Pubbl. Ven, 18 Mar 2022
Mandato di arresto europeo, rifiuto facoltativo e competenza della procura europea
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Valentina Valenti
L´elaborato pone l´attenzione sulla sentenza della VI sezione penale della Corte di cassazione del 20 dicembre 2021 n. 46641, con la quale è stato affermato che il motivo di rifiuto correlato alla configurabilità, nello Stato richiesto, di fatti commessi in tutto o in parte nel suo territorio, o in luogo ad esso assimilato, non può essere opposto quando il titolo sia stato emesso nell’ambito di un procedimento avente ad oggetto reati di competenza della Procura Europea (EPPO) nel caso in cui i problemi di coordinamento intergiurisdizionale relativi alla pendenza di procedimenti penali per gli stessi fatti presso diverse Autorità giudiziarie di più Stati membri trovino una loro, sia pur provvisoria, soluzione per effetto dell´assunzione del coordinamento delle indagini da parte dell´EPPO
Sommario: 1. I fatti di causa; 1.1 Il conflitto di giurisdizione; 2. Brevi cenni sul Procuratore Europeo; 3. La decisione della Corte di Cassazione; 4. Conclusioni.
1. I fatti di causa
La genesi della pronuncia in commento è da rinvenire nella sentenza della Corte di Appello di Reggio Calabria con la quale il Collegio ha disposto la consegna dell’imputato alle Autorità tedesche e, più in particolare, all’Amtsgericht di Monaco di Baviera in virtù di un provvedimento de libertate avente ad oggetto i reati di associazione a delinquere ed evasione fiscale. Al mandato di arresto europeo era subordinata la condizione di rinviare il cittadino nel territorio italiano onde scontarvi la pena o le eventuali misure di sicurezze privative della libertà personale all’esito del processo celebrato nella giurisdizione tedesca.
Il ricorrente, nell’adire la suprema Corte di cassazione, articolava il relativo ricorso sollevando due motivi.
Nello specifico, per quel che rileva in questa sede, veniva censurata la motivazione del giudice della Corte territoriale nella parte in cui essa non avrebbe tenuto conto della causa ostativa alla consegna dell’imputato alle Autorità straniere di cui all'art. 18-bis, lett. a), l. 22 aprile 2005, n. 69, cadendo nell’errore logico e concettuale di escludere la sussistenza della predetta condizione ostativa sovrapponendola con la diversa causa di rifiuto facoltativo di cui all'art. 18-bis, lett. b), l. n. 69/2005 che presuppone, diversamente da quella obbligatoria –– incentrata sulla ricorrenza di indagini vertenti sul medesimo "fatto" e non anche nei confronti della medesima persona –– la pendenza di un procedimento penale per fatti di reato commessi, in tutto o in parte in Italia, nei confronti della medesima persona richiesta in consegna con il m.a.e.
Secondo il ricorrente, invero, nel caso portato all’attenzione della suprema Corte, nel procedimento penale incardinato dinanzi alla Corte territoriale erano state acquisite molteplici informative –– redatte dalla Polizia giudiziaria nell'ambito di un procedimento penale instaurato presso il Tribunale di Milano –– dalle quali sarebbe pacificamente emerso che le condotte delittuose oggetto del mandato d’arresto emesso dall’autorità giudiziaria tedesca si sarebbero in parte realizzate nel territorio italiano. La tesi accusatoria delle autorità italiane, infatti, qualificava il ricorrente come intraneo ad una cosca di ‘Ndrangheta il cui fine specifico era la commissione di reati tributari nel settore del commercio delle autovetture, avvalendosi di unità imprenditoriali operanti sia in Germania che in Italia, delle quali il predetto imputato si giovava sia quali destinatarie delle fatture fittizie emesse dalle società tedesche, sia al fine di vendere gli autoveicoli in evasione dell'IVA.
Di conseguenza, per il ricorrente, la Corte territoriale avrebbe dovuto opporre il rifiuto alla richiesta di consegna da parte delle Autorità estere.
Sull’articolazione di tale motivazione, invero, è incentrata gran parte della sentenza in esame. Di talché, prima di addivenire alla soluzione prospettata dalla giurisprudenza di legittimità con la sentenza in disamina, si ritiene utile soffermarsi sugli aspetti giuridici rilevanti sottesi alla questione.
1.1 Il conflitto di giurisdizione
La cooperazione giudiziaria –– nell’ambito della quale vi rientrano l’ordine europeo d’indagine, la Procura Europea e lo stesso mandato d’arresto europeo –– è il frutto di un lungo percorso, sviluppatosi nel solco della Comunità Europea per l’unificazione statale in alcuni settori della materia penalistica.
La decisione quadro sul m.a.e. 2002/584/GAI –– che rappresenta il primo atto di diritto derivato dell’Unione europea –– prevede una cooperazione tra Stati membri basata sul principio del reciproco riconoscimento delle decisioni giudiziarie. È uno strumento di generalizzata applicazione all’interno dello spazio europeo di libertà, sicurezza e giustizia che ha consentito di modernizzare e rafforzare le possibilità di cooperazione tra gli Stati membri dell’Unione europea, favorendo il dialogo diretto fra le autorità giudiziarie coinvolte[1].
Ciò non vuol dire, però, che la sovranità statale e il potere giurisdizionale di uno Stato membro possano venir meno, né che lo Stato debba rinunciare ad esercitare la sua giurisdizione in vicende giudiziarie che –– stante il carattere di transnazionalità –– direttamente o indirettamente lo coinvolgano[2] .
Difatti, il motivo di rifiuto facoltativo della consegna, previsto dall'art. 18-bis, lett. a), l. n. 69/2005 per i fatti di reato commessi in tutto o in parte nel territorio dello Stato, richiede la sussistenza di elementi sintomatici dell'effettiva volontà della Stato di affermare la propria giurisdizione sul fatto oggetto del m.a.e.
Tale motivo di rifiuto alla consegna, invero, originariamente rappresentava un limite invalicabile –– poiché obbligatorio –– ogni qualvolta la fattispecie delittuosa fosse stata commessa, seppur in parte, nell’ordinamento giuridico interno.
Tuttavia, con lo specifico intento di per favorire un più stretto coordinamento nell'azione di repressione dei crimini a livello europeo e, al tempo stesso, prevenire e risolvere conflitti di giurisdizione penale tra gli Stati membri della Unione europea mediante modifiche legislative, tanto a livello sovranazionale che nell’ordinamento interno,[3] il rifiuto è divenuto facoltativo.
La Cassazione, oltretutto, già in altre distinte occasioni ebbe modo di evidenziare come la decisione quadro si prefigga «non solo di indicare le modalità per risolvere consensualmente il conflitto di giurisdizione tra Stati membri in presenza di “procedimenti paralleli” già in corso, ma anche significativamente si rivolge agli Stati membri affinché’ siano evitati “procedimenti penali paralleli superflui che potrebbero determinare la violazione del principio del ne bis in idem”»[4].
Il principio di territorialità della legge penale, di cui all’articolo 6 c.p., deve, quindi, essere coordinato con l’esigenza di cooperazione internazionale, al fine di evitare i conflitti di giurisdizioni concorrenti, nonché con il principio del divieto di un secondo giudizio di cui all’art. 649 c.p.p.
Ne deriva che la portata ed il senso dell’obbligatorietà del motivo di rifiuto di consegna devono essere delineati in maniera conseguente e coerente con il quadro generale di riferimento descritto al fine di scongiurare, come segnalato dalla Corte di Giustizia, il rischio di impunità che da una interpretazione letterale della norma potrebbe derivare[5].
Al fine di opporre un valido rifiuto da parte dell’ordinamento giuridico interno occorre, allora, che esista in seno a quest’ultimo non un’astratta possibilità –– o un potenziale interesse ad affermare la giurisdizione –– bensì un elemento oggettivo, serio, verificabile che giustifichi la mancata consegna. Deve sussistere e deve essere accertata una situazione concreta che manifesti la “presa in carico” e la volontà effettiva dello Stato di affermare la propria giurisdizione sul fatto oggetto del mandato di arresto europeo, commesso in parte sul suo territorio, dimostrata quantomeno dalla presenza di indagini interne sul punto[6].
La suprema Corte con la sentenza in commento ha, altresì, messo in luce come l’intenzione del legislatore, in tema dell’opposizione del rifiuto, sia quella di operare un bilanciamento tra il diritto di esercizio della giurisdizione e la repressione di condotte criminali –– al contempo oggetto di mandato di arresto –– che presentino un collegamento con il territorio nazionale. In tale ottica, la semplice sussistenza di un collegamento con il territorio italiano non è idoneo ex sé a giustificare un automatico rifiuto della consegna, in quanto non vale ad affermare sic et sempliciter l'interesse dello Stato ad affermare la propria giurisdizione, ma deve essere verificato concretamente caso per caso.
Anche perché diversamente opinando verrebbe minata notevolmente la celerità e l’efficienza di tale strumento di cooperazione giudiziaria, sul quale tanto si è dibattuto per la sua introduzione completa applicazione.
Al contempo, però, è vero che la commissione di una fattispecie criminosa posta in essere anche in parte nell’ordinamento interno assuma una propria rilevanza; tanto è vero che in ossequio al principio di territorialità e anche a tutela della sovranità di ciascuno Stato la direttiva istitutiva del m.a.e. ha previsto delle ipotesi al verificarsi delle quali il rifiuto diviene obbligatorio.
Volgendo l'attenzione al caso oggetto della sentenza in disamina, si rileva allora che la Corte ha ritenuto infondate le censure formulate dal ricorrente, osservando che le ipotesi del rifiuto obbligatorio presupporrebbero condizioni ostative parzialmente diverse da quelle evocate dall'interessato.
Più in particolare, la suprema Corte ha rilevato che «la condizione ostativa basata sulla clausola di territorialità presuppone, infatti, un elemento soggettivo di collegamento in grado di fondare l'interesse alla opponibilità di un motivo di rifiuto caratterizzato, sul suo versante oggettivo, dalla realizzazione, anche solo in un suo frammento, della condotta nel territorio dello Stato, quindi di un qualsiasi atto dell'iter criminoso, purché lo stesso sia apprezzabile in modo tale da collegare la parte della condotta realizzata in Italia a quella commessa nel territorio estero»[7].
Oltretutto, il presupposto de quo è stato ulteriormente circoscritto dalla suprema Corte[8] affermando che laddove la richiesta di consegna riguardi fatti posti in essere anche solo in parte sul territorio dello Stato –– ovvero in un altro luogo ad esso assimilabile –– il rifiuto della consegna potrebbe operare “unicamente” nel caso in cui risulti già pendente, almeno a livello investigativo, sul territorio nazionale un procedimento penale per il medesimo fatto oggetto del mandato di arresto europeo.
In tali ipotesi non sarebbe irragionevole presupporre una pretesa punitiva dagli Stati interessati dal fenomeno criminoso di volta in volta posto in essere, con il concreto rischio di “cadere” in una doppia incriminazione per lo stesso fatto.
Proprio per ovviare a simili situazioni e in ossequio anche ad esigenze di civiltà giuridiche gli Stati, oggi, sono chiamati ad assicurare in via definitiva l’operatività del divieto del doppio processo.
Obbligo ancor più pregnante per gli Stati Membri dell’UE i quali hanno attributo all’Unione Europea la competenza ad adottare provvedimenti normativi per prevenire e risolvere i conflitti di giurisdizione tra gli Stati membri, consapevoli del fatto che la concreta realizzazione dello Spazio di Libertà, Sicurezza e Giustizia è ostacolata in primo luogo dall’assenza di tali meccanismi[9].
Di talché, l’eventuale conflitto di giurisdizione tra i due Stati membri, ove concretamente ravvisabile, deve trovare la propria soluzione secondo le forme e modalità proprie del meccanismo "dialogico" di reciproca consultazione disegnato dalla decisione quadro 2009/948/GAI del 30 novembre 2009 sulla prevenzione e la risoluzione dei conflitti relativi all'esercizio della giurisdizione nei procedimenti penali[10] e dal d.lgs. 15 febbraio 2016, n. 29, anche al fine di evitare l'avvio di procedimenti paralleli superflui[11] che potrebbero determinare una violazione del principio del ne bis in idem sancito dall'art. 50 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, quale garanzia fondamentale direttamente applicabile nello spazio giuridico europeo.
In tale ottica, dunque, l’opposizione del rifiuto della consegna è finalizzata a tutelare effettivamente le prerogative dello Stato di esecuzione in funzione della composizione di un conflitto che è già esistente, e non meramente potenziale[12], in quanto disvelato dalla effettiva volontà dello Stato di affermare in concreto –– con la presenza di attività d'indagine in corso di svolgimento –– la propria giurisdizione sul fatto oggetto del m.a.e. in tutto o in parte commesso sul suo territorio.
Sulla scorta di quanto sinora esposto la Corte di cassazione ha ritenuto immune da censure le conclusioni rassegnate dalla Corte distrettuale che ha, dunque, opportunatamente vagliato le condizioni circa la consegna dell’imputato alle Autorità straniere.
Quanto alla circostanza che, nel caso in commento, per le medesime contestazioni oggetto del m.a.e. l’imputato sarebbe risultato indagato presso il Tribunale di Milano (che, secondo la tesi difensiva, avrebbe dovuto indurre la Corte d'appello ad opporre il rifiuto alla consegna), la Cassazione ha osservato che il ricorrente non figurava, però, tra le persone tra le persone indagate per le quali erano state redatte le relative comunicazioni di reato.
Il che, ad avviso dalla Corte, escluderebbe la sussistenza di una condizione essenziale per l’operatività dell’art. 18 della decisione quadro.
2. Brevi cenni sul Procuratore Europeo
In secondo luogo, i giudici di legittimità hanno affrontato la questione afferente alla Procura Europea.
Prima di proseguire e giungere alla decisione assunta dalla Cassazione, si ritiene, allora, doveroso soffermarsi sui tratti essenziali dell’istituto recentemente introdotto.
Frutto di innumerevoli sforzi e all’esito di un complesso iter giuridico che è culminato con l’emanazione del d.lgs. 2 febbraio 2021 n. 9, l’Italia ha recepito il Regolamento 2017/1939 del 12 ottobre 2017 con il quale si è ufficialmente dato vita alla Procura Europea.
Un novum nel panorama internazionale in quanto, ad oggi, risulta essere l’unica Procura sovranazionale con funzioni di indagine e potere di azione penale.
Non esente da criticità, detto organo ha sollevato più di qualche dubbio circa la compatibilità con il “sistema interno” nell’ottica del princìpio di legalità[13].
Strutturata su due livelli –– il primo composto dal procuratore capo e da un collegio di procuratori, mentre il secondo livello è composto dai procuratori delegati –– la Procura ha competenza sui reati di frode e lesione degli interessi finanziari commessi nel territorio dell’Unione Europea ancorché frutto di una organizzazione criminale avente come scopo la commissione di tale tipologia di reati-fine, nonché per ogni altra fattispecie criminosa avvinta da un vincolo di connessione con quest’ultimi.
Il regolamento ha individuato, altresì, i parametri per ancorare la competenza territoriale della Super Procura quali, ad esempio, la commissione di reati in tutto o in parte nel territorio di uno o più Stati membri; reati commessi da un cittadino di uno Stato membro, a condizione che lo Stato membro sia competente per tali reati quando sono commessi al di fuori del suo territorio; reati commessi, al di fuori degli Stati membri, da una persona che al momento della commissione del fatto era soggetta allo statuto o al regime applicabile, a condizione che lo Stato membro sia competente per tali reati quando sono commessi al di fuori del suo territorio.
3. La decisione della Corte di Cassazione
Nel caso al vaglio della Cassazione vi è un aspetto che si pone esattamente al centro della delicata questione tra il potere di giurisdizione e l’istituzione dell’EPPO. Circostanza della quale non può non tenersi conto e che risulta essenziale a fini della decisione, tanto da essere stata definita “dirimente” dalla Corte di cassazione ed afferente al fatto che dagli atti processuali, nonché dalla stessa motivazione della decisione impugnata, è emerso che il mandato di arresto europeo oggetto di ricorso era stato emesso dalla Procura Europea sulla base di un'ordinanza di custodia cautelare resa dall'Amtsgericht di Monaco di Baviera[14].
Nel mandato di arresto europeo si precisava, oltretutto, che la competenza funzionale dell'EPPO sussisteva per il fatto che gli indagati, tra i quali figurava anche il ricorrente, erano indiziati per un'associazione a delinquere finalizzata alla commissione di reati in materia di frodi IVA, con un danno complessivo stimato in misura pari all'importo di almeno tredici milioni di euro.
La Corte ha, inoltre, osservato che la Procura Europea, con decisione dell'1 giugno 2021, aveva esercitato la giurisdizione e si era assunta la relativa azione penale. Senonché, ha argomentato il Collegio, a norma dell'art. 33, par. 2, del Regolamento europeo "qualora sia necessario procedere all'arresto e alla consegna di una persona che non si trova nello Stato membro in cui ha sede il procuratore europeo delegato incaricato del caso, quest'ultimo emette o chiede all'autorità competente di detto Stato membro di emettere un mandato d'arresto europeo ai sensi della decisione quadro 2002/584/GAI".
L'art. 15 d.lgs. n. 9/2021 opera un rinvio alla l.n. 69/2005 circa le procedure di consegna relative a mandati di arresto europei emessi da procuratori europei delegati, prevedendo, poi, che ai fini della procedura passiva di consegna per «Stato membro di emissione» si intende lo Stato membro dell'Unione europea in cui si trova il procuratore europeo delegato che ha emesso il mandato di arresto europeo.
Alla luce della normativa di riferimento, la Corte ha, allora, affermato che «il motivo di rifiuto correlato alla configurabilità, nello Stato richiesto, di fatti commessi in tutto o in parte nel suo territorio, o in luogo ad esso assimilato, non può essere opposto nel caso in cui i problemi di coordinamento intergiurisdizionale relativi alla pendenza di procedimenti penali per gli stessi fatti presso diverse Autorità giudiziarie di più Stati membri dell'Unione europea trovino una loro, sia pur provvisoria, soluzione per effetto dell'assunzione del coordinamento delle indagini da parte dell'EPPO, con la conseguente ripartizione, al suo interno, delle competenze fra gli Stati membri e l'eventuale esercizio del diritto di avocazione a norma dell'art. 27 del Regolamento, previa consultazione, se del caso, con le Autorità competenti dello Stato membro, o degli Stati membri, interessati: avocazione dal cui esercizio discende l'ulteriore effetto che le Autorità giudiziarie competenti degli altri Stati membri hanno l'obbligo di trasferire il fascicolo all'EPPO e di astenersi da ulteriori atti d'indagine in relazione allo stesso reato»[15].
Con riguardo, poi, alla disciplina del m.a.e. la Corte ha posto ulteriormente l’accento sulla circostanza che le esigenze di coordinamento sottese alle disposizioni relative al meccanismo di consultazione predisposto dalla richiamata decisione quadro 2009/948/GAI del 30 novembre 2009 sulla prevenzione e la risoluzione dei conflitti relativi all'esercizio della giurisdizione nei procedimenti penali, abbiano già trovato, o siano destinate ad incontrare, un temporaneo punto di equilibrio ai fini della conduzione delle indagini e delle successive determinazioni già all'interno dell'organo d'accusa istituito a livello europeo.
Talché, la Corte territoriale non avrebbe potuto, se non contra legem, opporre il rifiuto stante la legittimità –– per il titolo del reato contestato –– della competenza della Procura Europea.
4. Conclusioni
La decisione in commento sembrerebbe essere una delle prime sentenze[16] –– dall’entrata in vigore dell’EPPO –– mediante la quale la Corte di cassazione ha riconosciuto la competenza della Procura Europea.
A fronte di una situazione processuale parzialmente diversa da quella prospettata dal ricorrente –– si pensi all’assenza del nominativo nel registro degli indagati nel procedimento presso il Tribunale di Milano –– che avrebbe indotto ugualmente la suprema Corte a rigettare le censure difensive, l’attenzione è stata posta sul conflitto “in positivo” di giurisdizione e sulla nuova competenza funzionale dell’Ufficio dell’Unione Europea.
Il tema non può che essere affrontato se non attraverso il bilanciamento tra i princìpi coinvolti che –– come visto –– si è risolto con il riconoscimento della competenza sovranazionale.
Al medesimo epilogo si sarebbe, tuttavia, giunti anche laddove le condizioni prospettate dal ricorrente fossero state effettivamente sussistenti, in quanto ciò che in tali casi rileva attiene al fatto se le violazioni poste in essere dagli indagati e/o imputati rientrino nel catalogo di competenza funzionale dell’EPPO.
In caso di reati che esulano dalle fattispecie di natura finanziaria e che non ledono gli interessi dell’Unione Europea la situazione di “stallo” deve essere risolta attraverso l’effettivo accertamento delle condizioni di cui all’art. 18 l. 2005 n. 69 vagliando –– ove possibile –– le condizioni di rifiuto della consegna dell’indagato.
Viceversa, qualora gli addebiti rientrino nella competenza sovrazionale, non è necessario interrogarsi sulla presenza di procedimenti simultanei o sulla necessità del riconoscimento della giurisdizione interna piuttosto che estera.
Nel quadro così descritto sussiste la preminenza gerarchica dell’EPPO al coordinamento delle indagini che rappresentano una minaccia per la stabilità economica dell’Unione nell’ambito di una cooperazione giudiziaria rafforzata in una prospettiva di mutua cooperazione, istituzionale ed operativa quotidianamente proiettata verso la condivisione delle analisi dei fenomeni criminali, la definizione di comuni strategie operative e la razionale gestione delle risorse disponibili.
L’effettivo coordinamento con gli organismi interni, la compatibilità con il sistema interno, l’"affievolimento” dell’azione penale del PM nazionale sono sicuramente degli aspetti che possono indurre gli operatori del diritto ad interrogarsi circa l’effettività e l’idoneità degli strumenti in “dotazione”.
Si è sempre detto che il contrasto ai fenomeni criminali, soprattutto su larga scala, richiede cooperazione.
Ebbene, a fronte della neonata Procura non resta che auspicarne l’efficace funzionamento anche se questo debba tradursi, come di fatto è, nell’ulteriore e significativa perdita di giurisdizione statale.
[1] G. DE AMICIS, La prassi del mandato d’arresto europeo tra Italia e Germania: la prospettiva italiana, 2019, in www.dirittopenalecontemporaneo.it
[2] Si pensi, ad esempio, alla disciplina del reato commesso in territorio estero di cui agli artt. 6 e ss. del codice penale.
[3] In virtù della decisione quadro 2009/948/GAI del Consiglio del 30 novembre 2009, che nel nono Considerando auspica una stretta cooperazione giudiziaria, essa è stata recepita nell'ordinamento interno con il d. Igs. 15 febbraio 2016, n. 29.
[4] Cfr. Cass., sez. VI, 18 giugno 2018, n. 27992; Cass., sez. VI, 10 aprile 2018, n. 15866.
[5] Cfr. CGUE, sent. 29 giugno 2017, C-579/15. In sentenza i giudici, ai paragrafi nn. 86 e 88 testualmente affermano: «come sottolineato dalla Corte al punto 23 della sua sentenza del 29 giugno 2017, Popławski (C‑579/15, EU:C:2017:503), una normativa di uno Stato membro che, come l’articolo 6 dell’OLW, attua il motivo di non esecuzione facoltativa di un mae ai fini dell’esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza privative della libertà di cui all’articolo 4, punto 6, della decisione quadro 2002/584, prevedendo che le autorità giudiziarie di tale Stato siano tenute in tutti i casi a negare l’esecuzione di un mae nell’ipotesi in cui la persona ricercata risieda in detto Stato, senza che tali autorità dispongano di un qualsiasi potere discrezionale e senza che detto Stato s’impegni a fare eseguire effettivamente la pena privativa della libertà pronunciata nei confronti di tale ricercato, così creando un rischio di impunità di detto ricercato, non può essere considerata conforme alla citata decisione quadro…[]. Nel caso di specie, per quanto riguarda l’obbligo, imposto dall’articolo 4, punto 6, della decisione quadro 2002/584 e ricordato al punto 86 della presente sentenza, di garantire, in caso di rifiuto dell’esecuzione del mae, la presa in carico effettiva, da parte dello Stato membro di esecuzione, della pena privativa della libertà, occorre rilevare che tale obbligo presuppone un serio impegno da parte di tale Stato ad eseguire la pena privativa della libertà pronunciata contro il ricercato, cosicché, ad ogni modo, la sola circostanza che tale Stato dichiari la sua «disponibilità» a far eseguire detta pena non può essere considerata di natura tale da giustificare un siffatto rifiuto. Ne consegue che qualunque rifiuto di eseguire un mae deve essere preceduto dalla verifica, da parte dell’autorità giudiziaria di esecuzione, della possibilità di eseguire realmente la pena conformemente al suo diritto interno».
[6] Cfr. Cass., sez. VI, 18 giugno 2018, n. 27992.
[7] Cfr. Cass., sez. VI, 17 dicembre 2021, n. 46641; conf. Cass., sez. VI, 21 settembre 2017, n. 56953.
[8] Fra le tante cfr. Cass., sez. VI, 4 aprile 2018, n. 15886; Cass., sez. VI, 22 gennaio 2020, n. 2959.
[9] D. N. CASCINI, Il conflitto di giurisdizione tra Stati Membri dell’Unione Europea, in Arch. Pen., 2018, 3, 2.
[10] Si veda Decisione Quadro 2009/948/GAI del Consiglio dell’Unione Europea del 30 novembre 2009 sulla prevenzione e la risoluzione dei conflitti relativi all’esercizio della giurisdizione nei procedimenti penali, consideranda n. 4 e n. 5 a mente dei quali «Dovrebbero aver luogo consultazioni dirette tra le autorità competenti degli Stati membri allo scopo di raggiungere un consenso su una soluzione efficace volta ad evitare le conseguenze negative derivanti da procedimenti penali paralleli ed evitare perdite di tempo e risorse delle autorità competenti interessate. Tale soluzione potrebbe segnatamente consistere nella concentrazione dei procedimenti penali in un unico Stato membro, ad esempio mediante il trasferimento del procedimento penale. Potrebbe altresì consistere in qualsiasi altra azione che consenta un’efficiente e ragionevole gestione di tali procedimenti, anche per quanto riguarda la loro tempestiva gestione, ad esempio mediante rinvio del caso a Eurojust quando le autorità competenti non siano in grado di raggiungere un consenso. Al riguardo, dovrebbe essere rivolta particolare attenzione alla questione della raccolta di elementi di prova, sulla quale può influire lo svolgimento di due procedimenti paralleli. (5)L’autorità competente di uno Stato membro, qualora abbia fondati motivi di ritenere che si stia conducendo un procedimento penale parallelo in un altro Stato membro per gli stessi fatti in cui sono implicate la stessa persona e che potrebbe dar luogo a una pronuncia definitiva in due o più Stati membri, dovrebbe prendere contatto con l’autorità competente dell’altro Stato membro. La questione dell’eventuale sussistenza di fondati motivi dovrebbe essere esaminata unicamente dall’autorità contattante. Fondati motivi potrebbero tra l’altro includere i casi in cui l’indagato o l’imputato adduca, fornendo dettagli, di essere oggetto, in relazione agli stessi fatti, di un procedimento penale parallelo in un altro Stato membro o una pertinente richiesta di assistenza giudiziaria reciproca da parte di un’autorità competente di un altro Stato membro riveli la possibile esistenza di siffatto procedimento penale parallelo ovvero l’autorità di polizia fornisca informazioni in tal senso».
[11] La nozione di "procedimenti paralleli" è compendiata, nell'ordinamento interno, nell'art. 2, comma 1, lett. a), d.lgs. n. 29/2016 che li definisce come "procedimenti penali, sia in fase di indagini preliminari che nelle fasi successive all'esercizio dell'azione penale, pendenti in due o più Stati membri per gli stessi fatti nei confronti della medesima persona".
[12] Cass., sez. VI, 17 dicembre 2021, n. 46641; conf. Cass., sez. VI, 04 aprile 2018, n. 15886.
[13] Per chi volesse approfondire si consiglia W. NOCERINO, L’istituzione della ”Super Procura Europea” e il complesso adeguamento interno”, in Riv. Cammino Diritto, ISSN 2532-9871 Fasc. 01/2022 .
[14]Ai sensi dell'art. 33, par. 2, del Regolamento UE 2017/1939 del Consiglio del 12 ottobre 2017 relativo all'attuazione di una cooperazione rafforzata sull'istituzione della Procura Europea («EPPO»), sul presupposto che si tratta di reati rientranti nella competenza materiale, personale e territoriale di detto organo giudiziario ai sensi degli artt. 22, par.1, e 23 del citato Regolamento UE.
[15] Cfr. Cass., sez. VI, 17 dicembre 2021, n. 46641.
[16] In ossequio al dovere di completezza di segnalano altre due sentenze della VI sezione penale nella cui occasioni la Corte affronta il medesimo tema: Cass., sez. VI, 15 dicembre 2021, n. 46140 e Cass., sez. VI, 17 dicembre 2021, n. 46642.