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Pubbl. Ven, 8 Apr 2022

La Corte di cassazione sui compiti di controllo del preposto

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Clara Deflorio



Con la recente pronuncia del 1 febbraio 2022, n. 3538, la Corte di Cassazione ha affermato la responsabilità colposa del preposto per non avere ottemperato all´obbligo diretto e continuativo di sorveglianza sui mezzi e sulle lavorazioni. In particolare, i giudici hanno riconosciuto la prevedibilità dell´evento, attesa la concreta possibilità dell´anomalia tecnica di provocare l´infortunio.


ENG With the recent rouling of 1st February 2022, n. 3538, the Court of Cassation affirmed the culpable liability of the person in charge for not having complied with the direct and continuous obligation of supervision over means and processes. In particular, the judges recognized the predictability of the event, given the concrete possibility of the technical anomaly of causing the accident.

Sommario: 1. Ritenuto in fatto; 2. Evoluzione storico-legislativa in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro; 3. La valutazione e la gestione dei rischi aziendali; 4. Posizione di garanzia del preposto e prevedibilità dell’evento; 5. La concretizzazione del rischio; 6. Il giudizio di bilanciamento delle circostanze; 7. Osservazioni conclusive.

1. Ritenuto in fatto

Con la sentenza del 14 giugno 2019, la Corte di Appello di Milano riformava parzialmente la pronuncia del Tribunale di Milano che riteneva l’imputato responsabile, nella sua qualità di preposto di un’azienda farmaceutica, del reato di cui all’art. 590, co.2, c.p., per avere, in cooperazione colposa con il responsabile della sicurezza, cagionato lesioni personali gravi ad una lavoratrice, la quale - a causa dell’involontario azionamento del pulsante di discesa dell’elevatore Sharp su cui ella operava e dell’operazione manuale di correzione in corso di esecuzione - subiva lo schiacciamento del primo dito della mano destra.

Avverso la sentenza della suddetta Corte di Appello, l’imputato proponeva ricorso per Cassazione, formulando tre motivi di impugnazione.

Con il primo motivo, si deduceva la violazione della legge penale in relazione agli artt. 43 e 590 c.p. ed il vizio di motivazione, per avere la Corte territoriale ritenuto erroneamente la sussistenza dell’elemento soggettivo del contestato reato, senza indagare sulla prevedibilità dell’evento lesivo da parte del preposto, considerando unicamente la posizione di garanzia ricoperta da quest’ultimo, così configurando una forma di responsabilità oggettiva. A sostegno del profilo di doglianza, la difesa rimarcava la tesi secondo cui per affermarsi la sussistenza della colpa è necessario che l’evento sia prevedibile ex ante dall’agente modello. Prevedibilità non riscontrabile nella specie, atteso che il preposto non era stato edotto del malfunzionamento del macchinario, tanto da non poter intervenire prontamente per scongiurare l’evento dannoso.

Con il secondo motivo, si denunciava il vizio di motivazione per la carenza e la pretermissione di prove decisive. A parere della difesa, il giudice di seconde cure aveva ignorato il verbale prodotto in sede dibattimentale relativo al sopralluogo nelle aree di lavoro (avvenuto in data antecedente a quella dell’infortunio), nonché i verbali di manutenzione del macchinario elevatore Sharp dai quali emergeva che nessun incidente si era, in precedenza, verificato sull’apparecchiatura. Oltretutto, si contestava alla Corte di aver omesso la valutazione di dichiarazioni rese dai testimoni, dalle quali emergeva che la persona offesa non aveva mai denunciato il guasto del macchinario.

Con il terzo motivo, il ricorrente lamentava il vizio di motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui, senza fornire una valutazione logico-giuridica del motivo di appello, si limitava a condividere il giudizio formulato dal Tribunale di prime cure sul bilanciamento in regime di equivalenza delle concesse circostanze attenuanti generiche con la contestata aggravante.

2. Evoluzione storico-legislativa in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro

Prima di procedere alla disamina degli enunciati motivi di ricorso, appare opportuno illustrare, seppur brevemente, l’interessante evoluzione del quadro normativo in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, che fondamentalmente si articola in due fasi storico-giuridiche: quella anteriore agli anni ’90 che gravita attorno al codice civile italiano e quella successiva che, a partire dai primi anni ’90, si espande sino ai giorni nostri, connotata dal profondo mutamento del sistema normativo di riferimento in virtù dell’emanazione del d.lgs. n. 626/1994 e del cosiddetto Codice della sicurezza sul lavoro (d.lgs. n. 81/2008).

La norma di principio di cui all’art. 2087 c.c. è sempre stata la disposizione “portante” dell’intero apparato normativo di tutela delle condizioni di lavoro, prevendendo l’obbligo per il datore di lavoro di adottare, nell’esercizio dell’impresa, tutte le misure idonee - in base alle peculiarità dell’attività lavorativa, alle acquisizioni tecnico-scientifiche e all’esperienza - a “tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro” e altresì a prevenire sia i rischi propri dell’ambiente di lavoro, sia quelli derivanti da fattori esterni.

La direttiva 89/391/CEE del Consiglio delle Comunità europee del 12 giugno 1989, “concernente l’attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori durante il lavoro”, ha, poi, consentito il superamento dell’impostazione civilistica e l’ancoraggio al nuovo sistema incentrato sulla prevenzione dei rischi professionali e protezione della salute, sull’eliminazione dei fattori di rischio e di incidente, nonché sulla costante e adeguata formazione dei lavoratori, oltre che sulla “partecipazione equilibrata” degli stessi al controllo e alla gestione aziendale, attraverso le loro rappresentanze.

Anche la direttiva 89/656/CEE relativa alle “prescrizioni minime in materia di sicurezza per l’uso da parte dei lavoratori di attrezzature di protezione individuale” e la direttiva 90/269/CEE riguardante le “prescrizioni minime di sicurezza e di salute concernenti la movimentazione manuale di carichi che comporta rischi dorso-lombari per i lavoratori” sono state di notevole importanza, poiché hanno trasferito “il focus delle tecniche di prevenzione dalla prevenzione oggettiva alla prevenzione soggettiva, fondata sulla maggiore considerazione del rapporto tra il lavoratore, l’ambiente di lavoro ed i fattori di rischio[1].

Con l’intento di adeguare la frammentata normativa italiana agli innovativi standard europei, il legislatore nazionale, in attuazione dell’art. 1 della legge n. 123 del 2007, ha provveduto al riordino delle norme vigenti in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, coordinandole in un unico testo normativo che si si propone di garantire “l’uniformità della tutela delle lavoratrici e dei lavoratori sul territorio nazionale attraverso il rispetto dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, anche con riguardo alle differenze di genere, di età e alla condizione dei lavorato immigrati”, in ossequio ai principi di cui agli artt. 1, 2, 3, 4, 32, 35, 36, 37, 38 della Costituzione.

3. La valutazione e la gestione dei rischi aziendali

La salute e la sicurezza nei luoghi di lavoro è una componente di rilevanza strategica per ogni organizzazione, perché qualsiasi attività aziendale è connotata da un rischio intrinseco, inteso come la probabilità che sia effettivamente raggiunto il limite potenziale che determina il danno nelle condizioni di impiego o di esposizione ad un determinato fattore o agente oppure alla loro combinazione. In altri termini, il rischio (R) è la combinazione tra la probabilità (P) che si manifesti un certo evento dannoso e la gravità (magnitudo «M» o danno «D») associata all’evento stesso, generalmente esplicabile attraverso la formula R = P x M.

La definizione di rischio proveniente dal concetto di incertezza o possibilità di rilevare una perdita, largamente accreditata in letteratura, involge due principali categorie: “i rischi speculativi derivanti da eventi la cui incertezza può generare conseguenze sia negative che positive e i rischi puri, il cui verificarsi può implicare solo conseguenze negative, dunque da intendersi come rischi assicurabili[2]. La differenza sostanziale tra le due macro categorie attiene perlopiù all’organizzazione, in quanto l’elaborazione strategica dei rischi speculativi consentirebbe all’organizzazione di gestirli nel modo più efficiente, incrementando la redditività d’impresa, mentre la gestione dei rischi puri indurrebbe l’organizzazione a variare le modalità operative, anche in termini meno efficaci.

Il rischio aziendale è strettamente connesso al concetto di pericolosità. Sotto questo aspetto, la giurisprudenza predilige “non solo uno standard generale, ma anche un test di pericolosità in relazione alle circostanze concrete in cui l’attività si è svolta[3], sì da definire un’attività pericolosa quando, date le circostanze spazio-temporali in cui viene esercitata, essa è, in concreto, idonea a provocare molti incidenti o incidenti molto gravi. In tal senso, si prescinde dalla gravità di un singolo evento lesivo verificatosi in concreto - in quanto il caso isolato non necessariamente rappresenta “l’indice di rischio di cui una determinata attività sia retaggio[4] -, ma si apprezza l’intrinseca potenzialità dannosa di un’attività nel suo complesso, calcolabile secondo paramenti stabiliti ex ante, quali indici statistici e dati tecnici di comune esperienza.

La novità principale in materia di sicurezza sul lavoro rinviene proprio nella garanzia di una maggiore effettività di tutela dell’attività economica, pubblica e privata, attraverso la predisposizione e l’implementazione di misure di prevenzione e protezione volte ad aggirare, o perlomeno a contenere, tutti i rischi configurabili “in occasione di lavoro”, ossia: i rischi di natura infortunistica correlati all’utilizzo di scale, impianti, sostanze esplosive; i rischi di natura igienico-ambientale, attinenti all’esposizione al rumore o alle radiazioni, dai quali può scaturire una malattia professionale; i rischi di tipo trasversale o organizzati o misti, che involgono, ad esempio, il lavoro notturno, verosimilmente fonte di disagio, stress, etc.

A quest’ultimo proposito, la norma di cui all’art 15 del Testo Unico sulla sicurezza elenca le misure generali di tutela, quali la predisposizione dei documenti di valutazione dei rischi (Dvr); la programmazione della prevenzione; la riduzione dei rischi alla fonte; l’immediata sostituzione delle apparecchiature difettose costituenti un pericolo per l’incolumità dei lavoratori; l’utilizzo limitato di agenti chimici, fisici e biologici; la priorità dell’applicazione di misure di protezione collettiva rispetto a quelle di protezione individuale; la messa a punto del piano antincendio e di evacuazione del personale.

In special modo, la valutazione di cui all’articolo 17, co. 1, lett. a), d.lgs. n. 81/2008 deve riguardare tutti i rischi per la salute e sicurezza dei lavoratori, ivi compresi quelli tipici dei gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari, tra cui anche quelli attinenti allo stress lavoro-correlato, secondo i contenuti dell’accordo quadro europeo concluso a Bruxelles l’8 ottobre 2004.

Lo stress lavoro-correlato può essere definito come la condizione generalizzata di malessere e di tensione psico-fisica, determinata dalla percezione individuale di non possedere le risorse necessarie a rispondere con efficacia ed efficienza alle aspettative di ruolo e alle richieste di performance provenienti dall’ambiente circostante. Di conseguenza, maggiore è il divario (gap) esistente tra la domanda e la capacità di risposta, più alta sarà la probabilità che si verifichi una condizione di stress (acuto o cronico), in grado di interferire negativamente con l’efficienza personale e la qualità della vita lavorativa.

Ogni infortunio, quale evento traumatico e danno immediato, malattia professionale (evento progressivo) o burnout lavorativo rappresenta un costo sociale enorme per il sistema aziendale che concerne sia costi c.d. visibili, tra cui i costi assicurativi e le indennità salariali, sia i costi c.d. sommersi, cioè il tempo perso per il primo soccorso, il rallentamento delle attività di Reparto/Servizio, la sostituzione dell’infortunato o del lavoratore affetto da stress cronico, il danno all’immagine aziendale.

Pertanto, tutte le persone giuridiche, società e associazioni, anche prive di personalità giuridica, che operano sul mercato e non vogliono incorrere in posizioni di svantaggio, sono tenute ad adottare, così come previsto dell’art. 30, d.lgs. n. 81/2008, un modello organizzativo ottimale che preveda “per quanto richiesto dalla natura e dimensioni dell’organizzazione e dal tipo di attività svolta, un’articolazione di funzioni che assicuri le competenze tecniche e i poteri necessari per la verifica, valutazione, gestione e controllo del rischio, nonché un sistema disciplinare idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nel modello[5].

Con particolare riferimento all’edilizia, l’art. 27, co. 1 bis, d.lgs. n. 81/2008 riconosce alle imprese “virtuose” - che elaborino correttamente (e attuino efficacemente) un modello di organizzazione, gestione e controllo attraverso le fasi di check up aziendale, risk assessment, individuazione della soglia di rischio accettabile e gap analysis - una “patente a punti”, azzerando il punteggio in caso di plurime violazioni in materia di sicurezza. Azzeramento che preclude all’impresa o al lavoratore autonomo la possibilità di esercitare un’attività nel settore edile e di preservare la propria forza competitiva.

Per giunta, la norma di cui all’art. 30, d.lgs. n. 81/2008 attribuisce all’effettiva attuazione di modelli di organizzazione e di gestione - presumibilmente conformi alle linee guida Uni-Inail[6] o al BS OHASA 181001 (British Standard Occupational Health and Safety Assessment Series) - efficacia esimente della responsabilità amministrativa prevista dal d.lgs. n. 231/2001, a patto che essi rispettino gli standard tecnico-strutturali di legge relativi ad attrezzature, impianti, agenti chimici, etc; predispongano misure di prevenzione volte a ridurre tutti i rischi connessi all’attività esercitata; generino un sistema di controllo e di verifica dell’efficacia delle procedure adottate.

La gestione dei rischi o Risk management, quale “processo di identificazione e di valutazione dei rischi cui l’azienda è esposta, al fine di decidere la migliore strategia di trattamento degli stessi sulla base di adeguate valutazioni”[7] assume un ruolo cruciale per la tutela del valore aziendale, in quanto ogni fattore di rischio non accuratamente identificato e neutralizzato ne rallenterebbe il motore di crescita. Nello specifico, il processo di Risk management si realizza in diverse fasi, quali: l’individuazione di tutti i potenziali rischi che possano influenzare il ciclo aziendale economico (c.d. mappatura dei rischi); la valutazione dei rischi, dunque il calcolo della probabilità di verificazione; la gestione dei rischi mediante strategie di mitigazione, riduzione o trasferimento degli stessi a terzi; il monitoraggio dell’evoluzione dei rischi.

Attualmente, nella progettazione del proprio sistema di gestione e controllo, le strutture ad alto livello ricorrono al Risk based thinking: un modello che si adatta alla logica del Risk management e, al contempo, se ne discosta, perché definisce il concetto di “rischio” come “effetto dell’incertezza”, con “una possibile accezione sia negativa che positiva[8]. Questo approccio più innovativo conduce al progressivo miglioramento delle prestazioni lavorative e all’uniforme individuazione dei rischi, da quelli per la salute e sicurezza dei lavoratori a quelli tipici dell’organizzazione (cattiva gestione dei turni di lavoro, poca chiarezza sulle procedure), così da creare una sorta di “valutazione dei rischi dell’organizzazione”.

4. Posizione di garanzia del preposto e prevedibilità dell’evento

Volgendo, ora, l’attenzione al caso di specie, prima di esaminare il primo motivo di ricorso, giova preliminarmente rammentare che, nei reati colposi omissivi impropri, l’addebito della colpa presuppone l’individuazione di una posizione di garanzia da cui discenda l’obbligo giuridico di impedire l’evento. Posizione, nella specie, rivestita a tutti gli effetti dal preposto, in virtù di un’investitura formale (clausola di equivalenza ex art. 40, co. 2, c.p. e norme speciali vigenti in materia di tutela della salute nei luoghi di lavoro) che attribuisce al medesimo un obbligo diretto e continuativo di sorveglianza sui mezzi e sulle lavorazioni.

Tutt’al più, la consolidata giurisprudenza esclude l’operatività in materia di scurezza sul lavoro del “principio di affidamento, in base al quale ciascuno può confidare nel rispetto, da parte degli altri, degli obblighi cautelari sugli stessi gravanti[9], esonerando il garante solo nell’ipotesi (che non interessa il caso concreto) in cui il lavoratore abbia adottato un comportamento “esorbitante” o “abnorme”, del tutto imprevedibile e idoneo ad interrompere il nesso di causalità ai sensi dell’art. 41, co. 2, codice penale.

Nel caso di specie, la Corte Suprema ha ritenuto il primo motivo di ricorso manifestamente infondato, partendo, appunto, dal dato normativo. Il preposto, quale garante dell’incolumità fisica dei lavoratori, è chiamato a governare una precisa area di rischio già individuata ex lege. L’art. 19, lett. a), d.lgs. n. 81/2008, da ultimo modificato dalla l. n. 215/2021, affida al preposto non più un ruolo limitato ai soli poteri di vigilanza e controllo sulla corretta esecuzione, da parte dei lavoratori, delle direttive ricevute dai soggetti che rivestono una posizione apicale (poteri derivanti “dalla situazione di prossimità alle lavorazioni e all’opera svolta dai dipendenti”[10]), ma anche il dovere di intervenire prontamente per correggere il comportamento dei singoli lavoratori “non conforme” alle istruzioni impartite (dai dirigenti) e di “interrompere l’attività del lavoratore”, nell’ipotesi in cui persista l’inosservanza.

Inoltre, ai sensi della lettera f) del suddetto articolo, alla figura del preposto spetta un funzionale potere di iniziativa che gli consente di segnalare immediatamente al datore di lavoro (o al dirigente) le inefficienze dei macchinari e dei dispositivi di protezione individuale, nonché qualsiasi fattore di rischio innescatosi durante il processo lavorativo di cui venga a conoscenza.

Secondo quanto stabilito dall’art. 37, co. 7 del Testo Unico sulla sicurezza, il datore di lavoro ha l’obbligo di fornire ai preposti “un’adeguata e specifica formazione e un aggiornamento periodico”[11] che gli permettano di acquisire ampie competenze per lo svolgimento in sicurezza dei relativi obblighi di supervisione in azienda, benanche utili alla corretta individuazione dei fattori di rischio, all’individuazione delle misure tecniche, organizzative e procedurali di prevenzione e protezione e, quindi, alla riduzione o eliminazione dei rischi a seconda dei casi.

Nella vicenda, con particolare riferimento alla prima contestazione mossa dall’imputato circa l’imprevedibilità dell’evento e la conseguente configurabilità di una responsabilità oggettiva (derivata dal solo elemento materiale del reato), la Cassazione ne ha sostenuto l’infondatezza “perché la condotta colposa è precisamente individuata e non viene posta in dubbio la sua natura di condizione dell’evento”.

La Corte di Cassazione, muovendo dalla considerazione secondo cui il malfunzionamento dell’elevatore Sherpa sul quale avveniva l’infortunio era noto a tutti i dipendenti del Reparto Confezione dell’azienda farmaceutica, ha posto a sostegno dell’inammissibilità del primo motivo di ricorso le dichiarazioni rese dal teste in ordine “all’operatività non perfetta al momento di fine corsa”, così come le circostanze emerse nel corso del sopralluogo attinenti al “movimento della tramoggia che avveniva mediante una pulsantiera, utilizzabile con una sola mano, che ne permetteva salita e discesa” e allo scorretto inserimento della stessa nel tramoggino durante l’atto di innalzamento. Carenza tecnologica, quest’ultima, che aveva comportato l’abitudine per i lavoratori di accompagnare l’apparecchiatura con una mano, per evitare la dispersione delle compresse.

Dopo un’attenta analisi delle evidenze probatorie, i giudici di legittimità hanno riconosciuto la responsabilità colposa omissiva in capo al preposto per non avere verificato l’anomalia del macchinario e il suo cattivo utilizzo da parte della persona offesa, rientrando siffatto potere di controllo nelle proprie competenze. In particolare, alla stregua del “giudizio di prevedibilità che va ancorato alla possibilità (concreta e non ipotetica) che la condotta possa determinare l’evento[12], la Corte ha riconosciuto la prevedibilità dell’infortunio accaduto, atteso che il guasto del macchinario e l’incauta modalità di lavoro adoperata (dalla lavoratrice) per ovviarvi non erano così recenti rispetto al momento in cui lo schiacciamento del dito si era verificato.

5. La concretizzazione del rischio

In riferimento al secondo motivo di ricorso, la Cassazione ne ha sostenuto la manifesta infondatezza perché, diversamente da quanto sostenuto nel ricorso, la Corte territoriale aveva vagliato accuratamente il contenuto della testimonianza avente ad oggetto il cattivo funzionamento del macchinario utilizzato dalla persona offesa, a nulla rilevando la mancata segnalazione della relativa anomalia rispetto alla violazione del dovere di vigilanza attiva da parte del preposto, quale conditio sine qua non dell’evento verificatosi in concreto.

A parere dei giudici, lo schiacciamento del primo dito della mano destra della lavoratrice non è stato altro che la manifestazione estrinseca dell’astratta potenzialità dannosa dell’attività esercitata o, meglio, la concretizzazione del rischio che la regola cautelare mirava a scongiurare. Regola la cui palese violazione (da parte del preposto) ha inciso significativamente sul “grado della colpa” ex art. 133 c.p. e sulla commisurazione della pena.

6. Il giudizio di bilanciamento delle circostanze

Il terzo motivo è ritenuto dalla Corte Suprema altresì inammissibile, in quanto il ricorrente, nella parte in cui contestava il giudizio di bilanciamento delle circostanze effettuato dal giudice di seconde cure, non specificava sulla base di quali elementi l’imputato ne avrebbe meritato una diversa valutazione. D’altro canto, la Cassazione ha ribadito il principio di diritto secondo cui “in tema di circostanze, il giudizio di bilanciamento tra le aggravanti e le attenuanti costituisce esercizio del potere valutativo riservato al giudice di merito ed insindacabile in sede di legittimità, ove congruamente valutato alla stregua anche solo di alcuni dei parametri previsti dall’art. 133 c.p., senza che occorra un’analitica esposizione dei criteri di valutazione adoperati[13].

Nella specie, il grado di colpa e la gravità (o magnitudo) del danno cagionato alla lavoratrice sono stati così notevoli da provocarle una malattia della durata di cinque mesi e postumi invalidanti, ciò non consentendo un bilanciamento più favorevole per il reo.

7. Osservazioni conclusive

Il concetto di rischio aziendale è un concetto mutevole, dinamico, elastico, interconnesso all’aleatorietà degli eventi circostanti (globalizzazione dei mercati, regolamentazione dei mercati finanziari) che influenza sensibilmente le scelte strategiche imprenditoriali e al progresso sociale, ambientale e tecnologico che impatta fortemente sull’organizzazione aziendale.

Il mutato panorama economico e finanziario, ha favorito, negli ultimi anni, lo sviluppo di un metodo più innovativo e completo nella gestione dei rischi, il c.d. Enterprise Risk Management (ERM), capace di analizzare la struttura del sistema e considerare il rischio come l’effetto di una possibile lacuna del sistema stesso. L’approccio integrato ha consentito di valutare l’incidenza di ogni tipologia di rischio sull’impresa, sia nel breve che non lungo periodo, e incentivato una più efficiente organizzazione che preveda una forma di responsabilità in relazione alla specifica area di rischio chiamata a gestire dalle differenti figure che operano all’interno di un’azienda.

Il passaggio dal tradizionale Risk Management al modello Enterprise ha condotto ad una diversa concezione di “rischio aziendale d’impresa”, inteso, oggigiorno, non solo come un’agente patogeno in grado di alterare le normali funzioni degli organi aziendali, ma anche come un’opportunità di miglioramento per la competitività sul mercato.

In uno scenario in continua evoluzione caratterizzato da rischi emergenti per la salute e la sicurezza dei lavoratori, tutte le organizzazioni, pubbliche e private, si impegnano quotidianamente ad aggiornare il proprio piano strategico aziendale, come pure i modelli di organizzazione e di gestione, per garantire la propria redditività e resilienza operativa. Al riguardo, nel reportRisk in Focus 2022”, pubblicato di recente da ECIIA (European Confederation of Institutes of Internal Auditing), viene illustrato ogni rischio che è destinato “ad impattare maggiormente sulle organizzazioni nel triennio 2022-2025[14], ossia: il rischio di cybersecurity e di data security; il rischio da digital disruption; il rischio di cambiamento climatico con conseguente ricorso alla sostenibilità ambientale; il rischio di capitale umano, diversità e gestione dei talenti, seguito, in ordine di priorità, dal rischio finanziario e di insolvenza.

Attualmente, all’interno di ciascuna organizzazione che vuole operare in maniera virtuosa prevale il c.d. approccio triple bottom line che integra la dimensione economica con quella sociale e ambientale, prefiggendosi non solo il raggiungimento del profitto, ma anche il rispetto dei diritti dei lavoratori e dell’ambiente. Questo perché la crescente attenzione verso lo sviluppo sostenibile, “visto come interazione di tre elementi fondamentali: sviluppo economico, salvaguardia ambientale ed equità sociale[15], ha spinto le più grandi aziende che operano a livello globale a perseguire la sostenibilità attraverso l’adozione di sistemi di gestione ambientale (Environmental Management Systems, EMS) e il conseguimento della certificazione Ecolabel che garantisce il ridotto impatto ambientale dei servizi o prodotti offerti, per salvaguardare, di fatto, la propria attrattività.

Per contenere senza indugio i rischi maggiormente percepiti nell’attuale mercato del lavoro e “far fronte alle sfide contingenti e future che possono compromettere irreversibilmente l’organizzazione[16], ogni soggetto economico deve mostrarsi aperto al cambiamento e adeguare la propria pianificazione strategica agli standard imposti dalle novità legislative (si vedano, al riguardo, le recenti modifiche all'art. 41 della Costituzione e la nuova legge 17 dicembre 2021, n. 215 recante importanti modifiche al d.lgs. n. 81/2008), che consentono ai singoli di orientare le proprie scelte nell’area più convenevole, con la consapevolezza de “l’imprevedibile certezza del rischio[17].


Note e riferimenti bibliografici

[1] G. Natullo, Il quadro normativo dal Codice civile al Codice della sicurezza sul lavoro. Dalla Massima sicurezza (astrattamente) possibile alla Massima sicurezza ragionevolmente (concretamente) applicata?, in I Working Papers di Olympus 39/2014, 5.

[2] L. Di Gioia, R. Silvestri e S. Santovito, La gestione del rischio: strumenti pubblici e privati, in Ragionando di sviluppo locale: una lettura “nuova” di tematiche “antiche” a cura di F. Contò M. Fiore, Milano, 2020, 230.

[3] P. G. Monateri, La responsabilità civile per lo svolgimento di attività pericolose, in www.notiziariogiuridico.it

[4] M. Franzoni, La responsabilità oggettiva II. Il danno da cose, da esercizio di attività pericolose, da circolazione dei veicoli, Padova, 1995, 180.

[5] Art. 30, co. 3, decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81.

[6]Le linee guida Uni-Inail sono un documento di indirizzo alla progettazione, implementazione e attuazione di sistemi di gestione della salute e della sicurezza sul lavoro, rivolto soprattutto alle Pmi che caratterizzano il sistema produttivo italiano”, in www.inail.it

[7] C. A. Dittmeier, La governance dei rischi, Milano, 2015, 80.

[8] E. Sorrentino e P. Pascucci, Il d.lgs. 81/08: genesi ed applicazione della disciplina sulla salute e sicurezza sul lavoro. Alberto Andreani e la sicurezza sul lavoro (in memoria), webinar 2021, 60.

[9] R. Garofoli, Manuale di diritto penale parte generale, Roma, 2018, 550.

[10] Cassazione penale, sez. IV, sentenza 1 febbraio 2022, n. 3538.

[11] Il nuovo comma 7-ter dell’art. 37, d.lgs. 81/2008 (come modificato dall’art. 13 del Decreto Legge n. 146/2021 che disciplina gli obblighi formativi in materia di salute e sicurezza del lavoro) stabilisce che “per assicurare l’adeguatezza e la specificità della formazione nonché l’aggiornamento periodico dei preposti ai sensi del comma 7, le relative attività formative devono essere svolte interamente con modalità in presenza e devono essere ripetute con cadenza almeno biennale e comunque ogni qualvolta sia reso necessario in ragione dell’evoluzione dei rischi o all’insorgenza di nuovi rischi”.

[12] C. Brusco, Rischio e pericolo, rischio consentito e principio di precauzione. La c.d. “flessibilizzazione delle categorie del reato”, in disCrimen, 2019, 395 e ss.

[13] Cassazione penale, sez. V, sentenza 8 ottobre 2020, n. 33114, Rv. 279838.

[14] F. M. R. Livelli, Risk in Focus 2022: cosa ci attende nei prossimi anni, in www.risckmanagement360.it

[15] A. Tugnoli, F. Santarelli e V. Cozzani, La sostenibilità di processo e di prodotto: necessità di un approccio integrato, in www.moodle2.units.it

[16] F. M. R. Livelli, op.cit.

[17] F. Manti, L’imprevedibile certezza del rischio. Non esistono tragiche fatalità: una nuova scienza insegna a evitare l’imprevedibile, in il Giornale.

 

Bibliografia

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P. G. Monateri, La responsabilità civile per lo svolgimento di attività pericolose, in www.notiziariogiuridico.it;

R. Garofoli, La rilevanza del comportamento colposo del lavoratore. L’atteggiamento della giurisprudenza e le perplessità dottrinali, in Manuale di diritto penale parte generale, Roma, 2018, 550.