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Pubbl. Ven, 11 Feb 2022

Le Sezioni unite sul concorso di circostanze eterogeneo nell´ipotesi di reato aggravato da circostanza esclusa dal giudizio di bilanciamento

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Dalila Mara Schirò
Ricercatore (TDA)Università degli Studi di Palermo



Lo scritto si sofferma sulla sentenza n. 42414 del 2021, con la quale le Sezioni unite della Cassazione hanno formulato il seguente principio di diritto: «Le circostanze attenuanti che concorrono sia con circostanze aggravanti soggette a giudizio di comparazione ai sensi dell’art. 69 cod. pen. che con circostanza che invece non lo ammette in modo assoluto devono essere previamente sottoposte a tale giudizio e, se sono ritenute equivalenti, si applica la pena che sarebbe inflitta - per il reato aggravato da circostanza “privilegiata” - se non ricorresse alcuna di dette circostanze».


ENG The paper focuses on the Decision No 42414 of 2021, with which the Joined Chambers of the Court of Cassation formulated the following principle of law: «Le circostanze attenuanti che concorrono sia con circostanze aggravanti soggette a giudizio di comparazione ai sensi dell’art. 69 cod. pen. che con circostanza che invece non lo ammette in modo assoluto devono essere previamente sottoposte a tale giudizio e, se sono ritenute equivalenti, si applica la pena che sarebbe inflitta - per il reato aggravato da circostanza “privilegiata” - se non ricorresse alcuna di dette circostanze».

Sommario: 1. Il quesito sottoposto all’attenzione delle Sezioni unite; 2. Il quadro normativo di riferimento; 3. Il contrasto giurisprudenziale; 4. Il decisum delle Sezioni unite.

1. Il quesito sottoposto all’attenzione delle Sezioni unite

Con sentenza del 29 aprile 2021, n. 42414, le Sezioni unite della Cassazione si sono espresse sul seguente quesito: «Se le circostanze attenuanti, pur riconosciute in giudizio di equivalenza nel bilanciamento con circostanze aggravanti non privilegiate, debbano produrre in ogni caso il proprio effetto di attenuazione della pena risultante dal computo dell’aggravamento dovuto a circostanze aggravanti privilegiate, contestate e ravvisate»[1].

Il quesito trae la propria origine dalla sentenza di condanna, pronunciata dal giudice di primo grado e confermata dal giudice di appello, avverso la quale ricorrevano gli imputati ritenuti responsabili in concorso del delitto di furto in abitazione aggravato, ai sensi degli artt. 110, 624 bis, 625 nn. 2, 4 e 5, e 61 n. 5 c.p. Per quel che qui interessa, uno dei ricorrenti censurava il meccanismo di determinazione del trattamento sanzionatorio adottato dal giudice di merito, il quale, ritenute le circostanze attenuanti generiche, di cui all’art. 62 bis c.p., equivalenti rispetto alla circostanza aggravante della recidiva qualificata, prevista dall’art. 99, comma 4, c.p., aveva effettuato il calcolo della pena muovendo dalla pena base prevista per il delitto di furto aggravato, ex artt. 624 bis e 625 c.p., e applicando soltanto la riduzione di pena prevista per l’accesso al rito abbreviato.

Per comprendere l’esito cui pervengono le Sezioni unite, è indispensabile ricostruire i passaggi fondamentali del percorso logico-argomentativo da esse seguito.

2. Il quadro normativo di riferimento

Nell’affrontare la questione, le Sezioni unite si soffermano preliminarmente sul quadro normativo di riferimento. E richiamano, anzitutto, il comma 4 dell’art. 624 bis c.p., introdotto dalla legge 23 giugno 2017, n. 103, secondo il quale, nelle ipotesi di furto in abitazione (e di furto con strappo) aggravato ai sensi dell’art. 625 c.p., le circostanze attenuanti (escluse le ipotesi di cui agli artt. 98 e 625 bis c.p.) si computano, in assenza di ulteriori circostanze aggravanti, dopo la determinazione della pena per il reato aggravato.

A ben vedere, la fattispecie amplia ulteriormente l’ormai esteso catalogo delle circostanze aggravanti privilegiate, con le quali condivide la medesima struttura[2]. Sottolineano, infatti, le Sezioni unite che il legislatore, nella tipizzazione di dette circostanze, fissa il divieto di prevalenza e di equivalenza delle concorrenti circostanze attenuanti e stabilisce che «le diminuzioni di pena si operano sulla quantità della stessa risultante dall’aumento conseguente alla predetta aggravante».

Tale tecnica normativa - aggiungono le Sezioni unite - recepisce le indicazioni date nel 1985 dalla Consulta, la quale ha escluso la illegittimità costituzionale di una specifica circostanza aggravante privilegiata, chiarendo che, anche rispetto a tale gruppo di circostanze, le attenuanti possono operare, non in forza del giudizio di bilanciamento - il quale resta vietato a favore delle attenuanti - ma alla luce di quanto previsto dall’art. 63, comma 3, c.p., disposizione, quest’ultima, che, con riferimento alla ipotesi di riconoscimento di circostanze ad effetto speciale, stabilisce che l’aumento o la diminuzione di pena conseguenti ad altre circostanze non operino sulla pena ordinaria del reato ma sulla pena stabilita per la anzidetta circostanza[3].

Successivamente, le Sezioni unite concentrano la loro attenzione sull’art. 69 c.p., norma che regola il concorso tra circostanze eterogenee, prevedendo che il giudice, una volta effettuato il bilanciamento tra le richiamate circostanze, possa concludere per l’equivalenza, la prevalenza o la minusvalenza delle attenuanti rispetto alle aggravanti, o viceversa. E ricordano che un limite a tale meccanismo è stato posto dalla legge 5 dicembre 2005, n. 251 (la c.d. ex Cirielli), la quale, modificando l’art. 69, comma 4, c.p., ha fissato il divieto di prevalenza delle attenuanti rispetto alla recidiva reiterata, di cui all’art. 99, comma 4, c.p.

Infine, le Sezioni unite richiamano l’art. 63, comma 3, c.p., il quale dispone che, in presenza di aggravanti ad effetto speciale, l’aumento o la diminuzione per le altre circostanze concorrenti non si applica sulla pena ordinaria del reato, ma sulla pena stabilita per la circostanza stessa, con la precisazione, contenuta nell’art. 63, comma 4, c.p., che, ove si versi in un caso di concorso tra aggravanti ad effetto speciale, opera la regola del computo obbligatorio della circostanza più grave, con possibilità di un aumento facoltativo per la circostanza meno grave, nei limiti di un terzo della pena.

3. Il contrasto giurisprudenziale

Posto in luce il panorama normativo, le Sezioni unite analizzano i principali passaggi delle pronunce dalle quali è scaturito il contrasto giurisprudenziale sottoposto alla loro attenzione, premettendo che tali sentenze si caratterizzano per una differente valutazione delle scansioni temporali del procedimento di calcolo della pena per il reato di furto in abitazione, in presenza di circostanze aggravanti privilegiate e di ulteriori circostanze non privilegiate.

Per un primo indirizzo interpretativo, le circostanze attenuanti ritenute equivalenti rispetto alle circostanze aggravanti non inciderebbero sul computo della pena determinata alla luce della circostanza aggravante privilegiata[4]. In particolare, secondo tale impostazione, poiché il giudizio di bilanciamento opera soltanto tra circostanze attenuanti e aggravanti non privilegiate, con esclusione, dunque, delle circostanze aggravanti privilegiate, la pena determinata per effetto della aggravante privilegiata potrebbe essere diminuita solo laddove il giudizio di bilanciamento si sia concluso considerando prevalente la circostanza attenuante.

Il fondamento di tale indirizzo risiederebbe nella ratio sottesa al “privilegio”: impedire che la circostanza aggravante sia neutralizzata in sede di bilanciamento.

E con specifico riferimento all’ipotesi di furto in abitazione, bisognerebbe seguire la seguente successione temporale: «qualora più circostanze aggravanti ed attenuanti, soggette a giudizio di comparazione, concorrano con la circostanza aggravante ad effetto speciale di cui agli art. 624-bis, terzo comma, e 625 cod. pen. (esclusa dal giudizio di bilanciamento), deve essere previamente effettuato il giudizio di comparazione ex art. 69 cod. pen. e nel caso in cui risultino prevalenti una o più circostanze ad effetto speciale torna applicabile, quanto alla aggravante “privilegiata” di cui agli artt. 624-bis, terzo comma e 625 cod. pen., il regime del cumulo giuridico di cui all’art. 63, quarto comma, cod. pen.»[5]. Diversamente argomentando, infatti, «la sola presenza di una circostanza “privilegiata” determinerebbe una estensione del regime di “privilegio” a tutte le altre circostanze coesistenti, sottraendole al bilanciamento»[6].

Peraltro - ammette la Cassazione nella pronuncia in esame - tale ricostruzione, già più volte confermata[7], troverebbe il suo punto di forza in una sentenza delle stesse Sezioni unite risalente a qualche anno addietro[8]. Nel 2010, infatti, le Sezioni unite, dopo aver sottolineato che, ove ricorrano altre circostanze aggravanti ed attenuanti, il giudizio di bilanciamento deve sempre precedere l’applicazione della circostanza privilegiata, prospettavano tre diverse eventualità, tenuto conto dei possibili esiti della comparazione tra circostanze. In particolare, nella ipotesi di prevalenza delle circostanze attenuanti, le relative riduzioni di pena opererebbero sul quantum di pena risultante dall’aumento previsto ed applicato per l’aggravante privilegiata, resa in tal modo pienamente operativa. In caso di equivalenza delle circostanze, invece, le attenuanti non inciderebbero sulla pena determinata dall’aggravante privilegiata. Le disposizioni di cui all’art. 63, commi 3 e 4, c.p. troverebbero applicazione solo nei casi di prevalenza delle aggravanti.

Per un opposto orientamento, invece, alla pena modulata per effetto della aggravante privilegiata andrebbe applicata la diminuzione connessa alle attenuanti anche qualora queste ultime siano considerate equivalenti in sede di bilanciamento rispetto ad aggravanti diverse da quella privilegiata[9]. Dunque, l’effetto mitigatore delle attenuanti sulla aggravante privilegiata non andrebbe mai reso nullo, fatta salva l’ipotesi in cui, al termine del giudizio di bilanciamento, l’attenuante sia risultata soccombente; e ciò nel rispetto del principio di proporzionalità della pena[10]. Il giudizio di comparazione andrebbe scisso e riservato alle sole circostanze non privilegiate e verrebbe così garantita per ogni circostanza aggravante privilegiata l’applicazione della propria disciplina di riferimento nel rapporto con le attenuanti ravvisate[11].

Tale indirizzo, confermato da alcune successive pronunce della Cassazione[12], poggerebbe su una interpretazione costituzionalmente orientata della disciplina dei rapporti tra circostanze “privilegiate” e circostanze prive di “privilegio”, in forza della quale le norme che riconoscono il “privilegio” ad alcune aggravanti «possono e devono dunque essere interpretate nel senso per cui, una volta sottratta l’aggravante ad un compiuto giudizio di bilanciamento, comunque sulla pena determinata in ragione dell’aumento applicato per la stessa deve essere calcolata la diminuzione per le eventuali attenuanti riconosciute, ancorché queste siano state separatamente assorbite con giudizio di equivalenza nel bilanciamento con altre aggravanti non privilegiate»[13].

E con peculiare riferimento al delitto di furto in abitazione, occorrerebbe procedere come segue: «qualora più circostanze aggravanti ed attenuanti soggette a giudizio di comparazione concorrano con la circostanza aggravante privilegiata di cui agli artt. 624-bis, terzo comma, e 625 cod. pen., sulla pena determinata in ragione dell’aumento applicato per questa, sottratta al giudizio di comparazione, deve essere calcolata la diminuzione per le eventuali attenuanti riconosciute, ancorché queste siano state separatamente assorbite con giudizio di equivalenza nel bilanciamento con altre aggravanti non privilegiate»[14].

4. Il decisum delle Sezioni unite

Dopo avere ricostruito il contesto normativo e giurisprudenziale all’interno del quale la questione si colloca, con la sentenza in esame le Sezioni unite della Cassazione aderiscono al primo dei due indirizzi interpretativi appena richiamati.

Ma, prima di formulare il principio di diritto cui pervengono, le Sezioni unite si preoccupano di mettere in evidenza quanto la soluzione del quesito richieda una riflessione sui rapporti che corrono, nella delicata materia, tra il principio di legalità e la discrezionalità giudiziale. Nella lettura della Suprema Corte, infatti, proprio la relazione tra i due poli appena richiamati avrebbe caratterizzato le modificazioni normative riguardanti le circostanze del reato.

L’originaria formulazione dell’art. 69 c.p. escludeva, invero, dal giudizio di bilanciamento le circostanze aggravanti per le quali la legge stabiliva una pena di specie diversa o determinava la misura della pena in modo indipendente da quella ordinaria prevista per il reato (circostanze indipendenti o ad effetto speciale). Ma, in séguito, con d.l. 11 aprile 1974, n. 99, convertito dalla l. 7 giugno 1974, n. 220, anche le richiamate circostanze venivano sottoposte al giudizio di comparazione, di cui all’art. 69 c.p., così estendendo la sfera di discrezionalità dell’autorità giudicante. Successivamente, tuttavia, il legislatore limitava nuovamente i margini di manovra del giudice estromettendo dal meccanismo di cui all’art. 69 c.p. alcune circostanze aggravanti, qualificate quali “privilegiate”, e così imponendogli di tenere conto delle eventuali attenuanti solo dopo avere applicato l’aggravamento di pena previsto per le innanzi richiamate aggravanti.

Nel ribadire la conformità della deroga al dettato costituzionale[15], confermata anche di recente[16], le Sezioni unite sottolineano che, ravvisati gli elementi costitutivi di una circostanza aggravante privilegiata, il giudice è tenuto a rispettare il meccanismo di calcolo della pena previsto dalla specifica disposizione e, in presenza di altre circostanze eterogenee, non potrà optare per un percorso di commisurazione diverso da quello segnato dagli artt. 63 e 69 c.p.

E tutto ciò vale, sempre ad avviso delle Sezioni unite, anche nella ipotesi in cui - come accade nel caso di specie - a concorrere con l’aggravante privilegiata prevista dall’art. 624 bis c.p. sia la recidiva reiterata di cui all’art. 99, comma 4, c.p.[17]

Dunque, alla luce del percorso sinteticamente ricostruito, le Sezioni unite formulano il seguente principio di diritto: «Le circostanze attenuanti che concorrono sia con circostanze aggravanti soggette a giudizio di comparazione ai sensi dell'art. 69 cod. pen. che con circostanza che invece non lo ammette in modo assoluto, devono essere previamente sottoposte a tale giudizio e, se sono ritenute equivalenti, si applica la pena che sarebbe inflitta - per il reato aggravato da circostanza "privilegiata" - se non ricorresse alcuna di dette circostanze»


Note e riferimenti bibliografici

[1] Il testo della sentenza richiamata nel testo è integralmente consultabile in www.cortedicassazione.it ed in Sistema penale, 22 novembre 2021.

[2] A titolo esemplificativo, è possibile richiamare quali prime ipotesi inserite nel catalogo quelle racchiuse nelle seguenti disposizioni: art. 1, comma 3, d.l. 15 dicembre 1979, n. 625, convertito dalla l. 6 febbraio 1980, n. 15; art. 280, comma 5, c.p.; art. 280 bis, comma 5, c.p.; art. 15 quater d.l. 26 novembre 1980, n. 776, convertito dalla l. 22 dicembre 1980, n. 874. Sulla esclusione delle circostanze del reato dal giudizio di bilanciamento di cui all’art. 69 c.p., per tutti, A. Peccioli, Le circostanze privilegiate nel giudizio di bilanciamento, Giappichelli, Torino, 2010. Per alcune più recenti considerazioni sul tema, volendo, cfr. D.M. Schirò, Circostanze aggravanti del reato, in Digesto pen., Agg., vol. XI, Utet, Torino, 2021, 90.

[3] Il riferimento è a Corte cost., 7 febbraio 1985, n. 38, e a Corte cost., 28 giugno 1985, n. 194, entrambe consultabili in www.cortecostituzionale.it. Per un commento: G. De Vero, Concorso di circostanze eterogenee ed attentato per finalità di terrorismo o di eversione con esito mortale nella più recente giurisprudenza della Corte costituzionale, in Riv. it. dir. proc. pen., 1986, 1294.

[4] Cass. pen., sez. V, 17 settembre 2018, n. 47519, in C.E.D. Cass., rv. 274181-01.

[5] Cass. pen., sez. V, 17 settembre 2018, n. 47519, cit.

[6] Ancora, Cass. pen., sez. V, 17 settembre 2018, n. 47519, cit.

[7] Tra le altre, Cass. pen., sez. II, 17 aprile 2018, n. 36870, in C.E.D. Cass., rv. 273431.

[8] Cass. pen., Sez. un., 25 febbraio 2010, n. 10713, in C.E.D. Cass., rv. 245930.

[9] Cass. pen., sez. V, 26 febbraio 2020, n. 19083, in C.E.D. Cass., rv. 279209-01.

[10] Cass. pen., sez. V, 26 febbraio 2020, n. 19083, cit.

[11] Cass. pen., sez. V, 26 febbraio 2020, n. 19083, cit.

[12] Di recente, Cass. pen., sez. V, 13 gennaio 2021, n. 7246, in C.E.D. Cass., rv. 280475-01.

[13] Cass. pen., sez. V, 26 febbraio 2020, n. 19083, cit.

[14] Cass. pen., sez. V, 26 febbraio 2020, n. 19083, cit.

[15] Corte cost., 7 febbraio 1985, n. 38, cit.

[16] Corte cost., 19 febbraio 2019, n. 88, in www.cortecostituzionale.it.

[17] In argomento, Corte cost., 12 maggio 2021, n. 117, in www.cortecostituzionale.it.