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Pubbl. Mer, 30 Mar 2022

La registrazione del marchio quale presupposto per la sua contraffazione

Azzurra Capitoni



Con la pronuncia n. 46882 del 3 dicembre 2021, la II sezione penale della Suprema Corte di Cassazione ribadisce il principio secondo il quale non può parlarsi di contraffazione rilevante ai sensi dell´ 474 c.p. senza la previa avvenuta registrazione del marchio o del segno distintivo.


Sommario: 1. La decisione della Corte; 2. Le fattispecie di cui all'art. 474 c.p. a seguito della L. 23 luglio 2009, n. 99; 3. L'osservanza della disciplina in tema di registrazione del marchio; 4. Differenze con la disposizione di cui all'art. 517 c.p.

Sommario: 1. La decisione della Corte; 2. Le fattispecie di cui all'art. 474 c.p. a seguito della L. 23 luglio 2009, n. 99; 3. L'osservanza della disciplina in tema di registrazione del marchio; 4. Differenze con la disposizione di cui all'art. 517 c.p.

1. La decisione della Corte

Con la sentenza n. 46882 del 3 dicembre 2021, la Suprema Corte di Cassazione si è pronunciata sul ricorso presentato dal difensore dell'indagato avverso l'ordinanza emessa dal Tribunale di Roma, sezione Riesame, con cui rigettava la richiesta ex art. 324 c.p.p. avanzata a seguito del sequestro di alcuni capi di abbigliamento con presunti marchi contraffatti.

Secondo i giudici del riesame, la fattispecie di cui all'art. 474 c.p. sanzionerebbe la contraffazione dei marchi nazionali ed esteri, prescindendo dal luogo di avvenuta registrazione. Inoltre, in tema di marchi di larghissimo e diffuso utilizzo, non sarebbe necessario dimostrare l'avvenuta registrazione, gravando sulla difesa l'onere probatorio circa l'inesistenza di strumenti atti alla loro protezione.

Il Supremo Consesso presupponendo la natura pubblicistica dell'interesse giuridico tutelato dalla normativa penale in esame, precisa: «per la configurabilità dei delitti contemplati [...] è necessario che il marchio o il segno distintivo, di cui si assume la falsità, sia stato depositato, registrato o brevettato nelle forme di legge all'esito della prevista procedura, sicché la falsificazione dell'opera dell'ingegno può aversi soltanto se essa sia stata formalmente riconosciuta come tale»1

In tema di ripartizione dell'onere della prova, la Corte disattendendo la posizione dei giudici del riesame, chiarisce che non può non spettare alla pubblica accusa la prova circa elementi (e non mere presunzioni) attestanti una certa rinomanza e notorietà del marchio.

Pertanto, con tale pronuncia la Cassazione ha accolto il ricorso presentato dalla difesa ed annullato, per l'effetto, l'ordinanza impugnata, rinviando al Tribunale capitolino competente per un nuovo giudizio.

2. Le fattispecie ex art. 474 c.p. a seguito della L. 23 luglio 2009, n. 99

La disposizione di cui all'art. 474 c.p., rubricata «Introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi», collocata tra i delitti contro la fede pubblica e, più specificatamente tra i reati del Capo II:  «Falsità in sigilli o strumenti o segni di autenticazione, certificazione o riconoscimento», disciplina due diverse fattispecie criminose.

Occorre tuttavia precisare che la richiamata normativa è frutto della riforma legislativa operata dalla Legge n. 99 del 23 luglio 2009, la quale ha modificato la struttura della fattispecie incriminatrice previgente, suddividendola in due commi 2.

L'individuazione del bene giuridico tutelato dalla fattispecie in esame è oggetto di accese dispute giurisprudenziali, ed infatti, mentre secondo un'interpretazione tradizionalista, guardando alla collocazione sistematica della norma, l'interesse tutelato consisterebbe nella pubblica fede, intesa in senso oggettivo, ovvero come quel grado di fiducia che il cittadino ripone nell'autenticità e veridicità del marchio, l'orientamento di segno opposto ritiene che oggetto di tutela sia invece l'interesse tipico dei consumatori a vedere immessi nel mercato prodotti con caratteri leali e corretti. Da ultimo, un terzo indirizzo ermeneutico, riscontrando una dimensione plurioffensiva del reato, sostiene che la normativa tutelerebbe oltre che la fede pubblica altresì l'esclusività dell'esercizio del diritto di marchio da parte del produttore 3

Il primo comma ponendosi fuori dai casi di concorso nella contraffazione, punisce la condotta di chiunque introduca nel territorio dello Stato prodotti industriali con marchi o segni distintivi nazionali o esteri, contraffatti o alterati, con lo scopo di ricavarne un profitto. Diversamente, il comma che segue commina una sanzione più lieve nei confronti di chi detenga, ponga in vendita o metta altrimenti in circolazione prodotti contraffatti o alterati, sempre con lo scopo di trarne profitto.

Appare immediatamente evidente l'unicità dell'elemento psicologico che muove le differenti condotte: l'intento di trarne profitto costituisce il dolo specifico che accomuna le fattispecie.

L'agire di cui al primo comma si rivolge agli estranei della falsificazione, incriminando l'azione di introduzione entro i confini nazionali di prodotti a marchio contraffatto o alterato. L'attività distorsiva costituisce un mero presupposto di quella che sarà la condotta introduttiva del prodotto precedentemente sofisticato. Non a caso, il legislatore punisce autonomamente ai sensi dell'art. 473 c.p. l'attività di contraffazione. Si noti l'interesse per la genuinità del prodotto che si inserisce nel mercato nazionale, tutto ciò a protezione dei potenziali acquirenti-consumatori.

Simili considerazioni devono estendersi alla fattispecie di cui al secondo comma. Il soggetto agente è colui che non è incorso nella contraffazione dei marchi né in quella di introduzione entro il territorio dello Stato di prodotti a marchio contraffatto, ma residualmente colui che detiene, mette in vendita o permette la circolazione di prodotti a marchio adulterato. È chiara la funzione sussidiaria della norma rispetto a quella di cui al primo comma.

Quanto al grado di contraffazione del prodotto necessario per integrare il presupposto delle fattispecie in questione, la giurisprudenza di legittimità recentemente ha precisato che sarà sufficiente la parziale alterazione del marchio, purché idonea ad ingenerare nella collettività la confondibilità rispetto all'originale. Non è necessaria una valutazione analitica di ogni elemento, dovendo diversamente accertare l'attitudine confusoria con uno sguardo orientato alla complessità dei caratteri salienti 4. Si tratta infatti di un reato di pericolo, per la cui realizzazione non richiede che il destinatario del prodotto sia di fatto caduto in inganno, essendo sufficiente la possibilità che l'utente medio confonda l'autenticità del prodotto.

3. L'osservanza della disciplina in tema di registrazione del marchio

L'analisi della normativa non può concludersi senza il richiamo al terzo comma dell'art. 474 c.p., secondo cui «I delitti previsti dai commi primo e secondo sono punibili a condizione che siano state osservate le norme delle leggi interne, dei regolamenti comunitari e delle convenzioni internazionali sulla tutela della proprietà intellettuale o industriale».

La normativa nazionale di riferimento è quella contenuta nella Legge 10 febbraio 2005, n. 30 (cd. Codice della proprietà industriale), la quale prevede una disciplina organica e strutturata in materia di tutela, difesa e valorizzazione dei diritti di proprietà intellettuale5. Nella specie, sarà necessario presentare la domanda di registrazione presso l'Ufficio Marchi e Brevetti di ogni Paese in cui si vorrà ottenere il riconoscimento legale del marchio. È chiaro che il diritto di marchio è sottoposto al principio di territorialità, trovando tutela e protezione esclusivamente nello Stato in cui è avvenuta la registrazione. Qualora si tratti di un prodotto inserito nel mercato europeo, sull'interessato non graverà l'onere di dover registrare in ogni Paese UE il proprio marchio, ma diversamente potrà avvalersi di un'apposita procedura, con il conseguente riconoscimento in tutto il perimetro comunitario. Quanto poi al caso di quei paesi non aderenti al sistema europeo (nei quali chiaramente non si applica la procedura semplificata europea), grazie al Protocollo di Madrid in vigore dall'aprile del 1996 (per l'Unione Europea dall'ottobre 2004), è possibile utilizzare un sistema di registrazione unica ed ottenere contemporanea tutela in tutti quei paesi aderenti al Protocollo, senza dover ricorrere a gravose procedure locali.

Una delle questioni fortemente dibattute in giurisprudenza è stata quella concernente l'interrogativo se ai fini dell'ottenimento di una tutela penale debba essersi o meno conclusa la procedura di avvenuta registrazione del marchio. Un primo indirizzo ha sostenuto come non fosse necessario il deposito, registrazione o brevettazione del segno distintivo dell'opera di ingegno o del prodotto industriale, essendo sufficiente la semplice presentazione della relativa domanda, comprensiva di descrizione del modello.

Di segno opposto l'indirizzo giurisprudenziale oggi prevalente, secondo cui è assolutamente necessario l'avvenuto riconoscimento legale del marchio, costituendo imprescindibile presupposto per l'integrabilità della condotta di falsificazione 6.

Vero è che, come affermato dai giudici di legittimità nell'esaminanda pronuncia, perché possa parlarsi di contraffazione quale condotta punibile ai sensi dell'art. 473 c.p. occorre che la procedura di registrazione nazionale, europea o internazionale del marchio sia stata avanzata dall'interessato, non potendo questo altrimenti vantare alcun diritto di esclusiva sul prodotto né tanto meno alcuna tutela successivamente all'abuso da parte di estranei.

4. Differenze con la disposizione di cui all'art. 517 c.p.

La Suprema Corte, pur disattendendo le motivazioni offerte dal Tribunale romano, accenna all'eventuale configurabilità di fattispecie di reato alterative rispetto quella contestata all'imputato ed in particolare menziona l'art. 517 c.p.

La citata disposizione intitolata «Vendita di prodotti industriali con segni mendaci» è collocata tra i Delitti contro l'economia pubblica, l'industria ed il commercio. In particolare, la fattispecie punisce con la pena della reclusione fino a due anni e con la pena pecuniaria della multa chiunque ponga in vendita o metta in circolazione prodotti con nomi, marchi o segni distintivi idonei ad indurre in inganno il compratore circa l'origine, la provenienza e/o la qualità del prodotto.

Il bene giuridico protetto in questo caso si identifica con il più generale ordine economico. Si tratta di quell'interesse pubblicistico a non includere nel mercato nazionale prodotti con segni mendaci, preservando così la lealtà commerciale. La condotta si alterna tra la messa in vendita del prodotto e la sua messa in circolazione, quest'ultima intesa come fuoriuscita dell'articolo per qualsiasi fine dalla sfera di vigilanza e custodia del detentore. Il dolo è quindi generico7.

È evidente la disomogeneità degli interessi protetti dalle fattispecie fin qui trattate nonché l'intenzionalità dell'agente, il quale si muove con un fine ben preciso (quello di far profitto) nell'incriminazione di cui all'art. 474 c.p. mentre ne prescinde nell'ipotesi ex art. 517 c.p.

Ulteriore elemento distintivo si rinviene nella loro materialità. In particolare, affinché sussistano gli estremi per l'accusa ai sensi della più grave ipotesi delittuosa, è necessario che il marchio o segno distintivo riconosciuto del prodotto introdotto, detenuto o messo comunque in circolazione sia stato precedentemente contraffatto e/o alterato. Diversamente, si ricadrà nella più lieve forma di reato, qualora si tratti di mera imitazione circa colori, forme, immagini di prodotti.

Detto in altre parole, occorrerà valutare le caratteristiche estetiche complessive del prodotto in questione al fine di comprendere se queste abbiano o meno un' attitudine ingannatoria circa l'origine, la provenienza o la qualità di un prodotto, solo così potrà integrarsi la fattispecie di Vendita di prodotti industriali con segni mendaci di cui all'art. 517 c.p.8


Note e riferimenti bibliografici

1 Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza n. 46882 del 3.12.21 dep. 22.12.21

2La Legge n. 99 del 23 luglio 2009 recante Disposizioni per lo sviluppo e l'internazionalizzazione delle imprese, nonche' in materia di energia ha modificato il testo originale di cui all'art. 474 c.p., il quale recitava «Chiunque, fuori dei casi di concorso nei delitti preveduti dall'articolo precedente, introduce nel territorio dello Stato per farne commercio, detiene per vendere, o pone in vendita, o mette altrimenti in circolazione opere dell'ingegno o prodotti industriali, con marchi o segni distintivi, nazionali o esteri, contraffatti o alterati, è punito con la reclusione fino a due anni e con la multa fino a euro 2.065. Si applica la disposizione dell'ultimo capoverso dell'articolo precedente

3 ALESSANDRI A., Reati in Materia Economica, Torino, 2017, G. Giappichelli, pp. 640 ss.; DE PALMA M.. Reati comuni, Milano, 2007, Giuffrè, pp.120-121. Per la tesi prevalente vedi Cass., sentenza n. 18289 del 27.01.2016; Cass., sentenza n. 25073 del 2.07.2010; Cass., sentenza n. 2558 del 19.12.2014.

4Cass., Sez.II, sentenza n. 40324 del 7.06.2019; Conf. Cass., Sez. V, sentenza n. 33900 del 8.05.2018.

5Oltre al citato codice, si richiamano altresì gli artt. 2569-2574 c.c.

6Cass.,sez.V, sentenza n. 9752 del 8.01.2009; conf. Cass., Sez. V, sentenza n. 48534 del 28.12.2011. in senso contrario vedi Cass., sez.V, sentenza n. 25273 del 12.04.2012; conf. Cass., sez. V, sentenza n. 41891 del 4.06.2013.

7LATTANZI G., Codice penale annotato con la giurisprudenza, Milano, 2020, Giuffrè Francis Lefebvre, XVI° ed. 

8PULITANO' D. (a cura di) Diritto penale. Parte speciale. Tutela penale del patrimonio. Torino, 2013 Giappichelli.