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Pubbl. Mer, 4 Mag 2022

Interdittiva antimafia: soci e amministratori non sono legittimati a impugnare autonomamente il provvedimento

Enrico Tarzia
Laurea in GiurisprudenzaUniversità degli Studi di Reggio Calabria Mediterr



Con Sentenza del 28 gennaio 2022, n. 3, l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (Presidente: F. Patroni Griffi, Estensore: O. Forlenza) ha fissato il principio di diritto per cui gli amministratori e i soci di una persona giuridica attinta da informativa antimafia interdittiva non sono legittimati a impugnare autonomamente tale provvedimento. La questione si interseca con il tema dell’incertezza sulla consistenza dell’interesse legittimo, con il controverso rapporto tra procedimento e processo e con la natura della giurisdizione amministrativa. Questa decisione non convince, in quanto applica al ribasso i principi giuridici che reggono le condizioni dell’azione, limitando la controllabilità di un provvedimento di natura cautelare che spesso si fonda su meri sospetti.


Sommario: 1. Il caso; 2. Le condizioni dell’azione: la ricostruzione tradizionale; 3. I dubbi del giudice rimettente; 4. Gli orientamenti giurisprudenziali e la decisione dell’Adunanza Plenaria; 5. Considerazioni conclusive.

Sommario: 1. Il caso; 2. Le condizioni dell’azione: la ricostruzione tradizionale; 3. I dubbi del giudice rimettente; 4. Gli orientamenti giurisprudenziali e la decisione dell’Adunanza Plenaria; 5. Considerazioni conclusive.

1. Il caso

A seguito dell’emissione di un’informativa antimafia interdittiva nei confronti di una società per azioni, veniva risolta la convenzione in forza della quale la stessa risultava concessionaria del servizio idrico integrato per la provincia di Agrigento. Successivamente, l’Amministrazione nominava un Commissario Straordinario, al fine di garantire la prosecuzione delle attività legate alla convenzione, con la conseguenza che i soci e gli amministratori della società concessionaria venivano estromessi dai ruoli rivestiti all’interno del Consiglio di Amministrazione. 

Il provvedimento veniva impugnato dai soci della società interdetta, che lamentavano di essere personalmente pregiudicati dall’azione amministrativa dispiegata dalla Prefettura a causa della loro esclusione dalla gestione di un’azienda nella quale avevano investito ingenti capitali. Nello specifico, sottolineavano come la certificazione prefettizia avrebbe impedito a soggetti titolari di quote societarie l’esercizio delle cariche di presidente e di consigliere di amministrazione.

Con la Sentenza del 29 dicembre 2020, n. 3036, il T.A.R. Sicilia – Palermo dichiarava il ricorso inammissibile per carenza di legittimazione attiva in capo ai ricorrenti[1]. L’iter argomentativo del giudice amministrativo prendeva le mosse da un assunto di partenza: sono legittimati a impugnare solo i soggetti che patiscono effetti diretti su di un interesse legittimo di cui sono titolari; di conseguenza, il difetto di legittimazione attiva dei soci per le azioni giudiziarie spettanti alla società deriva, da un lato, dall’esistenza di una netta separazione tra le partecipazioni sociali e la gestione dell’impresa e, dall’altro, dalla differente portata degli interessi degli azionisti che non sarebbero per forza coincidenti con quelli della società e/o degli altri azionisti, anche qualora rappresentassero la maggioranza della società.

La decisione di primo grado veniva appellata al C.G.A., il quale, con riferimento ai soggetti legittimati a impugnare le informative prefettizie, rilevava come non ci fosse un orientamento univoco nella giurisprudenza del Consiglio di Stato. Alla luce di questo, decideva, con sentenza non definitiva[2], di sottoporre la questione all’Adunanza Plenaria, affinché chiarisse se fosse da riconoscere, in capo a ex amministratori e soci di una società attinta da interdittiva antimafia, autonoma legittimazione a ricorrere, “avuto riguardo alla situazione giuridica dedotta in giudizio, e se gli stessi andassero considerati come soggetti che patiscono effetti diretti” dall’adozione di questi provvedimenti. 

L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, in esito all’udienza pubblica del 17 novembre 2021, con la sentenza del 28 gennaio 2022, n. 3, si è espressa negativamente rispetto al quesito sottoposto alla sua attenzione, attraverso argomentazioni che saranno oggetto di approfondimento della presente nota. 

2. Le condizioni dell’azione: la ricostruzione tradizionale

Presupposto giuridico alla base del tema controverso è il carattere soggettivo della giurisdizione amministrativa: legittimato a impugnare un dato provvedimento è solo colui che ne patisce gli effetti diretti e immediati su una posizione giuridica di interesse legittimo e solo nella misura in cui da un’eventuale decisione favorevole ne ricaverebbe un’oggettiva utilità[3]

E infatti, secondo una costante giurisprudenza, affinché un ricorso sia ammissibile devono sussistere, al momento della sua proposizione e fino alla decisione[4], le condizioni dell’azione, individuate nella possibilità giuridica dell’azione[5], nella legittimazione attiva e nell’interesse al ricorso[6]. Quest’ultimo deve essere personale[7] e attuale, così come dev’essere attuale e immediata la lesione da cui discende l’interesse ad agire. Ne consegue che sarà considerato privo di legittimazione un soggetto dotato di un interesse (di fatto), se dall’azione giudiziaria deriverebbero effetti giuridici nella sfera di un terzo[8]

Vi è di più: le condizioni dell’azione, esprimendo una relazione tra un interesse sostanziale tutelato dall’ordinamento e il diritto di agire riconosciuto a un soggetto[9], «rappresentano un ponte tra diritto sostanziale e processo»[10]. E invero, la qualificazione della legittimazione a ricorrere è stata da sempre influenzata dall’incertezza sulla nozione di interesse legittimo e ciò ha comportato che dottrina e giurisprudenza oscillassero tra la risoluzione delle questioni legate alla legittimazione attraverso un filtro esclusivamente processuale e la loro trattazione come questioni sostanziali: se al ricorrente viene richiesta l’effettiva titolarità – e non la mera affermazione – di una posizione qualificata, l’eventuale difetto di legittimazione deve passare necessariamente da una pronuncia di merito[11]

Questa premessa può risultare utile per meglio inquadrare il caso di specie, nel quale si pone la questione della sussistenza o meno di un’autonoma legittimazione a ricorrere di azionisti (e amministratori) per le azioni giudiziarie che spettano alla società, atteso che tra quest’ultima e i suoi azionisti (anche qualora rappresentino la maggioranza del capitale sociale) non vi è necessariamente identità di interessi. In sostanza, si tratta di sciogliere il nodo dell’individuazione dei soggetti titolari di un interesse legittimo e che patiscono, sullo stesso, effetti diretti e immediati da un provvedimento interdittivo. 

3. I dubbi del giudice rimettente

Il C.G.A.R.S., con sentenza non definitiva 19 luglio 2021, n. 726, dopo aver riscontrato un orientamento giurisprudenziale non univoco in materia (vedi infra § 4), rimette la decisione all’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, affinché: a) si esprima in ordine all’autonoma impugnabilità del provvedimento interdittivo antimafia da parte di ex soci e amministratori della società attinta dall’informativa; b) individui i soggetti che subiscono un pregiudizio diretto dal provvedimento.

Il giudice rimettente non rimane neutrale rispetto al quesito, ma esprime il proprio orientamento favorevole al riconoscimento di un’autonoma legittimazione a ricorrere in capo a ex soci e amministratori, allorquando gli stessi patiscano “effetti diretti” dal provvedimento in oggetto (nel caso di specie: il pregiudizio professionale, derivante dalla perdita delle cariche all’interno della società; la compromissione degli investimenti economici fatti in azienda e l’impossibilità di operare “scelte imprenditoriali strategiche”; la lesione della dignità e della reputazione). 

Nell’argomentare la sua posizione, il giudice rimettente opera una valutazione complessiva e la àncora al quadro normativo e alla “peculiare situazione fattuale”.  Nello specifico, viene evidenziato come la natura preventiva e cautelare del provvedimento interdittivo[12] giustifica, secondo la giurisprudenza, la pretermissione delle garanzie del contraddittorio tipiche del procedimento amministrativo; nondimeno, alla base della decisione prefettizia vi possono essere valutazioni di natura indiziaria che non sono esenti da «significativi margini di errore».

A questo proposito, con una decisione relativamente recente[13], il TAR Puglia – Bari aveva rimesso alla Corte di Giustizia la questione della compatibilità con il diritto eurounitario degli artt. 91-93 del d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, proprio con riferimento a un potenziale contrasto tra l'esclusione del contraddittorio endoprocedimentale e le norme europee[14]. Rileva il giudice rimettente che, sebbene la Corte di Giustizia abbia dichiarato irricevibile la domanda di pronuncia pregiudiziale[15], non vi siano dubbi sulla rilevanza eurounitaria del contraddittorio, già evidenziata in precedenza dalla stessa Corte[16].

Alla luce di questo, il C.G.A. prospetta una soluzione che passa dal bilanciamento del «sacrificio delle garanzie procedimentali» attraverso il riconoscimento della legittimazione a ricorrere in sede giurisdizionale in capo a quei soggetti che subiscono un pregiudizio grave e immediato dal provvedimento, pur non essendo formalmente destinatari dello stesso. 

Una soluzione diversa comporterebbe la preclusione del contraddittorio sia in sede procedimentale che processuale, sottoponendo a «evidente tensione» l’applicazione dell’istituto con i principi eurounitari già richiamati, oltre che con quelli di cui agli artt. 24 e 111 della Costituzione.

4. Gli orientamenti giurisprudenziali e la decisione dell’Adunanza Plenaria

In tema di soggetti legittimati a impugnare le interdittive antimafia, come opportunamente rilevato dal C.G.A., non vi è univocità nella giurisprudenza del Consiglio di Stato. 

Un primo (e più consistente) orientamento[17] nega autonoma legittimazione a ricorrere a soci e amministratori sulla base di varie e articolate argomentazioni, in larga parte riconducibili all’attitudine del provvedimento prefettizio a dispiegare i propri effetti, diretti e immediati, solo sulla società attinta, unico soggetto a essere direttamente pregiudicato su una posizione di interesse legittimo[18]. Viene, inoltre, negato l’accesso al giudice amministrativo a chi lamenta la lesione alla dignità e alla reputazione, che si qualificherebbero come diritti soggettivi e non come interessi legittimi[19].

Un secondo orientamento[20] riconosce invece all’amministratore della società attinta legittimazione a impugnare in proprio, in quanto l’interdittiva antimafia, pur riguardando la società e avendo come effetto diretto quello di precludere alla stessa l’instaurazione (e il mantenimento) di rapporti con la P.A., determina anche una lesione concreta e attuale della situazione professionale e patrimoniale di soci e amministratori che devono rinunciare all’incarico. In questi termini, è potenzialmente suscettibile di ledere l’onore e la reputazione personale degli stessi, nella misura in cui il provvedimento interdittivo li indica come tramite o fonte di condizionamento mafioso della società. Questi profili vengono considerati rilevanti, congiuntamente alla temporanea limitazione della capacità giuridica societaria determinata dal provvedimento prefettizio, ai fini dell’individuazione di una lesione a una situazione giuridica soggettiva tutelata dall’ordinamento che, in questi casi, appare evidente[21].

L’Adunanza Plenaria, nell’escludere autonoma legittimazione a ricorrere in capo a soci e amministratori, in via preliminare nega che la questione possa essere risolta in termini di “bilanciamento” del “sacrificio delle garanzie procedimentali” (come invece aveva prospettato il C.G.A.): in altri termini, l’omessa partecipazione al contraddittorio endoprocedimentale non può essere compensata attraverso il riconoscimento della legittimazione ad agire[22]

Peraltro, l’Adunanza Plenaria sottolinea come l’introduzione dell’istituto della c.d. prevenzione collaborativa[23], da un lato, stempera le perplessità circa la mancanza di contraddittorio con riferimento a un provvedimento “con riverberi assai durevoli nel tempo” e, da un altro, rende evidente che il legislatore reputi titolare di una situazione giuridica solo la persona giuridica destinataria della misura e non altri. 

Il g.a. ritiene, al contrario, che la valutazione determinante ai fini della risoluzione della questione debba ricadere esclusivamente sull’eventuale sussistenza di una posizione giuridica di interesse legittimo in capo ai ricorrenti: solo questa, infatti, attribuirebbe, da un lato, autonoma legittimazione ad agire (in conformità con le disposizioni degli artt. 24 e 113 della Costituzione) e, dall’altro, la possibilità di partecipare al procedimento (ex artt. 7 ss. della Legge 241/1990).

Sottolinea, poi, come la stessa legge sul procedimento amministrativo preveda più livelli di partecipazione, sulla base di diverse tipologie di “interessi” e “pregiudizi”: a) una partecipazione “piena” per i destinatari diretti di un eventuale provvedimento amministrativo (per i quali è prevista la comunicazione di avvio del procedimento); b) un’altra forma di partecipazione prevista per quei soggetti, portatori di interessi pubblici e privati, che non sono potenziali destinatari del provvedimento amministrativo, ma nei confronti dei quali lo stesso potrebbe arrecare un pregiudizio (art. 9 Legge 241/1990).

Queste due diverse forme di partecipazione endoprocedimentali vengono, poi, ricollegate a situazioni diverse anche in sede processuale: da un lato, la legittimazione ad agire (o a resistere) e, dall’altro, l’intervento ad adiuvandum o ad opponendum[24].

Rilevano i giudici come la posizione giuridica di interesse legittimo sia assolutamente interconnessa con le caratteristiche di “personalità” e “immediatezza” che ne circoscrivono l’ambito di una potenziale titolarità. In particolare, un interesse è diretto nella misura in cui vi sia una “relazione di immediata inerenza” tra il suo titolare e l’esercizio del potere amministrativo. Da ciò si desume che le posizioni di interesse legittimo sono soltanto quelle che derivano, concretamente e non soltanto in via potenziale, come conseguenza dello statuto normativo da cui trae origine il potere preconfigurato normativamente. 

Sulla base di queste considerazioni preliminari, l’Adunanza Plenaria sposa l’orientamento prevalente del Consiglio di Stato e afferma il principio di diritto per il quale l’interdittiva antimafia può essere impugnata solo dal destinatario dell’atto che, in quanto tale, ne patisce gli effetti diretti sulla posizione giuridica di interesse legittimo di cui è titolare. Nello stesso tempo, riconosce che soci e amministratori possono subire un pregiudizio (solo potenziale e riflesso) sulla propria posizione giuridica, derivante, però, da un rapporto di altra natura che li lega alla società. Questo rapporto, seppure insufficiente per attribuire la legittimazione a ricorrere, può essere idoneo a sorreggere (se ne ricorrono i presupposti) un intervento in giudizio.

5. Considerazioni conclusive

La sentenza in commento aderisce in pieno all’orientamento prevalente della giurisprudenza, senza tenere conto della peculiarità del tema oggetto della controversia, rispetto al quale alcune prime (e timide) pronunce giurisprudenziali - evidenziate dal giudice rimettente - e, soprattutto, un crescente numero di autori si iniziano a muovere con maggiore “audacia” (vedi supra § 3). 

L’Adunanza Plenaria, infatti, argomenta le sue conclusioni sulla base di una nozione di interesse legittimo giuridicamente ineccepibile, ma declinata in modo formalistico[25] e, quindi, applicata al ribasso[26]: se è vero che solo la società è destinataria del provvedimento interdittivo (sulla base di un rapporto di “immediata inerenza” tra esercizio del potere amministrativo e titolare dell’interesse), non viene chiarito in che modo gli effetti diretti e immediati dello stesso si manifestino in via esclusiva in capo a essa e non possano farlo anche nei confronti di soci e amministratori. Infatti, appaiono integrate nei loro confronti tutte le condizioni dell’azione, declinate alla luce di un interesse a ricorrere personale e attuale, oltre che di un pregiudizio diretto e immediato; e questo quantomeno con riferimento alla perdita delle cariche (e dei relativi poteri di gestione) e al discredito subìto da soci e amministratori a causa di un provvedimento prefettizio che, ai fini dell’individuazione di un pericolo di inquinamento mafioso, valorizza in negativo il loro lavoro e la loro reputazione[27].

Appare evidente, infatti, come ciascuno di questi pregiudizi, di natura sia patrimoniale che morale, abbia come fonte diretta e immediata il provvedimento prefettizio e che l’unico modo per rimuoverli sia l’annullamento dello stesso[28]

Con riferimento alla lettura fornita dal g.a. in merito all’introduzione della riforma sulla c.d. prevenzione collaborativa, c’è un elemento che vale la pena evidenziare: se da un lato l’istituto individua implicitamente nella società (e non in altri) il soggetto legittimato a partecipare al procedimento, dall’altro mette in evidenza la maturazione del convincimento da parte del legislatore che i provvedimenti aventi natura cautelare, così per come concepiti e in assenza di correttivi, rischiano di compromette sensibilmente le garanzie costituzionali e sovranazionali di chi ne subisce gli effetti.

Peraltro, proprio sotto questo angolo di visuale, non può essere trascurata una (timida, ma non peregrina) apertura della giurisprudenza a non inquadrare i provvedimenti prefettizi antimafia tra quelli aventi natura cautelare[29], con la conseguenza che, nell’ambito degli stessi, non sarebbe più possibile escludere la partecipazione dei destinatari al procedimento amministrativo[30]

Rimane sullo sfondo la qualificazione, come interessi legittimi o come diritti soggettivi, delle situazioni giuridiche relative alla reputazione e alla dignità di cui il ricorrente lamenta la lesione. Non sembra condivisibile la soluzione giurisprudenziale[31] alla quale fa riferimento, seppur in modo marginale, la sentenza oggetto di nota, laddove ne individua la natura di diritti soggettivi e ne prospetta “ulteriori profili di inammissibilità del ricorso”.

A questo riguardo, è sufficiente richiamare il diverso (e recente) orientamento espresso dallo stesso Consiglio di Stato con riferimento allo scioglimento degli Enti locali per inquinamento mafioso ex art. 143 TUEL, istituto in larga parte sovrapponibile (quantomeno per ciò che in questa sede interessa) a quello delle interdittive antimafia. Il giudice amministrativo ha rilevato come l’interesse permane anche se dall’eventuale annullamento non potrebbe derivare il ripristino della consiliatura, essendo questa destinata a cessare poco dopo l’adozione della misura di rigore: in questo caso, residuerebbe comunque un interesse morale all’accertamento dell’inesistenza di forme di vicinanza degli amministratori alla criminalità organizzata[32].

Infine, sia consentita un’annotazione di carattere generale: la sentenza dell’A.P. si colloca in un quadro di assoluta incertezza sulla consistenza dell’interesse legittimo[33] che ha talora portato la giurisprudenza a individuare nell’interesse a ricorrere l’unico fattore legittimante l’accesso al giudice amministrativo[34]. Ed è qui che le opinioni iniziano a divergere: da un lato, c’è chi pone come presupposto per la legittimazione a ricorrere la titolarità effettiva del «rapporto sostanziale dedotto in giudizio»[35]; dall’altro, chi sposa l’idea dell’astrattezza dell’azione sulla base dell’art. 24 co. 1 Cost., riconoscendo che la stessa spetti a prescindere dall’esistenza di una situazione giuridica sostanziale[36].

Nel nostro ordinamento si assiste a un continuo bilanciamento tra l’esigenza di garantire al privato un’adeguata tutela e quella di non interferire eccessivamente sull’operato dell’amministrazione[37]; con la conseguenza che le incertezze circa i contorni dell’interesse a ricorrere hanno finito per limitare fortemente l’accesso al giudice amministrativo[38].

Nello stesso tempo, il perseguimento di un fine pubblico, soprattutto su spinta del diritto europeo, si inizia a porre alla base di una tendenza all’oggettivizzazione del processo amministrativo[39]. E ciò accade sotto una duplice prospettiva: l’imposizione agli Stati della garanzia di accesso al giudice anche quando questi non ritenessero sussistente una situazione giuridica soggettiva[40] o un interesse al ricorso[41]; la tendenza ad ampliare i poteri officiosi del giudice. 

In materia di provvedimenti prefettizi antimafia si avverte da più parti l’esigenza di una riforma organica che, ovviamente, è competenza del legislatore. Con la sentenza in commento, tuttavia, il giudice amministrativo perde un’occasione per fornire, in assenza di novità legislative, una lettura maggiormente orientata alla “controllabilità” di un provvedimento al quale viene attribuita natura cautelare e che si basa su una presunzione di pericolo la cui dimostrazione, troppo spesso, si fonda su meri sospetti[42].


Note e riferimenti bibliografici

[1] I ricorrenti erano, in parte, azionisti singoli e, in parte, soci dimessi.

[2] Cons. Giust. Amm. Sicilia, sez. giurisd., sent. 19 luglio 2021, n. 726 

[3] Cfr. E. FOLLIERI, I presupposti e le condizioni dell’azione, in F. G. SCOCA (a cura di), Giustizia Amministrativa, IV ed., Giappichelli, 2011, 282. Il processo amministrativo, infatti, è funzionale alla tutela di interessi individuali e non al ripristino della legalità amministrativa, avendo a oggetto la tutela giurisdizionale di situazioni giuridiche soggettive che si assumono lese e rispetto alle quali si invoca protezione. Cfr. V. CERULLI IRELLI, Legittimazione “soggettiva” e legittimazione “oggettiva” ad agire nel processo amministrativo, in Dir. proc. amm., n. 2/2014, 342. Di questo avviso è anche l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato che, tra le altre cose, ha più volte ricordato come il principio della domanda ex art. 24 Cost. (che affianca la situazione giuridica del diritto soggettivo a quella di interesse legittimo) di fatto rende impossibile considerare quella amministrativa una giurisdizione di diritto oggettivo (cfr. su tutte Cons. Stato, Ad. Plen., nn. 4 e 5/2015, n. 9/2014, n. 7/2013, n. 4/2011). Al contrario, in un processo amministrativo pensato come giurisdizione oggettiva l’interesse a ricorrere non rientrerebbe tra i requisiti necessari per l’azione. Così E. GUICCIARDI, Interesse personale, diretto, attuale, in Studi di giustizia amministrativa, Torino, 1967, 84

[4] A differenza dei presupposti processuali (che, secondo prevalente dottrina, devono sussistere solo al momento della proposizione del ricorso), le condizioni dell’azione, riguardando la pretesa sostanziale, devono sussistere anche nel momento della decisione (Cons. Stato. Ad. Plen., 25 febbraio 2014, n. 9). Cfr. sul punto P. VIRGA, Diritto Amministrativo, vol. II, Milano, 2001, 275

[5] Questo requisito fa riferimento alla necessità che vi sia una norma giuridica dalla quale discenda astrattamente il diritto che si intende far valere.

[6] Legittimazione attiva e interesse a ricorrere sono due concetti diversi; tuttavia, soprattutto in giurisprudenza, vi è la tendenza a confondere e accavallare i due profili: i problemi di legittimazione, spesso, vengono prospettati dal giudice amministrativo in termini di interesse processuale e difficilmente viene messa in evidenzia un’eventuale mancanza di autonomia tra i due istituti (cfr. R. VILLATA, L’esecuzione delle decisioni del Consiglio di Stato, Milano, 1971, 635 ss.). In sostanza, il giudice amministrativo, pur riconoscendo in astratto che la legittimazione ad agire è un requisito indispensabile per l’accesso al giudice, in concreto tende a ritenere assolto questo requisito in presenza di un interesse a ricorrere (F. SAITTA, La legittimazione a ricorrere: titolarità o affermazione?, in Diritto Pubblico, 2/2019, 524-525).

[7] Sul punto, certa dottrina ha evidenziato come in realtà il profilo della personalità, funzionale a individuare il ricorrente, attenga più propriamente all’area della legittimazione ad agire e non dell’interesse a ricorrere. Su tutti, E. FOLLIERI, I presupposti e le condizioni dell’azione, in F. G. SCOCA (a cura di), Giustizia Amministrativa, IV ed., op. cit., 283 ss.

[8] In forza del principio generale espresso dall’art. 81 c.p.c. (applicabile nel processo amministrativo sulla base del richiamo di cui all’art. 39 c.p.a.), infatti, l’esercizio dell’azione, in assenza di una previsione legislativa, non può essere delegato, né surrogato dall’azione sostitutoria di un altro soggetto.  

[9] Così V. DOMENICHELLI, Il processo amministrativo, in L. MAZZAROLLI, G. PERICU, A. ROMANO, F. A. ROVERSI MONACO, F.G. SCOCA (a cura di), Diritto Amministrativo, vol. II, Bologna, 2001, 1912

[10] C. CUDIA, Legittimazione a ricorrere, concezione soggettivistica della tutela e principio di atipicità delle azioni nel processo amministrativo, in Persona e Amministrazione, 2/2019, 99-125

[11] G. MANNUCCI, La tutela dei terzi nel diritto amministrativo. Dalla legalità ai diritti, Maggioli editore, 2016, 122. Sul punto si ritornerà infra § 5.

[12] Artt. 84 e 91 del d.lgs. n. 159/2011

[13] TAR Puglia-Bari, sez. III, ord. 13 gennaio 2020, n. 28

[14] Il riferimento specifico è “al diritto a una buona amministrazione” previsto dall'art. 41 della Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione Europea (che comprende "il diritto di ogni persona di essere ascoltata prima che nei suoi confronti venga adottato un provvedimento individuale che le rechi pregiudizio"), alla quale è riconosciuto, ex art. 6, par. 1, del Trattato UE, “lo stesso valore giuridico dei Trattati” (Corte Giust., ord., sez. IX, 28 maggio 2020, C-17/20, MC).

[15] Corte Giust., ord., sez. IX, 28 maggio 2020, C-17/20, MC, ha ritenuto che l'ordinanza del giudice nazionale non avesse fornito dati idonei a dimostrare l'esistenza di un criterio di collegamento della disciplina nazionale con il diritto UE

[16] Corte Giust., sez. III, sent. 9 novembre 2017, C-298/16, secondo cui "[...] il rispetto dei diritti della difesa costituisce un principio generale del diritto dell'Unione che trova applicazione ogniqualvolta l'amministrazione si proponga di adottare nei confronti di un soggetto un atto che gli arreca pregiudizio. In forza di tale principio, i destinatari di decisioni che incidono sensibilmente sui loro interessi devono essere messi in condizione di manifestare utilmente il loro punto di vista in merito agli elementi sui quali l'amministrazione intende fondare la sua decisione. Tale obbligo incombe sulle amministrazioni degli Stati membri ogniqualvolta esse adottano decisioni che rientrano nella sfera d'applicazione del diritto dell'Unione, quand'anche la normativa dell'Unione applicabile non preveda espressamente siffatta formalità (sentenza del 17 dicembre 2015, WebMindLicenses, C-419/14, EU:C:2015:832, punto 84 e giurisprudenza ivi citata)".

[17] Su tutti, Cons. Stato, sez. III, 14 ottobre 2020, n. 6205; 22 gennaio 2019, n. 539; 16 maggio 2018, n. 2895, 11 maggio 2018, nn. 2824 e 2829

[18] Cons. Stato, 6205/2020; Cons. Stato n. 539/2019 e TAR Bologna, sez. I, n. 278/2019. Inoltre, viene messo in evidenza come l’informativa antimafia sia destinata all’impresa e incida negativamente, e in modo diretto, su una sua particolare situazione di vantaggio, consistente nell’ammissione a divenire parte di un rapporto contrattuale con la P.A. e, dunque, sulla sua capacità contrattuale e sulla produttività della stessa (Cons. Stato, nn. 2895/2018, 2824/2018, 2829/2018, Cons Stato, sez. VI, n. 3958/2008).

[19] Cons. Stato, n. 539/2019. In ogni caso, la presunta lesione alla reputazione e all’immagine imprenditoriale non può considerarsi come posizione legittimante: sebbene dottrina e giurisprudenza siano concordi nell’inquadrare il diritto all’immagine e alla reputazione nel sistema di tutela costituzionale della dignità della persona (rinvenendo il fondamento normativo direttamente nell'art. 2 Cost. e nel riconoscimento dei diritti inviolabili dell'uomo, cfr. su tutti Cass, sez. III, 14 ottobre 2008, n. 25157), questa rappresenta senz'altro una situazione giuridica legittimante in astratto. L’interesse, tuttavia, va valutato «con riferimento al contenuto della reputazione, quale si è formata nella comune coscienza sociale di un determinato momento e non con riguardo alla considerazione che ciascuno ha della sua reputazione ("amor proprio") ed alla relativa immagine» (Cons. Stato, nn. 2895/2018, 2824/2018, 2829/2018).

[20] Cons. Stato, sez. III, 4 aprile 2017, n. 1559

[21] Per quanto attiene alla sussistenza della legittimazione a impugnare in capo ai dipendenti della società, cfr. anche TAR Piemonte, sez. I, n. 1012/2015, secondo cui un dipendente (nel caso di specie, un diretto collaboratore del direttore tecnico dell’impresa destinataria di informativa prefettizia antimafia) ha un interesse al ricorso alla luce dell’esistenza dell’interesse qualificato, e giuridicamente rilevante, alla tutela della sua reputazione, rispetto alla quale il riferimento alla frequentazione con soggetti appartenenti a sodalizi criminali ne rappresenta un gravissimo vulnus (cfr. in merito TAR Palermo, sez. I, n. 1135/2013).

[22] Sulla continuità tra procedimento e processo, con particolare riferimento all’applicazione delle regole del giusto processo alla fase procedimentale e, in mancanza, alla possibilità di compensare ex post, in sede giurisdizionale, le garanzie non accordate in precedenza, cfr. M. ALLENA, L’art. 6 CEDU e la continuità tra procedimento e processo, in P.A. Persona e Amministrazione, 2/2018, 25 ss. Secondo una certa interpretazione della giurisprudenza della Corte EDU in materia di full jurisdiction, inoltre, affinché il controllo giurisdizionale sul provvedimento amministrativo sia adeguato, è necessario che il giudice abbia pieno accesso al fatto, potendosi sostituire alla decisione discrezionale dell’amministrazione (su tutti, v. F. FOLLIERI, La giurisdizione di legittimità e full jurisdiction. Le potenzialità del sindacato confutatorio, in n P.A. Persona e Amministrazione, 2/2018, 133 ss.). Per un approfondimento in materia di full jurisdiction e sanzioni amministrative, cfr. anche F. GOISIS, La tutela del cittadino nei confronti delle sanzioni amministrative tra diritto nazionale ed europeo, Giappichelli, 2018

[23] D.L. 6 novembre 2021, n. 152, che prevede forme di partecipazione procedimentale per i soggetti destinatari di provvedimento interdittivo. In particolare, l’istituto in oggetto accorda al prefetto la possibilità di ricorrere a misure amministrative di prevenzione collaborativa, in alternativa all’emanazione di un’interdittiva, allorquando i tentativi di infiltrazione mafiosa siano riconducibili a situazioni di «agevolazione occasionale» alle consorterie criminali. Sul tema, cfr. V. M. VULCANO, Le modifiche del decreto-legge n. 152/2021 al codice antimafia: il legislatore punta sulla prevenzione amministrativa e sulla compliance 231 ma non risolve i nodi del controllo giudiziario, in Giurisprudenza Penale Web, 2021, 11

[24] Cons. Stato, sez V, 8 aprile 2021, n. 2836; sez. IV, 16 febbraio 2010, n. 887.

[25] Tra gli studiosi del processo amministrativo, la tutela dell’interesse legittimo viene sviluppata da diversi angoli di visuale (cfr. in merito F. LUCIANI, Processo amministrativo e disciplina delle azioni: nuove opportunità, vecchi problemi e qualche lacuna nella tutela dell'interesse legittimo, in Dir. proc. amm., 2/2012, 503).

[26] V. G. GIGLIO, Interdittiva antimafia: soci e amministratori non sono legittimati all’impugnazione, in “Filodiritto”, 23 febbraio 2022, www.filodiritto.com. Sui diversi modi di intendere la tutela delle situazioni giuridiche soggettive, con specifico riferimento alla tendenza alla «ibridazione» e «patrimonializzazione» dell’interesse legittimo da parte del giudice amministrativo (con il conseguente rischio di un «arretramento della linea della tutela giurisdizionale», in controtendenza rispetto a quanto avviene nell’ordinamento eurounitario), cfr., su tutti, F. FRANCARIO,Quel pasticciaccio della questione di giurisdizione. Parte seconda: conclusioni di un convegno di studi, in Federalismi.it, 34/2020, 97 ss.

[27] V. G. GIGLIO, Interdittiva antimafia: soci e amministratori non sono legittimati all’impugnazione, op. cit.

[28] Ibidem

[29] E questo «poiché non si tratta di misura provvisoria e strumentale, adottata in vista di un provvedimento che definisca, con caratteristiche di stabilità e inoppugnabilità, il rapporto giuridico controverso, bensì di atto conclusivo del procedimento amministrativo avente effetti definitivi, conclusivi e dissolutori del rapporto giuridico tra l’impresa e la P.A., con riverberi assai durevoli nel tempo, se non addirittura permanenti, indelebili e inemendabili», se si considera che la impresa va incontro al «ritiro di un titolo pubblico o il o il recesso o la risoluzione contrattuale, nonché la sostanziale messa al bando dell’impresa e dell’imprenditore che, da quel momento e per sempre, non possono rientrare nel circuito economico dei rapporti con la P.A. dal quale sono stati estromessi» (cfr. TAR Puglia-Bari, sez. III, ord. 13 gennaio 2020, n. 28).

[30] Oltre a tutta una serie di conseguenze che deriverebbero dall’attribuzione di natura sanzionatoria al provvedimento prefettizio antimafia, soprattutto in termini di pretermissione delle garanzie di cui agli artt. 6 (diritto a un equo processo) e 13 (diritto a un ricorso effettivo) CEDU, oltre che agli artt. 24 e 113 della Costituzione, in materia di giusto processo ed effettività della tutela giurisdizionale. Sarebbero, infatti, pregiudicate le garanzie minime di legalità sostanziale ed equità procedurale: garanzie di partecipazione e di difesa che, secondo la Corte di Strasburgo, vanno tutelate anche nei procedimenti amministrativi di natura disciplinare e/o sanzionatoria.

[31] Cfr. Cons. Stato, sez. III, 22 gennaio 2019, n. 539, richiamata dalla sentenza oggetto di nota.

[32] Cons. Stato, sez. III, 7 aprile 2021, n. 2793. In dottrina, viene sottolineato come «la qualificazione di una situazione giuridica soggettiva come interesse legittimo oppure come diritto soggettivo è operata non dal legislatore, bensì dalla giurisprudenza. O, meglio, gli interessi legittimi e i diritti soggettivi nei confronti dell’amministrazione, pur affondando le loro radici nel diritto sostanziale, prendono forma precisa nel processo». Così M. RAMAJOLI, Pluralismo giurisdizionale e situazioni soggettive sostanziali, in Questione Giustizia, La giurisdizione plurale: giudici e potere amministrativo, n. 1/202188

[33] Cfr. F. SAITTA, La legittimazione a ricorrere: titolarità o affermazione?, op. cit., 517 ss.

[34] «Non solo sono poco chiari i confini tra l’interesse legittimo e il diritto soggettivo o l’interesse di fatto, ma anche tra l’interesse legittimo e la legittimazione a ricorrere». Così M. RAMAJOLI, Pluralismo giurisdizionale e situazioni soggettive sostanziali, op. cit., 94. Per una disamina articolata sulla letteratura recente in materia di legittimazione a ricorrere, cfr. G. TROPEA, La legittimazione a ricorrere nel processo amministrativo: una rassegna critica della letteratura recente, in Diritto Processuale Amministrativo, 2/2021, 447 ss. Sul rapporto tra legittimazione ad agire e interesse a ricorrere, cfr. V. CERULLI IRELLI, Legittimazione “soggettiva” e legittimazione “oggettiva” nel processo amministrativo, op. cit., 341 ss.

[35] N. SAITTA, Sistema di giustizia amministrativa, VI ed., Napoli, 2018, 98 ss.; G. LEONE, Elementi di diritto processuale amministrativo, Padova, 2014, 114

[36] E. FOLLIERI, La tipologia delle azioni proponibili, in F. G. SCOCA (a cura di), Giustizia Amministrativa, op. cit., 181-182

[37] S. TORRICELLI, I confini incerti e mutevoli dell’interesse a ricorrere, in Diritto Processuale Amministrativo, 1/2021, 22 ss.

[38] Ibidem

[39] Sul tema cfr. L. BELVISO, La legittimazione processuale delle autorità amministrative indipendenti: un ritorno all’oggettività del giudizio amministrativo?, in Rivista della Regolazione dei mercati, 2/2019, 245 ss.

[40] Come accaduto in Germania, con riferimento al settore degli appalti, rispetto ai terzi non aggiudicatari che avessero partecipato a una procedura ad evidenza pubblica.

[41] È il caso dell’Italia, sempre nell’ambito della disciplina sugli appalti, nella vicenda dei ricorsi reciprocamente escludenti. Cfr. C. Giust. UE, causa 689/13, 5 aprile 2016, Puligienica; causa 333/18, 5 settembre 2019. Per un’analisi critica sulla tendenza di certa giurisprudenza sovranazionale (in modo particolare, Corte Giustizia UE, Sentt. Puligienica e Fastweb) a comprimere l’autonomia procedurale, all’insegna di una visione sempre più oggettiva del processo amministrativo (orientata alla tutela di «super-valori»), cfr. G. TROPEA, Il ricorso incidentale escludente: illusioni ottiche, in Dir. Proc. Amm., 4/2019, 1082 ss.

[42] È questo il rischio che potrebbe derivare da un utilizzo esteso del criterio del «più probabile che non», ormai consolidato in giurisprudenza (Cons. Stato, sez. III, 05 settembre 2019, n. 6105, Cons. Stato, sez. III, 30 gennaio 2019, n. 758; Cons. Stato, sez. III, 3 maggio 2016, n. 1743). Infatti, i provvedimenti interdettivi si fondano su valutazioni di tipo prognostico su una possibile permeabilità a un inquinamento mafioso che, pur in assenza di profili di rilievo penalistico, vengono giustificate da esigenze di prevenzione. Sotto questa luce, emerge una pericolosa logica repressiva anticipata, una sorta di «cripto pena preventiva», in grado di incidere negativamente sulla sfera dei diritti individuali dei singoli sui quali non grava alcuna certezza di collusioni con gruppi criminali. Sul tema, cfr. J. P. DE JORIO, Le interdittive antimafia ed il difficile bilanciamento con i diritti fondamentali, Jovene, 2019, 4. Per un approfondimento sulla «strozzatura» a una tutela piena della pretesa del portatore di diritti o interessi legittimi a godere del bene della vita, con particolare riferimento a un’insufficiente cultura del fatto e della sua prova, cfr. L. R. PERFETTI, Cerbero e la focaccia al miele. Ovvero dei pericoli del processo amministrativo e delle sue mancate evoluzioni, in Il Processo, fasc. 2/2020, 428 ss., il quale si esprime in favore di un processo amministrativo che abbracci senza ostacoli il sistema tracciato dall’art. 24 Cost.

 

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