Pubbl. Lun, 7 Mar 2022
L´omicidio colposo del medico di pronto soccorso: la responsabilità per omessa diagnosi differenziale
Modifica paginaLa pronuncia n. 45602/2021 concerne un´ipotesi di responsabilità del medico di pronto soccorso che, per colpa per errore diagnostico, nella species colpa per omessa diagnosi differenziale, cagiona la morte del paziente. La Cassazione si adopera nel precisare i presupposti peculiari di tale forma di responsabilità, in particolare per quanto riguarda i poteri impeditivi attinenti alla posizione di garanzia del sanitario e l´accertamento del nesso di causalità tra l´evento infausto e l´alternativa condotta doverosa salvifica.
Sommario: 1. Il caso sottoposto all’attenzione della Cass. sez. IV n. 45602/2021; 2. Il quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento; 3. Considerazioni sul tema della responsabilità colposa del medico di pronto soccorso per omessa diagnosi differenziale; 4. Il decisum della Corte; 5. Conclusioni.
1. Il caso sottoposto all’attenzione della Cass. sez. IV n. 45602/2021
Con la sentenza n. 45602, dep. 13 dicembre 2021, la sez. IV della Cassazione si è espressa in merito alla configurabilità della responsabilità per omicidio colposo del medico di pronto soccorso che ha cagionato la morte di un paziente per non aver disposto accertamenti idonei ad effettuare la diagnosi differenziale, limitandosi ad un esame superficiale. In particolare, sebbene i poteri impeditivi in capo al sanitario di medicina d’urgenza siano limitati, incombe su tale soggetto l’onere di far intervenire altri specialisti ogniqualvolta non vi sia certezza sulla diagnosi e sulla opportunità delle dimissioni.
La sentenza della Corte di Appello, oggetto del sindacato della Cassazione, ha riformato in senso assolutorio la pronuncia di condanna nei confronti del medico di pronto soccorso, imputato del delitto previsto dall’art. 589 c.p. che, con condotte omissive e per colpa consistita in negligenza imprudenza e imperizia, aveva cagionato la morte del paziente oggetto delle sue cure in qualità di medico addetto all’unità di pronto soccorso. Si contesta all’imputato, in sintesi, l’erronea valutazione dello stato patologico in atto, con conseguente omissione di completa e analitica anamnesi del paziente, limitatasi ad un esame obiettivo superficiale.
Il giudice di primo grado aveva individuato nell’omessa diagnosi differenziale la condotta che aveva attivato una condizione di rischio per l’integrità fisica del paziente, in quanto il medico aveva interpretato (rectius diagnosticato) erroneamente gli indici sintomatici della malattia, omettendo la doverosa accurata anamnesi e le altrettanto doverose terapie susseguenti.
La sentenza assolutoria della Corte di Appello è stata oggetto di un duplice ordine di censure ed in particolare, con un primo motivo, sotto il profilo dell’inosservanza e dell’erronea applicazione dell’art. 589 c.p., nello specifico per colpa per omessa diagnosi differenziale, cui si aggiunge, con un secondo motivo, la contestazione di una lacuna presente in merito all’accertamento del nesso di causalità ex art. 40 c.p.
2. Il quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento
Nell’affrontare la questione sottoposta all’attenzione della Cassazione, è necessario operare preliminarmente una disamina in merito alla responsabilità colposa del sanitario. In particolare, occorre analizzare la condotta omissiva configurabile ex art. 40 c.p., e la rispettiva posizione di garanzia del sanitario, nonché la sussistenza in concreto degli obblighi impeditivi dell’evento.
L’ipotesi di responsabilità omissiva colposa del sanitario rappresenta una forma di responsabilità connotata da presupposti e caratteristiche peculiari, in particolare in ragione del settore dell’attività medico – chirurgica nel quale assume rilievo.
Tale responsabilità nasce dal combinato disposto degli artt. 589 e 40 cpv c.p., da cui sorge una fattispecie c.d. commissiva mediante omissione, rectius omissiva impropria, per il tramite della clausola di equivalenza secondo cui “non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo”, nell’ottica della sua funzione tipica di estensione della tipicità delle fattispecie incriminatrici di parte speciale operanti nei casi specifici.
Presupposto fondante di tale forma di responsabilità è la sussistenza dell’obbligo giuridico di impedire l’evento in capo al sanitario, in questo caso quale obbligo di impedire la morte del paziente a carico del medico di pronto soccorso. Nulla quaestio circa l’asserita sussistenza nell’an di tale obbligo, in ragione della posizione di garanzia da questi assunta rispetto alla tutela del bene vita e/o integrità fisica del paziente che si affida alle sue cure presso il pronto soccorso nel quale svolge la propria attività. Al riconoscimento della posizione di garanzia da un punto di vista formale e legale, quale presupposto ai fini della configurabilità in astratto dell’obbligo giuridico impeditivo dell’evento, deve accompagnarsi l’accertamento in concreto dell’esistenza di effettivi poteri impeditivi, quale possibilità materiale e giuridica per il garante di evitare il verificarsi dell’evento lesivo.
Secondo la Cassazione, infatti, «all’obbligo giuridico di impedire l’evento deve accompagnarsi l’esistenza di poteri fattuali che consentano all’agente di porre in essere, almeno in parte, meccanismi idonei ad evitare il verificarsi dell’evento».
Nel caso di specie, l’accertamento circa la sussistenza di poteri impeditivi dell’evento deve essere effettuato alla luce delle specificità del caso concreto, della sintomatologia del paziente, del quadro clinico delineatosi, del decorso causale dell’asserita patologia[1].
In definitiva, l’obbligo giuridico di impedire l’evento, cui corrisponde la posizione di garanzia assunta dal medico di pronto soccorso, si delinea quale specifica ipotesi di obbligo di c.d. diagnosi differenziale: ciò che si imputa al medico di pronto soccorso, in altri termini, è il non aver impedito l’evento morte per aver omesso, colpevolmente, l’attuazione dell’obbligo di diagnosi differenziale. Si configura una colpa per c.d. errore diagnostico, rectius errore nell’aver omesso o errato la diagnosi differenziale.
Una volta delineata nell’an la sussistenza della posizione di garanzia in capo al sanitario, da cui scaturisce l’obbligo giuridico di impedire l’evento, accompagnato dalla sussistenza in concreto di poteri impeditivi, deve verificarsi l’esistenza del nesso di causalità che lega la condotta omissiva colposa del sanitario all’evento hic et nunc verificatosi. Tale accertamento della causalità si definisce tradizionalmente “doppiamente ipotetico” nei casi di responsabilità omissiva colposa in quanto, per il tramite di un giudizio controfattuale c.d. di eliminazione mentale, il giudice dovrà sostituire mentalmente, alla condotta omissiva colposa, la condotta doverosa richiesta dalle regole cautelari operanti nel caso concreto e vagliare la effettiva efficacia salvifica di quest’ultima.
In altri termini, il giudice dovrà verificare se l‘alternativa condotta doverosa, omessa dal garante, avrebbe avuto efficacia salvifica nel senso che avrebbe potuto impedire l’evento, ovvero rallentarne il suo decorso, od anche diminuirne l’intensità, ed in ragione di tale accertamento la condotta omissiva colposa potrà considerarsi, alla luce del criterio di alta probabilità logica o credibilità razionale, condicio sine qua non dell’evento lesivo.
Alla luce di tali brevi premesse sistematiche è possibile analizzare i motivi di ricorso della sentenza in esame.
Per quanto concerne il primo motivo di censura, circa l’insussistenza nell’an della posizione di garanzia in capo al medico di pronto soccorso, la Cassazione richiama la ratio di tutela rafforzata che lega il soggetto garante rispetto ad un determinato bene giuridico nel caso in cui il titolare sia nell’incapacità di proteggerlo autonomamente. In primis, si valorizza l’esistenza di tale presupposto formale e legale, quale obbligo giuridico di impedire l’evento ex art. 40 c.p. A tale fattore si aggiunge l’accertamento in concreto della possibilità materiale e giuridica di impedire l’evento nei termini suindicati, cui la Cassazione aggiunge il connotato di c.d. esigibilità della condotta. In particolare, la sentenza assolutoria della Corte di Appello è censurabile nella parte in cui richiede che l’accertamento dei poteri impeditivi dell’evento si svolga in termini assoluti, nel senso che il garante debba essere dotato di tutti i poteri, materiali e giuridici, idonei ad evitare il verificarsi dell’esito infausto.
Secondo i giudici di legittimità «non è condivisibile l’affermazione che il garante, perché risponda dell’evento, debba essere dotato di tutti i poteri impeditivi, essendo richiesto all’agente di porre in essere solo quelli da lui esigibili; la posizione di garanzia richiede l’esistenza dei poteri impeditivi che, peraltro, possono anche concretizzarsi in obblighi diversi (es. di natura sollecitatoria) e di minore efficacia, rispetto a quelli direttamente e specificamente volti ad impedire il verificarsi dell’evento».
È nella specifica branca della medicina d’urgenza che viene in rilievo il requisito dell’esigibilità dei poteri impeditivi in quanto, secondo l’opinione della giurisprudenza di legittimità, non è esigibile da tale soggetto una competenza specialistica generalizzata al pari di tutte le altre specializzazioni medico – chirurgiche, e ciò per la particolare posizione e funzione rivestita dal medico di pronto soccorso[2].
Per quanto concerne il secondo motivo di censura, ovvero l’erroneo accertamento del nesso di causalità tra la condotta alternativa doverosa e la morte del paziente, in brevi cenni sistematici la Cassazione premette come, nel caso di specie, debba valutarsi la sussistenza dell’elemento positivo, ossia della condotta umana quale condicio sine qua non dell’evento, e dell’elemento negativo, per cui l’evento lesivo non deve consistere in conseguenza di fattori eccezionali.
Nell’ambito della responsabilità omissiva colposa deve valutarsi, quale quid pluris rispetto alla causalità tipica dei reati commissivi, la violazione della regola cautelare, nel senso che l’evento deve rappresentare la concretizzazione del rischio che la regola cautelare violata tendeva ad evitare. Di conseguenza, l’evento è causalmente riconducibile all’omissione qualora, secondo la migliore scienza ed esperienza del momento storico, l’evento sia conseguenza certa o altamente probabile del mancato rispetto della regola cautelare violata.
La Cassazione, in tale desicum, opera una ricostruzione in merito al nesso di causalità distinguendo tra ragionamento esplicativo e ragionamento controfattuale. Il ragionamento esplicativo concerne la spiegazione delle cause di un accadimento ed individua i fattori causali in base a leggi scientifiche che esprimono una correlazione causale tra condizioni ed eventi; «il giudizio controfattuale (giudizio implicativo) trova il suo terreno di elezione nel ragionamento causale in tema di reato omissivo».
In particolare, si valorizza l’accertamento in termini di prognosi postuma, ovvero valutare cosa sarebbe successo se la condotta doverosa fosse stata posta in essere, così da vagliare l’effettivo ruolo salvifico della condotta omessa. Tale giudizio ipotetico (rectius implicativo) deve svolgersi sulla base del quadro indiziario disponibile rispetto alle singole ipotesi oggetto di sindacato del giudice, prescindendo da valutazioni aprioristiche ed assolute.
Il giudice, secondo i giudizi di legittimità, quale «iudex peritorum, non può rimanere acriticamente ancorato al dato tecnico – scientifico e deve, piuttosto, tradurne l’enunciato in termini logico giuridici (…) il giudizio controfattuale impone al giudice di elaborare il dato tecnico- scientifico, che raramente nelle scienze bio- mediche fornisce informazioni in termini di assoluta certezza, alla luce dei criteri logico – giuridici più volte indicati dalla giurisprudenza di legittimità».
Delineate in tal senso le considerazioni in diritto operate dalla Cassazione nel caso in esame, è possibile desumere coordinate ermeneutiche specifiche per quanto concerne la responsabilità colposa del medico di pronto soccorso nell’ipotesi di c.d. obbligo di diagnosi differenziale.
3. Considerazioni sul tema della responsabilità colposa del medico di pronto soccorso per omessa diagnosi differenziale
La responsabilità colposa del medico di pronto soccorso per omessa diagnosi differenziale si considera quale species del genus della colpa per c.d. errore diagnostico. In particolare, l’errore diagnostico non consiste esclusivamente nell’omessa o erronea diagnosi a monte, ma altresì nell’omessa esecuzione di indagini che siano strettamente funzionali ad una corretta diagnosi[3].
Tale precisazione spiega il motivo per cui non vi siano molte pronunce in giurisprudenza che esplicitino il principio secondo cui versa in colpa il medico che non adempie l’obbligo di diagnosi differenziale, in quanto risulta assorbito nella colpa per errore diagnostico a monte[4]. Non si addebita, in altri termini, la colpa per omessa diagnosi differenziale, ma la colpa per omessa corretta diagnosi[5].
Nel caso di specie trattasi, secondo la Corte di Cassazione, di colpa generica integratrice poiché alla previsione del rispetto delle leges artis si accompagna la colpa generica per violazione dei doveri di diligenza, prudenza e perizia. In sintesi, alla colpa specifica derivante da peculiari regole cautelari che connotano l’attività medico – chirurgica, quali fonti della responsabilità medica, si affiancano ipotesi di colpa generica integratrice in ragione dell’elasticità tipica delle suddette regole in tale settore, in quanto il medico può (e spesso deve) discostarsi dalle regole cautelari qualora le specificità del caso concreto lo impongano.
La colpa generica integratrice si configura in termini di imperizia nell’accertamento della malattia e di negligenza per omissione delle indagini necessarie qualora il medico, in presenza di una sintomatologia tale da imporre una diagnosi differenziale[6], ometta di eseguire tali accertamenti[7].
La diagnosi differenziale si definisce, in definitiva, quale procedimento di eliminazione mentale, c.d. per esclusione, finalizzato all’individuazione della malattia in via residuale, rectius tramite la rimozione delle ipotesi alternative[8]. Tale eliminazione avviene non solo mediante l’esame diretto del paziente, ma altresì mediante indagini strumentali idonee ai fini di una diagnosi corretta[9].
Tale procedimento mentale di eliminazione ha caratteristiche prettamente logico - giuridiche, in quanto il medico non può aderire a meri ragionamenti esplicativi di tipo scientifico ma deve valutare le connotazioni peculiari dei casi clinici che sono sottoposti alla sua attenzione.
La diagnosi differenziale assume particolare rilievo nelle ipotesi in cui le linee guida disciplinano casi in cui il medico è tenuto ad orientarsi rispetto ad una sintomatologia sussumibile in diverse soluzioni diagnostiche e terapeutiche[10]. In tal modo emerge la necessità di valutare le specificità del caso concreto qualora, ad esempio, il quadro sintomatologico iniziale peggiora, vi siano nuovi sintomi non compatibili con la diagnosi originaria, ovvero quando non vi siano miglioramenti conformi alla diagnosi anzidetta. In altri termini, è dal quadro indiziario che emergono elementi sintomatici dell’obbligo di porre in essere la diagnosi differenziale[11], da cui la qualificazione quale c.d. regola cautelare esperienziale[12].
Per quanto concerne il successivo accertamento circa la sussistenza del nesso di causalità tra l’omessa diagnosi differenziale e l’evento lesivo, la Cassazione richiama il giudizio di alta probabilità logica o c.d. giudizio controfattuale, ovvero la necessità di operare un giudizio ipotetico al fine di verificare, considerando la condotta alternativa doverosa, se quest’ultima avrebbe, con alto grado di credibilità razionale, impedito o significativamente ritardato il verificarsi dell’evento ovvero ridotto l’intensità lesiva dello stesso[13].
L’obbligo di omessa diagnosi differenziale si esclude solo ove si giustifichi l’omissione per il raggiungimento di una elevata probabilità logica di correttezza circa la diagnosi effettuata[14]. I giudici di legittimità ritengono che il momento in cui il medico possa interrompere l’indagine diagnostica su patologie alternative è quello della raggiunga certezza che le stesse possano essere escluse[15], in base alle conoscenze dell’arte medica da lui esigibili[16].
4. Il decisum della Corte
La Corte di Cassazione accoglie entrambi i motivi di censura della sentenza assolutoria della Corte di Appello.
Per quanto concerne il primo motivo, circa l’asserita inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 589, 40 c.p., secondo i giudici non può escludersi, come affermato dalla sentenza impugnata, la sussistenza della possibilità di azionare i poteri impeditivi che afferiscono alla posizione di garanzia del medico di pronto soccorso. Quest’ultimo, alla luce del quadro sintomatologico posto alla sua attenzione, avrebbe potuto diligentemente cogliere la necessità di procedere ad ulteriori accertamenti che sono propri della sua specifica funzione e attività.
Alla luce delle coordinate ermeneutiche suevidenziate nel caso sottoposto alla Corte il dubbio diagnostico non era stato ancora risolto, indi per il cui il medico si trovava nella possibilità di procedere ad una diagnosi differenziale in base alle conoscenze dell’arte medica da lui esigibili. Il medico, in definitiva, ha erroneamente omesso la doverosa accurata anamnesi, rectius la diagnosi differenziale.
Con riferimento al secondo motivo di censura, secondo la Cassazione i giudici di primo grado avevano correttamente condannato l’imputato perché l’accertamento del nesso causalità non deve limitarsi, come invece effettuato dalla Corte di Appello, ad un ragionamento di tipo esplicativo. In altri termini, non può ritenersi sufficiente la bassa probabilità statistica che la condotta alternativa salvifica, ovvero la diagnosi differenziale, avrebbe evitato l’evento, ma si deve tener conto degli elementi indiziari del caso concreto ed in tal modo vagliare l’alto grado di credibilità razionale della soluzione sulla base del successivo giudizio controfattuale.
La Corte di Appello aveva assolto l’imputato perché supina sui consulenti tecnici che non avevano raggiunto la certezza della effettività della alternativa condotta salvifica nel caso concreto, ma tale accertamento rischia di diventare una probatio diabolica nei casi, come quello in esame, della responsabilità omissiva colposa del sanitario.
La Cassazione ritiene che nella sentenza impugnata, quindi, non sia stata fatta corretta applicazione dell’art. 40 c.p. in quanto i giudici di appello hanno escluso il nesso di causalità sulla base di un ragionamento esplicativo privo di riferimenti alle condizioni del paziente ed, in definitiva, ritengono sussistente nel caso in esame tutte le condizioni affinché il medico di pronto soccorso possa considerarsi in colpa di aver omesso una diagnosi differenziale che avrebbe, secondo il giudizio controfattuale ipotetico, impedito la morte del paziente[17].
5. Conclusioni
Alla luce della disamina effettuata emerge la coerenza sistemica della soluzione adottata dalla Cassazione in esame rispetto alla tendenza interpretativa volta a delineare una peculiare forma di colpa diagnostica in capo al medico di pronto soccorso, ovvero la c.d. colpa per omessa diagnosi differenziale.
È da apprezzare la scelta di personalizzare l’addebito di responsabilità colposa in ragione della peculiare attività svolta dal sanitario, cui si aggiunge il contesto situazionale di emergenza nel quale, nella maggioranza dei casi, si trova ad operare. Tuttavia, onde evitare il rischio di una eccessiva personalizzazione del rimprovero per le particolari caratteristiche soggettive di tale individuo, è necessario che l’accertamento sulla causalità individuale verta sull’analisi delle peculiarità oggettive del caso concreto. In definitiva, come emerge della sentenza in oggetto, deve procedersi ad una valorizzazione degli indici sintomatici oggettivi della colpa per omessa ovvero erronea diagnosi differenziale da cui dedurre, dall’evento hic et nunc verificatosi, la responsabilità, sub species omissiva colposa, per la morte del paziente.
Punto nevralgico della questione è rappresentato dall’esigenza di bilanciare, da un lato, la individualizzazione del rimprovero a carico del medico di pronto soccorso, in ragione delle caratteristiche del proprio ruolo e, dall’altro lato, evitare una disparità di trattamento rispetto alle altre categorie di medici e sanitari per quanto concerne l’accertamento della stessa ipotesi di responsabilità.
La necessità di un corretto ed adeguato bilanciamento tra le esigenze suindicate si ravvisa, in particolare, nell’accertamento della causalità individuale, come sottolineato dalla giurisprudenza di legittimità. Il giudice non può limitarsi ad un ragionamento meramente esplicativo, ancorato cioè a limitate e ridotte percentuali scientifiche statistiche di efficacia salvifica della condotta alternativa doverosa. A tale giudizio deve aggiungersi il quid pluris dell’accertamento c.d. implicativo controfattuale, ovvero la valutazione di serie ed apprezzabili probabilità di successo della condotta omessa dal medico di pronto soccorso in base ad un ragionamento logico – giuridico fondato sull’iter diagnostico e terapeutico effettuato nel caso concreto.
[1] V. Cass., sez. IV, 22 maggio 2019, n. 22211, in C.E.D. Cass., sul tema della diagnosi differenziale e colpa medica, secondo cui la responsabilità omissiva del sanitario deve essere provata scientificamente sulla base dei dati anamnestici a disposizione e del quadro clinico del paziente.
[2] Sulla peculiare posizione di garanzia del medico di pronto soccorso v. D. CHINDEMI, La responsabilità del medico e della struttura sanitaria pubblica e privata, 2018, Utet, p. 110, secondo cui «dal medico di pronto soccorso non è consentita la sospensione del giudizio e se non ci sono sintomi chiari, [ovvero, in caso di sintomi] aspecifici, ambigui, ambivalenti, occorre procedere alla diagnosi differenziale se non vi sono particolari ragioni di urgenza, oppure convocare i medici dei possibili reparti interessati da un eventuale ricovero per affidare a medici specialisti una valutazione più approfondita».
[3] Cfr. P. PIRAS, La diagnosi differenziale in medicina: principi giurisprudenziali, in Dir. pen. cont., 18.12.2012, p. 3, secondo cui «sia che la diagnosi venga omessa sia che venga posta ma sia errata, le cose non cambiano: non si è posta comunque in diagnosi differenziale la malattia che costituiva la causa del quadro clinico e quindi la diagnosi corretta è sfuggita. E in questo consiste la colpa del medico». In giurisprudenza ex multis Cass., sez. IV, 21 febbraio 2019. n. 2325, in C.E.D. Cass., rv. 276365; Cass., sez. IV, 18 dicembre 2014, n. 21243, in C.E.D. Cass., rv. 263492, in tema di errore diagnostico, secondo cui «si configura non solo quando, in presenza di uno o più sintomi della malattia, non si riesce ad inquadrare il caso clinico in una patologia nota alla scienza o si addivenga ad un inquadramento erroneo, ma anche quando si omette di eseguire o disporre controlli ed accertamenti doverosi ai fini di una corretta formulazione della diagnosi».
[4] Cfr. P. PIRAS, in op. cit., p. 4, secondo cui del principio generale di colpa per errore diagnostico «quello sulla diagnosi differenziale non è che una precisazione».
[5] Cfr. F. PISCONTI, Colpa professionale e diagnosi differenziale, in Quaderni del dipartimento Jonico, n. 9/2018, a cura di G. Losappio, 2019, p. 170, secondo cui «in generale, l’omessa diagnosi differenziale si atteggia quale ipotesi di responsabilità colposa, nel senso di erronea o di omessa diagnosi, quialor aessa, in tale ultima ipotesi, risulti totalmente inesistente o incompiuta; quanto, invece, al primo caso, al sanitario si contesta di non porre correttamente in diagnosi differenziale la patologia che costituisce la causa dei disturbi accusati dal paziente».
[6] Cfr. Cass., sez. IV, 28 ottobre 2008, n. 46412, in C.E.D. Cass., rv. 242250, fattispecie nella quale una diagnosi errata e superficiale, formulata senza disporre ed eseguire tempestivamente accertamenti assolutamente necessari, era risultata esiziale, ed in particolare vi è un problema di diagnosi differenziale quando si verta su errore diagnostico colpevole sussistente non «solo quando, in presenza di uno o più sintomi obiettivi ei nequivoci di una malattia, il medico non sia stato in grado di inquadrare il caso clinico, ma anche quando questi, in presenza di un quadro clinico di incertezza e di sintomi ambivalenti, abbia omesso di eseguire o disporre controlli e accertamenti doverosi ai fini di una corretta formulazione della diagnosi».
[7] Sul punto v. Cass., sez. IV., 14 gennaio 2013, n. 1716, in C.E.D. Cass.
[8] V. sul punto F. PISCONTI, Colpa professionale e diagnosi differenziale, in op. cit., p. 169, secondo cui «il sanitario, dunque, tramite tale meccanismo ad eliminazione mentale, individua la diagnosi ritenuta più confacente alle specificità del caso concreto, sulla scorta di adeguati e necessari accertamenti clinici, che gli consentono di escludere tutte le ulteriori alternative ipotesi prospettabili».
[9] In questi termini v. P. PIRAS, La diagnosi differenziale in medicina, in op. cit., 1.
[10] In tema di responsabilità medica v. sul punto A. ASMUNDO – S. SCURRIA, La sostenibile inesistenza dell’essere: la “colpa lieve” della legge Balduzzi, in Giurisprudenza italiana, n.8-9, 01.7.2014, p. 2071, secondo cui «soprattutto in medicina, conoscenza e, quindi, decisione ed errore sono inscindibili. Se nessuna attività umana è esente da errori, davvero l’esercizio della medicina è un’attività in cui è facile commettere errori in quanto il percorso metodologico (diagnostico e, dunque, in eventuale subordino, terapeutico) propone al medico un ventaglio più o meno ampio di ipotesi che richiedono la cosiddetta diagnosi differenziale».
[11] Cfr. Cass., sez. IV., 22 giugno 2018, n. 47748, in C.E.D. Cass., secondo cui «allorché il sanitario si trovi di fronte a una sintomatologia idonea a condurre alla formulazione di una diagnosi differenziale, la condotta è colposa allorquando non si proceda alla stessa e ci si mantenga invece sull’erronea posizione diagnostica iniziale». Sul punto v. altresì Cass., sez. IV, n. 37043/2011, in C.E.D. Cass., secondo cui tali considerazioni valgono «non soltanto per le situazioni in cui la necessità della diagnosi differenziale sia già in atto, ma anche quando è prospettabile che vi si debba ricorrere nell’immediato futuro a seguire di una prevedibile modificazione del quadro e della significatività del perdurare del quadro esistente».
[12] Definizione di D. MICHELETTI, La responsabilità penale del medico tra colpa generica e colpa specifica, in Criminalia, 2018, 744.
[13] Cfr. Cass. pen., sez. fer., 25 agosto 2015, n. 41158, in C.E.D. Cass., fattispecie in cui è stata esclusa la responsabilità degli imputati, non essendo stata raggiunta la prova che, ove questi avessero ripetuto determinati esami strumentali, sarebbero pervenuti con certezza o elevata probabilità ad una diagnosi differenziale di quella formulata, che avrebbe consentito di compiere l’intervento chirurgico necessario per impedire il decesso del paziente.
[14] Cass., sez. IV, 24 febbraio 2021,. n. 16843, in C.E.D. Cass.
[15] Cass., sez. IV, 7 aprile 2010, n. 13076, in C.E.D. Cass.
[16] Cass., sez. IV ,16. dicembre 2010, n. 6215, in C.E.D. Cass.
[17] Sulla configurabilità di tale forma di responsabilità cfr. Cass., sez. IV, 18 giugno 2019, n. 26906, in C.E.D. Cass., in punto di responsabilità del medico di pronto soccorso per colpa consistita nell’omessa diagnosi differenziale di una patologia grave, che se individuata e trattata tempestivamente, avrebbe potuto consentire esito salvifico.