Pubbl. Mar, 17 Mag 2022
L´autonomia negoziale nell´accordo individuale di lavoro agile
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Ciro D´ambrosio
L´articolo intende porre un´analisi di dettaglio relativa all´accordo di smart working quale nascita di un nuovo momento di espressione negoziale delle parti, datore di lavoro e lavoratore, passando in rassegna i profili di criticità.
Sommario: 1. Contenuti essenziali dell’accordo; 2. L’autonomia negoziale delle parti; 3. La prestazione lavorativa agile; 4. Conclusioni.
1. Contenuti essenziali dell’accordo
Sperimentati i fondamenti pratici del lavoro agile in tutta la fase dell’emergenza sanitaria, è necessario porre la questione dell’integrazione del contratto di lavoro, sia sul piano del valore formale sia sostanziale, rappresentata dall’accordo individuale. Oltre al contratto di lavoro, che quindi rimane inalterato e vigente seguendo il suo normale decorso, nasce dunque un nuovo momento di espressione dell’autonomia negoziale.
Prova di ciò è la necessità della forma scritta, ad probationem, ai fini della regolarità, nonché l’obbligatorietà della comunicazione ai servizi per l’impiego una volta fuori dalla fase emergenziale[1].
L’obiettivo del presente lavoro è, allora, quello di offrire un’analisi critica di tutti gli elementi dell’accordo che solo di recente si vanno sperimentando, anche alla luce della transizione del 2020, non essendosi ancora imbattuti nella prova della inderogabilità in peius, ossia di quei limiti imposti dal nostro ordinamento all’autonomia negoziale nel rapporto di lavoro subordinato secondo il meccanismo della sostituzione legale automatica[2] in favore del lavoratore. Dalla Legge 81 del 2017, istitutiva del lavoro agile, si possono sintetizzare quei contenuti minimi che costituiscono l’accordo individuale e cioè:
- durata della modalità agile (se a tempo indeterminato o determinato);
- recesso dalla modalità agile e ripristino di quella in presenza mediante preavviso (30 giorni o 90 giorni per i lavoratori disabili, per gli accordi a tempo indeterminato o in presenza di un giustificato motivo);
- modi e tempi dell’esecuzione al di fuori dei locali di lavoro (art. 18, co. 1) con riguardo agli strumenti tecnologici utilizzati e alla disconnessione da essi (art. 19, co. 1);
- potere di controllo e disciplinare (art. 21, co. 1 e co. 2) tenendo conto dei limiti vigenti[3];
- diritto all’apprendimento permanente e alla periodica certificazione delle competenze (art. 20, co. 2);
- allo stesso tempo delicate e importanti, poiché fondanti dello stesso accordo individuale, risultano le “forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi” (art. 18, co.1).
In via del tutto primaria, sono la durata ed il recesso che appaiono essere i contenuti entro i quali vige ed è regolata la nuova modalità lavorativa, una volta escluso ogni regime provvisorio.
Nell’ordinarietà delle situazioni, si aggiunga, l’accordo può essere a tempo indeterminato o determinato mediante apposizione di un termine, che però non esclude a priori possibili proroghe di volta in volta concordate tra le parti, senza peraltro che si ravvedano limitazioni. Una scelta negoziale che può certamente trovare sostegno nelle esigenze organizzative e produttive del datore di lavoro e in quelle di conciliazione vita-lavoro del lavoratore.
2. L’autonomia negoziale delle parti
Proprio in tale campo di negoziazione, si sono aperti scenari nuovi imposti dall’emergenza Covid che solo in apparenza esulano dall’interesse giuslavoristico e che si legano alla riconfigurazione degli spazi di lavoro in ambienti ridotti all’essenziale e al sorgere di assunzioni assoggettate fin da principio alla modalità agile.
La questione dei luoghi esterni - e quindi quella dei relativi tempi della prestazione “a distanza” - sono certamente personalizzabili in sede negoziale proprio tramite l’autonomia delle parti che assume rilievo predominante, ma che rischia di sbilanciarsi. Non può essere taciuta una silenziosa quanto incontrovertibile evoluzione che durante la pandemia si è orientata innanzitutto al dimensionamento e alla delocalizzazione delle sedi operative.
Basti infatti pensare che nel primo lockdown, tra aprile e marzo 2020, “le grandi città europee si sono svuotate e vi è stata una fuga verso le seconde case e verso le residenze delle famiglie di origine[4]” modificando la domanda residenziale, le strutture abitative e il tessuto urbano e interrompendo quella tendenza all’urbanizzazione di massa, “esaltazione moderna delle downtown[5]” generata dalla prima industrializzazione. Le grandi aziende hanno agito di conseguenza nella prospettiva di uffici e palazzi realmente servibili e quindi più “smart” in grado di offrire, al massimo, una turnazione dei lavoratori di tipo blended (metà fisica e metà virtuale) o con aree condivise (ad es. spazi di coworking, maker space[6], ecc.) proseguendo così il progressivo efficientamento dei costi (affitti di fabbricati, canoni di utenze e servizi, spese di manutenzione, ecc.) già saggiato durante la fase di emergenza sanitaria. In poche parole, se la prestazione del lavoratore diventa smart lo può essere anche la sede del datore di lavoro.
Accanto alla complessiva riorganizzazione fisica del lavoro, in grado di modificare i centri urbani e le periferie, sono andate crescendo, di pari passo, anche le nuove modalità assunzionali richieste nelle job description in cui la modalità agile si candida a requisito non in corso di contratto (e quindi soggetto alla volontarietà del lavoratore) bensì in fase preassuntiva o meglio, precontrattuale.
Alla luce di ciò, allora sono affiorati i primi dubbi giuridici, soprattutto rispetto all'individuazione, in fase di accordo, dell’esistenza di un ipotetico “diritto” del lavoratore all’assegnazione di una “sede fisica” anche laddove la strutturazione di un’organizzazione produttiva possa discostarsene.
D’altra parte, solo l’esistenza di un simile diritto consentirebbe di neutralizzare il caso in cui il datore di lavoro decidesse di ricorrere alla modalità agile fin dall’inizio del rapporto di lavoro, come presupposto alla mansione e quindi alla sua organizzazione, intaccando l’autonomia negoziale delle parti quale presupposto necessario per l’attivazione o meno della diversa modalità di lavoro.
Per trattare, allora, al meglio la questione sottesa, è opportuno rifarsi agli “obblighi di informazione[7]” cui è tenuto ogni datore di lavoro pubblico e privato all’atto dell’assunzione. Fra questi, figura il luogo di lavoro inteso però non solo in senso materiale, ma anche immateriale in considerazione della previsione normativa per cui “in mancanza di un luogo fisso” si debba ricorrere all’indicazione che il lavoratore “è occupato in luoghi diversi”.
L’obbligo di “luogo” che emerge, così come sancito dalla norma, non è quindi quello della sede specificamente fisica, e il rischio è quello di depotenziare anche la possibilità di recesso dalla prestazione “agile” considerato requisito minimo dell’accordo individuale a garanzia della volontarietà delle parti.
Sorge, però, un’ulteriore spinosità: la disciplina che regola il ritorno alla sede fisica dalla prestazione “agile” è valevole sia nell’accordo a tempo determinato sia indeterminato, ma con importanti differenze.
Se, pertanto, l’accordo è a tempo indeterminato il recesso può avvenire con preavviso di trenta giorni (o novanta se lavoratore disabile) e, senza preavviso, solo in caso di giustificato motivo mentre, se l’accordo è a tempo determinato, si prevede il recesso solo in presenza di un “giustificato motivo”. Insomma, insieme al dubbio diritto ad una “sede fisica”, il recesso per “giustificato motivo” finisce per generare ulteriori criticità date dalla inevitabile similarità della locuzione con il “licenziamento per giustificato motivo”, il licenziamento individuale oggi vigente[8] in caso di condotta imputabile a colpa del lavoratore ossia per inadempienza del lavoratore o motivi strettamente correlati alle attività di carattere economico rimessi al datore di lavoro.
Di contro, il “recesso per giustificato motivo” nel caso del lavoro agile non è ancora tipizzato, al punto che potrebbe trovare motivo del contendere proprio tra le ragioni dei lavoratori all’interruzione della modalità smart e le valutazioni economico-produttive del datore di lavoro. Per esemplificare, si potrebbe palesare la possibilità di un licenziamento “per giustificato motivo” a seguito di recesso del lavoratore agile per “giustificato motivo”. Un’eventualità non troppo peregrina se risultasse, come detto sopra, che la modalità di lavoro “a distanza” fosse presunta fin dall’inizio del contratto di lavoro quale modalità strutturale e prevalente di un’organizzazione produttiva, non dovendo ricorrere obbligatoriamente una sede fisica.
La questione emergente durante la fase transitoria, e terreno di conquista nel prossimo futuro, sembra risolvibile soltanto mediante il richiamo alla stessa citata legge n. 81/2017: si potrebbe fare appello, allora, alla configurazione delle nuove modalità di prestazione da remoto che presume un’alternanza dei luoghi “in parte all'interno di locali aziendali e in parte all'esterno senza una postazione fissa[9]”, non escludendo mai la sede fisica o accrescendo quel principio di equità riferito al trattamento economico e normativo “complessivamente non inferiore[10]”, baluardi della protezione dei “lavoratori agili” rispetto agli omologhi in presenza.
Quel che emerge, dunque, è che l’autonomia negoziale in merito a durata, recesso e trattamento, da far valere in tutti gli accordi individuali a prescindere da qualsivoglia inquadramento giuridico (categorie, qualifiche e mansione), passa necessariamente attraverso i luoghi e i tempi della prestazione “a distanza”, da vagliare accuratamente in sede negoziale.
In merito, infine, alla scelta delle sedi esterne in cui si svolge la prestazione lavorativa, va rilevato che l’autonomia negoziale è circoscritta da alcuni limiti, in particolare qualora il luogo prescelto dal lavoratore non appaia conforme alle disposizioni di tutela infortunistica garantite dall’Inail, da relazionare pur tuttavia con i criteri di esigenza della prestazione, conciliazione vita-lavoro e ragionevolezza[11]: una delimitazione che per i tempi della prestazione resa esternamente diviene meno immediata e limitata, in ogni caso, nella durata massima consentita dalla legge e dalla contrattazione collettiva.
3. La prestazione lavorativa agile
Nella definizione dei tempi di lavoro esplicitabili in sede negoziale, si deve tener presente che il perno centrale su cui poggia l’intero impianto della Legge 81 ruota intorno alle “forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi[12]”, che in passato avevano reso inapplicabili orari predefiniti per “lavoratori la cui durata dell'orario di lavoro, a causa delle caratteristiche dell’attività esercitata, non è misurata o predeterminata o può essere determinata dai lavoratori stessi” e quando si tratta di “prestazioni rese nell'ambito di rapporti di lavoro a domicilio e di tele-lavoro”[13].
Con queste premesse, in sede di accordo individuale, potrebbe risultare agevole evitare di proposito riferimenti a orari stringenti, come difatti è avvenuto nelle prime regolazioni di settore, in cui si è provveduto tutt’al più a riportare l’orario massimo di riferimento e coincidente con la giornata di apertura di una sede operativa, a prescindere dagli orari di entrata e uscita e delle relative flessibilità attribuite normalmente ai lavoratori in presenza. Inoltre, l’attrazione verso il presupposto legislativo ad “incrementare la competitività”[14], non sembra stimolare un’autonomia negoziale tesa al coinvolgimento del dipendente in connessione all’andamento economico dell’impresa e tantomeno vi è riferimento ad alcuna forma di retribuzione incentivante, così come sarebbe stato pure possibile secondo la lettura codicistica[15].
L’incentivo risulta ancor meno presente per il lavoro straordinario o supplementare durante la modalità a distanza, affievolito dall’abbandono della memorabile remunerazione basta sul tempo in cui il lavoratore mette a disposizione il proprio tempo e le proprie energie[16]. Difatti, l’accordo individuale sembra facilmente trainabile più dalle esigenze produttive per obiettivi rimandando lontanamente agli elementi tipici di altre forme contrattuali, quali il lavoro parasubordinato[17] giusto a metà fra eterodirezione e conseguimento degli obiettivi, gettando ombre sul corretto inquadramento contrattuale che pure deve rimanere immutato allorquando “il lavoro subordinato diventa più autonomo e le collaborazioni autonome tendono a essere più subordinate[18]”.
L’incertezza sull’effettiva misurazione del carico massimo di lavoro e conseguente controllo del datore di lavoro, fra quantità e qualità, è quindi destinato a consolidarsi in sede negoziale, fintanto che non venga posta come questione rimessa ad una regolamentazione sindacale di livello superiore che attenga anche alla disciplina del controllo e delle relative sanzioni disciplinari rimesse al datore di lavoro[19].
La norma attuale sul lavoro agile, seppure ancorata dal legislatore allo Statuto dei Lavoratori nella fattispecie del “controllo a distanza[20]”, nasconde alcune complessità.
Primariamente, si rileva che la tipologia di controllo esercitabile dal datore di lavoro deve essere riferita inevitabilmente alle modifiche intervenute nel 2015 allo stesso Statuto, per opera del d.lgs. n. 151 del 14 settembre 2015, applicativo del Jobs Act[21], che ha portato all'eliminazione dello storico divieto di ricorrere a strumenti aventi lo specifico obiettivo di operare controlli a distanza.
Tale nuovo quadro, quindi, deve essere applicato a fattispecie lavorative nuove e diverse, basate su prestazioni da remoto nei luoghi privati del lavoratore, ed eseguite mediante strumenti tecnologici di diversa proprietà.
Si tratta, in effetti, di situazioni non contemplate durante tutta la fase “ibrida” del lavoro agile soprattutto per il generale ricorso all’uso dei dispostivi di proprietà degli stessi lavoratori (cosiddetta pratica BYOD[22]) “rispetto alla quale permangono forti dubbi sulle modalità applicative di eventuali controlli[23]”. Il nodo da sciogliere rimane contenuto fra i commi della nuova disciplina in cui, da un lato rimane salda la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori “esclusivamente per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale”[24] e, dall’altro, si ammette la possibilità di acquisire informazioni “utilizzabili a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro[25]”, aprendo le porte a possibili conseguenze di tipo disciplinari.
4. Conclusioni
Concludendo, allora, quanto sopra non può che portare a trattare anche l'utilizzo di quelle dotazioni tecniche o tecnologiche che rendono possibili la prestazione, nella stragrande maggioranza dei casi prerequisito indispensabile per l’attivazione della prestazione a distanza: ebbene, è anche in questi casi che l’accordo individuale è chiamato a chiarire le modalità della dotazione.
Sulla scorta delle previsioni della già richiamata legge n. 81/2017, l’unico riferimento sul tema attiene alla responsabilità del datore di lavoro per la sicurezza e il buon funzionamento “degli strumenti tecnologici assegnati al lavoratore[26]”. In mancanza di esplicitazioni derivanti dalla contrattazione di settore, così come avvenuto per tutta la durata dell’emergenza sanitaria del 2020[27], è quindi lecito ritenere che si possa concretizzare una “pretesa” del lavoratore a ricevere quanto necessario per eseguire la prestazione, senza includere i costi annessi all’uso delle strumentazioni quali, fra tutti, la necessità di una connessione Internet stabile e veloce o comunque sufficiente a rendere la prestazione e che potrebbero permanere in capo al lavoratore così come avvenuto nelle più recenti contrattazioni[28].
L’unico ancoraggio da attenzionare nell’ambito dell’autonomia negoziale rimane, ancora una volta, il diritto al “trattamento economico e normativo non inferiore a quello complessivamente applicato in presenza[29]”, che pare unicamente riferito agli aspetti contrattuali e retributivi, più che a quelli delle dotazioni tecnologiche al lavoratore.
In conclusione, quindi, il “trattamento equo” diviene l’unico diritto effettivamente imposto dal legislatore e sottratto alla negoziazione delle parti, persino diversamente da quello all’apprendimento permanente[30], che seppure è riconosciuto al lavoratore agile [31] (con la relativa certificazione delle competenze), è pur sempre rimesso all’autonomia negoziale (in modalità formali, non formali o informali), secondo una ratio canalizzata al mantenimento ed al riconoscimento delle opportunità di sviluppo professionale per i lavoratori lontani dalla sede operativa.
[1] Come previsto dall’art. 11 del D.L. 22 aprile 2021, n. 52 (c.d. Decreto Riaperture), fino al 31 luglio 2021, le modalità di comunicazione del lavoro agile restano quelle previste dall'art. 90, cc. 3 e 4, del D.L. 19 maggio 2020, n. 34, convertito in L. n. 77 del 17 luglio 2020, n. 77, utilizzando la procedura semplificata già in uso (per la quale non è necessario allegare alcun accordo con il lavoratore) con modulistica e applicativo informatico resi disponibili dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali.
[2] Le clausole difformi sono sostituite di diritto ex art. 1419 del Codice Civile.
[3] Il riferimento è alla legge n. 300 del 20 maggio 1970, cosiddetto “Statuto dei lavoratori” relativo alle “Norme sulla tutela della libertà e dignità del lavoratori, della libertà sindacale e dell'attività sindacale nel luoghi di lavoro e norme sul collocamento”.
[4] L. DONATO, “Il mercato immobiliare tra emergenza Covid-19 e smart working”, atti del convegno “Re Italy Winter Forum 2021”, 20 gennaio 2021, Borsa Italiana -Milano.
[5] L. DONATO, op cit..
[6] L. DE ANGELIS, G. SIMONCELLI, F. BEVILACQUA, Lavoro agile in situazioni emergenziali. Applicazione di un modello “ibrido” tra lavoro agile e telelavoro, in Fact sheet, Inail - Dipartimento innovazioni tecnologiche e sicurezza degli impianti, prodotti e insediamenti antropici, 2020.
[7] Art. 1, co. 1, lett. b, del Decreto Legislativo n. 152 del 26 maggio 1997 di “Attuazione della direttiva 91/533/CEE concernente l'obbligo del datore di lavoro di informare il lavoratore delle condizioni applicabili al contratto o al rapporto di lavoro”.
[8] Legge n. 604 del 15 luglio 1966 recante “Norme sui licenziamenti individuali” concretizza il licenziamento individuale in “un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del prestatore di lavoro ovvero da ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa”.
[9] Articolo 18 co. 1 della Legge 22 maggio 2017 n. 81, recante “Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l'articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato”.
[10] Articolo 20 co. 1 della Legge 22 maggio 2017 n. 81, recante “Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l'articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato”.
[11] Articolo 23 co. 3 della Legge 22 maggio 2017 n. 81, recante “Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l'articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato”.
[12] Articolo 18 co. 1 della Legge 22 maggio 2017 n. 81, recante “Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l'articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato”.
[13] Articolo 17 co. 5 del Decreto Legislativo n. 66 dell’8 aprile 2003 “Attuazione delle direttive 93/104/CE e 2000/34/CE concernenti taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro”.
[14] Articolo 18 co. 1 della Legge 22 maggio 2017 n. 81, recante “Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l'articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato”.
[15] L’articolo 2099 co. 3 del Codice Civile ammette che “il prestatore di lavoro può essere retribuito, in tutto o in parte, con partecipazioni agli utili o ai prodotti, con provvigioni o con prestazioni in natura”.
[16] Ai fini della misurazione dell’orario di lavoro, la legge attribuisce espresso rilievo non solo al tempo della prestazione effettiva, ma anche a quello della disponibilità del lavoratore e della sua presenza sui luoghi di lavoro anche se egli rimane inoperoso (cfr. Cass. n. 20694/2015) come da art. 1, c. 2, lett. a), del Decreto Legislativo n. 66 dell’8 aprile 2003 “Attuazione delle direttive 93/104/CE e 2000/34/CE concernenti taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro” in cui è “orario di lavoro: qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell’esercizio della sua attività o delle sue funzioni”.
[17] Decreto Legislativo n. 276 del 10 settembre 2003, “Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge 14 febbraio 2003, n. 30”.
[18] A. MARESCA, Smart working, subordinazione soft, in Il Sole 24 Ore del 26 luglio 2017.
[19] Art. 21, cc. 1 e 2 della legge 22 maggio 2017 n. 81, recante “Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l'articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato”.
[20] Art. 4 della legge n. 300 del 1970.
[21] Decreto Legislativo n. 151 del 14 settembre 2015 “Disposizioni di razionalizzazione e semplificazione delle procedure e degli adempimenti a carico di cittadini e imprese e altre disposizioni in materia di rapporto di lavoro e pari opportunità, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183”.
[22] Con l’acronimo Byod, ovvero “Bring Your Own Device”, si intende la pratica per cui è consentito al dipendente di utilizzare i propri dispositivi informatici per lavorare.
[23] E. DAGNINO, M. MENEGOTTO, L. M. PELUSI, M. TIRABOSCHI, Guida Pratica al Lavoro Agile dopo la Legge n. 81/2017. Formule contrattuali - Schemi operativi - Mappatura della contrattazione collettiva, ADAPT University Press, 2017.
[24] Art. 23, c. 1, Decreto Legislativo n. 151 del 14 settembre 2015 inerente la modifica dell’articolo 4 della Legge 300 del 1970.
[25] Art. 23, c. 3, Decreto Legislativo n. 151 del 14 settembre 2015 inerente la modifica dell’articolo 4 della Legge 300 del 1970.
[26] Art. 18, c. 2, Legge 22 maggio 2017 n. 81, recante “Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l'articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato”.
[27] Durante lo smart working del 2020 più di due grandi imprese su tre hanno dovuto aumentare la dotazione di pc e hardware e di strumenti per l’accesso da remoto mentre tre PA su quattro hanno incoraggiato i dipendenti ad usare i dispositivi personali (Fonte: Politecnico di Milano, Dipartimento di Ingegneria Gestionale, Osservatorio Smart Working, “Smart Working: il futuro del lavoro oltre l’emergenza”, Convegno, novembre 2020, Milano).
[28] Il riferimento è all’Accordo sindacale per la regolamentazione delle condizioni di applicazione del lavoro agile o “Smart Working” del 6 aprile 2021 fra Ibm Italia Spa e Cgil, Cisl e Uil.
[29] Art.18, c. 2, della Legge 22 maggio 2017 n. 81, recante “Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l'articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato”.
[30] Il diritto all’apprendimento permanente è sancito nella Legge n. 92 del 28 giugno 2012 recante “Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita” e consiste in “qualsiasi attività intrapresa dalle persone in modo formale, non formale, informale, nelle varie fasi della vita, al fine di migliorare le conoscenze, le capacità e le competenze, in una prospettiva personale, civica, sociale e occupazionale” (articolo 4, comma 51).
[31] Art. 20, c. 2, della Legge 22 maggio 2017 n. 81, recante “Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l'articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato”.