grandi rivoluzioni borghesi, che nel XVII e XVIII secolo, In Inghilterra, nell’America del nord ed in Francia, produssero dei mutamenti profondi degli ordinamenti politici e condussero all'affermazione di concezioni radicalmente nuove dei rapporti tra l'individuo ed il potere sovrano. Appunto è con le carte dei diritti ed i documenti costituzionali, che segnarono il coronamento della rivoluzione parlamentare inglese nel biennio 1688-1689, dell'indipendenza degli Stati Uniti d’America (1776-1791) e del movimento rivoluzionario in Francia (e partire dal 1789), che presero corpo l'affermazione dei diritti individuali nei confronti dei poteri pubblici e la positivizzazione in testi costituzionali dei diritti radicati nella tradizione giusnaturalistica”[18].

Le testé menzionate carte costituzionali ebbero effetti diversi e produssero processi politico-sociali differenti. In Francia tardò ad affermarsi il controllo di costituzionalità delle leggi, poiché i magistrati erano concepiti come bouche de la loi e il diritto positivo rappresentava una cristallizzazione degli interessi della borghesia, che si era faticosamente affermata nel corso della Rivoluzione francese nei confronti dell'ancien régime. Nel nord America il sindacato di costituzionalità delle leggi si affermò precocemente (16 anni dopo l'entrata in vigore della carta costituzionale). Fu così, grazie alle esperienze rivoluzionarie dell’Inghilterra, del Nord America e della Francia, che si affermò il costituzionalismo.

Occorre, infatti, rilevare che “in un'accezione ancora prevalente nella storiografia, il termine costituzionalismo evoca la dottrina politica e costituzionale che preparò e fece da sfondo alle grandi rivoluzioni borghesi fra il XVII e XVIII secolo, e che affermò la priorità dei diritti individuali ed i principi della limitazione, e della divisione del potere, come pilastri di radicali trasformazioni degli ordinamenti politici in Europa ed in America del nord”[19]. Il costituzionalismo, mentre in Europa fu il frutto di lotte di classe tra la borghesia e l'ancien régime ed i parlamenti rappresentarono la nascente classe borghese, nel Nord America, al contrario, il costituzionalismo fu il frutto di una guerra di indipendenza.

Questi differenti processi storici influenzarono i nuovi diritti costituzionali ed anche il judical review of legislation, che, infatti, venne concepito in modo nettamente diverso rispetto al controllo di costituzionalità che si era sviluppato in Gran Bretagna.

Nel prosieguo della trattazione verranno quindi messe in risalto le differenze di tali sistemi di giustizia costituzionale, ai fini di una migliore comprensione del controllo di costituzionalità della Corte Suprema statunitense e quindi per meglio comprendere la giurisprudenza della Corte Suprema in merito al difficile rapporto tra il principio dignità e l’VIII emendamento.

In particolare, nel prossimo paragrafo, che tratterà il ruolo del giudice di common law negli Stati Uniti, si farà riferimento anche ai giudici di common law della Gran Bretagna, poiché il loro modello di giustizia costituzionale ha influenzato in parte il sindacato di costituzionalità nel Nord America.

Con la fine della Seconda Guerra Mondiale e la caduta dei regimi totalitari, i diritti di libertà acquisirono nuova linfa. Sia il regime fascista che il regime nazista come è noto, avevano compresso i fondamentali diritti costituzionali embricando la società nello stato. Caduti i regimi totalitaristi dopo il 1945 “sì delineò una terza fase dello sviluppo dei diritti umani, che trascese in misura crescente i confini della sovranità degli Stati, e che ebbe importanti conseguenze sulla estensione e sulla sistematica del riconoscimento costituzionale dei diritti. Nella formula dei diritti della terza generazione si condensarono per altro tendenze ed indirizzi differenti.[…] Ciò ebbe ripercussioni rilevanti sul rapporto fra riconoscimento dei diritti e sovranità statuale, per effetto di una crescente apertura nella direzione di uno stato costituzionale cooperativo e della fondazione di un costituzionalismo dei diritti caratterizzato vieppiù da una fitta rete di interdipendenze, da condizionamenti internazionali della sovranità degli Stati e dal rafforzamento di processi di integrazione sovrastatale[20] .

La formulazione dei contenuti dei diritti di c.d. terza generazione si diversificò da stato a stato. Pertanto, sarebbe fuorviante compiere una classificazione unitaria dei diritti di c.d. terza generazione, ma occorre guardare le singole esperienze costituzionali. Ai fini di una migliore comprensione del rapporto tra i diritti di libertà e la tutela dell’ordine pubblico, si inizierà l'analisi dai paesi che sono stati più segnati dal regime fascista e dal regime nazista, ovvero: la Repubblica italiana e la Repubblica federale tedesca. Iniziando l'analisi dalla Repubblica italiana, possiamo innanzitutto notare come il costituente, pur non disciplinando espressamente il diritto alla vita e alla dignità; tuttavia, diede una forte protezione a tali diritti fondamentali nel testo costituzionale.

Attraverso l'interpretazione sistematica dei principi fondamentali, in particolare degli artt. 2 e 3, con altri importanti diritti fondamentali, quali quelli contenuti negli artt. 13, 17, 18, 21, 24, 25, 27, e 32 si può ricavare l'indubbia protezione del diritto fondamentale alla vita e della tutela, in ogni sua forma della dignità umana.

La tutela dei testé richiamati diritti fondamentali, venne peraltro confermata dalla Corte costituzionale italiana attraverso le ben note sentenze nn. 1146/1988 e 238/2010. In particolare, con la sentenza n. 1146 del 1988 la Corte affermò infine che “la Costituzione italiana conteneva alcuni principi supremi che non potevano essere sovvertiti o modificati nel loro contenuto essenziale neppure da leggi di revisione costituzionale o da altre leggi costituzionali. Tali sono tanto i principi che la stessa costituzione esplicitamente prevede come limiti assoluti al potere di revisione Costituzionale, quale la forma repubblicana (art. 139 Cost.), quanto i principi che, pur non essendo espressamente menzionati fra quelli non assoggettabili al procedimento di revisione costituzionale, appartengono all'essenza dei valori supremi sui quali si fonda la Costituzione italiana[21]. Non vi è dubbio che tra i principi supremi, della costituzione materiale, vi sia la tutela del diritto alla vita e alla dignità umana. Pertanto, anche la costituzione italiana scelse di tutelare l'integrità dell'essere umano che era stata sistematicamente repressa dai regimi nazista e fascista. Il costituente italiano, sulla base dell'esperienza dell'art. 48 della Costituzione di Weimar e della marcia su Roma, decise di prevedere una sola ipotesi di stato di emergenza, disciplinata dall’art. 78 della Costituzione (che va letto in combinato disposto gli artt. 11 e 60).

Dal combinato disposto dei testé menzionati articoli della Costituzione, si evince chiaramente che debbano essere entrambe le Camere a deliberare con legge lo stato di emergenza, in caso di guerra (che va assolutamente intesa come aggressione da parte di un paese straniero), conferendo al governo i poteri necessari. Tali poteri, debbono essere chiaramente collegati alla gestione dello stato di emergenza, conseguente alla dichiarazione dello stato di guerra. Solo in tale ipotesi, le Camere possono essere prorogate oltre il quinquennio.

Pertanto, tutti gli stati di emergenza proclamati dal legislatore, attraverso una legge o un atto avente forza di legge, e non collegato allo scoppio di un conflitto bellico, devono necessariamente intendersi quali stati di emergenza introdotti in via di fatto. Per le ipotesi di emergenza, diverse dalla guerra, la legge ordinaria può restringere i diritti fondamentali del cittadino, che devono necessariamente riespandersi una volta cessato lo stato di emergenza. In nessun caso di potrebbe però, a fortiori, prorogare la durata delle Camere o attribuire i poteri necessari all’esecutivo.

Sulla base di tale assunto verrà esaminata l'emergenza terrorismo e l’emergenza sanitaria legata al virus SARS-CoV-2. In Italia, la prima legislazione emergenziale si ebbe negli anni di piombo (anni 70’ e 80’). In tale contesto venne adottato il D.L. 11 aprire 1974 “che disponeva il prolungamento del periodo di carcerazione preventiva, dando inizio ad una fase di legislazione emergenziale, che è andata avanti più o meno per 10 anni. Tra le misure più significative introdotte nell'ambito di questa normativa di eccezione rilevano le disposizioni della legge Bartolomei del 14 ottobre 1979 contro i sequestri di persona; il dettato della legge sull'ordine pubblico del maggio 1975; i decreti-legge antiterrorismo emessi nel 1978 e nel 1979 ed infine la legge sui pentiti del maggio 1982[22].

Tale legislazione antiterroristica, oltre a novellare le fattispecie di reato concernenti associazioni con finalità terroristiche, non tipizzava nel dettaglio l'attività terroristica. Essa appariva quanto mai vaga e pertanto si prestava a varie interpretazioni. Non a caso, “l'inserimento di strumenti di tale portata invasiva sul sistema di garanzie individuali nell'ordinamento era avvenuto apportando modifiche al codice penale e al codice di procedura penale, rappresentando il segnale più preoccupante perché sintomatico della normalizzazione dell'emergenza, cosa che rappresenta uno degli aspetti più subdoli e potenzialmente pericolosi dell'azione degli Stati contro la nuova ondata del terrorismo internazionale[23].

Dopo i drammatici attentati dell'11 settembre 2001 perpetrati nei confronti degli Stati Uniti da Al Qaeda si giunse ad un drastico punto di svolta. Fu in tale contesto che “nella primavera del 2003, in un quadro internazionale segnato dall’ancora irrisolta situazione afghana e dalla questione della crisi in Iraq, il presidente del consiglio italiano dichiarava con decreto “lo stato di emergenza” in relazione alla tutela della pubblica incolumità nell'attuale situazione internazionale. Lo stesso giorno, il 28/03/2003, venne approvata l'ordinanza n. 3275 che, in virtù della legge n. 225/1992, prevedeva “disposizioni urgenti di protezione civile per fronteggiare le emergenze derivante dalla attuale situazione internazionale”. I provvedimenti del marzo 2003 sollevarono questioni e dubbi di costituzionalità relativamente ai requisiti di motivazione, delimitazione temporale e di proporzionalità, ritenuti indispensabili dalla giurisprudenza costituzionale nei casi di emergenza[24].

Va, pertanto, osservato che nel 2003 l'esecutivo italiano adottava una concezione ampia di stato di emergenza, ed in tal modo, giustificata l'adozione di misure più incisive sui diritti fondamentali, restringendoli fortemente.  Dopo gli attentati di Londra del 7 luglio 2005, “il governo italiano emise un decreto- legge che introdusse misure di sicurezza contro il terrorismo, rafforzando gli strumenti già esistenti nell'ordinamento e potenziando soprattutto i meccanismi di controllo e di indagine. Il cosiddetto “Pachetto Pisanu” venne presentato in Senato dove raccolse ampi consensi e venne poi successivamente convertito in legge il 30 luglio 2005[25]. Tale legislazione oltre ad inasprire le pene edittali, concernenti le fattispecie incriminatrici dei reati di terrorismo nazionale e internazionale di matrice associativa, semplificava le procedure di espulsione degli stranieri.

La maggiore criticità di tale dichiarazione dello stato di emergenza consisteva in una forte limitazione dei diritti fondamentali degli stranieri, senza avere la certezza che ciò avrebbe contribuito a risolvere l'emergenza terroristica. I diritti fondamentali, pur in assenza di uno stato di emergenza, non collegato ad un’ipotesi di conflitto bellico, possono essere compressi o limitati soltanto per un fine prestabilito e per un tempo determinato. Le misure di emergenza, che restringono i diritti fondamentali, non possono mai prescindere dallo scopo. Il legislatore, infatti, com'è stato più volte ripetuto dalla Corte costituzionale (vedi sent.220/1995), deve, nell'adottare provvedimenti legislativi che restringono i diritti fondamentali, seguire il criterio ragionevolezza all’interno della quale viene embricata la proporzionalità in tutti i suoi elementi costitutivi (legittimità, idoneità, necessità, e proporzionalità in senso stretto).

Del tutto peculiare, invece, risulta essere la gestione dello stato di emergenza legato al virus SARS-CoV-2. In tale contesto, occorre sottolineare come, successivamente alla dichiarazione dello Stato di emergenza del 31 gennaio 2020, il governo italiano abbia prevalentemente ristretto i diritti fondamentali, in particolare il diritto alla libera circolazione delle persone ex art. 16 Cost. attraverso fonti normative secondarie come i Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri (DPCM).  La mancata tipizzazione dello “stato di emergenza sanitaria” nella carta Costituzionale fa sì che la dichiarazione dello stato di emergenza e le leggi e gli atti legislativi o provvedimenti amministrativi che disciplinano la situazione emergenziale debbano essere fortemente ancorati al testo costituzionale.

Infatti, proprio “la Costituzione costituisce la bussola e ai suoi principi occorre restare fermi, come ha ammonito la presidente Cartabia, senza trascurare che l’ispirazione della Costituzione repubblicana costruisce il principio libertà con un complesso gioco di equilibri, nel quale giocano il loro ruolo e con esso si coordinano il principio solidarista, la pari dignità sociale e l’eguaglianza materiale, aprendo ad un ventaglio di concordanze pratiche calibrate anche su contesti e frangenti inediti e non predicibili, e peraltro indispensabili alla soluzione delle conseguenze sociali della pandemia[26] . L'assenza di uno stato di emergenza, all'infuori del conflitto bellico, in Costituzione, dovrebbe condurre il legislatore, ad operare nel campo dei diritti fondamentali e delle loro restrizioni, mediante l'interpretazione sistematico-evolutiva del testo costituzionale.

Esso deve rappresentare una sorta di faro per il legislatore, che condurrà il navigante a non smarrirsi (in questo caso a non sovvertire l'ordine costituzionale, usando l'emergenza come scusa per limitare, a tempo indeterminato, i diritti fondamentali).  Chiarito il rapporto tra libertà e sicurezza nell’ordinamento costituzionale italiano, sarà ora possibile analizzare, il quadro costituzionale del rapporto tra emergenza e libertà nella Repubblica federale tedesca. Come si è testé accennato il costituente tedesco, ebbe come fine precipuo quello di impedire la deriva totalitaria e di tutelare nel modo più ampio possibile i diritti fondamentali di libertà dei cittadini. Il costituente tedesco scelse una formula molto incisiva, per proteggere l'intangibilità dell'uomo e dei suoi diritti fondamentali, affermando all’art. 1 co.1 della Legge Fondamentale che “La dignità dell’uomo è intangibile.

È dovere di ogni potere statale rispettarla e proteggerla”. Il rifiuto, da parte del costituente tedesco, del regime totalitarista portò il legislatore nel 1968 ad adottare “un insieme di regole palesemente ispirate dall'intento di parare le conseguenze nefaste per la democrazia e lo stato di diritto, che si erano manifestate nel periodo tra le due guerre, tanto che la descrizione della nuova “costituzione dell'emergenza” (costituita da ben 17 emendamenti costituzionali), poteva agevolmente condursi in contrapposizione alle analoghe disposizioni contenute nella costituzione tedesca del 1919. Tuttavia, il rifiuto della precedente esperienza non si era tradotto solo in una serie di sofisticati correttivi delle distorsioni imputate alla forma di governo parlamentare, ma aveva investito anche il principio della neutralità politica del testo costituzionale sul quale era imperniata la Repubblica di Weimar. La conseguenza fu l'introduzione nel testo del 1949 di quella peculiare forma di difesa della costituzione, generalmente definita come “democrazia protetta” o “militante”, che consistette in una serie di strumenti tesi alla prevenzione e repressioni di azioni politiche eversive nei confronti dei valori posti a fondamento dell'ordinamento costituzionale[27].

Fu, pertanto, nell'ottica della Menschenwürdegarantie e della Costituzione intesa come Wertordnung, che si inserì la legislazione dello stato di emergenza. Il tribunale costituzionale federale tedesco nel noto caso Luftsicherungsgesetz-Urteil del 2006, “sembrò muoversi in una linea di continuità con le precedenti ricostruzioni della tutela della dignità dell'uomo, più condizionate dalle concezioni assolute di essa. Al centro della parziale dichiarazione di incostituzionalità dell'art. 14 della legge federale sulla sicurezza dei voli, che, dopo gli attentati dell'11 settembre, aveva autorizzato le forze armate ad abbattere un aeromobile che in un'azione terroristica si fosse indirizzato verso obiettivi di distruzione e di sterminio a terra, stava invero ancora la tradizionale Objektformel. Quindi è, invero, il nucleo di significato forte della tutela della dignità dell'uomo, che impone in modo assoluto di non ridurre l'uomo ad oggetto ed a strumento dell'azione dello Stato, ad escludere che i passeggeri e l'equipaggio dell'aereo possano essere sacrificati al salvataggio di vite umane a terra. Nell'impianto complessivo della motivazione, pertanto, la Objektformel impone, in linea di principio, una tutela assoluta e non differenziabile attraverso il confronto di situazioni differenti, precludendo con ciò la via del bilanciamento tra il diritto alla vita degli uomini a bordo dell'aereo e quello degli uomini a terra. Su queste premesse il tribunale ha costruito peraltro una decisione di complesso tenore[28].

Sia nel costituzionalismo italiano che nel costituzionalismo tedesco, quindi, il rapporto tra libertà e sicurezza viene, risolto attraverso l'interpretazione sistematica del testo costituzionale, che permette di restringere determinati diritti fondamentali, per un tempo limitato, compiendo un bilanciamento tra i confliggenti principi costituzionali calato nelle circostanze della fattispecie concreta. In un'ottica completamente diversa si pongono la Gran Bretagna e gli Stati Uniti d'America. In tali paesi, il principio libertà non ha mai assunto quel connotato polemico nei confronti dell'ancien regime.

Tali paesi, infatti, non conobbero il forte assolutismo continentale ed i diritti di libertà non erano concepiti come diritti negativi ma piuttosto essa veniva strumentalizzata per proteggere i diritti di libertà borghesi, ossia: property and liberty. Tale concezione assiologica del principio libertà, va quindi tenuta presente nell'analizzare il rapporto tra libertà e sicurezza in Gran Bretagna e negli Stati Uniti d'America. Particolarmente significative sono le legislazioni antiterrorismo, post 11 settembre, adottate dai testé menzionati paesi.

Per quanto concerne il Regno Unito deve segnalarsi come “la legislazione in materia di terrorismo, emanata dopo l'undici settembre, si presenti compressa e multi-sfaccettata, tanto da dare adito a interpretazioni talvolta in netta contrapposizione.[…] Particolarmente interessante è il profilo definitorio prospettato dalla nuova legge che identifica come terrorista ogni persona “interessata alla commissione, preparazione o elaborazione di atti di terrorismo internazionale, che sia membro di un gruppo terrorista internazionale, o abbia legami con tale gruppo”. Così, come per la legislazione antiterrorismo anteriore all' 11 settembre, anche qui si deve constatare il carattere marcatamente indefinito dei termini utilizzati. Nello specifico, rileva la mancata precisazione dell'accezione generica di legame, che conferisce una connotazione ancora più fumosa e indeterminata di quanto non fosse riscontrabile nel Terrorism Act del 2000[29].

Oltre alla generica ed astratta definizione di attività terroristica, occorre porre all'attenzione il grave problema delle prove segrete. In quest'ottica, la detenzione di sicurezza e il rilascio dei cittadini stranieri “sono disposte e controllate dalle autorità esecutive o militari, perciò, la questione del giusto bilanciamento e del controllo giudiziario diviene decisamente importante. Senza un processo di revisione giudiziaria, un individuo può perdere la sua libertà, potenzialmente per sempre, sulla base di informazioni segrete, raccolte dall'intelligence e non verificabili[30] a cui solo gli avvocati speciali possono avere accesso.

Nel Regno Unito, le drastiche misure di sicurezza, in particolare l’arresto a tempo indefinito di cittadini stranieri sospettati di terrorismo, si sono dovute confrontare con il sistema della convenzione europea dei diritti dell'uomo. “Allo scopo di dare esecuzione all’ATCSA, il governo di Tony Blair, emanò nel dicembre 2001, il decreto n. 3644/2001, noto come Human Rights Act Designated Derogation, per mezzo del quale si autorizzava l'attuazione di una deroga agli obblighi internazionali sanciti dalla convenzione europea dei diritti dell'uomo, recepita e divenuta applicabile nel Regno Unito nel 1998.[…] In base a tale deroga l'art. 21 dell’ATCSA riconosceva al Ministro dell'Interno il potere di decretare l'arresto in via preventiva di un sospettato di attività terroristica, senza l'intervento dell'autorità giudiziaria e per un tempo indefinito[31] . Nell'ordinamento costituzionale del Regno Unito, la legislazione antiterrorismo limitava fortemente la libertà personale degli stranieri sospettati di azioni terroristiche. Gli strumenti, quali la detenzione di sicurezza a tempo indeterminato, di stranieri sospettati di terrorismo rifletteva e riflette tuttora un uso distorto, da parte del legislatore britannico, del balancing test.

É evidente come lo strumento della detenzione di sicurezza, ordinata dal Ministro dell’Interno, sulla base di prove segrete, costituisca un irragionevole bilanciamento a discapito della libertà personale, del giusto processo e del principio di non colpevolezza. Ancor più incisiva sulle libertà fondamentali degli stranieri è la legislazione negli Stati Uniti d’America.

Infatti, a seguito dell'emanazione dello USA Patriot Act del 2001 e del Presidential Military Order, venne introdotto l'istituto della detenzione di sicurezza a tempo indefinito e venne conferito il potere a commissioni militari di giudicare, attraverso procedimenti sommari, i c.d. enemy combatants e di condannarli financo alla pena di morte. In primo luogo, occorre osservare che “il Presidential Military Order comportava una differenziazione fra cittadini, cui veniva riconosciuto il giusto processo, e non cittadini. Solo questi ultimi potevano essere detenuti in basi militari e sottoposti alla giurisdizione di tribunali militari[32].

Negli Stati Uniti, dunque, per i cittadini stranieri non si applicavano le norme costituzionali sul giusto processo (V e XIV emendamento), limitando fortemente il diritto alla libertà personale. Si può dunque osservare come sia nell'ordinamento costituzionale statunitense che nell'ordinamento costituzionale del Regno Unito, la legislazione di emergenza antiterrorismo fosse comunque soggetta al controllo delle rispettive assemblee legislative.

Tuttavia, tale controllo si risolveva nella proroga dello stato di emergenza ed i principali emendamenti non modificavano l'assetto sostanziale della legislazione antiterroristica. Sulla base di tale assunto, si potrà dunque giungere alla conclusione che al fine di preservare l'ordinamento interno e la pubblica sicurezza, dovrebbe necessario limitare, anche a tempo indeterminato, i diritti fondamentali degli stranieri, compiendo pertanto una irragionevole sperequazione tra cittadini e stranieri.

Va, infine, ravvisato che sia la Costituzione statunitense del 1787 come del resto le Convenzioni costituzionali e i vari statutes-law della Gran Bretagna non disciplinano lo stato di emergenza e, pertanto, in tali ordinamenti costituzionali è lecita la limitazione dei diritti fondamentali, purché vi sia un importante bene costituzionale (quale l'ordine pubblico, la tutela della comunità nazionale, la sicurezza, la tutela della vita e dell'incolumità personale, etcc..) che imponga la restrizione dell'altro bene costituzionale.

Tali limitazioni devono sempre rispettare il bilanciamento tra opposti principi costituzionali. Negli Stati Uniti d'America e nel Regno Unito, la limitazione dei diritti fondamentali non opera mediante l'interpretazione sistematico-evolutiva del testo costituzionale, bensì opera tenendo presenti gli aspetti peculiari del caso concreto. Infatti, i diritti di libertà vengono ristretti quando una determinata situazione concreta, come una minaccia terroristica, richieda una maggior tutela di un bene o interesse costituzionalmente rilevante. Sarebbe inconcepibile per i due ordinamenti di common law testé esaminati restringere un diritto di libertà fondamentale sulla base di un astratto diritto fondamentale, previsto costituzionalmente (quale può essere il diritto alla salute o della dignità umana).

Questa è appunto la logica del bilanciamento tra libertà e sicurezza, recepita negli Stati Uniti d'America e nel Regno Unito. Del tutto peculiare è la concettualizzazione del rapporto tra libertà e sicurezza adottata in Israele. In tale Stato, costituitosi il 14 maggio del 1948, lo stato di emergenza terroristica può definirsi perenne.

Infatti, “il contesto violento in cui la convivenza civile tra arabi ed israeliani viene costantemente interrotta da episodi di guerriglia e attentati terroristici determina l'emanazione, già nel 1948, della legge fondamentale per la prevenzione del terrorismo[33] ed in particolare “l'art. 50 di tale legge conferiva al governo il potere di azione e reazione alle condizioni definite di stress, come quella determinata dal persistere dell'Intifada. In base a tale articolo l'esecutivo aveva la facoltà di emanare regolamenti normativi di emergenza, che restavano in vigore per un periodo massimo di tre mesi, con cui si disponeva la detenzione cosiddetta amministrativa per un tempo circoscritto a 90 giorni”[34] di persone sospettate di terrorismo.

Le misure di prevenzione per la gestione dell'emergenza terroristica rispettavano e rispettano tuttora il requisito indispensabile della temporaneità e necessità per prevenire danni più gravi ai diritti fondamentali degli individui (come può essere la minaccia al bene della vita o all'integrità fisica degli individui). Anche in tale contesto di perenne emergenza terroristica, il legislatore israeliano bilanciava il diritto alla vita e alla tutela dell'ordine pubblico con la restrizione di alcune fondamentali libertà, limitandole per un tempo strettamente necessario alla risoluzione dello stato di emergenza.

Tale legislazione antiterroristica presentava alcuni punti critici come la legittimità di un ordine esecutivo che imponesse la distruzione o il sequestro di un'abitazione civile, con conseguente danno della dignità umana.

In tale difficile bilanciamento tra la tutela dell'ordine pubblico e dell'incolumità dei cittadini, da una parte, e la restrizione di alcuni fondamentali diritti (come il diritto alla libertà e ad un equo processo), la Corte Suprema israeliana svolse un ruolo cruciale. Infatti, si deve rilevare come “la posizione della Corte Suprema israeliana sia orientata ad un approccio garantista, che stenta a compromettere la sfera dei diritti individuali, anche di fronte ad esigenze di pubblica sicurezza[35]. In particolare, la Corte Suprema utilizzò, nei giudizi di costituzionalità, il judical balancing e il test di proporzionalità. “Il bilanciamento è centrale nella vita e nel mondo giuridico. Esso è cruciale per le relazioni tra i diritti fondamentali e il pubblico interesse o tra altri competitivi diritti fondamentali. Il bilanciamento, pertanto, riflette una struttura multi-sfaccettata tipica della natura dei diritti umani e delle democrazie pluralistiche[36].

Tale approccio della Corte Suprema israeliana ebbe notevole risalto nel caso Beit Surik Village Councile, dove mediante la proporzionalità in senso stretto (o bilanciamento), la Corte giunse ad accertare l'incostituzionalità dell'atto esecutivo del comandante dell’IDF per un irragionevole bilanciamento imponendo, di conseguenza, al comandante dell’IDF di costruire il muro difensivo, nelle zone, dove avrebbe danneggiato di meno i diritti fondamentali dei cittadini, interessati da tale misura. Il caso del tutto peculiare dello Stato di Israele dimostra come, pur in un costante stato di emergenza terroristica, i diritti fondamentali di libertà debbano essere compressi nella misura strettamente necessaria al raggiungimento di uno scopo (in questo caso la tutela dell'ordine pubblico e la sicurezza dei cittadini israeliani) e come tale limitazione debba essere oggetto di uno stretto scrutinio di costituzionalità. In tal modo, lo Stato di Israele impedisce che i diritti fondamentali possono essere intaccati nel loro nucleo essenziale.

Immaginando lo strumento della fisarmonica potremmo ritenere, che nel contesto dell'emergenza terroristica israeliana, i diritti fondamentali di libertà si comportino come una fisarmonica, ed a fortiori, non si potrà mai avere l'annullamento di un diritto fondamentale di libertà, ma semplicemente una temporanea restrizione bilanciata da un importante valore fondamentale, quale può essere una tutela dell'ordine pubblico e la sicurezza della vita dei cittadini israeliani. Attraverso il bilanciamento lo Stato israeliano è riuscito nel difficile tentativo di far convivere due opposti principi costituzionali come il diritto alla libertà e la tutela dell'ordine pubblico.

Questo, dunque, è il quadro costituzionale del rapporto tra i diritti di libertà e la tutela dell’ordine pubblico analizzato nei testé menzionati ordinamenti costituzionali. La costituzionalizzazione dello stato di emergenza, permette il restringimento dei diritti fondamentali soltanto a seguito del verificarsi dell'emergenza tipizzata in Costituzione, mentre tutte le altre limitazioni dei diritti fondamentali, non collegate allo specifico stato di emergenza previsto nella carta costituzionale, devono soggiacere alle regole costituzionali che disciplinano la limitazione dei diritti fondamentali (che possono essere la ragionevolezza, la ponderazione o la proporzionalità).

Pertanto, al verificarsi di uno stato di emergenza tipizzato in costituzione, il giudizio di costituzionalità sulla legge che disciplina lo stato di emergenza verterà non sui criteri che regolano i conflitti tra i principi costituzionali, quanto piuttosto sulla legittimità della dichiarazione dello stato di emergenza. Tuttavia, al cessare dell'emergenza costituzionalmente prevista, ogni legge o atto avente forza di legge che restringesse i diritti fondamentali sarebbe certamente incostituzionale e pertanto annullabile.

Da un lato, per gli Stati di common law, testé esaminati, la patologia dello stato di emergenza può, dunque, verificarsi nel caso della sua normalizzazione; per gli Stati dell'Europa continentale, che tendono a tipizzare, pur con formule astratte e vaghe, lo stato di emergenza all'interno delle carte costituzionali, la patologia della legislazione emergenziale consiste, invece, nella copertura costituzionale di leggi od atti aventi forza di legge, che per far fronte allo stato di emergenza tipizzato in costituzione, restringano i diritti fondamentali e che pertanto vengono “sottratte” alle regole del bilanciamento tra confliggenti principi costituzionali. Per tali ragioni le Corti costituzionali, degli ordinamenti costituzionali testé analizzati, svolgono un ruolo essenziale nel giudizio di costituzionalità delle leggi e degli atti aventi forza di legge, che in forza dello stato di emergenza, limitano i diritti fondamentali.

Le Corti Costituzionali, infatti, hanno il compito di riequilibrare il sistema giuridico, verificando, nel caso degli stati di emergenza tipizzati nelle carte costituzionali, la sussistenza dei requisiti per la dichiarazione dello stato di emergenza nonché la sussistenza dello stesso stato di emergenza; nel caso di costituzioni che non prevedano espressamente la dichiarazione dello Stato di emergenza, le Corti, a seconda che si tratti di paesi di civil law o di common law, devono compiere un bilanciamento tra i diritti di libertà e la tutela della sicurezza dell'ordine pubblico, bilanciamento che nei paesi di common law deve svolgersi con riferimento al caso concreto (case by case approach), mentre nei paesi di civil law tale bilanciamento deve operare con riferimento ai confliggenti principi costituzionali, calati anch'essi nel caso concreto.

Solo così i vari ordinamenti costituzionali, attraverso tale processo di osmosi, riusciranno ad impedire il verificarsi della patologia degli stati di emergenza e della rottura del pluralismo dei principi costituzionali.

2.  Il ruolo del giudice di common law negli Stati Uniti

Per comprendere il ruolo istituzionale dei giudici di common law, nel Nordamerica, è opportuno volgere lo sguardo alla rule of law e al ruolo dei judges in Gran Bretagna. L’influenza della giurisprudenza dei giudici di common law inglesi è stata, ed è attualmente, parte costitutiva della Rule of law.

La giurisprudenza inglese e soprattutto il pensiero di Sir Edward Coke ebbe una grande influenza nella letteratura statunitense ed ebbe altresì una grande risonanza nei tribunali statunitensi. Perciò, si cercherà di analizzare compiutamente, in questo paragrafo, il ruolo istituzionale dei judges inglesi e l’importanza della Rule of law. Come si è accennato nel capitolo precedente, la giustizia costituzionale era un concetto, seppur con un’accezione differente, validamente accettato e utilizzato nel mondo antico.

Non a caso “nel diritto romano, le opere di Cicerone sulla superiorità dello ius civile rispetto alle altre forme di produzione giuridica venivano evocate con riferimento alle teorie della legge superiore; taluno poi si richiama all’adscriptio, con la quale il ius veniva dichiarato sacrosantum, per paragonare tale formula ad una sorta di dichiarazione di costituzionalità. Il più immediato precedente del moderno controllo di costituzionalità delle leggi si fa però risalire al famoso caso Bonham, discusso davanti al Tribunale dei Common Pleas nel 1610; in esso il magistrato inglese sir Edward Coke sostenne la sottoposizione del Monarca alla lex terrae, esponendo la propria nozione di legge fondamentale e sostanzialmente identificandola con i principi di common law”[37].Tuttavia la concettualizzazione teorica della sottoposizione del King alla legge venne concepita nel XIII secolo da Henry de Bracton, sebbene non venne praticata nei casi giurisprudenziali, poiché l’assolutismo regio in Gran Bretagna era ancora forte. Questa teorizzazione, infatti, cominciò a prendere corpo dal XVII secolo in poi. La Rule of law e il ruolo della giurisprudenza dei judges di common law è di difficile concettualizzazione a causa della sua intrinseca mutevolezza.

Queste sono “difficoltà che possono sciogliersi, prendendo coscienza che il significato della rule of law (ed il suo distacco dalle varianti continentali) sono inseparabili dell’apologia del giudice nella teoria classica del common law, che ha costruito la supremazia del diritto su un diritto intrinsecamente ragionevole, radicato nella coscienza sociale e soggetto ai mutamenti lenti e graduali della storia”[38]

Mentre nel contesto del continente Europeo non era concepibile che la legge fosse soggetta al controllo giudiziario, in Gran Bretagna, al contrario, il controllo giudiziario, ad opera dei judges di common law, era un elemento costitutivo della rule of law, ed era strettamente connesso alla sovereignty of Parliament.

Va, infatti, tenuto ben presente che “nel Rule of law, in nome di una realtà sostanziale, quei privilegi e libertà degli inglesi che costituivano il law of the land, un diritto comune materiale che, essendosi venuto a formare nel corso dei secoli e con il concorso di molti, nessuno avrebbe potuto sospendere, a differenza delle leggi e delle costituzioni continentali, le quali essendo state fatte da qualcuno, qualcuno poteva metterle fuori gioco. Si può parlare, in sintesi, di un significato doppiamente antiassolutistico del Rule of law, sia contro l’assolutismo regio, sia contro l’assolutismo parlamentare”[39] .

I giudici di common law si fecero, così, portatori dell’interpretazione dei diritti costituzionali e del costituzionalismo inglese diventando una sorta di vox constitutioni, in grado di tutelare giuridicamente i diritti di libertà e di proprietà degli individui, contro gli abusi del potere del monarca, e allo stesso tempo avevano il potere di controllare la conformità dello statute law allo ius nauralis di cui loro ne erano gli interpreti. Nella giurisprudenza dei giudici di common law britannici, erano presenti elementi sia del giusnaturalismo che del giuspositivismo, in grado di tutelare i diritti costituzionali, insiti nella tradizione di common law, di cui loro erano gli interpreti.

Dalla gloriosa rivoluzione del 1688 in Gran Bretagna vi furono pertanto, due garanti contro gli abusi dell’assolutismo regio: i judges di common law e il Parliament. Va infatti osservato che “presso gli inglesi- afferma Dicey- i principi della Costituzione sono il risultato di decisioni delle corti di giustizia che hanno definito i diritti degli individui in particolari casi che sono stati portati alla loro cognizione, non l’oggetto di proclamazioni generali e astratte come quelle contenute nelle costituzioni degli stati europei continentali”[40] . Il diritto costituzionale e la tutela dei diritti costituzionali, in Gran Bretagna erano, dunque affidati ai giudici di common law, che dal case by case sviluppavano i diritti costituzionali degli individui, non essendoci in Gran Bretagna una Costituzione scritta.

Tale questione, del diritto costituzionale affidato alle corti di common law, può sembrare complicata. Difatti, “la questione può essere voltata e rivoltata finché si vuole- è l’espressione di Dicey- ma sempre ci si imbatterà nell’onnicomprensiva considerazione…che laddove in molti sistemi costituzionali, i diritti degli individui scaturiscono, o sembrano scaturire dagli articoli della Costituzione, in Inghilterra il diritto costituzionale è il risultato e non la fonte dei diritti individuali”[41]. Il giudice di common law, in Inghilterra era dunque il principale attore, insieme al Parlamento e al Monarca, del diritto costituzionale.

I diritti costituzionali si formavano dunque all’interno delle corti inglesi ed erano frutto dell’applicazione al caso concreto. Nel continente europeo, il contesto era ben differente, ed infatti la giustizia costituzionale cominciò a svilupparsi solamente a partire dal XX secolo. Durante l’epoca dell’assolutismo regio, nel continente, era impensabile una qualche forma di sindacato di costituzionalità delle leggi nei confronti degli atti del potere regio.

Con la Rivoluzione Francese, il controllo di costituzionalità non era ancora maturo per germogliare nel continente Europeo. Infatti, la Rivoluzione Francese cristallizzò la legge, in quanto espressione del Parlamento e quindi della borghesia. Non stupisce che l’eguaglianza aveva un contenuto formale e non materiale. La borghesia europea monopolizzò lo stato di diritto e si consolidò nelle istituzioni, impedendo di dare un contenuto sostanziale all’eguaglianza. In Gran Bretagna, al contrario, anche causa della prima rivoluzione industriale, si ebbe “l’apologia del giudice e l’apologia del Parlamento, che accompagnarono l’evoluzione secolare della storia costituzionale inglese, dando vita ad un regime misto, che poneva in primo piano, nel significato della rule of law, la garanzia della giustizia delle leggi adottate dal parlamento”[42].

La Gloriosa Rivoluzione del 1688 e l’affermazione del Parlamento nei confronti del Monarca, non mutarono il sistema di giustizia costituzionale che si era sviluppato in Inghilterra, ed infatti “l’originario radicamento della rule of law nella risalente tradizione del common law non scomparve con la piena affermazione della sovereignty of Parliament, e la sua storia si incentrò sull’espansione progressiva del controllo giurisdizionale sugli atti di prerogativa regia”[43] . La giurisprudenza dei giudici di common law, sui diritti costituzionali, e la progressiva espansione del Parlamento non entrarono in conflitto e si riuscì a trovare una coesistenza.

Da una parte il Parlamento, espressione della borghesia, limitava e controllava il potere del King, dall’altra i judges vigilavano sulla conformità dello statute law ai principi di common law. A fortiori, “per il Rule of law, lo sviluppo del diritto era il procedere di una tradizione concreta, storicamente aperta…(infatti) per il Rule of law il diritto si sviluppava da esperienze sociali concrete. […] La Rule of law, perciò non è una definizione fissa, ma un insieme di contenuti materiali, connotati storicamente e storicamente mutevoli, che devono essere costantemente ridefiniti”[44] .

Il Rule of law presenta, dunque, un contenuto mutevole e cangiante, a seconda delle congiunture politico-sociali in cui opera. Ciò rende complicato dare una definizione di rule of law. Tuttavia, ai fini di una migliore comprensione del concetto del Rule of law, di cui sono parte costitutiva i giudici di common law è essenziale comprendere che “la supremazia del common law e la sovereignty of Parliament, non si misurano su gerarchie astratte, ma su gerarchie dinamiche delle quali, i giudici, sono attori essenziali, chiamati a presidiare, attraverso la tradizione di common law, un pilastro fondamentale del moderno costituzionalismo, che concepisce il parlamento come body al servizio della comunità politica”[45] .

Da tali considerazioni, sul ruolo dei giudici di common law in Inghilterra e sul significato che la rule of law, ha assunto in Gran Bretagna, sarà più facile comprendere il ruolo dei judges negli Stati Uniti e della giustizia costituzionale. Va, quindi, osservato che “agli inizi dell’800, negli Stati Uniti, il sindacato di costituzionalità ad opera dei giudici acquistò importanza per l’affermarsi- accanto e oltre all’idea di legge superiore- del concetto di costituzione rigida, idonea come tale ad essere assunta dai giudici stessi quale parametro di legittimità delle leggi ordinarie”[46] . Negli Stati Uniti, come in Inghilterra, i giudici sono divenuti interpreti dei diritti costituzionali, da applicare ai casi concreti.

Tuttavia, i giudici statunitensi hanno, fin dall’inizio, dovuto “fare i conti” con un testo costituzionale scritto, a differenza dei judges di common law inglesi. Il ragionamento case by case venne adottato dai giudici statunitensi, applicando nei casi concreti il testo costituzionale e dunque attualizzandolo. Così, nel Nord America, si venne a creare un a Haberliana “società aperta degli interpreti della costituzione” dove i giudici ne erano e ne sono gli interpreti. A differenza dei modelli di giustizia costituzionale dell’Europa continentale, il modello nordamericano rifiutò un approccio astratto nei giudizi che coinvolgevano i diritti costituzionali. L’influenza dei giudici di common law inglesi fu importante, nello sviluppo del sindacato di costituzionalità delle leggi statunitensi.

Non a caso “con Bentham e Austin questa concezione della rule of law subì una torsione giuspositivistica, destinata a maggior fortuna nella migrazione di essa aldilà dell’Atlantico, nel Nord America, tendendo a spostarne il focus dalla sfera dell’is a quella dell’ought. Questo spostamento, che conferì alla rule of law una differente direzione di senso, dall’equazione diritto/libertà/ common law/ giudice (Coke), a quella diritto/sanzione/giudice (Austin), non alterò peraltro il sostrato liberale della rule of law”[47].

L’idea del giudice, come portavoce dei diritti costituzionali, influenzò il modello di giustizia costituzionale statunitense. I giudici di common law statunitensi, oltre a diventare, anche loro, come i colleghi britannici, una sorta di vox constitutioni, recepirono l’importante principio del due process of law, che fu costituzionalizzato nel V emendamento e nel XIV emendamento, ed infatti “la clausola del due process of law,, nota anch’essa nell’esperienza del common law inglese, ha avuto applicazione e sviluppi particolarmente significativi nell’esperienza statunitense (v. gli emendamenti V e XIV della Cost. USA), per diffondersi poi anche negli ordinamenti europei”[48]. I trapianti degli istituti giuridici inglesi, e le teorie di Bracton e di Sir Edward Coke ebbero una notevole influenza nella formazione dei giudici di common law statunitensi. Non a caso l’uso del balancing test venne utilizzato dai judges in relazione ai casi concreti.

Il pensiero, della rule of law inglese, influenzò il modello di giustizia costituzionale nordamericano e il modo di procedere al bilanciamento tra i diversi principi costituzionali.

Nel prossimo paragrafo, oltre ad analizzare lo sviluppo del balancing test e della sua evoluzione giurisprudenziale, verrà posta particolare attenzione l’influenza che ha avuto il pensiero di Sir Edward Coke nello sviluppo del test di bilanciamento adoperato dalla Corte Suprema statunitense.

3. Lo sviluppo del balancing test e la sua evoluzione giurisprudenziale

Bilanciamento, ponderazione, proporzionalità e ragionevolezza, sono tutti strumenti, che vengono adoperati dalle Corti costituzionali durante lo scrutinio di legittimità costituzionale delle leggi. Sebbene essi, a prima vista potrebbero, sembrare tutti strumenti simili e interscambiabili l'uno con l'altro, in realtà, sono metodi di ragionamento giudiziario profondamente diversi, che non possono essere sovrapposti.

Il bilanciamento, indica generalmente, un metodo di composizione di confliggenti interessi e principi. Pertanto, vi è un alto grado di soggettivismo, difficilmente eliminabile.

Va però tenuto presente, che le Corti costituzionali, si raffrontano sempre con un testo scritto e dunque la componente soggettiva, viene mitigata dalla componente oggettiva. In via di prima approssimazione, si può ritenere che “le operazioni di bilanciamento presuppongano il riconoscimento del fondamento delle pretese di validità normative di interessi confliggenti”[49] .

Lasciando da parte, almeno per il momento, la discussione tra gli appartenenti alla cosiddetta ortodossia classica e i c.d. realisti, dovrà ora essere affrontata l'analisi del bilanciamento, così come elaborato dalla dottrina statunitense e dalla Corte Suprema statunitense. Alla base del balancing test, vi sono tre correnti filosofiche. Una prima scuola di pensiero può essere identificata da Austin e Bentham, le altre due scuole di pensiero, possono essere identificate dalle analisi di Dworkin e di Richard Fallon ed una terza, infine, può essere identificata dal pensiero filosofico di John Rawls. Partendo dall'analisi di Bentham e Austin, possiamo notare, la forte influenza delle loro teorie, nel bilanciamento dei diritti costituzionali, operato dalla Corte Suprema americana.

Bisogna tenere presente che “dal punto di vista dell’argomentazione, occorre ricordare che mentre Bentham e Austin individuavano la ratio decidendi nella ragione illuministicamente cristallizzatasi in premesse condivisibili, i realisti cercavano il razionale nella ragione strumentale degli scopi perseguibili. Dal punto di vista della filosofia del diritto, infine l'interpretazione benthamista del bilanciamento riposa sull’assunto dell’eguaglianza delle preferenze individuali; orbene nulla lascia presupporre che una Corte Suprema debba orientare le sue scelte costituzionali secondo i principi della massima utilità, del massimo piacere o della massima soddisfazione. Essa può ben qualificare come non meritevoli di tutela alcuni piaceri, può criticare i valori che il processo legislativo intende perseguire e può, infine, kantaniamente contestare che la persona umana venga appiattita sulla somma delle preferenze individuali”[50] .

Non a caso, il balancing test, facendo proprie le teorie filosofiche di Bentham e Austin, verrà sviluppato dalla Corte Suprema, con riferimento ai casi concreti, adattando così il diritto costituzionale, alle specificità dei singoli casi.

Notevole importanza, ebbe poi il pensiero filosofico di John Rawls, e la sua teoria del consenso per intersezione. Il suo pensiero, infatti, fu preso in grande considerazione dai costituzionalisti americani, nonché dalla giurisprudenza nordamericana. Va infatti ricordato che “l'opera liberalismo politico del filosofo John Rawls ha influenzato fortemente sia una scienza politica sia la dottrina costituzionalistica statunitense: mentre la prima si è soffermata con insistenza sulla tematica del consenso per intersezione, la seconda ha fatto come propria la categoria del disaccordo ragionevole[51].

Sebbene, la Corte Suprema abbia fatto un largo uso del bilanciamento giudiziario, tuttavia, non ha mancato di fare riferimenti alla ragionevolezza. In particolare, il giudice Holmes, nelle sue opinioni dissenzienti, ha tenuto ben presente il significato della ragionevolezza nel diritto costituzionale e di ragionevoli bilanciamenti tra opposti principi. Va osservato che “i concetti fondamentali del costituzionalismo statunitense vengono da Rawls adoperati in modo del tutto simile ai concetti che troveremo indagati dal costituzionalismo tedesco: vi è insomma una identità di contenuto normativo e di pretesa di fondamento di legittimità tra libertà e diritti fondamentali, tra contenuto essenziale e gamma di applicazione centrale: “Quando pensiamo la priorità delle libertà fondamentali, dobbiamo distinguere la loro restrizione della loro regolazione. Non se ne viola la priorità quando ci si limita a regolamentarle - come si deve fare, perché si combinino in un sistema unico e siano adattate a certe condizioni sociali necessarie a un loro esercizio duraturo. Finché è garantita quella che viene chiamata “la gamma di applicazione centrale” delle libertà fondamentali, i principi di giustizia sono soddisfatti[52].

Il pensiero filosofico di Rawls, non nega l'importanza del bilanciamento, ma piuttosto si incentra sull’interpretazione sistematica delle norme costituzionali e del disaccordo ragionevole.  Le norme costituzionali non sono infatti delle monadi, isolate le une dalle altre, ma un insieme di un complesso più ampio. Un chiaro esempio, dell’utilità dell’interpretazione sistematica, si può ricavare dal combinato disposto del V e XIV emendamento della Costituzione statunitense. Da tali due emendamenti, la Corte Suprema ha individuato il principio del due process of law. Tale principio, va considerato non solo come il caposaldo della ragionevolezza, ma anche come il principio di legalità e come il principio del giusto processo.

Va infatti osservato “nel due process un vincolo per l'azione statale, la costituzione, nell’interpretazione della Corte, vincolava gli stati a rispettare i principi supremi di giustizia quando le loro leggi avessero toccato la libertà, la vita e la proprietà dei cittadini. Il decisivo contributo nel supremo organo giudiziario statunitense si concretizzò però principalmente nel definire quali fossero i diritti facenti parte del concetto costituzionale di libertà. Tra questi assunsero chiaramente un posto preminente le libertà economiche. Il XIV emendamento ha rappresentato un punto di svolta nei rapporti tra centro e periferia, e la Corte ha in quest’ottica operato cercato di garantire un equilibrio, da lei ritenuto opportuno, ha determinato il raggio d'azione delle clausole contenute nell’ emendamento”[53] . L’interpretazione sistematica è stata, quindi, ed è attualmente, di fondamentale importanza per la Corte Suprema statunitense. L’applicazione della clausola del due process of law, nei confronti delle leggi statali, ha rappresentato senza dubbio un punto di svolta.

Pur essendo, già presente nella giurisprudenza della Corte Suprema americana, il concetto di interpretazione sistematica, fu però rielaborato da John Rawls. Va però messo in evidenza “come il liberalismo politico di Rawls neghi ai giudici costituzionali la possibilità di ricorrere al bilanciamento degli interessi politici, economici e sociali (il bilanciamento realista del giudice Holmes), ma- suggerendo loro di preferire una interpretazione sistematica della costituzione, ed integrare la portata normativa delle singole libertà costituzionali con il principio di eguaglianza- richiede un aggiustamento reciproco dei diritti costituzionali attraverso una regolazione che non comprima la loro gamma di applicazione centrale ( il bilanciamento post-realista dei diritti fondamentali che rispetta il loro contenuto essenziale)”[54] .

Chiarita quindi l'importanza del pensiero filosofico di John Rawls, è opportuno soffermarsi brevemente sulla scuola di pensiero di Richard Fellon. Per quest'ultimo “il bilanciamento dei diritti operato dalla Corte Suprema va inquadrato all'interno di una concezione della coerenza costruttivistica dell’interpretazione costituzionale. Recependo le istanze fondamentali di Dworkin e Rawls, Fallon guarda alla giurisprudenza costituzionale di common law con un approccio idealistico-soggettivo: making sense of, attribuzione di coerenza di significati ad un insieme di decisioni in apparenza incommensurabili tra loro, diventa la parola chiave”[55] .

Il pensiero filosofico di Fallon, pur essendo simile a quello di Dworkin e Rawls, si differenzia significativamente e difatti “dal punto di vista della concezione della coerenza costruttivista dell’interpretazione costituzionale ci sono dunque due tipi di bilanciamento: un bilanciamento interno a ciascun tipo di argomento, dove si cercano di comporre pretese confliggenti all'interno del medesimo testo, valore, precedenti etc…; e un bilanciamento costruttivista che mira comporre tra loro i diversi tipi di argomenti secondo la loro determinatezza e persuasività intrinseca o del loro valore all'interno della gerarchia degli argomenti”[56] .

La scuola di pensiero di Richard Fallon, si avvicina molto alle teorie costruttiviste di Max Weber e al realismo politico. Quest’ultimo “è un fenomeno complesso, e se è convincente declinarne la fisionomia complessiva anche come risposta allo sforzo (inappagante) di fondare l'ordine politico su principi costituzionali affermati in modo prescrittivo e dedotti razionalmente, esso è stato caratterizzato non di meno da un profondo divario di approcci e contesti storici”[57]

Parimenti anche, nella letteratura di Richard Fallon, si può ritenere che “il realismo politico, muovendo da una premessa antropologica pessimistica, sia approdato in definitiva, alla restaurazione di una concezione tecnica delle istituzioni, via obbligata per porre argine al disordine e intimidire da bestia che è nell'uomo. E si può aggiungere che le letterature polemiche del costituzionalismo, di recente prospettate sembrano riproporre un impasto di realismo e giuspositivismo piuttosto che rinviare al patrimonio culturale del costituzionalismo”[58].

Tornando ora ad esaminare più nello specifico il pensiero filosofico di Fallon, si può notare come il filosofo “rigetti l'idea che nella giurisprudenza costituzionale degli ultimi anni, i test di bilanciamento, abbiano avuto un ruolo importante. A suo modo di vedere la Corte in realtà guarda con sospetto gli esiti del bilanciamento -soprattutto nei giudizi che riguardano il federalismo o la separazione dei poteri -in quanto indeterminati, aperti a molteplici interpretazioni, inadatti a dominare il fenomeno del disaccordo ragionevole e scarsamente nomologici”[59] .

La Corte Suprema statunitense ha tenuto ben in considerazione il pensiero costruttivista di Fallon, soprattutto nella giurisprudenza costituzionale degli ultimi decenni, si può rinvenire una maggiore attenzione per l'interpretazione sistematica e testuale.

Le testé citate correnti filosofiche, hanno avuto una forte influenza nei confronti della dottrina costituzionalistica e della giurisprudenza delle Corti inferiori e della Corte Suprema. Tenendo presenti tali le scuole di pensiero, è ora possibile passare ad analizzare le varie fasi della giurisprudenza della Corte Suprema nordamericana.

Va, quindi, necessariamente premesso che secondo la dottrina costituzionalistica “negli Stati Uniti d'America esistono almeno tre primi emendamenti: uno dottrinario, uno giurisprudenziale ed uno interiorizzato nella coscienza dei cittadini come un valore simbolico di appartenenza ad una comunità democratica. Le interpretazioni che la letteratura giuridica ha offerto e continua ad offrire sul significato del Primo emendamento sono di una diversità spettacolare: a detta della dottrina statunitense, tra i valori che la libertà di manifestazione del pensiero sembra servire vi sono, tra gli altri: la continuità e la discontinuità storica, l'eguaglianza politica e la differenziazione individuale, il libero mercato delle idee e la critica ad una concezione economicistica dello spazio pubblico, la realizzazione dell'autonomia individuale e l'esplicazione di deliberazioni collettive, una formazione di opinioni personali e l'esercizio dei diritti sociali, la concretizzazione del realismo e l'espressione del romanticismo, la formazione delle maggioranze e la tutela delle minoranze , la conservazione dello status quo e la trasformazione progressiva dell’esistente”[60] .

Non a caso il I emendamento della costituzione, è stato il caposaldo dei diritti di libertà, di espressione e di associazione. La Corte Suprema, infatti, in determinati periodi della storia costituzionale statunitense ha ampliato le maglie del primo emendamento altre volte invece le ha ristrette.

Passando ora ad esaminare, la nascita del test di bilanciamento, la si potrebbe rintracciare “nello scritto Privilege, Malice, and Intent di Holmes. Nel riconoscere le contraddizioni tra diritti di proprietà e logiche competitive, tra forza lavoro e capitale, Holmes concludeva che le statuizioni giudiziali concernenti le modalità che concedevano il privilegio di infliggere un danno non potevano essere specificate secondo un ragionamento puramente deduttivo, estraendole dalla nozione assoluta del diritto di proprietà. Dal momento che i diritti delle organizzazioni dei lavoratori e quelle delle organizzazioni degli imprenditori sono in conflitto tra loro, le decisioni giurisdizionali debbono fondarsi su di una distinzione di grado. I due tipi di diritti si contraddicono l'un l'altro e un confine deve essere tracciato. Dal punto di vista dell’argomentazione Holmes rifiutava lo schema sillogistico ed invocava il ricorso ad un test di bilanciamento, allorquando ci si trova in presenza di un conflitto tra proprietà e competizione”[61].

La Corte Suprema statunitense embricò il test del bilanciamento giudiziario nel clear and present danger test. Quest'ultimo si rapportava ai casi concreti e teneva conto delle specifiche circostanze del caso posto all'esame della Corte Suprema.

Difatti “nel 1919 la Corte Suprema veniva chiamata a giudicare la legittimità di una sentenza penale che aveva condannato alcuni imputati per il reato di violazione dell’Espionage Act del 1917. Gli imputati avevano stampato circa 15.000 copie di una pubblicazione, che avevano distribuito ai militari in servizio nel periodo in cui gli Stati Uniti erano in guerra contro la Germania. Il documento asseriva che la chiamata alle armi era un atto degno del peggior dispotismo ed un’ingiustizia mostruosa contro l'umanità, perpetrata nell'interesse delle oligarchie finanziarie di Wall Street. Dichiarando la condanna penale conforme ai valori costituzionali protetti dal Primo emendamento, il giudice Holmes scriveva che in molti luoghi ed in tempi normali gli imputati avrebbero semplicemente esercitato i propri diritti costituzionali. Ma il carattere di ogni atto dipende dalle circostanze in cui ha luogo. La protezione più rigorosa della libertà di espressione non tutelerebbe un uomo che senza ragione urli al fuoco all'interno di un teatro scatenando il panico. Il problema centrale in ogni caso è quello di giudicare se le parole usate vengono impiegate in tali circostanze e sono di una natura tale da causare i mali oggettivi che il Congresso ha il diritto di prevenire”[62] .

Il giudice Holmes, in tale sentenza, pose l’attenzione sull’importanza delle specifiche circostanze da tenere in considerazione nel bilanciamento dei diritti costituzionali e delle libertà dell’individuo. Il bilanciamento, infatti, non può mai essere astratto ma deve tenere sempre in considerazione le specifiche esigenze dei casi concreti. Altrimenti, si rischierebbe che il bilanciamento diventi fuorviante e potenzialmente detrimente. Un altro caso molto interessante, nel quale emerge il carattere concreto del bilanciamento, è “Abrams vs United States in cui alcuni cittadini avevano stampato e distribuito volantini - lanciandoli in strada da una finestra, o facendole circolare in riunioni di gruppi radicali - in cui si condannava l'invio di truppe statunitensi in Siberia. Il volantino invitava a difendere la Russia da un attacco statunitense ed esortava ad uno sciopero generale. Pur in assenza di alcuna reazione da parte dei lavoratori ed in assenza di qualsiasi astensione dall’attività lavorativa, la Corte Suprema condannava a vent'anni di reclusione i redattori dello scritto. Notando la mancanza di un pericolo chiaro ed attuale, Holmes, criticava la sentenza della maggioranza e redigeva un’opinione dissenziente in cui asseriva che “le condanne ventennali sono state imposte per la pubblicazione di due volantini che gli imputati avevano tanto diritto di pubblicare quanto ne ha il governo di pubblicare la costituzione degli Stati Uniti, che ora essi invocano invano[63] .

Il problema di tale sentenza, non è il carattere astratto del bilanciamento, ma il suo uso distorto. Come giustamente osservato dal giudice Holmes, in questo caso il bilanciamento non aveva valutato il fatto che non vi erano state reazioni da parte dei soldati. Pur essendo, in questo caso, il bilanciamento svolto non in modo astratto, ma sempre con riguardo al caso concreto, la Corte avrebbe dovuto considerare sotto una luce diversa l’analisi fattuale del caso che pendeva davanti ad essa. Il bilanciamento, se mette da parte alcune circostanze, del caso in esame, rischierebbe di essere decisamente dannoso per il titolare del diritto. Non valutare tutte le circostanze del caso concreto, significherebbe tradire l’idea stessa di bilanciamento.

Passando ad osservare la giurisprudenza della Corte Suprema, durante l'epoca del cosiddetto Maccartismo è più che noto che “nella stagione della paranoia politica, definita maccartista, la Corte Suprema si trovò a giudicare della legittimità costituzionale di provvedimenti governativi e giurisdizionali emanati nei confronti di soggetti che avevano pubblicamente espresso idee filocomuniste ed apertamente antigovernative”[64].

La Corte Suprema, durante questo periodo, si sbilanciò a favore della sicurezza nazionale e della tutela della pubblica incolumità. Va sottolineato che il bilanciamento se arriva al punto da annullare l'altro principio o diritto in competizione, può diventare potenzialmente dannoso e controproducente.

Va osservato, infatti, che “la Corte Suprema degli anni ’50 si schierava a favore della repressione politica e strumentalizzava i tests di bilanciamento per legittimare misure di compressione delle libertà politiche”[65], annullando, gli altri diritti in competizione. Numerose furono le sentenze, durante l'epoca del maccartismo, che fece un uso distorto del bilanciamento e che “culminarono in Barenblatt v. United States del 1959, la Corte Suprema - con il dissenso di Hugo Black- optava per una tecnica di bilanciamento che produceva una superiorità dell'interesse pubblico alla sicurezza nazionale nei confronti dei diritti protetti dal primo emendamento. Ciò che appare discutibile dal punto di vista dell'iter argomentativo è la scelta del parametro del bilanciamento: la ponderazione della libertà di parola con il governamental interest, la Corte Suprema si ritraeva in una logica tutta statualistica, rifiutando di declinare il vocabolario della logica costituzionalista”[66] .

I danni prodotti dalla giurisprudenza maccartista furono evidenti. A fortiori, la successiva Corte Warren rifiutò qualsiasi uso della metafora del bilanciamento. Sebbene essa, non respingeva del tutto la logica del bilanciamento, ne rifiutava il contenuto assiologico. La Corte Warren “rivitalizzando la forza normativa del principio di eguaglianza, contenuto nel XIV emendamento, espandeva la portata delle libertà associative e riformulava i principi generali che governano l'area del primo emendamento”[67].

Tale nuovo approccio giurisprudenziale, si può notare, anche nella “sentenza New York Times v. Sullivan del 1964: consapevole di una lunga storia di discriminazioni razziali e di una realtà esplosiva soprattutto negli stati del Sud, la Corte Suprema giudicava della costituzionalità delle leggi statali che disciplinavano la diffamazione a mezzo stampa. Il caso proveniva dall'Alabama, in cui alcuni ufficiali governativi citavano in giudizio uno dei maggiori quotidiani nazionali, lamentando la falsità delle affermazioni contenute in una pubblicità di associazioni per la difesa dei diritti civili, con cui questi cercavano di raccogliere fondi per la difesa legale del Dr. Martin Luther King, accusato di spergiuro in occasione del boicottaggio degli autobus della città di Montgomery. Sullivan, il sovrintendente della polizia della città di Montgomery, in Albama, citava in giudizio il New York Times per diffamazione tramite pubblicazione di un annuncio firmato dai Comitati per la difesa di Martin Luther King e per la libertà nel Sud. Questo annuncio attribuiva a Sullivan ed alla polizia di Montgomery atti di violenza contro Martin Luther King Jr e contro membri del movimento per i diritti civili, conteneva alcune affermazioni false. Secondo la legge dello Stato dell’Albama, la Corte sottopose il giudizio di diffamazione alla giuria, che emise un verdetto in cui condannava i convenuti al pagamento di 500.000 dollari. Il giudice Brennan scriveva un'opinione di maggioranza in cui definiva i requisiti essenziali della diffamazione (accentuando il profilo soggettivo dell'intenzionalità con actual malice and reckless disregard for the truth) schierandosi apertamente dalla parte delle minoranze ingiustamente oppresse e contro gli ufficiali del governo dell’Alabama”[68] .

La Corte Warren, pur rifiutando qualsiasi riferimento al test del bilanciamento, tuttavia non ne ha rifiutato l’approccio aperto ai casi concreti sviluppando un sindacato di giustizia costituzionale line-drawing. Difatti, “la distanza critica tra la Corte Warren ed il ricorso al bilanciamento appariva allora come un mutamento giurisprudenziale rispetto all’atteggiamento apologetico tenuto in passato nei confronti della repressione maccartista, e come un' astuta mossa tattica con cui il giudice Brennan riusciva a riformulare la giurisprudenza costituzionale in modo responsive nei confronti dei mutamenti sociali e delle istanze di giustizia razziale ed in senso liberal - democratico, legando l'aspetto individuale dell’ esercizio della libertà soggettive di espressione del pensiero all'aspetto collettivo dell’esercizio delle libertà associative e delle dinamiche dell’autogoverno”[69].

Dall'analisi giurisprudenziale della Corte Warren, emerge una certa vicinanza al pensiero filosofico di John Rawls, in quanto la Corte fa propria l'interpretazione sistematica del testo costituzionale per espandere la forza normativa dei principi in esso contenuti.

Una netta cesura si ebbe però successivamente con le Corti Burger e Rehnquist, poiché “mentre tra le mani della Warren Court il rifiuto alla metafora del bilanciamento era funzionale ad una concezione responsive del sindacato di costituzionalità e all'adozione di canoni contestualizzanti nell’interpretazione costituzionale, esso diventava nelle mani delle testé citate corti il percorso argomentativo dietro cui si celava un ritorno all'idea della neutralità del contenuto legislativo, che ammantava con un velo di assolutismo dogmatico la giurisprudenza costituzionale”[70] .

Fu proprio durante il periodo della Corte Rehnquist, che si svilupparono le teorie dell’original intent e della living constitution, nell’interpretazione del testo costituzionale, evolvendo in tal modo la propria giurisprudenza costituzionale sul balancing test.

4.  Querelle tra sostenitori dell’Original Intent e della living constitution

Prima di analizzare il rapporto tra il principio di dignità e i diritti di libertà nella costituzione statunitense, è necessario tenere presente il dibattito tra i sostenitori dell'original intent e i sostenitori della living constitution, al fine di comprendere i riflessi di tale querelle nell'interpretazione ermeneutica della Costituzione del 1787.

Gli originalisti come il justice H. Black, il justice R. Bork e il justice A. Scalia, optavano per un'interpretazione ermeneutica della costituzione strettamente correlata al significato originario del testo della costituzione del 1787. “L'apparizione delle prime elaborazioni concettuali di queste tecniche di giudizio si trova negli scritti e nelle sentenze del giudice Hugo Black: egli riteneva che la regola cardine per costruire il significato delle norme costituzionali fosse quella di dare efficacia all'intenzione del popolo costituente, mediante un'analisi del significato apparente delle parole usate per esprimerle, con il solo limite dell'assurdità, dell'ambiguità ho della contraddizione”[71].

Secondo i sostenitori dell’original intent, dunque, l'interprete della costituzione avrebbe dovuto condurre un'analisi ermeneutica del testo costituzionale volta a ricercare il significato originario delle parole contenute nel testo costituzionale. Tale concezione ermeneutica non va confusa con una mera interpretazione testuale, bensì l'interprete della costituzione doveva svolgere una delicatissima analisi ermeneutica rivolta alla storia costituzionale e al tempo in cui fu elaborata la carta costituzionale del 1787.

Non a caso R. Bork “insisteva su di una concezione oggi elettiva del significato originario e sottolineava l'irrilevanza delle volontà soggettive dei costituenti. Ciò che assumeva rilevanza giuridica era dunque il significato delle parole del testo costituzionale così come erano state concepite al tempo della ratifica della costituzione. Il significato originario si rinveniva dunque nelle discussioni pubbliche, negli articoli di giornale e nei dizionari in uso al tempo”[72]. Un’interpretazione ermeneutica volta a ricercare la volontà soggettiva dei Framers a fortiori sarebbe stata impervia ed avrebbe rischiato di condurre gli interpreti della costituzione ad un'interpretazione non correlata al testo costituzionale, bensì ad una interpretazione altamente soggettiva della Costituzione.

Il significato della costituzione, secondo gli originalisti, si sarebbe dovuto ricavare dal sostrato assiologico al tempo in cui la carta costituzionale venne elaborata. Infatti, il justice A. Scalia “intendeva il contesto come il raccordo tra il significato puramente letterale delle disposizioni normative ed il modo in cui dal testo si evinceva ragionevolmente la intenzione dei costituenti. A tal riguardo egli specificava che il fine dell'interpretazione costituzionale non era quello di individuare ciò che i costituenti volevano dire, ma quello che essi effettivamente avevano detto. Il testualismo di Scalia rigettava sia l'idea di un costruttivismo stretto, sia l'idea di un costruttivismo largo ed optava per una concezione dell'interpretazione del testo, orientata dal principio di ragionevolezza capace di individuare il giusto significato di esso”[73].

Pertanto, “il ricorso ad argomenti di tipo mistico, alla riverenza per il testo in sé, ed una intransigenza assiologica, finivano così per sottrarsi ad una dialettica argomentativa e cercavano di eliminare una possibile disobbedienza dei giudici delle corti inferiori, della dottrina e delle università dove si insegnava a coltivare la immaginazione istituzionale”[74].

I sostenitori dell’original intent negavano, a fortiori, qualsiasi ricorso al balancing test, poiché avrebbe rischiato di esporre il testo costituzionale ad una interpretazione altamente soggettiva degli interpreti della Costituzione. “Nella cultura statunitense le teorie originaliste si sono concentrate sul rapporto dei giudici con il testo costituzionale e hanno investito più in generale il judical activism. Esso avrebbe travisato secondo Anthonin Scalia, la tradizione di common law, che avrebbe trasmesso il retaggio “dell’image of the great judge” come “the man (or woman) who has the intelligence to discern the best rule of the law for the case at the hand and skill to perform the broken- field running through earlier case that leaves him free to impose that rule”, senza peraltro spingersi fino alla forzatura di canoni e principi radicati nella tradizione e, nel caso della costituzione statunitense, di un'identità repubblicana embricata in un testo scritto. Se è vero che, attraverso la dottrina del precedente, il giudice crea il diritto “without the autority or interference of the legislator” e che il “judge made law is ex post facto law”, questo non vuol dire che il giudice non incontri nell'interpretazione costituzionale, limiti stringenti i quali derivano dalla supremazia della costituzione scritta. Tali limiti derivano anzitutto dal rispetto del testo (textualism), il quale non si traduce in uno strict constitutionalism ed in una pedestre e ripetitiva fedeltà alla lettera. Esso affida a giudice di lavorare sul testo reasonably “to contain all that it fairly means”, nella consapevolezza che il giurista textualist non è un literalist né un nihilist, ma un giurista capace di leggere il testo con assoluta fedeltà alla sua ispirazione storica ed alle matrici identitarie che in esso si sono stratificate”[75].

Per converso, l’interpretazione originalista della carta costituzionale rischiava di lasciare fuori dal judical review of legislation la conflittualità tra i principi costituzionali.

Occorre, infatti, rilevare che la società statunitense si fonda proprio sul dissent e sulla conflittualità dei molteplici valori. È proprio attraverso il dissent e la conflittualità, che riescono a convivere negli Stati Uniti d’America numerose chiese riformate, numerosi gruppi sociali, persone di cultura ed etnia diverse nonché la molteplicità di diversi valori.

La società statunitense è infatti una società pluralistica che fa del dissent e della divergenza valoriale e sociale il proprio punto di forza, ed altresì il suo punto nevralgico. Tale contesto sociologico testé descritto costituisce il terreno fertile per il balancing test. Il bilanciamento giudiziario ed il realismo, a fortiori, sono strettamente correlati in quanto “l'apparizione della metafora del bilanciamento nella pratica interpretativa del diritto statunitense si collega all’affermarsi del movimento del realismo giuridico”[76].

L’ intenzione dei realisti, tra i quali va annoverato anche il giudice Holmes, “era quella di risolvere le categorie del pensiero giuridico classico, così come esse si erano cristallizzate persino nella giurisprudenza costituzionale nella famosa sentenza Lochner v. New York”[77]. L'ortodossia classica riteneva che il bilanciamento fosse dannoso e voleva applicare la neutralizzazione dei valori costituzionali, ma soprattutto voleva adottare il ragionamento sillogistico-deduttivo nelle decisioni giudiziarie. Non stupisce che Holmes “qualificò Langdell come un “teologo del diritto”: il formalismo del metodo casistico introdotto da Langdell aveva condotto il pensiero e la pratica statunitense così lontano dalla realtà, da aver avvicinato l'analisi giuridica più alle dispute menta-fisiche sulle verità delle definizioni concettuali che non alla logica della ragione pratica chiamata a risolvere i conflitti sociali ed economici”[78].

Langdell, infatti, era un sostenitore del metodo deduttivo-sillogistico, nella definizione delle controversie giudiziarie. Tale metodologia rappresentava difatti “l'autopoiesi del formalismo- la sua tendenza cioè a riprodurre i propri presupposti concettuali mediante una demonizzazione del mutamento storico del significato delle posizioni normative- divenne così l'oggetto principale della critica dei realisti”[79].

L'importanza, del pensiero realista fu “l'introduzione della tecnica del bilanciamento il che avrebbe significato riconoscere, nella società pluralistica, la presenza di pretese confliggenti, tutte meritevoli di tutela ed in costante trasformazione”[80].

Il bilanciamento giudiziario, ad oggi, rappresenta per la Corte Suprema il principale strumento di risoluzione dei conflitti tra opposti principi costituzionali, svolgendo in tal modo il ruolo di garante e di mediatore dei confliggenti interessi dell’odierna società pluralistica.

I realisti introdussero una brillante metodologia di composizione dei conflitti della mutevole società pluralistica, e a loro va pertanto riconosciuto il merito di aver introdotto uno strumento in grado di arginare la conflittualità e di comporre i dissidi della variegata e frastagliata democrazia pluralistica.

Attualmente “il bilanciamento è centrale nella vita e nel diritto. Esso è centrale alla relazione tra i diritti dell'uomo e il pubblico interesse e tra gli stessi diritti fondamentali. Il bilanciamento riflette la natura multi-sfaccettata dell'essenza dei diritti fondamentali, della società in generale e della democrazia in particolare. È espressione del fatto che la legge non è tutto o niente. La legge è un complesso di valori e principi, che in certi casi sono tutti congruenti e conducono l'interprete ad un'unica conclusione, mentre in altre situazioni sono in diretto conflitto e richiedono una soluzione. La tecnica del bilanciamento riflette questa complessità. A livello costituzionale il bilanciamento consente la coesistenza, entro la democrazia, di principi e valori confliggenti, riconoscendo al contrario il loro conflitto costituzionale interno. Al livello sotto-costituzionale, il bilanciamento fornisce una soluzione che riflette i valori della democrazia e le limitazioni che la democrazia impone sul potere della maggioranza di restringere i diritti delle minoranze”[81].

Il balancing test, a fortiori, contribuisce a risolvere i conflitti assiologici tra i diversi principi fondamentali, e non a caso “la regola principale del bilanciamento cerca di determinare una regola positiva che riflette tutti gli elementi costitutivi del bilanciamento tra la legge che limita un diritto fondamentale ed i suoi effetti sul diritto costituzionale. Il bilanciamento dovrebbe soppesare entrambi i lati della bilancia così come dovrebbe valutare la loro relazione reciproca. Il bilanciamento dovrebbe applicarsi nei casi dove entrambi i lati della bilancia pensino un diritto costituzionale (come ad. es. una legge che limiti la libertà di espressione per proteggere meglio il diritto alla privacy), così come si dovrebbe applicare nei casi dove il lato della bilancia pesi i benefici sociali con noi considerazioni di pubblico interesse (come ad. es. una legge che limiti la libertà di espressione per proteggere meglio gli interessi della sicurezza nazionale). Quindi la regola del bilanciamento dovrebbe riflettere l'importanza sociale marginale dei benefici ottenuti dalla legge limitativa così come dovrebbe riflettere l'importanza sociale marginale nel prevenire il danno cagionato dalla limitazione del diritto in questione. Il bilanciamento dovrebbe considerare la probabilità di realizzazione deve testé menzionate ipotesi. Questa regola del bilanciamento andrebbe quindi ricercata entro la clausola di limitazione costituzionale (sia essa esplicita che implicita)”[82].

Al bilanciamento, quindi, spetta l’arduo compito di comporre i conflitti tra i confliggenti principi costituzionali e, infatti, è stato acutamente osservato da autorevole dottrinale che “nelle costituzioni del pluralismo si pone in termini particolarmente problematici il rapporto fra i principi sottostanti alla disciplina dei diritti costituzionali, in quanto il pluralismo dei valori esprime orientamenti confliggenti con riferimento allo stesso diritto (ad. es. inviolabilità della libertà personale e la custodia cautelare, il diritto alla proprietà privata e la funzione sociale di questa) ovvero produce collisioni o interferenze fra gli ambiti di protezione di differenti diritti (ad. es. fra la libertà di iniziativa economica e la libertà di manifestazione del pensiero). Tale nodo problematico, che affida ampi margini alla discrezionalità del legislatore, chiamato a sviluppare i principi costituzionali ed a calare nell'ordinamento attualizzandolo, gli orientamenti che costituzione esprime, viene risolto attraverso le operazioni di ponderazione e di bilanciamento fra i diversi beni protetti dalla costituzione, cui provvedono le Corti costituzionali: operazioni che presentano profili tanto più problematici, allorché non sia possibile giungere ad individuare una gerarchia fra i valori coinvolti in esse (ad. es. la priorità del valore personalista secondo gli artt. 2 e 13 Cost.)”[83].

Nel balancing test è fondamentale la distinzione tra regole e principi poiché, come è stato acutamente rilevato, “l'applicazione delle regole è invero insuscettibile di graduazione o di ponderazione: alla regola si può riconoscere importanza, ma non che essa sia più importante di un'altra, in quanto ha un ruolo maggiore o più importante nella disciplina del comportamento. Elaborata nel quadro della svolta della giurisprudenza della Corte Suprema federale statunitense, che era sfociata nella dottrina del clear and present danger ed in quella del balancing test, la distinzione tra regole e principi riservava a questi ultimi una funzionalità più congruente con lo scopo di governare la dialettica tra diritti e limitazioni dei diritti, che i positivisti avrebbero risolto in termini troppo rigidi, senza valutare quando il contesto avrebbe evidenziato qualche altro principio che in determinate circostanze fosse abbastanza importante per permettere la limitazione del diritto”[84].

I diritti fondamentali perlopiù vengono limitati dalle leggi che sono di rango inferiore ai diritti fondamentali contenuti nella costituzione. Infatti, “ogni volta che viene condotto il bilanciamento- ossia quando un diritto costituzionale viene limitato da una legge di livello inferiore alla costituzione- la regola del bilanciamento richiede all'interprete di porre su un lato della bilancia gli obiettivi che la legge di livello inferiore alla costituzione vuole raggiungere ed i benefici che essa vuole ottenere dal raggiungimento dell'obiettivo prefissato ed altresì che il beneficio conseguito dal raggiungimento dello scopo sia necessario (il c.d. lato della bilancia “dell'adempimento dello scopo”). Dall’altro lato della bilancia vanno messi la limitazione del diritto costituzionale, il danno che essa produce e il danno che si realizza in concreto (il c.d. lato della bilancia che pesa la limitazione del diritto costituzionale). L'interprete dovrebbe richiamare una regola normativa che determina il peso relativo di questi due lati della bilancia. Basandosi sul peso l'interprete potrebbe determinare quale dei due lati della bilancia è nel concreto migliore. Quindi è necessario bilanciare il lato del raggiungimento dello scopo con in lato della limitazione del diritto. Come viene condotto tale bilanciamento? Nell’essenza della regola del bilanciamento- e quindi della proporzionalità in senso stretto- vi è la ricerca delle regole positive che determinano le condizioni in base alle quali una limitazione di un diritto costituzionale, per mezzo di una legge, siano proporzionali in senso stretto. Nessuno potrebbe seriamente ritenere che tale bilanciamento debba essere risolto attraverso il lancio di una moneta. Tutti, invece, sono d'accordo sul fatto che dovrebbe essere adottato un approccio normativo per risolvere il conflitto. La questione di come risolvere il problema del conflitto si trova, dunque, nella costruzione della tecnica normativa per risolvere il problema del bilanciamento”[85].

Le varie Corti costituzionali, che hanno adottato la tecnica del bilanciamento per risolvere il conflitto tra divergenti principi costituzionali, costruiscono il bilanciamento in base al testo costituzionale ed alla società pluralistica in cui opera il bilanciamento. Così, mentre i giudici di Karlsruhe adoperano la Güterabwägung (ponderazione), che costituisce l’ultimo elemento costitutivo della Verhältnismäßigkeit in senso stretto e risolve il caso concreto attraverso la regola (si segue la costruzione dommatica del bilanciamento di R. Alexy) ricavata dal bilanciamento tra confliggenti principi costituzionali, al contrario la Corte Suprema statunitense adopera il balancing test che opera sempre con riferimento al caso concreto (case by case). Le singole Corti costituzionali quindi un ruolo cruciale nel bilanciamento.

Non a caso è stato acutamente osservato che “il potere giudiziario è il terzo pilastro dello Stato. Nell'individuare la regola ed applicare il common law è un attore primario. Nel dare attuazione alla legislazione esso è più di un mero esecutore. Piuttosto è un socio attivo, che fa da tramite, attraverso l'uso dell'interpretazione, tra il legislatore e la società. Questo però non è affatto un ruolo modesto”[86].

Le Corti costituzionali come è stato testé acutamente rilevato svolgono un ruolo cruciale di mediazione tra la società e il legislatore, cercando di porre rimedio ai conflitti che insorgono quotidianamente nel frammentato quadro delle società pluralistiche ed altresì costituiscono il maggiore interprete “della società aperta degli interpreti della costituzione”. “Le costituzioni esercitano una duplice funzione ossia una funzione integrativa insieme ad una funzione normativa. Tale relazione tra queste funzioni va osservata da diverse prospettive. Per qualcuno la forza normativa della costituzione scritta dipende in definitiva dal fatto che funzioni per richiamare un popolo a sé stesso nel tempo: un significato in forza del quale il popolo ricollega esso stesso e i suoi valori fondamentali. Per altri una costituzione avrà un effetto integrativo se embricherà il sistema dei valori fondamentali della società, e se questa percepirà che la sua costituzione riflette precisamente i valori con i quali essa si identifica, Allora la costituzione diventerà il fondamento del suo specifico carattere. Perciò una costituzione può conferire un'identità di valori finché il sistema che ha costruito verrà percepito come un buon sistema”[87].

Il bilanciamento, e le Corti costituzionali che lo applicano, contribuisce a rafforzare la convivenza di molteplici valori assiologici della società, che a fortiori si riflettono nei principi costituzionali, contribuendo ad eliminare i conflitti e a far sì che la società si identifichi con i valori costituzionali. Pertanto, i sostenitori della living constitution, facendo del balancing test il perno del judical review of leglislation hanno reso possibile la convivenza all’interno della società statunitense e della Costituzione del 1787 di molteplici principi costituzionali, rispondenti a concezioni assiologiche divergenti ed altresì mediante la costruzione teoretica e giurisprudenziale del balancing test hanno contribuito a rendere la Costituzione del 1787 un testo in divenire, aperto grazie al balancing test, alle istanze provenienti dalla frammentata società pluralistica statunitense.

5. Dignity and liberty nella Costituzione USA del 1787 come un Giano Bifronte dello stesso diritto

Prima di analizzare i casi Baze v. Rees (2008) e Buclew v. Precythe (2019) della Corte Suprema statunitense e il rapporto tra la pena di morte, prevista dal V emendamento, il principio dignità tutelato dal I e VIII emendamento, è necessario esaminare il rapporto tra dignity e liberty e le sue principali teorizzazioni filosofiche. I diritti di libertà nell’Europa continentale ed in Gran Bretagna, tra il XVII e XVIII secolo, con la Gloriosa Rivoluzione inglese 1688-1689 e con la Rivoluzione francese del 1789, avevano assunto un connotato polemico nei confronti dell'ancien règime. Infatti, “nei suoi motivi di fondo- com'è noto- è anzitutto la Rivoluzione francese ad apparire contraddittoria. Essa ereditò e rinsaldò lo stato forte, dandogli a nuovo fondamento la volontà generale teorizzata dal Rousseau, ma nello stesso tempo non rinunciò all'intangibilità dell'individuo e ad asserirne l'anteriorità allo Stato. I diritti del singolo erano la libera esplicazione della sua personalità, dovendo egli essere libero di fare ciò che non avrebbe nociuto ad altri- era la libertà del Locke e del Mill- ma allo stesso tempo quei diritti, attraverso il garantismo, vennero assunti anche come pretese alla sicurezza, realizzate dallo Stato, dal quale li si faceva così dipendere nel momento in cui si affermava come loro contenuto il non esserne intralciati. In altre parole, si vollero realizzare insieme libertà dallo Stato e libertà attraverso lo Stato, con una difficile sintesi che i giuristi avrebbero tentato di razionalizzare attraverso la formula della dialettica libertà/autorità. Ciò, del resto, era già visibile nella Dichiarazione dell'89, la quale rifletteva questo dualismo, inavvertito probabilmente dai suoi formulatori.” Gli uomini nascono e rimangono liberi e uguali” - diceva l’art.1 e l’art. 2 precisava che “scopo di ogni associazione politica è conservare i diritti naturali e imprescrittibili dell'uomo”. Le due proposizioni esprimevano la più completa adesione ai principi formulati dal Locke ed all'ipotesi, quindi, della priorità dell'individuo sullo Stato, assumendo questo come suo strumento del tutto sfornito di autonome e intrinseche giustificazioni”[88].

La libertà delle rivoluzioni continentali veniva, quindi, concepita come una libertà prevalentemente negativa (o di difesa dallo Stato), embricando i valori assiologici della società borghese. Al contrario, negli Stati Uniti d’America i diritti di libertà si basavano prevalentemente sul concetto Kantiano di autodeterminazione dell'uomo, inteso come singolo. I diritti di libertà nel continente americano erano quindi fortemente individualizzati.

I diritti di property and liberty erano fortemente incentrati sul soggetto e sull'autodeterminazione di questo. In altre parole, i diritti di libertà anziché porsi in contrasto all'ancien régime e liberare la società dalle pastoie dell'assolutismo, erano frutto di una guerra di indipendenza contro la madrepatria e non contro l'assolutismo monarchico. Pur non emergendo esplicitamente nella costituzione del 1787 il principio di dignità, a fortiori, era strettamente correlato ai diritti di libertà e al concetto di autodeterminazione.

Alla base della guerra di indipendenza del 1776-1791 contro la Gran Bretagna era fortemente radicato il concetto di autodeterminazione dell'individuo, il quale doveva essere libero di scegliersi la forma di governo e la forma di stato, nonché titolare effettivo dei diritti di libertà posti per tutelare i cittadini statunitensi dall'oppressione. L’autodeterminazione rappresenta quindi il nesso eziologico tra i diritti di libertà e il principio dignità. Infatti, “nella ragion pratica kantiana il significato universale della dignità dell'uomo, subisce, rispetto al pensiero del giusnaturalismo sei-settecentesco, un'ulteriore trasformazione, in quanto il pensiero kantiano si sforza di sollevare il valore della dignità dell'uomo su di un piano razionale astratto rispetto al carattere più empirico che il filone giusnaturalistico, risalendo da Pufendorf ad Hobbes, faceva derivare dalla matrice contrattualistica. La Würde si manifesta invero come il valore intrinseco dell'uomo, come un a-priori della filosofia pratica che riveste di per sé carattere assoluto: precisamente come un qualcosa la cui esistenza in sé stessa ha un valore assoluto che, quale scopo in sé stesso può essere il fondamento di determinate leggi, e può pertanto costituire il fondamento di un possibile imperativo categorico”[89].

Come è stato acutamente rilevato il pensiero filosofico di Kant pone in stretta correlazione il principio dignità uno i diritti dell'uomo. Infatti, “in questo modo il pensiero kantiano prepara il successivo processo di traslazione del piano della Würde su quello dei diritti dell'uomo: il legame fra l'una e gli altri viene a profilarsi come uno stretto nesso strumentale, dal momento che i diritti esprimono quel che ad ogni uomo spetta in forza della sua essenza di uomo (Menshheit), e la dignità esprime in che cosa sia riposta in sostanza questa essenza. Per altro verso, nello sforzo di costruire la dignità dell'uomo sul terreno razionale, di un a-priori astratto, e di disegnare un tracciato di relazioni tra individui che prescinde dalla considerazione delle dinamiche sociali, il pensiero kantiano anticipa il (o forse più esattamente fornirà un poderoso armamentario filosofico al) successivo assorbimento della dignità dell'uomo nella dogmatica giusstatualistica del XIX secolo”[90].

Se con Kant la dignità dell'uomo e il principio di autodeterminazione sono fortemente incentrati sul soggettivismo e l'uomo non è mai come mezzo, ma come fine in sé stesso, con Hegel il principio di autodeterminazione e la dignità dell'uomo si oggettivizzano, e de plano, si può notare come “la filosofia hegeliana racchiudeva in sé anche i germi della dissoluzione di una concezione della dignità dell'uomo fondata sul rilievo della individualità. Ciò dipende dall'aver collocato l'io, con la sua particolarità, all'interno di un sistema universale, nell'ambito del quale il soggetto viene gradualmente assorbito nello spirito oggettivo, e dall'assunto della necessaria identità tra lo scopo finale del mondo/ Endzweck der Welt e la sua realizzazione nella sfera individuale soggettiva. Immersa nel fiume delle leggi di sviluppo dello spirito oggettivo, anche la storicità del soggetto hegeliano è inseparabile da una dimensione oggettiva che trascende la sua particolarità, e la stessa storia universale viene a configurarsi come il prodotto di una eterna razionalità, prima che opera di individui”[91].

Attraverso la storicità teorizzata da Hegel, la dignità non si incentra più sul singolo individuo ma si oggettivizza e non a caso “la storia del mondo è il progresso della coscienza della libertà. Noi conosciamo già le tappe di questa ascensione, che va dall'individuo alla famiglia, alla società civile e allo stato; l'ultima tappa è e lo spirito del mondo, nella cui storia unitaria si accentrano le mutevoli vicende della vita degli stati. Questo si può dire che sia il solo veramente libero, poiché in esso si compendia la razionalità suprema delle cose, e poiché tutte le libertà particolari delle formazioni intermedie sono assorbite e neutralizzate nella sua”[92].

La correlazione tra il principio di autodeterminazione e la dignità dell'uomo è strettamente radicata nel I emendamento della Costituzione statunitense, che fa della libertà, ed a fortiori, dell'autodeterminazione (che, come si è poc’anzi affermato, è strettamente correlata alla Würde), trasla sul piano costituzionale le teorizzazioni filosofiche del principio di autodeterminazione e quindi della dignità dell'uomo. “La rinascita del tema della dignità dell'uomo dopo la parziale eclisse del secolo borghese si profila con chiarezza nel XX secolo, sotto la pressione di fattori diversi. Anzitutto, la reazione all'eco dei crimini del colonialismo che giungevano in Europa ed il trauma delle guerre mondiali, con il corredo di vittime, distruzioni e patimenti atroci che esse comportarono, contribuirono a porre il problema del rispetto della persona umana sotto una nuova luce, ed a riferire la dignità dell'uomo al genere umano ed alla preservazione di un patrimonio irretrattabile dell'umanità, prima che dell'individualità della persona. Ciò ha  avuto implicazioni e sviluppi e rilevanti, in primo luogo al perseguimento di un obiettivo così elevato un diritto racchiuso entro i confini impenetrabili della sovranità statale appariva come uno strumento inadeguato soprattutto alla luce delle gravissime responsabilità che gli Stati stessi avevano accumulato in questi tragici frangenti della storia dello Stato nazionale: muove da queste premesse, a partire dalla Dichiarazione universale dell'ONU del 1948, lo sforzo di porre la dignità dell'uomo sotto la tutela di convenzioni internazionali e regionali sui diritti umani e di apprestare uno scudo protettivo sovrannazionale all’ispirazione delle costituzioni statali. In secondo luogo, il tema della dignità dell'uomo assumeva forte risalto nella sua dimensione oggettiva, travalicando il piano della protezione dell'individuo e della tutela di situazioni soggettive, ciò che ha concorso a porre le basi dell'idea che la dignità non costituisca il contenuto di un diritto fondamentale ma la base sulla quale poggia l'intero edificio costituzionale così come i diversi diritti fondamentali”[93].

Alla dichiarazione universale dell'ONU del 1948 hanno aderito gli Stati Uniti d'America, recependo altresì il principio dignità ivi racchiuso con tutte le sue mutevoli evoluzioni. Pertanto, se da un lato il principio dignità fa prepotentemente ingresso nella Costituzione del 1787 grazie al principio libertà e di autodeterminazione embricato nel I emendamento, dall'altro lato il principio dignità viene recepito negli Stati Uniti d’America anche attraverso le convenzioni regionali e macroregionali che tutelano i diritti fondamentali dell'uomo come la Dichiarazione universale dell'ONU del 1948. Il tessuto pluralistico statunitense è terreno fertile vedi diritti di libertà ed infatti è stato acutamente osservato che “la libertà sociale, nella costruzione del pluralismo, è anche, sebbene non solo, una libertà organizzata per gruppi, non è pensabile infatti una reale libertà senza attività di gruppo, la realtà sociale dei diritti fondamentali si realizza in parte solo attraverso il diritto dei gruppi”[94].

Il pluralismo sociale, a fortiori, caratterizza dunque la società statunitense, che si fonda come si è testé ricordato sul dissenso (dissent) e la sua tolleranza (emblematiche in tal senso sono le sentenze della Corte Suprema federale sulle bandiere bruciate, dove la Corte anziché criminalizzare l'incendio doloso della bandiera degli Stati Uniti d’America, facendo leva sul I emendamento fa ricadere tale atto nella sua sfera di applicazione e dunque lo qualifica come libertà di espressione anche del dissenso verso lo Stato). “Solo il pluralismo culturale dei valori e di quelli basilari può essere lo sfondo adeguato della libertà fondamentale nello Stato costituzionale, esso può condurre infatti a un esercizio sensato della libertà, per quanto debba essere messo in conto anche il rischio del nonsenso”[95].

I diritti di libertà e il tessuto pluralistico della società statunitense si riconnettono al principio dignità, poiché senza libertà dell'essere umano non c'è dignità essenza dignità dell'essere umano per converso non c'è libertà. In sostanza il I emendamento racchiude in nuce il principio dignità e, de plano, il principio libertà e il principio dignità, per usare una metafora, costituiscono due facce della stessa medaglia.

Ciò premesso è ora possibile andare ad analizzare il rapporto tra il principio dignità, a sua volta enucleato dal principio libertà, contenuto nel I emendamento e nell’VIII emendamento, e il rapporto con la pena di morte, prevista dal V emendamento, ed i ben noti casi giurisprudenziali testé richiamati all'inizio del paragrafo.

6.  Il principio dignità e l’VIII emendamento e il rapporto con la death penality nella Costituzione USA 1787 Als Ganzes

Il principio dignità, tutelato indirettamente dal I emendamento (che tutela espressamente i diritti di libertà ed implicitamente il principio dignità) e direttamente dall’VIII, mediante il divieto di pene “crudeli e inusitate”, fa emergere in tutta la sua drammaticità il conflitto tra il principio dignità e la pena di morte prevista dal V emendamento della Costituzione statunitense.

Tale difficile convivenza tra la pena di morte e la tutela della dignità dell'uomo è stata oggetto di due importanti sentenze della Corte Suprema statunitense: il caso Baze v. Rees (2008) e il caso Bucklew v. Precythe (2019). Pur rigettando entrambe le sentenze le pretese dei ricorrenti, che si fondavano sull’VIII in relazione, non alla incostituzionalità della pena di morte in sé, ma alla incostituzionalità dei metodi di esecuzione, sono tuttavia esemplari del difficile rapporto tra il principio dignità e la pena di morte.

La prima sentenza fissa il principio dell'onere della prova in capo al ricorrente sull’incostituzionalità del metodo di esecuzione adoperato dallo Stato ed impone alla parte ricorrente di trovare un metodo alternativo che riduca la soglia di dolore e che sia concretamente realizzabile. In tale sentenza non è, dunque, in discussione la costituzionalità della pena di morte in relazione all’VIII emendamento, né tantomeno le opinioni dissenzienti mettono in evidenza il contrasto tra la previsione del divieto di pene “crudeli e inusitate” previsto dall’VIII e la vigenza della pena di morte ai sensi del V emendamento.

Secondo la maggioranza dei giudici che hanno rigettato la questione di costituzionalità in relazione all' VIII emendamento, sui metodi di esecuzione, “l’VIII emendamento, applicabile mediante la due process clause del V emendamento (v. Robison v. California, 370 U.S: 660, 666 (1962)), stabilisce che “una pena eccessiva non deve essere inflitta, né tantomeno devono essere inflitte punizioni crudeli e inusitate”. Partendo dal principio posto nel caso Gregg che la pena di morte sia conforme a costituzione (v. 428 U.S. p. 177 concurring opinion dei justice Stewart Powell e Stevens J.J.), ne consegue necessariamente che ci debba essere un modo per porla in essere. Un certo rischio di dolore è insito in qualsiasi metodo di esecuzione, ciò che conta ai fini della costituzionalità è la possibilità di un errore nell’eseguire la procedura che cagioni dolore. È evidente che la costituzione non impone di evitare ogni rischio di dolore nel condannato alla pena capitale”[96].

I giudici della Corte Suprema, seguendo, in questo caso, la dottrina dell'original intent, ritengono che l'VIII emendamento non vieti la pena di morte e che, al contrario, vieti metodi di esecuzione della pena capitale che si qualifichino come torture o supplizi. Infatti, “le punizioni sono crudeli quando comportano torture o alterano la pena di morte; la pena capitale non è di per sé crudele nel senso racchiuso nell'VIII emendamento. Proibisce piuttosto pene inumane e barbare che vadano al di là del semplice obiettivo di porre fine alla vita del condannato”[97].

Utilizzando la dottrina dell'original intent la maggioranza dei giudici della Corte suprema ritiene, infatti, che “come originariamente concepito l'VIII emendamento permetteva metodi di esecuzione, come l'impiccagione che implicava un significativo rischio di sofferenza, mentre proibiva solamente quei metodi crudeli che avrebbero intensificato il dolore e la paura, mediante supplizi o torture, nel condannato a morte. Per stabilire se il metodo utilizzato da uno Stato, superi il tasso di sofferenza, un condannato deve provare che esistano metodi alternativi fattibili e concretamente e realizzabili che riducano significativamente il rischio di sofferenza e che lo Stato si rifiuti irragionevolmente di adottarli”[98].

Nel caso Baze v. Rees la Corte Suprema statunitense, interpretando il divieto di pene “crudeli e inusitate”, espresso dall'VIII emendamento in relazione alla death penality, non riteneva la pena capitale come una pena crudele e inusitata poiché al tempo della sua entrata in vigore la pena di morte era originariamente vigente in 36 Stati e dunque ciò significava che i costituenti, e a fortiori, la Costituzione stessa non proibiva in sé la pena di morte, bensì voleva proibire torture o supplizi che avrebbero intensificato irragionevolmente il dolore e la paura nel condannato. Secondo la maggioranza dei giudici della Corte Suprema “il rifiuto di uno Stato di modificare il suo protocollo di esecuzione potrebbe violare l’VIII emendamento solo se un detenuto ha prima identificato una procedura alternativa fattibile e concretamente realizzabile e che ridurrebbe significativamente il rischio di un concreto dolore nell'esecuzione della condanna a morte”[99].

Dunque, la Corte Suprema adottando un approccio deferential nei confronti del legislatore rigettò nel caso Baze v. Rees, la questione di costituzionalità in relazione all’VIII emendamento, ponendo l’onere in capo al ricorrente di trovare una procedura di esecuzione che avrebbe significativamente ridotto il rischio di sofferenza. L'approccio deferential nei confronti del legislatore ed il ricorso all'original intent emergono con più forza nel caso della Corte Suprema Bucklew v. Precythe (2019). Infatti, secondo i giudici della Corte Suprema “la Costituzione prevede la pena capitale. In effetti la condanna a morte era la pena principale per tutti i reati gravi al momento dell’entrata in vigore degli emendamenti che la disciplinavano. La successiva aggiunta dell'VIII emendamento non proibiva la pena di morte. Al contrario, il V emendamento, aggiunto alla Costituzione contestualmente all’VIII prevedeva espressamente che l'imputato potesse essere processato per un delitto capitale e privato della vita a titolo di pena, purché fosse rispettato il due process of law. È il primo Congresso, che ha proposto entrambi gli emendamenti e ha stabilito molteplici crimini punibili con la pena capitale. Certamente questo non significa che il popolo americano debba continuare ad usare la pena di morte. La stessa Costituzione che permette agli Stati di autorizzare la pena capitale permette loro anche di abrogarla. Questo non significa che il potere giudiziario possa dichiararne l'illegittimità costituzionale, poiché la sua abrogazione è un diritto riservato al popolo e ai suoi rappresentanti”[100].

La Corte Suprema federale, mediante il ricorso all’original intent, evita di pronunciarsi direttamente sulla costituzionalità della pena capitale in relazione all’VIII emendamento e il principio dignità. Nonostante ciò, la conflittualità tra il principio dignità, racchiuso nel I e VIII emendamento della costituzione statunitense, e il rapporto con la pena di morte prevista dal V emendamento, fa ingresso nell’ importantissima opinione dissenziente del justice Breyer.

Infatti, secondo quest'ultimo “si è ripetutamente affermato che l’VIII emendamento non costituirebbe un divieto statico che proibisce le stesse punizioni che vietava XVIII secolo. Piuttosto proibirebbe punizioni che oggi sarebbero considerate crudeli e inusitate”[101].

In conclusione, tale coraggiosa dissenting opinion del justice Breyer nel caso Bucklew v. Precythe apre la strada ad una interpretazione vivente (living) della Costituzione del 1787, aprendo, dunque, una storica breccia di Porta Pia nella giurisprudenza della Corte Suprema, che permetta, in futuro, alla Corte di mutare giurisprudenza, ed attraverso il balancing test, far propendere l’ago della bilancia verso il principio dignità, tutelato indirettamente dal I emendamento, e direttamente dall’VIII emendamento, che vieta pene “crudeli e inusitate” e di considerare, a fortiori, la pena capitale come una pena crudele e inusitata, tanto più che gli Stati Uniti d’America hanno aderito a convenzioni internazionali dove il principio dignità è posto al centro come Dichiarazione universale dei diritti umani dell’ONU del 1948 e ciò pone, quindi, le basi per un'auspicabile mutamento di giurisprudenza della Corte Suprema statunitense teso a rafforzare il principio dignità in tutte le sue potenzialità.

7 Judicial review of legislation: prospettive e sviluppi futuri di un sindacato di legittimità costituzionale di tipo diffuso, ispirato al judicial review of legislation, nel sistema di giustizia costituzionale italiano

La giustizia costituzionale è strettamente correlata alla forma di governo e alla forma di Stato. In merito alla forma di governo (ossia i rapporti intercorrenti tra gli organi costituzionali di vertice) “le corti costituzionali (o comunque gli organi di giustizia costituzionale) mirano appunto a custodire la tavola dei valori che è l'insieme delle regole del gioco fondamentali- e, dunque il sistema dei limiti giuridici essenziali senza sovrano- di un ordinamento dato: questa è la costituzione. Il concetto (e l'importanza) della giustizia costituzionale non cambiano anche se si accede all'idea, di una costituzione complessa, senza unico principio ordinatore, o persino quella, più discutibile, che le carte siano in declino[102].

Quindi, le corti costituzionali incidono sulla forma di governo ed in quanto organi costituzionali di vertice, nel conflitto tra i poteri dello Stato (recte organi- poteri) assolvono al delicato ruolo di garanti degli organi costituzionali, impedendo che un potere possa prevalere a discapito dell'altro. Quanto invece, alla forma di Stato (intesa come il rapporto intercorrente tra governanti e governati), le Corti costituzionali, a fortiori, tutelano i diritti fondamentali delle democrazie pluraliste, impedendo che le leggi positive (nella loro accezione Kelseniana) ledano i diritti fondamentali delle minoranze e tutelano quindi, le minoranze nei confronti degli abusi del legislatore.

Non a caso è stato autorevolmente sostenuto che “evidenti ragioni logico-giuridiche rendono oltremodo difficile immaginare una Carta rigida che non abbia anche, al suo interno e quale sua essenza, un contenuto di particolare valore, che caratterizza la forma di Stato prescelta nel singolo ordinamento, e - come tale- non semplicemente rigido, ma addirittura (se non nella forma almeno) nella sostanza intangibile, pena il venir meno dell'ordinamento stesso[103].

Senza un modello di giustizia costituzionale non esisterebbe tutela alcuna a fronte delle violazioni delle norme costituzionali perpetrate dal legislatore, il quale de facto potrebbe disapplicare del tutto i principi fondamentali a discapito delle minoranze.

È del tutto evidente che le Corti costituzionali incidono sulle forme di Stato ed infatti, è stato autorevolmente sostenuto che “le diverse forme di Stato, hanno come base di raffronto e come criterio di distinzione, il diverso condizionamento che il sistema di potere politico istituzionalizzato esercita sulla società civile; e di converso, il diverso condizionamento che la società civile esercita nei confronti del sistema di potere politico istituzionalizzato[104].

Le Corti costituzionali incidono, quindi, sulla forma di Stato tutelando le minoranze contro gli abusi delle maggioranze parlamentari ed altresì assolvono al delicato ruolo di risolutori dei conflitti presenti all'interno delle società pluraliste (mediante la ragionevolezza, il balancing test e la Verhältnismäßigkeit per citare alcuni dei più importanti criteri decisori). Ciò premesso è ora possibile delineare brevemente i caratteri del sistema di giustizia costituzionale italiano. Posta l'esistenza di due famiglie giuridiche di sindacato di costituzionalità delle leggi ovverosia: “il sindacato di tipo diffuso, adottato negli Stati Uniti d’America, in Grecia, in Svezia e nel Regno unito, ove è demandato a ogni giudice il compito di far prevalere la legge costituzionale su quelle ordinaria, attribuendo ad esso direttamente il potere di disapplicare la legge in contrasto con la costituzione, e il sindacato di tipo accentrato che vede la creazione di un organo ad hoc, autonomo dal resto dell'ordinamento giudiziario, con lo specifico compito di sindacare la costituzionalità delle leggi[105] ( come nella Repubblica Federale Tedesca e in Austria dove vi è un sindacato di costituzionalità di tipo accentrato e diretto), bisogna, ora, analizzare in quale famiglia giuridica si colloca il sistema di giustizia costituzionale italiano.

La carta costituzionale e le leggi costituzionali nn. 1/1948, 1/1953, 2/1967 e 1/1989 nonché le leggi ordinarie nn. 87/1953, 20/1962, 352/1970 e 219/1989, delineano un sistema di giustizia costituzionale rientrante tra i c.d. sistemi misti avendo quali elementi costitutivi un sindacato di tipo accentrato, un accesso di tipo concreto e diffuso e una sentenza costitutiva con effetti erga omnes ma anche parzialmente ex tunc.

Premesso che la Corte costituzionale italiana giudica ex art. 134 co. 1 Cost. sulla legittimità costituzionale delle leggi e degli atti aventi forza di legge dello Stato e delle Regioni mediante un sindacato promosso in via incidentale dai vari giudici a quibus e in via principale mediante un sindacato di legittimità costituzionale promosso dallo Stato (nella sua accezione di Stato-soggetto) e dalle Regioni, nonché giudica ex art. 134 co. 2 Cost. sui conflitti tra i poteri dello Stato (c.d. conflitto interorganico) e su quelli tra lo Stato e le Regioni e tra le Regioni, ed infine ex art. 134 co. 3 Cost. sulle accuse promosse nei confronti del presidente della Repubblica, è del tutto evidente come nei giudizi di legittimità costituzionale vi siano due modi di accesso al sindacato di giustizia costituzionale: in via incidentale ed in via principale. Incentrando l'analisi sul giudizio di legittimità costituzionale delle leggi e degli atti aventi forza di legge e sui modi di accesso alla Corte costituzionale testé menzionati, vanno rispettivamente messi in evidenza gli elementi costitutivi del giudizio in via incidentale (o in via di eccezione) e del giudizio in via principale (o d’azione).

Affinché i vari i giudici a quibus possano correttamente instaurare un giudizio di legittimità costituzionale, in via incidentale, e quindi sollevare validamente la q.l.c (questione di legittimità costituzionale per brevità d'ora in avanti intesa come q.l.c) in primo luogo, occorre che via sia un giudice (requisito soggettivo) e un giudizio (requisito oggettivo-funzionale).

Tali requisiti possono non sussistere congiuntamente (cfr. Corte Cost. sent. nn. 83/1966, 387/1996 e 164/2008). In secondo luogo, ex art. 23 l. n. 87/1953 i vari giudici a quibus devono valutare la rilevanza della questione di legittimità costituzionale, cioè essa deve rappresentare una pregiudiziale per la soluzione del giudizio in corso di svolgimento: non può essere decisa la controversia indipendentemente dall'applicazione della norma della cui legittimità si dubita[106].

In terza istanza, occorre che la questione di legittimità costituzionale sia non manifestamente infondata; come autorevole dottrina ha rilevato “in altre parole, la questione non deve apparire manifestamente fondata; per poter essere rimessa alla Corte è sufficiente che sussistano dubbi di costituzionalità e che non possa quindi essere dimostrata la manifesta infondatezza (cfr. Corte Cost. sent. n. 161/1977). […] Il requisito della non manifesta infondatezza non comporta che il giudice sia convinto della fondatezza e nemmeno esclude che egli rimanga soggettivamente persuaso del contrario; è invece sufficiente che esistano ragioni di incertezza. Perciò il giudice è tenuto nel sollevare la questione anche se è convinto della infondatezza, ma tuttavia non è in grado di motivare il rigetto della questione stessa in modo pienamente convincente a norme dell'art. 24 l. n. 87/1953[107].

Vertendo il giudizio di legittimità costituzionale sulle norme (e quindi sui significanti) e non sulle disposizioni, ne discende, a fortiori, che i vari giudici a quibus prima di sollevare la q.l.c. debbano tentare un'interpretazione conforme a costituzione (pena l’inammissibilità della q.l.c.).

Infatti, “se è possibile un'interpretazione adeguatrice della legge da parte del giudice a quo non vi sarà allora una vera questione di costituzionalità, ma piuttosto una questione di interpretazione, rientrante nei normali poteri (e doveri) dell'autorità giudiziaria. Tale orientamento ha trovato espressione in una formula della sentenza n. 356 del 1996 secondo la quale “in linea di principio, le leggi non si dichiarano costituzionalmente illegittime perché è possibile darne interpretazioni incostituzionali (e qualche giudice ritenga di darne), ma perché è impossibile darne interpretazioni costituzionali”. Ciò significa che, quando il giudice a quo non ha fatto uso di tutti gli strumenti interpretativi di cui dispone per tentare l'armonizzazione della disposizione censurata con la costituzione, la Corte non accetta di prendere in esame la questione. Più precisamente, la questione è dichiarata inammissibile. In questo senso si è detto che la motivazione circa l'impossibilità dell'interpretazione adeguatrice è divenuta un requisito di validità dell'ordinanza di remissione[108].

Infine, l'ordinanza di rinvio che solleva la q.l.c oltre a dover rispettare il c.d. principio dell'autosufficienza (cfr. Corte Cost. sent. n. 383/2006), deve necessariamente fissare il c.d. thema decidendum, ossia l'oggetto della q.l.c., dunque il parametro, integrato dall’eventuale norma interposta o dal tertium comparationis e la legge che si ritiene contrastante con il parametro ossia la carta costituzionale ed i suoi principi fondamentali (cfr. Corte Cost. sentt. nn. 1146/1988 e 238/2014).

Tutto ciò come verrà meglio specificato nel paragrafo conclusivo, avvicina il giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale al sindacato di legittimità costituzionale di tipo diffuso, tipico degli ordinamenti di common law.  Per quanto concerne infine, il giudizio in via principale occorre premettere che, a differenza del giudizio in via incidentale, che rispecchia le caratteristiche del c.d. processo oggettivo, il giudizio in via di azione, presenta degli elementi caratterizzanti che lo avvicinano al processo di tipo soggettivo, che non a caso riguarda lo Stato-soggetto e le Regioni (lo Stato e le Regioni costituiscono il c.d. Stato-ordinamento ex art.114 Cost.), configurandosi quindi come un giudizio di parte, anche se vertente sulla legalità dell'ordinamento costituzionale (e ciò lo avvicina al  giudizio in via incidentale).

Mentre il governo ex artt. 123 e 127 Cost.  (recte il Consiglio dei ministri previa deliberazione) può proporre, entro 60 giorni dalla pubblicazione della legge regionale sul Bollettino Regionale (c.d. pubblicazione necessaria) e sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana, tramite ricorso una questione di legittimità costituzionale per qualsiasi vizio di legittimità costituzionale (così è stata intesa la formula ex art. 127 Cost. “qualsiasi vizio che ecceda la competenza della regione” cfr. Corte Cost. sent. n. 274/2003), i ricorsi regionali “possono essere proposti solo per pretesa invasione o lesione delle attribuzioni legislative proprie della regione (ex art. 117 Cost. ovvero Statuti speciali). La regione, pertanto, dovrebbe poter denunciare non qualsiasi vizio di legittimità costituzionale delle leggi ordinarie, ma solo la presunta invasione della sfera di competenza che la costituzione le assegna[109].

Particolare procedura costituisce l'impugnazione ex art. 123 Cost. degli statuti regionali da parte del governo nel termine di 30 giorni dalla loro pubblicazione. Secondo giurisprudenza della Corte costituzionale (cfr. Corte Cost. sentt. nn. 304 e 306 del 2002) tale sindacato di legittimità costituzionale si configura come preventivo in quanto la pubblicazione di cui all'art. 123 Cost. viene intesa come pubblicazione notiziale che precede l'eventuale richiesta di referendum. Posto che come è stato autorevolmente rilevato “la distinzione fra disposizione e norma è utilizzata quotidianamente dai giudici allorché, per poter applicare una certa disposizione, si trovano nella necessità di interpretarla, di estrapolarne cioè il significato, quindi la norma concretamente riferibile alla fattispecie oggetto della controversia che debbono dirimere. Ma il giudizio nella cui pratica la distinzione ha trovato le sue applicazioni più importanti e più sofisticate è il giudizio di legittimità costituzionale[110], che quindi come è stato notato in dottrina (A. Ruggeri e A. Spadaro) ha ad oggetto le norme (recte i significanti). Infatti, i vari giudici a quibus nel valutare la rilevanza della q.l.c e nel verificare la non manifesta infondatezza e il conseguente tentativo di interpretazione conforme a costituzione, devono logicamente e necessariamente compiere un'interpretazione ermeneutica delle disposizioni (recte i significati) e compiendo quindi tale interpretazione ermeneutica attribuiscono ai significati un significante e, de plano, ne discende che oggetto del giudizio di legittimità costituzionale non saranno le disposizioni in sé, bensì le disposizioni come interpretate dai vari giudici a quibus ovverosia le norme.

La non manifesta infondatezza ex art.23 l. n. 87/1953, pur nei limiti di un sindacato di tipo accentrato, e l'interpretazione conforme a costituzione avvicinano il sindacato di legittimità costituzionale italiano in via incidentale al modello di giustizia costituzionale nordamericano di tipo diffuso, in quanto il giudice ove ritenga la q.l.c. (estrapolando dalla disposizione una norma conforme a Costituzione) manifestamente infondata non deve sollevare la q.l.c. e del tentativo di interpretazione conforme a Costituzione il giudice a quo ne deve dare necessariamente conto nell’ordinanza che solleva la questione di legittimità costituzionale.

Parallelamente al giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale ed in via principale, che rientra nella famiglia giuridica del modello di sindacato di tipo accentrato, si sta attualmente radicando nel nostro ordinamento giuridico un parallelo controllo di costituzionalità, avente quale parametro non la Costituzione, ma i trattati costitutivi dell'Unione Europea e le norme self executing, che importano la non applicazione (disapplicazione secondo un'accezione eurounitaria) delle norme interne contrastanti con le norme (selft executing) contenute nei trattati costitutivi dell'Unione Europea (c.d. diritto primario) e con le norme contenute nei regolamenti e nelle direttive self executing (che costituiscono il c.d. diritto derivato) secondo il modello dualistico delineato dalla nota sentenza n.170 del 1984 della Corte Costituzionale e della primauté del diritto eurounitario.

Mentre l'annullamento incide sulla validità di una legge, comportando il venir meno della norma stessa con effetti ex tunc (anche se limitati dai rapporti c.d. esauriti); la non applicazione (recte disapplicazione) incide non sulla validità ma sulla generalità ed astrattezza della legge. Come è stato rilevato in dottrina “isolatamente presa la generalità, può risolversi in ciò che la norma generale è riferita ad una serie indeterminata ed indeterminabile di soggetti, così contrapponendosi ai comandi individuali; sicché la norma stessa riguarda una categoria di potenziali destinatari e non persone previamente individuate. A sua volta la astrattezza è propria della norma in quanto volizione preliminare, che precede di regola una futura volizione concreta: il che comporta che la norma stessa sia atta a ricevere una serie di applicazioni indefinite ed indefinibili, a priori, anziché limitarsi a risolvere un puntuale ed attuale problema della vita[111].

La non applicazione pur non incidendo sulla validità della legge, tuttavia produce sul piano della effettività, conseguenze pressoché simili all'annullamento di una legge o atto avente forza di legge, poiché impedisce alla legge o atto avente forza di legge di trovare applicazione incidendo, quindi, sulla generalità ed astrattezza (che sono elementi costitutivi tipici degli atti normativi). Per tali motivi nell’ambito di applicazione del diritto eurounitario i vari giudici a quibus, mediante l’istituto della non applicazione operano, all’interno del nostro ordinamento, un peculiare sindacato di tipo diffuso tipico del sindacato di costituzionalità nordamericano testé analizzato. “Diversamente la CEDU (e viene da pensare ogni carta dei diritti Cfr. Corte Cost. sent. 269/2017) - a stare all'indirizzo giurisprudenziale inaugurato dalle famose sentenze gemelle nn. 348 e 349/2007 della Corte costituzionale (nonché ex plurimis Corte Cost. sentt. nn. 39 e 129/2008; 311 e 317/2009; 93 e 106/2010; 80,180,181,236 e 303/2011; 78/2012; 49/2015; 83,109,123 e 269/2017; 6 e 93/2018; 116/2020) sarebbe da considerare quale fonte subcostituzionale (ex art.117 co.1 Cost.): soggetta, perciò, alla osservanza di ogni norma della costituzione, ma idonea a porsi a parametro interposto nei giudizi sulle leggi e gli atti a queste equiparati[112].

Tuttavia, autorevole dottrina ha posto in evidenza la possibilità di considerare l'ordinamento CEDU come un ordinamento che “assicuri la pace e la giustizia fra le nazioni” ex art. 11 Cost., comportando, de plano, l’applicazione del modello delineato dalla ben nota sentenza della Corte costituzionale n. 170 del 1984, e quindi la separazione tra ordinamento interno e ordinamento della CEDU ed altresì la non applicazione delle norme interne contrastanti con le norme CEDU self executing nell’ambito di applicazione della Convenzione europea dei diritti dell'Uomo.

Quindi “l'art. 2 Cost. se interpretato come clausola di apertura del catalogo dei diritti inviolabili, secondo quello che sembra essere l'indirizzo della Corte da alcuni anni a questa parte, l'art. 2 potrebbe invero dispiegare significative virtualità di apertura rispetto alle convenzioni internazionali e regionali sui diritti umani, tanto più che si tratterebbe di estensioni non riconducibili genericamente alla evoluzione della coscienza sociale, ma a patti internazionali stipulati dallo Stato. Mi riferisco infine all'art. 11 Cost. anzitutto perché si può a mio avviso sostenere fondatamente che il sistema di protezione dei diritti fondamentali nell'Europa allargata della Convenzione ha svolto storicamente e svolge attualmente una funzione di stabilizzazione e di coesione importante del quadro geopolitico europeo, come ordinamento che assicura- appunto secondo la lettera di questa disposizione- la pace e la giustizia fra le Nazioni (ricordo solo, per fare un esempio, la giurisprudenza Cedu in materia di diritti politici o di partiti, di tutela delle minoranze, etc.). Sotto questo profilo desta davvero perplessità il passaggio della sentenza n. 349 che identifica nella materia dei diritti fondamentali un Kerngehalt rispetto al quale non sarebbero ipotizzabili cessioni di sovranità[113] .

Dunque come è stato messo in evidenza in questo paragrafo conclusivo, attualmente nel nostro ordinamento si sta radicando un peculiare sindacato di tipo diffuso per quanto riguarda il rapporto tra le norme interne con le norme ed i principi del diritto eurounitario (in futuro forse anche del diritto CEDU), e quindi è necessario tenere ben presenti gli effetti che un sindacato di legittimità costituzionale di tipo diffuso comporta con riferimento alla tutela dei diritti fondamentali, ovverosia se la pronta ed immediata tutela dei diritti fondamentali affidata ai giudici a quibus possa comportare una maggior tutela dei principi fondamentali. In quest’ottica, dunque, dovrà necessariamente d’ora in avanti incentrarsi lo studio del rapporto tra la tutela dei diritti fondamentali ed i modelli di sindacato di giustizia costituzionale di tipo diffuso (tipico appunto della Grecia, Svezia, del Regno Unito e degli Stati Uniti d’America) e della giustizia costituzionale.


Note e riferimenti bibliografici

Note

[1] v. Voltaire, a cura di G. Iotti, Candido, p. 9

[2]  v. Rivoluzione Americana, Voce in EnciclopediaTreccani online “Nella seconda metà del Settecento erano divise in tre grandi aree dai caratteri relativamente distinti. L'area settentrionale era popolata in prevalenza da immigrati di origini inglese e puritani (puritanesimo). L'agricoltura era fiorente e la terra era in gran parte nelle mani di piccoli e medi proprietari. La pesca aveva un ruolo importante il commercio era sviluppato. Anche nelle colonie dell'area centrale prosperava l'agricoltura, ma il ceto dominante era costituito da agiati commercianti. Assai alta era la componente della popolazione venuta dalla Germania e dall'Olanda. Qui era forte il senso della tolleranza religiosa, data la molteplicità delle sette protestanti”

[3] v. Rivoluzione Americana, Voce in Enciclopedia Treccani online “durante la quale i coloni avevano sostenuto attivamente la Gran Bretagna contro la Francia; le colonie si erano rafforzate in questi ultimi anni attraverso l'aspirazione alla parità con i cittadini britannici e ad avere una propria rappresentanza nel Parlamento di Londra. Il governo britannico, invece, per rafforzare le nuove conquiste e di stabilire delle finanze statali, ribadì il vincolo coloniale ed inasprì (1763-1765) la politica fiscale (tasse sugli zuccheri e imposta di bollo), generando un crescente malcontento”

[4] v. Rivoluzione Americana, Voce in Enciclopedia Treccani online

[5] v. Rivoluzione Americana, Voce in EnciclopediaTreccani online

[6] v. Rivoluzione Americana, Voce in Enciclopedia Treccani online “rescissione formale dei rapporti con la Gran Bretagna avvenne il 4 luglio 1776 con la Dichiarazione di Indipendenza redatta da T. Jefferson, in cui si sanciva la forma repubblicana del nuovo paese; si affermavano i diritti naturali e inalienabili dell'uomo (vita, libertà e felicità), il principio della sovranità popolare e il diritto dei popoli alla rivoluzione e all'indipendenza”

[7] v. Rivoluzione Americana, Voce in Enciclopedia Treccani online

[8] Cfr. P. Caretti, Costituzione giustizia costituzionale, Voce in Enciclopedia Treccani online “storicamente la giustizia costituzionale, intesa soprattutto come giudizio sulla conformità della legge alla costituzione (la judical review of legislation), nasce nell'esperienza nordamericana, decenni dopo la proclamazione dell'indipendenza e l'approvazione della Costituzione del 1787”

[9] Cfr. P. Caretti , Costituzione giustizia costituzionale, Voce in Enciclopedia Treccani online “nel senso che prevedeva un particolare procedimento per la sua revisione (quello estremamente complesso disciplinato dall'emendamento V), ma non prevedeva un sistema di giustizia costituzionale pur contenendo il suo emendamento VI co. 2, la seguente affermazione “Questa Costituzione […] Costituisce la legge Suprema del Paese e i giudici di ogni Stato saranno tenuti a conformarsi ad essa […]”; una disposizione chiara nel collocare le norme costituzionali al vertice dell'ordinamento giuridico, in una posizione di supremazia gerarchica nei confronti della legge e di ogni altra fonte”

[10] Cfr. P. Caretti, Costituzione giustizia costituzionale, Voce in Enciclopedia Treccani online “judical review of legislation, ebbe origine da una famosissima sentenza del presidente della Corte Suprema, il giudice John Marshall (1803), affrontò con grande chiarezza e lucidità il problema del rapporto tra norme costituzionali e norme di legge ordinaria, per arrivare a concludere che, sulla base di quanto disposto dal richiamato VI emendamento co. 2, non potevano esservi dubbi circa la supremazia delle prime rispetto alle seconde, con la conseguenza che spettava ai giudici accertare la conformità delle leggi (che dovevano applicare nei loro giudizi) rispetto alla costituzione e, in caso di accertato contrasto, disapplicare la legge incostituzionale”

[11] Cfr. P. Caretti, Costituzione giustizia costituzionale, Voce in Enciclopedia Treccani online “tutti i giudici americani svolsero questa funzione di garanzia della rigidità della costituzione (esercitata dunque in modo diffuso e non riservata ad un organo giurisdizionale speciale), secondo le regole proprie dell'ordinamento giudiziario e in particolare del principio dello stare decisis (ossia del valore vincolante del precedente giudiziario)”

[12] Cfr. P. Caretti, Costituzione giustizia costituzionale, Voce in Enciclopedia Treccani online

[13] v. G. Morbidelli, L. Pegoraro, A. Rinella e M. Volpi, Diritto pubblico comparato p. 126

[14] v. G. Morbidelli, L. Pegoraro, A. Rinella e M. Volpi, Diritto pubblico comparato p. 126 “supremacy of the Constitution venne affermato nel Federalist: nel brano 78 è contenuta l'affermazione che il potere giudiziario è “the least dangerous branch” e che qualora dovesse verificarsi una discordanza insanabile, tra la legge costituzionale e la legge ordinaria si dovrà naturalmente dar prevalenza a quella verso cui si è legati da obblighi maggiori”

[15] M. T. Cicerone, De Republica 1.25.39

[16] v.  P. Ridola, Il principio libertà nello stato costituzionale p. 53 “(pactum unionis) e teorizzò in piena consonanza con le istanze borghesi della rivoluzione parlamentare inglese e con le lotte per rafforzare il ruolo della Camera dei Comuni, un modello di governo fondato sul presupposto che il potere può venire esercitato solo su mandato fiduciario (trust), e sull'idea della limitazione e della separazione dei poteri come condizione essenziale della sicurezza dei diritti individuali”

[17] v. G. Morbidelli, L. Pegoraro, A. Rinella e M. Volpi, Diritto pubblico comparato p.124 “tra i coloni americani era radicata- e praticata- la tesi per cui lo Stato si fondava su di un convenant, cioè un contratto di società (la trasposizione della dottrina biblica dell'alleanza tra Dio e il suo popolo): notissimo è il contratto di piantagione (che pone le regole per la Fondazione e la vita di una comunità organizzata), concluso nel 1620 a bordo della Mayflower tra i Pilgrim Fathers”

[18] v.  P. Ridola, Il principio libertà nello stato costituzionale p.19 “è opinione consolidata che la vicenda storica dei diritti fondamentali prende l'avvio con le grandi rivoluzioni borghesi, che nel XVII e XVIII secolo, In Inghilterra, nell’America del nord ed in Francia, produssero dei mutamenti profondi degli ordinamenti politici e condussero all'affermazione di concezioni radicalmente nuove dei rapporti tra l'individuo ed il potere sovrano. Appunto è con le carte dei diritti ed i documenti costituzionali, che segnarono il coronamento della rivoluzione parlamentare inglese nel biennio 1688-1689, dell'indipendenza degli Stati Uniti d’America (1776-1791) e del movimento rivoluzionario in Francia (e partire dal 1789), che presero corpo l'affermazione dei diritti individuali nei confronti dei poteri pubblici e la positivizzazione in testi costituzionali dei diritti radicati nella tradizione giusnaturalistica”

[19] v.  P. Ridola, Il principio libertà nello stato costituzionale p.35 “in un'accezione ancora prevalente nella storiografia, il termine costituzionalismo evoca la dottrina politica e costituzionale che preparò e fece da sfondo alle grandi rivoluzioni borghesi fra il XVII e XVIII secolo, e che affermò la priorità dei diritti individuali ed i principi della limitazione, e della divisione del potere, come pilastri di radicali trasformazioni degli ordinamenti politici in Europa ed in America del nord”

[20] Cfr. P. Ridola, Il principio libertà nello stato costituzionale-i diritti fondamentali in prospettiva storico-compartiva p.5 “sì delineò una terza fase dello sviluppo dei diritti umani, che trascese in misura crescente i confini della sovranità degli Stati, e che ebbe importanti conseguenze sulla estensione e sulla sistematica del riconoscimento costituzionale dei diritti. Nella formula dei diritti della terza generazione si condensarono per altro tendenze ed indirizzi differenti.[…] Ciò ebbe ripercussioni rilevanti sul rapporto fra riconoscimento dei diritti e sovranità statuale, per effetto di una crescente apertura nella direzione di uno stato costituzionale cooperativo e della fondazione di un costituzionalismo dei diritti caratterizzato vieppiù da una fitta rete di interdipendenze, da condizionamenti internazionali della sovranità degli Stati e dal rafforzamento di processi di integrazione sovrastatale”

[21] Cfr. C. Pinelli, Diritto pubblico, p. 117 “la Costituzione italiana conteneva alcuni principi supremi che non potevano essere sovvertiti o modificati nel loro contenuto essenziale neppure da leggi di revisione costituzionale o da altre leggi costituzionali. Tali sono tanto i principi che la stessa costituzione esplicitamente prevede come limiti assoluti al potere di revisione Costituzionale, quale la forma repubblicana (art. 139 Cost.), quanto i principi che, pur non essendo espressamente menzionati fra quelli non assoggettabili al procedimento di revisione costituzionale, appartengono all'essenza dei valori supremi sui quali si fonda la Costituzione italiana”

[22] Cfr. C. Bassu, Terrorismo e costituzionalismo percorsi comparati p.p. 95-96 “che disponeva il prolungamento del periodo di carcerazione preventiva, dando inizio ad una fase di legislazione emergenziale, che è andata avanti più o meno per 10 anni. Tra le misure più significative introdotte nell'ambito di questa normativa di eccezione rilevano le disposizioni della legge Bartolomei del 14 ottobre 1979 contro i sequestri di persona; il dettato della legge sull'ordine pubblico del maggio 1975; i decreti-legge antiterrorismo emessi nel 1978 e nel 1979 ed infine la legge sui pentiti del maggio 1982”

[23] Cfr. C. Bassu, Terrorismo e costituzionalismo percorsi comparati p. 97 “l'inserimento di strumenti di tale portata invasiva sul sistema di garanzie individuali nell'ordinamento era avvenuto apportando modifiche al codice penale e al codice di procedura penale, rappresentando il segnale più preoccupante perché sintomatico della normalizzazione dell'emergenza, cosa che rappresenta uno degli aspetti più subdoli e potenzialmente pericolosi dell'azione degli Stati contro la nuova ondata del terrorismo internazionale”

[24] Cfr.  C. Bassu, Terrorismo e costituzionalismo percorsi comparati p.p. 141- 142 “nella primavera del 2003, in un quadro internazionale segnato dall’ancora irrisolta situazione afghana e dalla questione della crisi in Iraq, il presidente del consiglio italiano dichiarava con decreto “lo stato di emergenza” in relazione alla tutela della pubblica incolumità nell'attuale situazione internazionale. Lo stesso giorno, il 28/03/2003, venne approvata l'ordinanza n. 3275 che, in virtù della legge n. 225/1992, prevedeva “disposizioni urgenti di protezione civile per fronteggiare le emergenze derivante dalla attuale situazione internazionale”. I provvedimenti del marzo 2003 sollevarono questioni e dubbi di costituzionalità relativamente ai requisiti di motivazione, delimitazione temporale e di proporzionalità, ritenuti indispensabili dalla giurisprudenza costituzionale nei casi di emergenza”

[25] Cfr. C. Bassu, Terrorismo e costituzionalismo-percorsi comparati p.p. 142-143 “il governo italiano emise un decreto- legge che introdusse misure di sicurezza contro il terrorismo, rafforzando gli strumenti già esistenti nell'ordinamento e potenziando soprattutto i meccanismi di controllo e di indagine. Il cosiddetto “Pachetto Pisanu” venne presentato in Senato dove raccolse ampi consensi e venne poi successivamente convertito in legge il 30 luglio 2005”

[26] Cfr. P. Ridola, Tribuna 2020 l’Unità nazionale alla prova della pandemia, Voce in italiadecide (http://www.italiadecide.it/wp-content/uploads/2020/05/paolo-ridola_tribuna_italiadecide.pdf) “la Costituzione costituisce la bussola e ai suoi principi occorre restare fermi, come ha ammonito la presidente Cartabia, senza trascurare che l’ispirazione della Costituzione repubblicana costruisce il principio libertà con un complesso gioco di equilibri, nel quale giocano il loro ruolo e con esso si coordinano il principio solidarista, la pari dignità sociale e l’eguaglianza materiale, aprendo ad un ventaglio di concordanze pratiche calibrate anche su contesti e frangenti inediti e non predicibili, e peraltro indispensabili alla soluzione delle conseguenze sociali della pandemia”

[27] Cfr. A. Benazzo, L’emergenza nel conflitto fra libertà e sicurezza, p. 43 “un insieme di regole palesemente ispirate dall'intento di parare le conseguenze nefaste per la democrazia e lo stato di diritto, che si erano manifestate nel periodo tra le due guerre, tanto che la descrizione della nuova “costituzione dell'emergenza” (costituita da ben 17 emendamenti costituzionali), poteva agevolmente condursi in contrapposizione alle analoghe disposizioni contenute nella costituzione tedesca del 1919. Tuttavia, il rifiuto della precedente esperienza non si era tradotto solo in una serie di sofisticati correttivi delle distorsioni imputate alla forma di governo parlamentare, ma aveva investito anche il principio della neutralità politica del testo costituzionale sul quale era imperniata la Repubblica di Weimar. La conseguenza fu l'introduzione nel testo del 1949 di quella peculiare forma di difesa della costituzione, generalmente definita come “democrazia protetta” o “militante”, che consistette in una serie di strumenti tesi alla prevenzione e repressioni di azioni politiche eversive nei confronti dei valori posti a fondamento dell'ordinamento costituzionale”

[28] Cfr.  P. Ridola, Il principio libertà nello stato costituzionale- i diritti fondamentali in prospettiva storico-comparativa p. 289 “sembrò muoversi in una linea di continuità con le precedenti ricostruzioni della tutela della dignità dell'uomo, più condizionate dalle concezioni assolute di essa. Al centro della parziale dichiarazione di incostituzionalità dell'art. 14 della legge federale sulla sicurezza dei voli, che, dopo gli attentati dell'11 settembre, aveva autorizzato le forze armate ad abbattere un aeromobile che in un'azione terroristica si fosse indirizzato verso obiettivi di distruzione e di sterminio a terra, stava invero ancora la tradizionale Objektformel. Quindi è, invero, il nucleo di significato forte della tutela della dignità dell'uomo, che impone in modo assoluto di non ridurre l'uomo ad oggetto ed a strumento dell'azione dello Stato, ad escludere che i passeggeri e l'equipaggio dell'aereo possano essere sacrificati al salvataggio di vite umane a terra. Nell'impianto complessivo della motivazione, pertanto, la Objektformel impone, in linea di principio, una tutela assoluta e non differenziabile attraverso il confronto di situazioni differenti, precludendo con ciò la via del bilanciamento tra il diritto alla vita degli uomini a bordo dell'aereo e quello degli uomini a terra. Su queste premesse il tribunale ha costruito peraltro una decisione di complesso tenore”

[29] Cfr. C. Bassu, Terrorismo e a costituzionalismo percorsi comparati p. 104 “la legislazione in materia di terrorismo, emanata dopo l'undici settembre, si presenti compressa e multi-sfaccettata, tanto da dare adito a interpretazioni talvolta in netta contrapposizione.[…] Particolarmente interessante è il profilo definitorio prospettato dalla nuova legge che identifica come terrorista ogni persona “interessata alla commissione, preparazione o elaborazione di atti di terrorismo internazionale, che sia membro di un gruppo terrorista internazionale, o abbia legami con tale gruppo”. Così, come per la legislazione antiterrorismo anteriore all' 11 settembre, anche qui si deve constatare il carattere marcatamente indefinito dei termini utilizzati. Nello specifico, rileva la mancata precisazione dell'accezione generica di legame, che conferisce una connotazione ancora più fumosa e indeterminata di quanto non fosse riscontrabile nel Terrorism Act del 2000”

[30] L. Lazarus, C. McCrudden e N. Bowles, Reasoning Rights comparative judical Engagement p. 182 “sono disposte e controllate dalle autorità esecutive o militari, perciò, la questione del giusto bilanciamento e del controllo giudiziario diviene decisamente importante. Senza un processo di revisione giudiziaria, un individuo può perdere la sua libertà, potenzialmente per sempre, sulla base di informazioni segrete, raccolte dall'intelligence e non verificabili”

[31] Cfr. C. Bassu, Terrorismo e costituzionalismo percorsi comparati p.p. 104-105 “Allo scopo di dare esecuzione all’ATCSA, il governo di Tony Blair, emanò nel dicembre 2001, il decreto n. 3644/2001, noto come Human Rights Act Designated Derogation, per mezzo del quale si autorizzava l'attuazione di una deroga agli obblighi internazionali sanciti dalla convenzione europea dei diritti dell'uomo, recepita e divenuta applicabile nel Regno Unito nel 1998.[…] In base a tale deroga l'art. 21 dell’ATCSA riconosceva al Ministro dell'Interno il potere di decretare l'arresto in via preventiva di un sospettato di attività terroristica, senza l'intervento dell'autorità giudiziaria e per un tempo indefinito”

[32] Cfr. C. Bassu, Terrorismo e costituzionalismo percorsi comparati p. 169 “il Presidential Military Order comportava una differenziazione fra cittadini, cui veniva riconosciuto il giusto processo, e non cittadini. Solo questi ultimi potevano essere detenuti in basi militari e sottoposti alla giurisdizione di tribunali militari”

[33] Cfr. C.  Bassu, Terrorismo e costituzionalismo percorsi compararti p. 81 il contesto violento in cui la convivenza civile tra arabi ed israeliani viene costantemente interrotta da episodi di guerriglia e attentati terroristici determina l'emanazione, già nel 1948, della legge fondamentale per la prevenzione del terrorismo”

[34] Cfr. C. Bassu, Terrorismo e costituzionalismo percorsi comparati p. 82 “l'art. 50 di tale legge conferiva al governo il potere di azione e reazione alle condizioni definite di stress, come quella determinata dal persistere dell'Intifada. In base a tale articolo l'esecutivo aveva la facoltà di emanare regolamenti normativi di emergenza, che restavano in vigore per un periodo massimo di tre mesi, con cui si disponeva la detenzione cosiddetta amministrativa per un tempo circoscritto a 90 giorni”

[35] Cfr. C. Bassu, Terrorismo e costituzionalismo percorsi comparati p. 85 “la posizione della Corte Suprema israeliana sia orientata ad un approccio garantista, che stenta a compromettere la sfera dei diritti individuali, anche di fronte ad esigenze di pubblica sicurezza”

[36]  A. Barak, Proportionality constitutional rights and therir limitation ,p. 345 “Il bilanciamento è centrale nella vita e nel mondo giuridico. Esso è cruciale per le relazioni tra i diritti fondamentali e il pubblico interesse o tra altri competitivi diritti fondamentali. Il bilanciamento, pertanto, riflette una struttura multi-sfaccettata tipica della natura dei diritti umani e delle democrazie pluralistiche”

[37] Cfr. G. Morbidelli, L. Pegoraro, A. Rinella e M. Volpi, Diritto pubblico comparato p.p. 548-549“nel diritto romano, le opere di Cicerone sulla superiorità dello ius civile rispetto alle altre forme di produzione giuridica venivano evocate con riferimento alle teorie della legge superiore; taluno poi si richiama all’adscriptio, con la quale il ius veniva dichiarato sacrosantum, per paragonare tale formula ad una sorta di dichiarazione di costituzionalità. Il più immediato precedente del moderno controllo di costituzionalità delle leggi si fa però risalire al famoso caso Bonham, discusso davanti al Tribunale dei Common Pleas nel 1610; in esso il magistrato inglese sir Edward Coke sostenne la sottoposizione del Monarca alla lex terrae, esponendo la propria nozione di legge fondamentale e sostanzialmente identificandola con i principi di common law”

[38] Cfr. P. Ridola, Il principio libertà nello stato costituzionale p.129 “difficoltà che possono sciogliersi, prendendo coscienza che il significato della rule of law (ed il suo distacco dalle varianti continentali) sono inseparabili dell’apologia del giudice nella teoria classica del common law, che ha costruito la supremazia del diritto su un diritto intrinsecamente ragionevole, radicato nella coscienza sociale e soggetto ai mutamenti lenti e graduali della storia”

[39] Cfr.    G. Zagrebelsky, La legge e la sua giustizia p.p. 117-118 “nel Rule of law, in nome di una realtà sostanziale, quei privilegi e libertà degli inglesi che costituivano il law of the land, un diritto comune materiale che, essendosi venuto a formare nel corso dei secoli e con il concorso di molti, nessuno avrebbe potuto sospendere, a differenza delle leggi e delle costituzioni continentali, le quali essendo state fatte da qualcuno, qualcuno poteva metterle fuori gioco. Si può parlare, in sintesi, di un significato doppiamente antiassolutistico del Rule of law, sia contro l’assolutismo regio, sia contro l’assolutismo parlamentare”

[40] Cfr. G. Zagrebelsky, La legge e la sua giustizia p.p. 117-118 “presso gli inglesi- afferma Dicey- i principi della Costituzione sono il risultato di decisioni delle corti di giustizia che hanno definito i diritti degli individui in particolari casi che sono stati portati alla loro cognizione, non l’oggetto di proclamazioni generali e astratte come quelle contenute nelle costituzioni degli stati europei continentali”

[41] Cfr. G. Zagrebelsky, La legge e la sua giustizia p.p. 117-118 “la questione può essere voltata e rivoltata finché si vuole- è l’espressione di Dicey- ma sempre ci si imbatterà nell’onnicomprensiva considerazione…che laddove in molti sistemi costituzionali, i diritti degli individui scaturiscono, o sembrano scaturire dagli articoli della Costituzione, in Inghilterra il diritto costituzionale è il risultato e non la fonte dei diritti individuali”

[42] Cfr. P. Ridola, Il principio libertà nello stato costituzionale p.129 “l’apologia del giudice e l’apologia del Parlamento, che accompagnarono l’evoluzione secolare della storia costituzionale inglese, dando vita ad un regime misto, che poneva in primo piano, nel significato della rule of law, la garanzia della giustizia delle leggi adottate dal parlamento”

[43] Cfr. P. Ridola, Il principio libertà nello stato costituzionale p.129 “l’originario radicamento della rule of law nella risalente tradizione del common law non scomparve con la piena affermazione della sovereignty of Parliament, e la sua storia si incentrò sull’espansione progressiva del controllo giurisdizionale sugli atti di prerogativa regia”

[44] Cfr. G. Zagrebelsky, La legge e la sua giustizia p.120 “per il Rule of law, lo sviluppo del diritto era il procedere di una tradizione concreta, storicamente aperta…(infatti) per il Rule of law il diritto si sviluppava da esperienze sociali concrete. […] La Rule of law, perciò non è una definizione fissa, ma un insieme di contenuti materiali, connotati storicamente e storicamente mutevoli, che devono essere costantemente ridefiniti”

[45] Cfr. P. Ridola, Il principio libertà nello stato costituzionale p.130 “la supremazia del common law e la sovereignty of Parliament, non si misurano su gerarchie astratte, ma su gerarchie dinamiche delle quali, i giudici, sono attori essenziali, chiamati a presidiare, attraverso la tradizione di common law, un pilastro fondamentale del moderno costituzionalismo, che concepisce il parlamento come body al servizio della comunità politica”

[46] Cfr. G. Morbidelli, L. Pegoraro, A. Rinella.e M. Volpi, Diritto pubblico comparato p.554 “agli inizi dell’800, negli Stati Uniti, il sindacato di costituzionalità ad opera dei giudici acquistò importanza per l’affermarsi- accanto e oltre all’idea di legge superiore- del concetto di costituzione rigida, idonea come tale ad essere assunta dai giudici stessi quale parametro di legittimità delle leggi ordinarie”

[47] Cfr. P. Ridola, Il principio libertà nello stato costituzionale p.p. 129-130 “con Bentham e Austin questa concezione della rule of law subì una torsione giuspositivistica, destinata a maggior fortuna nella migrazione di essa aldilà dell’Atlantico, nel Nord America, tendendo a spostarne il focus dalla sfera dell’is a quella dell’ought. Questo spostamento, che conferì alla rule of law una differente direzione di senso, dall’equazione diritto/libertà/ common law/ giudice (Coke), a quella diritto/sanzione/giudice (Austin), non alterò peraltro il sostrato liberale della rule of law”

[48] Cfr. P. Ridola, Il principio libertà nello stato costituzionale p.p.142-143 “la clausola del due process of law,, nota anch’essa nell’esperienza del common law inglese, ha avuto applicazione e sviluppi particolarmente significativi nell’esperienza statunitense (v. gli emendamenti V e XIV della Cost. USA), per diffondersi poi anche negli ordinamenti europei”

[49] Cfr. A. Vespaziani, Interpretazioni del bilanciamento dei diritti fondamentali p. 36

[50] Cfr. A. Vespaziani, Interpretazioni del bilanciamento dei diritti fondamentali p. p. 10-11 “dal punto di vista dell’argomentazione, occorre ricordare che mentre Bentham e Austin individuavano la ratio decidendi nella ragione illuministicamente cristallizzatasi in premesse condivisibili, i realisti cercavano il razionale nella ragione strumentale degli scopi perseguibili. Dal punto di vista della filosofia del diritto, infine l'interpretazione benthamista del bilanciamento riposa sull’assunto dell’eguaglianza delle preferenze individuali; orbene nulla lascia presupporre che una Corte Suprema debba orientare le sue scelte costituzionali secondo i principi della massima utilità, del massimo piacere o della massima soddisfazione. Essa può ben qualificare come non meritevoli di tutela alcuni piaceri, può criticare i valori che il processo legislativo intende perseguire e può, infine, kantaniamente contestare che la persona umana venga appiattita sulla somma delle preferenze individuali”

[51] Cfr. A. Vespaziani, Interpretazioni del bilanciamento dei diritti fondamentali p.49 “l'opera liberalismo politico del filosofo John Rawls ha influenzato fortemente sia una scienza politica sia la dottrina costituzionalistica statunitense: mentre la prima si è soffermata con insistenza sulla tematica del consenso per intersezione, la seconda ha fatto come propria la categoria del disaccordo ragionevole “

[52] Cfr. A. Vespaziani, Interpretazioni del bilanciamento dei diritti fondamentali p.p.49-50 “i concetti fondamentali del costituzionalismo statunitense vengono da Rawls adoperati in modo del tutto simile ai concetti che troveremo indagati dal costituzionalismo tedesco: vi è insomma una identità di contenuto normativo e di pretesa di fondamento di legittimità tra libertà e diritti fondamentali, tra contenuto essenziale e gamma di applicazione centrale: “Quando pensiamo la priorità delle libertà fondamentali, dobbiamo distinguere la loro restrizione della loro regolazione. Non se ne viola la priorità quando ci si limita a regolamentarle - come si deve fare, perché si combinino in un sistema unico e siano adattate a certe condizioni sociali necessarie a un loro esercizio duraturo. Finché è garantita quella che viene chiamata “la gamma di applicazione centrale” delle libertà fondamentali, i principi di giustizia sono soddisfatti”

[53] Cfr. S. Pennicino, Contributo allo studio della ragionevolezza nel diritto comparato p. 70 “nel due process un vincolo per l'azione statale, la costituzione, nell’interpretazione della Corte, vincolava gli stati a rispettare i principi supremi di giustizia quando le loro leggi avessero toccato la libertà, la vita e la proprietà dei cittadini. Il decisivo contributo nel supremo organo giudiziario statunitense si concretizzò però principalmente nel definire quali fossero i diritti facenti parte del concetto costituzionale di libertà. Tra questi assunsero chiaramente un posto preminente le libertà economiche. Il XIV emendamento ha rappresentato un punto di svolta nei rapporti tra centro e periferia, e la Corte ha in quest’ottica operato cercato di garantire un equilibrio, da lei ritenuto opportuno, ha determinato il raggio d'azione delle clausole contenute nell’ emendamento”

[54] Cfr. A. Vespaziani, Interpretazioni del bilanciamento dei diritti fondamentali p.p.53-54 “come il liberalismo politico di Rawls neghi ai giudici costituzionali la possibilità di ricorrere al bilanciamento degli interessi politici, economici e sociali (il bilanciamento realista del giudice Holmes), ma- suggerendo loro di preferire una interpretazione sistematica della costituzione, ed integrare la portata normativa delle singole libertà costituzionali con il principio di eguaglianza- richiede un aggiustamento reciproco dei diritti costituzionali attraverso una regolazione che non comprima la loro gamma di applicazione centrale ( il bilanciamento post-realista dei diritti fondamentali che rispetta il loro contenuto essenziale)”

[55] Cfr. A. Vespaziani, Interpretazioni del  bilanciamento dei diritti fondamentali p.56 “il bilanciamento dei diritti operato dalla Corte Suprema va inquadrato all'interno di una concezione della coerenza costruttivistica dell’interpretazione costituzionale. Recependo le istanze fondamentali di Dworkin e Rawls, Fallon guarda alla giurisprudenza costituzionale di common law con un approccio idealistico-soggettivo: making sense of, attribuzione di coerenza di significati ad un insieme di decisioni in apparenza incommensurabili tra loro, diventa la parola chiave”

[56] Cfr. A. Vespaziani, Interpretazioni del bilanciamento dei diritti fondamentali p.57 “dal punto di vista della concezione della coerenza costruttivista dell’interpretazione costituzionale ci sono dunque due tipi di bilanciamento: un bilanciamento interno a ciascun tipo di argomento, dove si cercano di comporre pretese confliggenti all'interno del medesimo testo, valore, precedenti etc…; e un bilanciamento costruttivista che mira comporre tra loro i diversi tipi di argomenti secondo la loro determinatezza e persuasività intrinseca o del loro valore all'interno della gerarchia degli argomenti”

[57] Cfr. P. Ridola, Stato e Costituzione in Germania p. 89 “è un fenomeno complesso, e se è convincente declinarne la fisionomia complessiva anche come risposta allo sforzo (inappagante) di fondare l'ordine politico su principi costituzionali affermati in modo prescrittivo e dedotti razionalmente, esso è stato caratterizzato non di meno da un profondo divario di approcci e contesti storici”

[58] Cfr. P. Ridola, Stato e Costituzione in Germania p. 89 “il realismo politico, muovendo da una premessa antropologica pessimistica, sia approdato in definitiva, alla restaurazione di una concezione tecnica delle istituzioni, via obbligata per porre argine al disordine e intimidire da bestia che è nell'uomo. E si può aggiungere che le letterature polemiche del costituzionalismo, di recente prospettate sembrano riproporre un impasto di realismo e giuspositivismo piuttosto che rinviare al patrimonio culturale del costituzionalismo”

[59] Cfr. A. Vespaziani, Interpretazioni del bilanciamento dei diritti fondamentali p.p. 58-59 “rigetti l'idea che nella giurisprudenza costituzionale degli ultimi anni, i test di bilanciamento, abbiano avuto un ruolo importante. A suo modo di vedere la Corte in realtà guarda con sospetto gli esiti del bilanciamento -soprattutto nei giudizi che riguardano il federalismo o la separazione dei poteri -in quanto indeterminati, aperti a molteplici interpretazioni, inadatti a dominare il fenomeno del disaccordo ragionevole e scarsamente nomologici”

[60] Cfr. A. Vespaziani, Interpretazioni del bilanciamento dei diritti fondamentali p. 12 “negli Stati Uniti d'America esistono almeno tre primi emendamenti: uno dottrinario, uno giurisprudenziale ed uno interiorizzato nella coscienza dei cittadini come un valore simbolico di appartenenza ad una comunità democratica. Le interpretazioni che la letteratura giuridica ha offerto e continua ad offrire sul significato del Primo emendamento sono di una diversità spettacolare: a detta della dottrina statunitense, tra i valori che la libertà di manifestazione del pensiero sembra servire vi sono, tra gli altri: la continuità e la discontinuità storica, l'eguaglianza politica e la differenziazione individuale, il libero mercato delle idee e la critica ad una concezione economicistica dello spazio pubblico, la realizzazione dell'autonomia individuale e l'esplicazione di deliberazioni collettive, una formazione di opinioni personali e l'esercizio dei diritti sociali, la concretizzazione del realismo e l'espressione del romanticismo, la formazione delle maggioranze e la tutela delle minoranze , la conservazione dello status quo e la trasformazione progressiva dell’esistente”

[61] Cfr. A. Vespaziani, Interpretazioni del bilanciamento dei diritti fondamentali p.p.8-9 “nello scritto Privilege, Malice, and Intent di Holmes. Nel riconoscere le contraddizioni tra diritti di proprietà e logiche competitive, tra forza lavoro e capitale, Holmes concludeva che le statuizioni giudiziali concernenti le modalità che concedevano il privilegio di infliggere un danno non potevano essere specificate secondo un ragionamento puramente deduttivo, estraendole dalla nozione assoluta del diritto di proprietà. Dal momento che i diritti delle organizzazioni dei lavoratori e quelle delle organizzazioni degli imprenditori sono in conflitto tra loro, le decisioni giurisdizionali debbono fondarsi su di una distinzione di grado. I due tipi di diritti si contraddicono l'un l'altro e un confine deve essere tracciato. Dal punto di vista dell’argomentazione Holmes rifiutava lo schema sillogistico ed invocava il ricorso ad un test di bilanciamento, allorquando ci si trova in presenza di un conflitto tra proprietà e competizione”

[62] Cfr. A. Vespaziani, Interpretazioni del bilanciamento dei diritti fondamentali p.14 “nel 1919 la Corte Suprema veniva chiamata a giudicare la legittimità di una sentenza penale che aveva condannato alcuni imputati per il reato di violazione dell’Espionage Act del 1917. Gli imputati avevano stampato circa 15.000 copie di una pubblicazione, che avevano distribuito ai militari in servizio nel periodo in cui gli Stati Uniti erano in guerra contro la Germania. Il documento asseriva che la chiamata alle armi era un atto degno del peggior dispotismo ed un’ingiustizia mostruosa contro l'umanità, perpetrata nell'interesse delle oligarchie finanziarie di Wall Street. Dichiarando la condanna penale conforme ai valori costituzionali protetti dal Primo emendamento, il giudice Holmes scriveva che in molti luoghi ed in tempi normali gli imputati avrebbero semplicemente esercitato i propri diritti costituzionali. Ma il carattere di ogni atto dipende dalle circostanze in cui ha luogo. La protezione più rigorosa della libertà di espressione non tutelerebbe un uomo che senza ragione urli al fuoco all'interno di un teatro scatenando il panico. Il problema centrale in ogni caso è quello di giudicare se le parole usate vengono impiegate in tali circostanze e sono di una natura tale da causare i mali oggettivi che il Congresso ha il diritto di prevenire”

[63] Cfr.A.  Vespaziani, Interpretazioni del bilanciamento dei diritti fondamentali p. 15 “Abrams vs United States in cui alcuni cittadini avevano stampato e distribuito volantini - lanciandoli in strada da una finestra, o facendole circolare in riunioni di gruppi radicali - in cui si condannava l'invio di truppe statunitensi in Siberia. Il volantino invitava a difendere la Russia da un attacco statunitense ed esortava ad uno sciopero generale. Pur in assenza di alcuna reazione da parte dei lavoratori ed in assenza di qualsiasi astensione dall’attività lavorativa, la Corte Suprema condannava a vent'anni di reclusione i redattori dello scritto. Notando la mancanza di un pericolo chiaro ed attuale, Holmes, criticava la sentenza della maggioranza e redigeva un’opinione dissenziente in cui asseriva che “le condanne ventennali sono state imposte per la pubblicazione di due volantini che gli imputati avevano tanto diritto di pubblicare quanto ne ha il governo di pubblicare la costituzione degli Stati Uniti, che ora essi invocano invano”

[64] Cfr. A. Vespaziani, Interpretazioni del bilanciamento dei diritti fondamentali p.17 “nella stagione della paranoia politica, definita maccartista, la Corte Suprema si trovò a giudicare della legittimità costituzionale di provvedimenti governativi e giurisdizionali emanati nei confronti di soggetti che avevano pubblicamente espresso idee filocomuniste ed apertamente antigovernative”

[65] Cfr. A. Vespaziani, Interpretazioni del bilanciamento dei diritti fondamentali p.17 la Corte Suprema degli anni ’50 si schierava a favore della repressione politica e strumentalizzava i tests di bilanciamento per legittimare misure di compressione delle libertà politiche”

[66] Cfr. A. Vespaziani, Interpretazioni del bilanciamento dei diritti fondamentali p.18 “culminarono in Barenblatt v. United States del 1959, la Corte Suprema - con il dissenso di Hugo Black- optava per una tecnica di bilanciamento che produceva una superiorità dell'interesse pubblico alla sicurezza nazionale nei confronti dei diritti protetti dal primo emendamento. Ciò che appare discutibile dal punto di vista dell'iter argomentativo è la scelta del parametro del bilanciamento: la ponderazione della libertà di parola con il governamental interest, la Corte Suprema si ritraeva in una logica tutta statualistica, rifiutando di declinare il vocabolario della logica costituzionalista”

[67] Cfr. A. Vespaziani, Interpretazioni del bilanciamento dei diritti fondamentali p.p. 19-21 “rivitalizzando la forza normativa del principio di eguaglianza, contenuto nel XIV emendamento, espandeva la portata delle libertà associative e riformulava i principi generali che governano l'area del primo emendamento”

[68] Cfr. A. Vespaziani, Interpretazioni del bilanciamento dei diritti fondamentali p.p.20-21 “sentenza New York Times v. Sullivan del 1964: consapevole di una lunga storia di discriminazioni razziali e di una realtà esplosiva soprattutto negli stati del Sud, la Corte Suprema giudicava della costituzionalità delle leggi statali che disciplinavano la diffamazione a mezzo stampa. Il caso proveniva dall'Alabama, in cui alcuni ufficiali governativi citavano in giudizio uno dei maggiori quotidiani nazionali, lamentando la falsità delle affermazioni contenute in una pubblicità di associazioni per la difesa dei diritti civili, con cui questi cercavano di raccogliere fondi per la difesa legale del Dr. Martin Luther King, accusato di spergiuro in occasione del boicottaggio degli autobus della città di Montgomery. Sullivan, il sovrintendente della polizia della città di Montgomery, in Albama, citava in giudizio il New York Times per diffamazione tramite pubblicazione di un annuncio firmato dai Comitati per la difesa di Martin Luther King e per la libertà nel Sud. Questo annuncio attribuiva a Sullivan ed alla polizia di Montgomery atti di violenza contro Martin Luther King Jr e contro membri del movimento per i diritti civili, conteneva alcune affermazioni false. Secondo la legge dello Stato dell’Albama, la Corte sottopose il giudizio di diffamazione alla giuria, che emise un verdetto in cui condannava i convenuti al pagamento di 500.000 dollari. Il giudice Brennan scriveva un'opinione di maggioranza in cui definiva i requisiti essenziali della diffamazione (accentuando il profilo soggettivo dell'intenzionalità con actual malice and reckless disregard for the truth) schierandosi apertamente dalla parte delle minoranze ingiustamente oppresse e contro gli ufficiali del governo dell’Alabama”

[69] Cfr. A. Vespaziani, Interpretazioni del bilanciamento dei diritti fondamentali p.22“la distanza critica tra la Corte Warren ed il ricorso al bilanciamento appariva allora come un mutamento giurisprudenziale rispetto all’atteggiamento apologetico tenuto in passato nei confronti della repressione maccartista, e come un' astuta mossa tattica con cui il giudice Brennan riusciva a riformulare la giurisprudenza costituzionale in modo responsive nei confronti dei mutamenti sociali e delle istanze di giustizia razziale ed in senso liberal - democratico, legando l'aspetto individuale dell’ esercizio della libertà soggettive di espressione del pensiero all'aspetto collettivo dell’esercizio delle libertà associative e delle dinamiche dell’autogoverno”

[70] Cfr. A. Vespaziani, Interpretazioni del bilanciamento dei diritti fondamentali p.p.28-29“mentre tra le mani della Warren Court il rifiuto alla metafora del bilanciamento era funzionale ad una concezione responsive del sindacato di costituzionalità e all'adozione di canoni contestualizzanti nell’interpretazione costituzionale, esso diventava nelle mani delle testé citate corti il percorso argomentativo dietro cui si celava un ritorno all'idea della neutralità del contenuto legislativo, che ammantava con un velo di assolutismo dogmatico la giurisprudenza costituzionale”

[71] Cfr. A. Vespaziani, Interpretazioni del bilanciamento dei diritti fondamentali p.39 “L'apparizione delle prime elaborazioni concettuali di queste tecniche di giudizio si trova negli scritti e nelle sentenze del giudice Hugo Black: egli riteneva che la regola cardine per costruire il significato delle norme costituzionali fosse quella di dare efficacia all'intenzione del popolo costituente, mediante un'analisi del significato apparente delle parole usate per esprimerle, con il solo limite dell'assurdità, dell'ambiguità ho della contraddizione”

[72] Cfr.A.  Vespaziani, Interpretazioni del bilanciamento dei diritti fondamentali p.40 “insisteva su di una concezione oggi elettiva del significato originario e sottolineava l'irrilevanza delle volontà soggettive dei costituenti. Ciò che assumeva rilevanza giuridica era dunque il significato delle parole del testo costituzionale così come erano state concepite al tempo della ratifica della costituzione. Il significato originario si rinveniva dunque nelle discussioni pubbliche, negli articoli di giornale e nei dizionari in uso al tempo”

[73] Cfr. A. Vespaziani, Interpretazioni del bilanciamento dei diritti fondamentali p.42 “intendeva il contesto come il raccordo tra il significato puramente letterale delle disposizioni normative ed il modo in cui dal testo si evinceva ragionevolmente la intenzione dei costituenti. A tal riguardo egli specificava che il fine dell'interpretazione costituzionale non era quello di individuare ciò che i costituenti volevano dire, ma quello che essi effettivamente avevano detto. Il testualismo di Scalia rigettava sia l'idea di un costruttivismo stretto, sia l'idea di un costruttivismo largo ed optava per una concezione dell'interpretazione del testo, orientata dal principio di ragionevolezza capace di individuare il giusto significato di esso”

[74] Cfr. A. Vespaziani, Interpretazioni del bilanciamento dei diritti fondamentali p. 46 “il ricorso ad argomenti di tipo mistico, alla riverenza per il testo in sé, ed una intransigenza assiologica, finivano così per sottrarsi ad una dialettica argomentativa e cercavano di eliminare una possibile disobbedienza dei giudici delle corti inferiori, della dottrina e delle università dove si insegnava a coltivare la immaginazione istituzionale”

[75] Cfr. P. Ridola, Il principio libertà nello stato costituzionale p.p. 125-126 “Nella cultura statunitense le teorie originaliste si sono concentrate sul rapporto dei giudici con il testo costituzionale e hanno investito più in generale il judical activism. Esso avrebbe travisato secondo Anthonin Scalia, la tradizione di common law, che avrebbe trasmesso il retaggio “dell’image of the great judge” come “the man (or woman) who has the intelligence to discern the best rule of the law for the case at the hand and skill to perform the broken- field running through earlier case that leaves him free to impose that rule”, senza peraltro spingersi fino alla forzatura di canoni e principi radicati nella tradizione e, nel caso della costituzione statunitense, di un'identità repubblicana embricata in un testo scritto. Se è vero che, attraverso la dottrina del precedente, il giudice crea il diritto “without the autority or interference of the legislator” e che il “judge made law is ex post facto law”, questo non vuol dire che il giudice non incontri nell'interpretazione costituzionale, limiti stringenti i quali derivano dalla supremazia della costituzione scritta. Tali limiti derivano anzitutto dal rispetto del testo (textualism), il quale non si traduce in uno strict constitutionalism ed in una pedestre e ripetitiva fedeltà alla lettera. Esso affida a giudice di lavorare sul testo reasonably “to contain all that it fairly means”, nella consapevolezza che il giurista textualist non è un literalist né un nihilist, ma un giurista capace di leggere il testo con assoluta fedeltà alla sua ispirazione storica ed alle matrici identitarie che in esso si sono stratificate”

[76] Cfr. A. Vespaziani, Interpretazioni del bilanciamento dei diritti fondamentali p.3 “l'apparizione della metafora del bilanciamento nella pratica interpretativa del diritto statunitense si collega all’affermarsi del movimento del realismo giuridico”

[77] Cfr. A. Vespaziani, Interpretazioni del bilanciamento dei diritti fondamentali p.3 “era quella di risolvere le categorie del pensiero giuridico classico, così come esse si erano cristallizzate persino nella giurisprudenza costituzionale nella famosa sentenza Lochner v. New York”

[78] Cfr. A. Vespaziani, Interpretazioni del bilanciamento dei diritti fondamentali p.5 “qualificò Langdell come un “teologo del diritto”: il formalismo del metodo casistico introdotto da Langdell aveva condotto il pensiero e la pratica statunitense così lontano dalla realtà, da aver avvicinato l'analisi giuridica più alle dispute menta-fisiche sulle verità delle definizioni concettuali che non alla logica della ragione pratica chiamata a risolvere i conflitti sociali ed economici”

[79] Cfr. A. Vespaziani, Interpretazioni del bilanciamento dei diritti fondamentali p.5 “l'autopoiesi del formalismo- la sua tendenza cioè a riprodurre i propri presupposti concettuali mediante una demonizzazione del mutamento storico del significato delle posizioni normative- divenne così l'oggetto principale della critica dei realisti”

[80] Cfr. A. Vespaziani, Interpretazioni del bilanciamento dei diritti fondamentali p.7 “l'introduzione della tecnica del bilanciamento il che avrebbe significato riconoscere, nella società pluralistica, la presenza di pretese confliggenti, tutte meritevoli di tutela ed in costante trasformazione”

[81] Cfr. A. Barak, Proportionality constitutional rights and their limitations p. 346 “il bilanciamento è centrale nella vita e nel diritto. Esso è centrale alla relazione tra i diritti dell'uomo e il pubblico interesse e tra gli stessi diritti fondamentali. Il bilanciamento riflette la natura multi-sfaccettata dell'essenza dei diritti fondamentali, della società in generale e della democrazia in particolare. È espressione del fatto che la legge non è tutto o niente. La legge è un complesso di valori e principi, che in certi casi sono tutti congruenti e conducono l'interprete ad un'unica conclusione, mentre in altre situazioni sono in diretto conflitto e richiedono una soluzione. La tecnica del bilanciamento riflette questa complessità. A livello costituzionale il bilanciamento consente la coesistenza, entro la democrazia, di principi e valori confliggenti, riconoscendo al contrario il loro conflitto costituzionale interno. Al livello sotto-costituzionale, il bilanciamento fornisce una soluzione che riflette i valori della democrazia e le limitazioni che la democrazia impone sul potere della maggioranza di restringere i diritti delle minoranze”

[82] Cfr. A. Barak, Proportionality constitutional rights and their limitations p.363 “la regola principale del bilanciamento cerca di determinare una regola positiva che riflette tutti gli elementi costitutivi del bilanciamento tra la legge che limita un diritto fondamentale ed i suoi effetti sul diritto costituzionale. Il bilanciamento dovrebbe soppesare entrambi i lati della bilancia così come dovrebbe valutare la loro relazione reciproca. Il bilanciamento dovrebbe applicarsi nei casi dove entrambi i lati della bilancia pensino un diritto costituzionale (come ad. es. una legge che limiti la libertà di espressione per proteggere meglio il diritto alla privacy), così come si dovrebbe applicare nei casi dove il lato della bilancia pesi i benefici sociali con noi considerazioni di pubblico interesse (come ad. es. una legge che limiti la libertà di espressione per proteggere meglio gli interessi della sicurezza nazionale). Quindi la regola del bilanciamento dovrebbe riflettere l'importanza sociale marginale dei benefici ottenuti dalla legge limitativa così come dovrebbe riflettere l'importanza sociale marginale nel prevenire il danno cagionato dalla limitazione del diritto in questione. Il bilanciamento dovrebbe considerare la probabilità di realizzazione deve testé menzionate ipotesi. Questa regola del bilanciamento andrebbe quindi ricercata entro la clausola di limitazione costituzionale (sia essa esplicita che implicita)”

[83] Cfr. P. Ridola, Il principio libertà nello stato costituzionale p.p. 110-111“nelle costituzioni del pluralismo si pone in termini particolarmente problematici il rapporto fra i principi sottostanti alla disciplina dei diritti costituzionali, in quanto il pluralismo dei valori esprime orientamenti confliggenti con riferimento allo stesso diritto (ad. es. inviolabilità della libertà personale e la custodia cautelare, il diritto alla proprietà privata e la funzione sociale di questa) ovvero produce collisioni o interferenze fra gli ambiti di protezione di differenti diritti (ad. es. fra la libertà di iniziativa economica e la libertà di manifestazione del pensiero). Tale nodo problematico, che affida ampi margini alla discrezionalità del legislatore, chiamato a sviluppare i principi costituzionali ed a calare nell'ordinamento attualizzandolo, gli orientamenti che costituzione esprime, viene risolto attraverso le operazioni di ponderazione e di bilanciamento fra i diversi beni protetti dalla costituzione, cui provvedono le Corti costituzionali: operazioni che presentano profili tanto più problematici, allorché non sia possibile giungere ad individuare una gerarchia fra i valori coinvolti in esse (ad. es. la priorità del valore personalista secondo gli artt. 2 e 13 Cost.)”

[84] Cfr. P. Ridola, Il principio libertà nello stato costituzionale p.113 “l'applicazione delle regole è invero insuscettibile di graduazione o di ponderazione: alla regola si può riconoscere importanza, ma non che essa sia più importante di un'altra, in quanto ha un ruolo maggiore o più importante nella disciplina del comportamento. Elaborata nel quadro della svolta della giurisprudenza della Corte Suprema federale statunitense, che era sfociata nella dottrina del clear and present danger ed in quella del balancing test, la distinzione tra regole e principi riservava a questi ultimi una funzionalità più congruente con lo scopo di governare la dialettica tra diritti e limitazioni dei diritti, che i positivisti avrebbero risolto in termini troppo rigidi, senza valutare quando il contesto avrebbe evidenziato qualche altro principio che in determinate circostanze fosse abbastanza importante per permettere la limitazione del diritto”

[85] Cfr. A. Barak, Proportionality constitutional rights and their limitations p.p. 348-349 “ogni volta che viene condotto il bilanciamento- ossia quando un diritto costituzionale viene limitato da una legge di livello inferiore alla costituzione- la regola del bilanciamento richiede all'interprete di porre su un lato della bilancia gli obiettivi che la legge di livello inferiore alla costituzione vuole raggiungere ed i benefici che essa vuole ottenere dal raggiungimento dell'obiettivo prefissato ed altresì che il beneficio conseguito dal raggiungimento dello scopo sia necessario (il c.d. lato della bilancia “dell'adempimento dello scopo”). Dall’altro lato della bilancia vanno messi la limitazione del diritto costituzionale, il danno che essa produce e il danno che si realizza in concreto (il c.d. lato della bilancia che pesa la limitazione del diritto costituzionale). L'interprete dovrebbe richiamare una regola normativa che determina il peso relativo di questi due lati della bilancia. Basandosi sul peso l'interprete potrebbe determinare quale dei due lati della bilancia è nel concreto migliore. Quindi è necessario bilanciare il lato del raggiungimento dello scopo con in lato della limitazione del diritto. Come viene condotto tale bilanciamento? Nell’essenza della regola del bilanciamento- e quindi della proporzionalità in senso stretto- vi è la ricerca delle regole positive che determinano le condizioni in base alle quali una limitazione di un diritto costituzionale, per mezzo di una legge, siano proporzionali in senso stretto. Nessuno potrebbe seriamente ritenere che tale bilanciamento debba essere risolto attraverso il lancio di una moneta. Tutti, invece, sono d'accordo sul fatto che dovrebbe essere adottato un approccio normativo per risolvere il conflitto. La questione di come risolvere il problema del conflitto si trova, dunque, nella costruzione della tecnica normativa per risolvere il problema del bilanciamento”

[86] Cfr. G. Amato, B. Barbisan e C. Pinelli, Rule of law v. Majoritarian democracy p. 335 “il potere giudiziario è il terzo pilastro dello Stato. Nell'individuare la regola ed applicare il common law è un attore primario. Nel dare attuazione alla legislazione esso è più di un mero esecutore. Piuttosto è un socio attivo, che fa da tramite, attraverso l'uso dell'interpretazione, tra il legislatore e la società. Questo però non è affatto un ruolo modesto”

[87] Cfr. G. Amato, B. Barbisan e C. Pinelli, Rule of law v. Majoritarian democracy p.147 “Le costituzioni esercitano una duplice funzione ossia una funzione integrativa insieme ad una funzione normativa. Tale relazione tra queste funzioni va osservata da diverse prospettive. Per qualcuno la forza normativa della costituzione scritta dipende in definitiva dal fatto che funzioni per richiamare un popolo a sé stesso nel tempo: un significato in forza del quale il popolo ricollega esso stesso e i suoi valori fondamentali. Per altri una costituzione avrà un effetto integrativo se embricherà il sistema dei valori fondamentali della società, e se questa percepirà che la sua costituzione riflette precisamente i valori con i quali essa si identifica, Allora la costituzione diventerà il fondamento del suo specifico carattere. Perciò una costituzione può conferire un'identità di valori finché il sistema che ha costruito verrà percepito come un buon sistema”

[88] Cfr. G. Amato, Individuo e autorità nella disciplina della libertà personale, p.p. 131-132 “nei suoi motivi di fondo- com'è noto- è anzitutto la Rivoluzione francese ad apparire contraddittoria. Essa ereditò e rinsaldò lo stato forte, dandogli a nuovo fondamento la volontà generale teorizzata dal Rousseau, ma nello stesso tempo non rinunciò all'intangibilità dell'individuo e ad asserirne l'anteriorità allo Stato. I diritti del singolo erano la libera esplicazione della sua personalità, dovendo egli essere libero di fare ciò che non avrebbe nociuto ad altri- era la libertà del Locke e del Mill- ma allo stesso tempo quei diritti, attraverso il garantismo, vennero assunti anche come pretese alla sicurezza, realizzate dallo Stato, dal quale li si faceva così dipendere nel momento in cui si affermava come loro contenuto il non esserne intralciati. In altre parole, si vollero realizzare insieme libertà dallo Stato e libertà attraverso lo Stato, con una difficile sintesi che i giuristi avrebbero tentato di razionalizzare attraverso la formula della dialettica libertà/autorità. Ciò, del resto, era già visibile nella Dichiarazione dell'89, la quale rifletteva questo dualismo, inavvertito probabilmente dai suoi formulatori.” Gli uomini nascono e rimangono liberi e uguali” - diceva l’art.1 e l’art. 2 precisava che “scopo di ogni associazione politica è conservare i diritti naturali e imprescrittibili dell'uomo”. Le due proposizioni esprimevano la più completa adesione ai principi formulati dal Locke ed all'ipotesi, quindi, della priorità dell'individuo sullo Stato, assumendo questo come suo strumento del tutto sfornito di autonome e intrinseche giustificazioni”

[89] Cfr. P. Ridola, Diritto comparato e diritto costituzionale europeo, p. 89 “nella ragion pratica kantiana il significato universale della dignità dell'uomo, subisce, rispetto al pensiero del giusnaturalismo sei-settecentesco, un'ulteriore trasformazione, in quanto il pensiero kantiano si sforza di sollevare il valore della dignità dell'uomo su di un piano razionale astratto rispetto al carattere più empirico che il filone giusnaturalistico, risalendo da Pufendorf ad Hobbes, faceva derivare dalla matrice contrattualistica. La Würde si manifesta invero come il valore intrinseco dell'uomo, come un a-priori della filosofia pratica che riveste di per sé carattere assoluto: precisamente come un qualcosa la cui esistenza in sé stessa ha un valore assoluto che, quale scopo in sé stesso può essere il fondamento di determinate leggi, e può pertanto costituire il fondamento di un possibile imperativo categorico”

[90] Cfr. P. Ridola, Diritto comparato e diritto costituzionale europeo, p.p. 91-92 “in questo modo il pensiero kantiano prepara il successivo processo di traslazione del piano della Würde su quello dei diritti dell'uomo: il legame fra l'una e gli altri viene a profilarsi come uno stretto nesso strumentale, dal momento che i diritti esprimono quel che ad ogni uomo spetta in forza della sua essenza di uomo (Menshheit), e la dignità esprime in che cosa sia riposta in sostanza questa essenza. Per altro verso, nello sforzo di costruire la dignità dell'uomo sul terreno razionale, di un a-priori astratto, e di disegnare un tracciato di relazioni tra individui che prescinde dalla considerazione delle dinamiche sociali, il pensiero kantiano anticipa il (o forse più esattamente fornirà un poderoso armamentario filosofico al) successivo assorbimento della dignità dell'uomo nella dogmatica giusstatualistica del XIX secolo”

[91] Cfr.  P. Ridola, Diritto comparato e diritto costituzionale europeo, p. 93 “la filosofia hegeliana racchiudeva in sé anche i germi della dissoluzione di una concezione della dignità dell'uomo fondata sul rilievo della individualità. Ciò dipende dall'aver collocato l'io, con la sua particolarità, all'interno di un sistema universale, nell'ambito del quale il soggetto viene gradualmente assorbito nello spirito oggettivo, e dall'assunto della necessaria identità tra lo scopo finale del mondo/ Endzweck der Welt e la sua realizzazione nella sfera individuale soggettiva. Immersa nel fiume delle leggi di sviluppo dello spirito oggettivo, anche la storicità del soggetto hegeliano è inseparabile da una dimensione oggettiva che trascende la sua particolarità, e la stessa storia universale viene a configurarsi come il prodotto di una eterna razionalità, prima che opera di individui”

[92] Cfr. G. De Ruggero, Storia della filosofia VIII Hegel p. 223 “la storia del mondo è il progresso della coscienza della libertà. Noi conosciamo già le tappe di questa ascensione, che va dall'individuo alla famiglia, alla società civile e allo stato; l'ultima tappa è e lo spirito del mondo, nella cui storia unitaria si accentrano le mutevoli vicende della vita degli stati. Questo si può dire che sia il solo veramente libero, poiché in esso si compendia la razionalità suprema delle cose, e poiché tutte le libertà particolari delle formazioni intermedie sono assorbite e neutralizzate nella sua”

[93] Cfr. P. Ridola, Diritto comparato e diritto costituzionale europeo, p.97 “La rinascita del tema della dignità dell'uomo dopo la parziale eclisse del secolo borghese si profila con chiarezza nel XX secolo, sotto la pressione di fattori diversi. Anzitutto, la reazione all'eco dei crimini del colonialismo che giungevano in Europa ed il trauma delle guerre mondiali, con il corredo di vittime, distruzioni e patimenti atroci che esse comportarono, contribuirono a porre il problema del rispetto della persona umana sotto una nuova luce, ed a riferire la dignità dell'uomo al genere umano ed alla preservazione di un patrimonio irretrattabile dell'umanità, prima che dell'individualità della persona. Ciò ha  avuto implicazioni e sviluppi e rilevanti, in primo luogo al perseguimento di un obiettivo così elevato un diritto racchiuso entro i confini impenetrabili della sovranità statale appariva come uno strumento inadeguato soprattutto alla luce delle gravissime responsabilità che gli Stati stessi avevano accumulato in questi tragici frangenti della storia dello Stato nazionale: muove da queste premesse, a partire dalla Dichiarazione universale dell'ONU del 1948, lo sforzo di porre la dignità dell'uomo sotto la tutela di convenzioni internazionali e regionali sui diritti umani e di apprestare uno scudo protettivo sovrannazionale all’ispirazione delle costituzioni statali. In secondo luogo, il tema della dignità dell'uomo assumeva forte risalto nella sua dimensione oggettiva, travalicando il piano della protezione dell'individuo e della tutela di situazioni soggettive, ciò che ha concorso a porre le basi dell'idea che la dignità non costituisca il contenuto di un diritto fondamentale ma la base sulla quale poggia l'intero edificio costituzionale così come i diversi diritti fondamentali”

[94] Cfr. P. Häberle, Le libertà fondamentali nello stato costituzionale p. 205 “la libertà sociale, nella costruzione del pluralismo, è anche, sebbene non solo, una libertà organizzata per gruppi, non è pensabile infatti una reale libertà senza attività di gruppo, la realtà sociale dei diritti fondamentali si realizza in parte solo attraverso il diritto dei gruppi”

[95] Cfr. P. Häberle, Le libertà fondamentali nello stato costituzionale p.230 “Solo il pluralismo culturale dei valori e di quelli basilari può essere lo sfondo adeguato della libertà fondamentale nello Stato costituzionale, esso può condurre infatti a un esercizio sensato della libertà, per quanto debba essere messo in conto anche il rischio del nonsenso”

[96] v. Supreme Court case Baze v. Rees (2008) 553 U.S. 35, p. 8 “l’VIII emendamento, applicabile mediante la due process clause del V emendamento (v. Robison v. California, 370 U.S: 660, 666 (1962)), stabilisce che “una pena eccessiva non deve essere inflitta, né tantomeno devono essere inflitte punizioni crudeli e inusitate”. Partendo dal principio posto nel caso Gregg che la pena di morte sia conforme a costituzione (v. 428 U.S. p. 177 concurring opinion dei justice Stewart Powell e Stevens J.J.), ne consegue necessariamente che ci debba essere un modo per porla in essere. Un certo rischio di dolore è insito in qualsiasi metodo di esecuzione, ciò che conta ai fini della costituzionalità è la possibilità di un errore nell’eseguire la procedura che cagioni dolore. È evidente che la costituzione non impone di evitare ogni rischio di dolore nel condannato alla pena capitale”

[97] v. Supreme Court case Baze v. Rees (2008) 553 U.S. 35, p.p. 9-10 “le punizioni sono crudeli quando comportano torture o alterano la pena di morte; la pena capitale non è di per sé crudele nel senso racchiuso nell'VIII emendamento. Proibisce piuttosto pene inumane e barbare che vadano al di là del semplice obiettivo di porre fine alla vita del condannato”

[98] v. Supreme Court case Baze v. Rees (2008) 553 U.S. 35, p.89 “come originariamente concepito l'VIII emendamento permetteva metodi di esecuzione, come l'impiccagione che implicava un significativo rischio di sofferenza, mentre proibiva solamente quei metodi crudeli che avrebbero intensificato il dolore e la paura, mediante supplizi o torture, nel condannato a morte. Per stabilire se il metodo utilizzato da uno Stato, superi il tasso di sofferenza, un condannato deve provare che esistano metodi alternativi fattibili e concretamente e realizzabili che riducano significativamente il rischio di sofferenza e che lo Stato si rifiuti irragionevolmente di adottarli”

[99] v. Supreme Court case Baze v. Rees (2008) 553 U.S. 35, p.96 “il rifiuto di uno Stato di modificare il suo protocollo di esecuzione potrebbe violare l’VIII emendamento solo se un detenuto ha prima identificato una procedura alternativa fattibile e concretamente realizzabile e che ridurrebbe significativamente il rischio di un concreto dolore nell'esecuzione della condanna a morte”

[100] v. Supreme Court case Bucklew v. Precythe (2019) 587 U.S., p.p. 11-12 “la Costituzione prevede la pena capitale. In effetti la condanna a morte era la pena principale per tutti i reati gravi al momento dell’entrata in vigore degli emendamenti che la disciplinavano. La successiva aggiunta dell'VIII emendamento non proibiva la pena di morte. Al contrario, il V emendamento, aggiunto alla Costituzione contestualmente all’VIII prevedeva espressamente che l'imputato potesse essere processato per un delitto capitale e privato della vita a titolo di pena, purché fosse rispettato il due process of law. È il primo Congresso, che ha proposto entrambi gli emendamenti e ha stabilito molteplici crimini punibili con la pena capitale. Certamente questo non significa che il popolo americano debba continuare ad usare la pena di morte. La stessa Costituzione che permette agli Stati di autorizzare la pena capitale permette loro anche di abrogarla. Questo non significa che il potere giudiziario possa dichiararne l'illegittimità costituzionale, poiché la sua abrogazione è un diritto riservato al popolo e ai suoi rappresentanti”

[101] v. Supreme Court case Bucklew v. Precythe (2019) 587 U.S., p. 53 “si è ripetutamente affermato che l’VIII emendamento non costituirebbe un divieto statico che proibisce le stesse punizioni che vietava XVIII secolo. Piuttosto proibirebbe punizioni che oggi sarebbero considerate crudeli e inusitate”

[102] Cfr. A. Ruggeri e A. Spadaro, in Lineamenti di giustizia costituzionale p. 6 “le corti costituzionali (o comunque gli organi di giustizia costituzionale) mirano appunto a custodire la tavola dei valori che è l'insieme delle regole del gioco fondamentali- e, dunque il sistema dei limiti giuridici essenziali senza sovrano- di un ordinamento dato: questa è la costituzione. Il concetto (e l'importanza) della giustizia costituzionale non cambiano anche se si accede all'idea, di una costituzione complessa, senza unico principio ordinatore, o persino quella, più discutibile, che le carte siano in declino”

[103] Cfr. A. Ruggeri  e A. Spadaro, in Lineamenti di giustizia costituzionale p.7 “evidenti ragioni logico-giuridiche rendono oltremodo difficile immaginare una Carta rigida che non abbia anche, al suo interno e quale sua essenza, un contenuto di particolare valore, che caratterizza la forma di Stato prescelta nel singolo ordinamento, e - come tale- non semplicemente rigido, ma addirittura (se non nella forma almeno) nella sostanza intangibile, pena il venir meno dell'ordinamento stesso”

[104] Cfr.M. Bertolissi  e R. Meneghelli  in Lezioni di diritto pubblico generale p. 316 le diverse forme di Stato, hanno come base di raffronto e come criterio di distinzione, il diverso condizionamento che il sistema di potere politico istituzionalizzato esercita sulla società civile; e di converso, il diverso condizionamento che la società civile esercita nei confronti del sistema di potere politico istituzionalizzato”

[105] Cfr. G. Azzariti, Appunti per le lezioni Parlmaneto, Presidente della Repubblica e Corte Costituzionale p. 158 “il sindacato di tipo diffuso, adottato negli Stati Uniti d’America, in Grecia, in Svezia e nel Regno unito, ove è demandato a ogni giudice il compito di far prevalere la legge costituzionale su quelle ordinaria, attribuendo ad esso direttamente il potere di disapplicare la legge in contrasto con la costituzione, e il sindacato di tipo accentrato che vede la creazione di un organo ad hoc, autonomo dal resto dell'ordinamento giudiziario, con lo specifico compito di sindacare la costituzionalità delle leggi”

[106] Cfr. G. Azzariti, Appunti per le lezioni Parlmaneto, Presidente della Repubblica e Corte Costituzionale p.180 “la rilevanza della questione di legittimità costituzionale, cioè essa deve rappresentare una pregiudiziale per la soluzione del giudizio in corso di svolgimento: non può essere decisa la controversia indipendentemente dall'applicazione della norma della cui legittimità si dubita”

[107] Cfr. G. Zagrebelsky e V. Marcenò  in Giustizia costituzionale p. 291 “la rilevanza della questione di legittimità costituzionale, cioè essa deve rappresentare una pregiudiziale per la soluzione del giudizio in corso di svolgimento: non può essere decisa la controversia indipendentemente dall'applicazione della norma della cui legittimità si dubita” . In terza istanza, occorre che la questione di legittimità costituzionale sia non manifestamente infondata; come autorevole dottrina ha rilevato “in altre parole, la questione non deve apparire manifestamente fondata; per poter essere rimessa alla Corte è sufficiente che sussistano dubbi di costituzionalità e che non possa quindi essere dimostrata la manifesta infondatezza (cfr. Corte Cost. sent. n. 161/1977). […] Il requisito della non manifesta infondatezza non comporta che il giudice sia convinto della fondatezza e nemmeno esclude che egli rimanga soggettivamente persuaso del contrario; è invece sufficiente che esistano ragioni di incertezza. Perciò il giudice è tenuto nel sollevare la questione anche se è convinto della infondatezza, ma tuttavia non è in grado di motivare il rigetto della questione stessa in modo pienamente convincente a norme dell'art. 24 l. n. 87/1953”

[108] Cfr. G. Zagrebelsky e V .Marcenò  in Giustizia costituzionale pp. 293-294 “se è possibile un'interpretazione adeguatrice della legge da parte del giudice a quo non vi sarà allora una vera questione di costituzionalità, ma piuttosto una questione di interpretazione, rientrante nei normali poteri (e doveri) dell'autorità giudiziaria. Tale orientamento ha trovato espressione in una formula della sentenza n. 356 del 1996 secondo la quale “in linea di principio, le leggi non si dichiarano costituzionalmente illegittime perché è possibile darne interpretazioni incostituzionali (e qualche giudice ritenga di darne), ma perché è impossibile darne interpretazioni costituzionali”. Ciò significa che, quando il giudice a quo non ha fatto uso di tutti gli strumenti interpretativi di cui dispone per tentare l'armonizzazione della disposizione censurata con la costituzione, la Corte non accetta di prendere in esame la questione. Più precisamente, la questione è dichiarata inammissibile. In questo senso si è detto che la motivazione circa l'impossibilità dell'interpretazione adeguatrice è divenuta un requisito di validità dell'ordinanza di remissione”

[109] Cfr. G. Azzariti, Appunti per le lezioni Parlmaneto, Presidente della Repubblica e Corte Costituzionale p.190 “possono essere proposti solo per pretesa invasione o lesione delle attribuzioni legislative proprie della regione (ex art. 117 Cost. ovvero Statuti speciali). La regione, pertanto, dovrebbe poter denunciare non qualsiasi vizio di legittimità costituzionale delle leggi ordinarie, ma solo la presunta invasione della sfera di competenza che la costituzione le assegna”

[110]Cfr. C. Pinelli  in Diritto pubblico p. 479 “la distinzione fra disposizione e norma è utilizzata quotidianamente dai giudici allorché, per poter applicare una certa disposizione, si trovano nella necessità di interpretarla, di estrapolarne cioè il significato, quindi la norma concretamente riferibile alla fattispecie oggetto della controversia che debbono dirimere. Ma il giudizio nella cui pratica la distinzione ha trovato le sue applicazioni più importanti e più sofisticate è il giudizio di legittimità costituzionale”

[111] Cfr. L. Paladin  in Diritto Costituzionale p. 128 “isolatamente presa la generalità, può risolversi in ciò che la norma generale è riferita ad una serie indeterminata ed indeterminabile di soggetti, così contrapponendosi ai comandi individuali; sicché la norma stessa riguarda una categoria di potenziali destinatari e non persone previamente individuate. A sua volta la astrattezza è propria della norma in quanto volizione preliminare, che precede di regola una futura volizione concreta: il che comporta che la norma stessa sia atta a ricevere una serie di applicazioni indefinite ed indefinibili, a priori, anziché limitarsi a risolvere un puntuale ed attuale problema della vita”

[112] Cfr. A. Ruggeri  e A. Spadaro  in Lineamenti di giustizia costituzionale p.110 “Diversamente la CEDU (e viene da pensare ogni carta dei diritti Cfr. Corte Cost. sent. 269/2017) - a stare all'indirizzo giurisprudenziale inaugurato dalle famose sentenze gemelle nn. 348 e 349/2007 della Corte costituzionale (nonché ex plurimis Corte Cost. sentt. nn. 39 e 129/2008; 311 e 317/2009; 93 e 106/2010; 80,180,181,236 e 303/2011; 78/2012; 49/2015; 83,109,123 e 269/2017; 6 e 93/2018; 116/2020) sarebbe da considerare quale fonte subcostituzionale (ex art.117 co.1 Cost.): soggetta, perciò, alla osservanza di ogni norma della costituzione, ma idonea a porsi a parametro interposto nei giudizi sulle leggi e gli atti a queste equiparati”

[113] Cfr. P. Ridola, Diritto comparato e diritto costituzionale europeo, p.p. 195-196 “l'art. 2 Cost. se interpretato come clausola di apertura del catalogo dei diritti inviolabili, secondo quello che sembra essere l'indirizzo della Corte da alcuni anni a questa parte, l'art. 2 potrebbe invero dispiegare significative virtualità di apertura rispetto alle convenzioni internazionali e regionali sui diritti umani, tanto più che si tratterebbe di estensioni non riconducibili genericamente alla evoluzione della coscienza sociale, ma a patti internazionali stipulati dallo Stato. Mi riferisco infine all'art. 11 Cost. anzitutto perché si può a mio avviso sostenere fondatamente che il sistema di protezione dei diritti fondamentali nell'Europa allargata della Convenzione ha svolto storicamente e svolge attualmente una funzione di stabilizzazione e di coesione importante del quadro geopolitico europeo, come ordinamento che assicura- appunto secondo la lettera di questa disposizione- la pace e la giustizia fra le Nazioni (ricordo solo, per fare un esempio, la giurisprudenza Cedu in materia di diritti politici o di partiti, di tutela delle minoranze, etc.). Sotto questo profilo desta davvero perplessità il passaggio della sentenza n. 349 che identifica nella materia dei diritti fondamentali un Kerngehalt rispetto al quale non sarebbero ipotizzabili cessioni di sovranità”

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