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Pubbl. Ven, 18 Feb 2022

Il codice di Giustiniano e la sua influenza sul diritto europeo moderno

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Fabio Tarantini



Lo studio del Corpus Iuris Civilis è stato oggetto di numerosi approfondimenti da parte degli storici i quali ne hanno analizzato e studiato i singoli componenti tra cui il Codex Iustinianus, una raccolta di leggi in dodici libri, composta oltre che dall’imperatore da altri giuristi di nota fama e pubblicata nel 529. Il Codex Iustinianus, insieme al Digesto, alle Istituzioni e alle Novelle, sarebbe andato a comporre il Corpus Iuris civilis, la prima opera della storia finalizzata a raccogliere i testi fondamentali del diritto romano.


ENG The study of Corpus Iuris Civilis has been the subject of numerous investigations by historians who have analyzed and studied its individual components including the Codex Iustinianus, a collection of laws in twelve books, composed not only by the emperor but by other jurists of known fame and published in 529. The Codex Iustinianus, together with the Digest, the Institutions and the Novellas, would go on to compose the Corpus Iuris civilis, the first work in history aimed at collecting the fundamental texts of Roman law.

Sommario: 1. Introduzione; 2. Giustiniano, l'imperatore di Bisanzio; 3. Alcuni concetti preliminari; 4. La redazione del Codex Iustinianus Primus; 5. La seconda edizione del Codice: Codex Repetitae Prelectionis; 6. La questione delle interpolazioni; 7. La ricezione del Corpus Iuris in Europa; 8. Conclusioni.

1. Introduzione

Nel 1908, nel tentativo di realizzare un’ampia analisi del diritto privato romano, il giurista austriaco Ludwig Mitteis indicò in Diocleziano, imperatore dal 284 al 305 d.C., il limite massimo oltre al quale le sue ricerche non potevano avventurarsi e questo in virtù del fatto che tra il diritto dei giuristi classici e quello codificato da Giustiniano emergeva una tale antitesi che ne impediva qualsiasi trattamento sommario[1].

A distanza di qualche decennio, tuttavia, lo studioso Biondo Biondi, approcciandosi al Corpus Iuris Civilis, arrivò a sostenere che «considerando il diritto giustinianeo dal punto di vista storico scompaiono gran parte delle difficoltà che hanno tormentato gli interpreti antichi»[2]

A detta di Biondi, lo spirito del diritto giustinianeo, come realtà storica e volontà legislativa, andava ricercato nelle tendenze generali delle nuove legislazioni alle quali si erano ispirate le costituzioni dello stesso legislatore, così come le interpolazioni più sicure.

Ugualmente, il sistema del diritto giustinianeo avrebbe dovuto ricostruirsi, non tenendo presente tutto il Corpus Iuris ma i nuovi elementi introdotti da Giustiniano, e, in virtù di quelli che erano andati a comporre la linea direttiva di tutta la legislazione, capire e adattare i vecchi principi classici che apparivano rivitalizzati da principi inediti.

Il giurista italiano riferiva che l’interesse precipuo della sua ricerca fosse quello d’indagare la profonda trasformazione del diritto, che si era verificata in Oriente al tempo di Giustiniano e che non si trattava di ridurre in un sistema organico il diritto giuridico classico con l’aggiunta delle innovazioni giustinianee, il che, a suo dire, sarebbe stata un’assurdità storica e dogmatica che non avrebbe garantito nessun risultato, ma quello di evidenziare le novità e le direzioni del nuovo diritto. In tal modo, il diritto classico, lungi dal rappresentare un ostacolo per la ricostruzione del diritto giustinianeo, avrebbe permesso di far risaltare meglio, e nella giusta luce, tutte le trasformazioni e l’essenza stessa del diritto giustinianeo[3].

In seguito, a partire dagli anni Cinquanta, una nuova generazione di studiosi affrontò in modo differente la complessità e la particolarità della materia[4] e, grazie al lavoro di storici e giuristi come Archi, Wieacker, Schindler e Kaser, accanto al fondamentale contributo di Bonini, fu possibile aprire nuovi orizzonti metodologici e di ricerca che permisero di realizzare analisi più approfondite sulla codificazione giustinianea nel tentativo di svelare alcuni nodi ancora oscuri sulla dimensione pratica della legislazione dell’imperatore bizantino[5].

Bonini, in particolare, che ha giocato un ruolo fondamentale nello studio dell’opera legislativa giustinianea, evidenziò come dal progetto dell’imperatore emergesse chiaramente l’assenza di qualsiasi tensione scientifica e la capacità di produrre qualcosa di assolutamente nuovo, capace di dar vita, anche di fronte a materiale difficilmente trasformabile, a una formulazione oggettiva e generale della norma “pura”.

Il carattere pratico della costituzione giustinianea, a detta di Bonini, si trovava confermato dalla costituzione Summa rei publicae che ne ribadiva l’esaustività e l’autosufficienza[6]. Negli ultimi decenni si sono rivelate particolarmente utile le ricerche di studiosi come Bassanelli Sommariva sull’imperatore Giustiniano quale unico creatore e interprete del diritto e dell’autonomia dei giudici[7], o di Barone-Adesì, che si sono focalizzate sulla concezione del potere imperiale e sulla necessità di ulteriori approfondimenti[8].

Grazie ai contributi dei suoi colleghi, Bonini poté affermare che gli studi sull’età giustinianea avevano compiuto un «salto di qualità»[9] e far luce su alcuni elementi fondamentali sulla mentalità e sulle strutture ideologiche che avevano portato Giustiniano a elaborare nuove concezioni giuridiche le quali, nonostante la loro originalità e la presa di distanza rispetto alle formule precedenti, erano riuscite a innestarsi in un tessuto giuridico stratificatosi nel tempo che aveva portato alla stesura del Codex Iuris Civilis[10]

La compilazione del Codex rappresentò, dal punto di vista dello storico delle fonti giuridiche, la conclusione delle vicende che avevano riguardato i documenti in esso confluiti, lasciando, contemporaneamente, in eredità alla cultura giuridica dei posteri, non solo medievale ma anche moderna, un lascito che si sarebbe rivelato fondamentale per edificare i futuri sistemi di diritto privato europeo.

2. Giustiniano, l’imperatore di Bisanzio

Flavius Petrus Sabbatius Iustinianus, noto come Giustiniano I il Grande, fu imperatore di Bisanzio dal 527 al 565 d.C. Personalità complessa ed eclettica, Giustiniano avrebbe rappresentato, a lungo, il volto della “romanità” e con le sue azioni avrebbe segnato in modo indelebile il corso della storia delle generazioni future. Dalle vittorie belliche alla creazione del Corpus Iuris Civilis, passando per la costruzione della Chiesa di Santa Sofia[11], Giustiniano I rese possibile la transizione dall’Età Antica al Medioevo, gesta che sarebbero state rese immortali dalle pagine di storici, amministratori e personaggi che ruotarono intorno alla corte bizantina. 

Procopio di Cesarea, ad esempio, segretario del generale bizantino Belisario, lasciò ampie pagine, ricche di contenuti[12], non solo su Giustiniano e la sua sposa, Teodora, in alcuni casi (specialmente negli Anekdota) estremamente critici[13], ma anche lo storico greco Evagrio di Epifania, nei suoi sei libri di Storia Ecclesiastica, raccogliendo diverse notizie sul periodo che andava dal 431 al 593 d.C., riportò alcune interessanti informazioni sul principato giustinianeo[14], come pure alcuni funzionari bizantini quali Pietro Patrizio o Giovanni Lido, le cui opere, in parte giunte frammentarie, contribuirono a restituire ai posteri non solo la figura dell’imperatore Giustiniano ma anche dell’ambiente della corte bizantina[15]

Un ruolo significativo lo ebbe anche lo storico siro Giovanni Malalas che scrisse una storia in diciotto libri che riguardava tutta la vita dell’imperatore fino al giorno della sua morte[16], come pure Flavio Cresconio Corippo, funzionario degli scrinia (uffici imperiali), che compose un poema in cui celebrava l’inizio del regno di Giustino II, che successe a Giustiniano, e nel quale descrisse numerosi aspetti della vita a Bisanzio negli ultimi giorni del regno di quest’ultimo e sulle sue onoranze funebri[17].

La ricchezza delle fonti permette di tracciare un quadro completo ed esaustivo della vita del grande imperatore bizantino così come di ricostruire e analizzare i passaggi che lo portarono a elaborare il codice che da lui prese il nome. Giustiniano, com’è noto, nacque a Tauresium, l’attuale Taor, vicino alla città di Skopie, nel 482 d.C., geograficamente collocata tra l’Illiria e la Macedonia, una zona all’epoca periferica rispetto al luogo dove si concentrava il potere dell’Impero Romano d’Oriente.

Diversamente dal padre, uomo di umili origini e di modesta estrazione sociale, lo zio materno, Giustino I, era riuscito a entrare nella corte di Bisanzio e, nel volgere di qualche tempo, dopo essere stato nominato ufficiale, poi comandante in capo della guardia degli escubitori (guardie degli imperatori)[18], una volta deceduto il reggente Anastasio I, a essere incoronato imperatore[19].

Grazie alla posizione dello zio, una volta giunto alla corte di Costantinopoli, Giustiniano poté avvalersi di un’eccellente formazione che gli permise di dominare diversi campi del sapere tra cui quello teologico e legislativo e, ben presto, la sua carriera decollò[20] tanto che, tra una carica e l’altra, ottenne il titolo di patricius, per poi, nel 524 d.C., convolare a giuste nozze con Teodora, personaggio, storicamente, molto controverso[21] che giocherà un ruolo non secondario nelle sorti dell’Impero romano d’Oriente[22]. Una parte della storiografia ha sostenuto che, già durante la reggenza dello zio, Giustiniano avesse preso decisioni al suo posto[23], anche se sul punto non tutti gli autori concordano[24].

L’origine e la formazione romano-latina di Giustiniano, affiancata da una forte personalità e da discrete doti intellettuali, contribuirono al successo di molte sue imprese non solo in ambito bellico ma anche politico, giuridico e civile. A detta di Procopio, una volta divenuto imperatore, Giustiniano sarebbe stato stimato e ammirato dai suoi sudditi per il suo comportamento, insolito, di fatto, per un principe che dimostrava poco, o nessun, interesse per i piaceri della vita, privilegiando una condotta sana e spartana[25], ma che, più di tutto, sarebbe stato ricordato dai posteri per la redazione del Codex Iustinianus.

3. Alcuni concetti preliminari 

Il diritto romano, le cui origini affondano nel momento stesso della fondazione di Roma (753 a.C.) alla compilazione giustinianea del VI secolo d.C., non fu un sistema chiuso di norme giuridiche statiche nel tempo e nello spazio, ma, anzi, un meccanismo che andò incontro a cambiamenti, trasformazioni e aggiustamenti a seconda delle necessità e dei momenti storici[26].

Dal che ne consegue che non sia possibile catalogare il diritto romano come un sistema ermetico e immutabile, ma che sia più corretto parlare di vari “diritti romani” che si succedettero in modo coordinato nello spazio e nel tempo. 

All’interno del diritto romano furono elaborati alcuni concetti giuridici fondamentali contrapposti tra loro come diritto e religione (ius fas), giustizia ed equità (iustitia aequitas), diritto pubblico e diritto privato (ius publicum ius privatum), diritto civile e diritto onorario (ius civile ius honorarium), diritto scritto e non scritto (ius scriptum ius non scriptum), diritto comune e diritto singolare (ius comune ius singulare), dottrina e legge (iura leges), così come diritto civile delle genti e diritto naturale (ius civile, ius gentium ius naturale)[27]. Oltre a detti principi fondamentali, bisognerebbe tenere in considerazione i precetti e le tecniche giuridiche elaborate dai giureconsulti romani che raggiunsero il loro massimo livello nel periodo classico[28].

È utile, inoltre, ricordare che il termine ius per i romani indicava il diritto in senso oggettivo, vale a dire, la norma (lex-ius-regula), e in senso soggettivo la facultas, intesa come il potere giuridico che apparteneva, in concreto, a un soggetto di diritto in un determinato momento e che doveva essere inseparabilmente unita all’idea di actio (azione), che consisteva nel potere di andare nei tribunali per chiedere giustizia, di modo che non c’era facultas senza una actio corrispondente[29].

Per quanto riguarda il termine fas, rileva ricordare che si riferiva alle norme di carattere religioso che s’incontravano, nel periodo arcaico, in mano ai pontefici (o, meglio, alla giurisprudenza pontificia)[30].

La giustizia (iustitia), definita dal giureconsulto del periodo classico Ulpiano come «la costante volontà di dare a ciascuno il suo»[31], non fu intesa dai romani in termini di un valore astratto ma come un criterio pratico tramite il quale si realizzava un ordine all’interno della comunità che permetteva di risolvere le questioni portate di fronte ai giudici nei tribunale.

Per quanto riguardava il concetto di aequitas (equità), invece, si riferiva al necessario adeguamento che doveva esserci tra l’esercizio del diritto e il caso concreto, ossia, l’equità era il criterio capace di adattare il diritto alla giustizia[32]. Quasi tutto il diritto romano si caratterizzava per lo sforzo continuo di opporre l’equità, sviluppata dal diritto onorario, all’inequità (iniquitas), proprio del rigoroso diritto civile (ius civile)[33].

Il diritto pubblico (ius publicum) si riferiva, invece, all’organizzazione dello Stato, denominato dai romani Senatus populusquae romanus (SPQR), composto, cioè, dal Senato e dal popolo romano e che Cicerone aveva definito come quel diritto relativo alla città e all’Impero. Ulpiano, da parte sua, aveva considerato il diritto pubblico come corrispondente alle “cose” del popolo romano[34], mentre quello privato (ius privatum) come quello che si riferiva all’utilità dei singoli (privus)[35].

Nonostante l’apparente contraddizione operata da Ulpiano non sembra che nella concezione romana il diritto pubblico non potesse riguardare i singoli o che il privato non potesse avere a che fare con la comunità[36].

L’antica Roma fu creatrice anche del diritto civile (ius civile) e di tutte quelle norme in grado di fornire una guida di condotta ai cittadini[37]. In seguito, nella pratica giuridica, i magistrati incaricati di applicare il diritto, specialmente i pretori e gli edili, furono provvisti di una facoltà (ius edicendi) per presentare ricorsi procedurali sui quali regolare il proprio lavoro e, così facendo, potevano confermare, correggere o intervenire laddove il diritto civile si fosse dimostrato carente, creando un diritto parallelo, detto onorario (ius honorum), così denominato dalla carica dei due pretori[38].

È utile ricordare che il pretore, con una certa frequenza, s’ispirava al diritto delle genti, ossia, a quei principi generalmente accettati dai popoli del bacino mediterranee e che, in questo modo, il magistrato, attraverso il suo ius edicendi, divenne uno dei più significativi e decisivi vettori nella formazione del diritto romano[39].

Le controversie tra cittadini romani e stranieri, portate davanti al pretore peregrino (praetor peregrinus)[40], fornirono l’occasione affinché, attraverso la loro figura, s’inserissero delle norme del diritto delle genti, realizzando, così, una vera e propria universalizzazione del diritto. Saranno le Instituciones di Giustiniano a stabilire che al diritto scritto appartenessero tutte le fonti del diritto romano, fatta eccezione per le consuetudini, che, le stesse, definirono come il diritto confermato dall’uso (diritto delle genti) e al quale fu assegnato il nome di ius non scriptum[41].

Il diritto comune (ius commune), anche detto generale, reggeva, seppure in forma astratta, una serie illimitata di casi. Tuttavia, di fronte a una realtà la cui mutevolezza e la cui varietà non sembrava poter essere preventivamente ipotizzata, i legislatori romani si trovarono di fronte alla necessità di elaborare un nuovo diritto, lo ius singulare (singolare) che andava a regolare, rispetto a quello comune, dei casi particolari e specifici. Così, ad esempio, se era generalmente possibile effettuare, secondo la legge, delle donazioni, restava vietato tra coniugi per evitare l’uno si avvantaggiasse dell’altro[42].

Infine rileva ricordare la dicotomia tra iura leges[43] che servì per operare una distinzione tra le interpretazioni del diritto operate dai giureconsulti romani (iura), in seguito raccolte nel Digesto (la parte più sostanziosa del Corpus Iuris Civilis) dalle costituzioni imperiali (leges) che confluirono, più tardi, nelle codificazioni pre-giustinianee (codice Gregoriano, 291 d.C.), Ermogeniano (324 d.C.) e Teodosiano (438 d.C.), basi, insieme alle costituzioni imperiali post-teodosiane, dell’elaborazione del codice di Giustiano, altra parte di quell’immensa opera che fu il Corpus Iuris Civilis.

4. La redazione del Codex Iustinianus primus

Giustiniano fu il primo imperatore della storia romana che riuscì a portare a termine un’impresa prima di lui tentata da Teodosio II con la redazione del Codex Theodosianus; l’imperatore bizantino, infatti, fu in grado di raccogliere tutto il diritto romano nei suoi due aspetti fondamentali di iura[44] e di leges[45]Fondamentale nella compilazione del Codex fu la collaborazione, insieme ad altri compilatori e curatori, del fidato Triboniano, all’epoca quaestor sacri palatii[46].

Nonostante, dunque, il Codice fu un’opera collettiva, Giustiniano fu considerato dagli storici l’anima stessa del progetto, anche se, nei fatti, non fu un legislatore più di quanto non lo sarebbe stato Napoleone[47].

Giustiniano riteneva di avere una missione da compiere che riguardava il binomio arma et leges[48]nel senso che, prima di tutto, doveva restituire all’Impero i vecchi confini e, secondo, riunire tutta la legislazione romana in un unico corpo[49]. Si trattava, di fatto, di un vasto piano che racchiudeva i principi della cosiddetta Rinovatio Imperii[50]quel progetto ideologico-politico che aveva alla base il sogno di restaurare l’antica grandezza dell’Impero con capitale Costantinopoli[51].

Giustiniano, come si è detto, salì al trono il 1° agosto 527 d.C. e, di fatto, a distanza di soli sei mesi, con la costituzione De novo codice, pubblicata il 13 febbraio 528 d.C., meglio nota come Haec quae necessario[52],rivolgendosi al Senato di Costantinopoli, annunciò il suo primo progetto giuridico ossia quello di raccogliere e riordinare le costituzioni imperiali contenute nei codici Gregoriano, Ermogeniano, Teodosiano e leggi successive. 

Per portare a termine i suoi progetti, Giustiniano nominò una commissione legislativa presieduta dall’ex quaestor sacri palatii Giovanni, forse Giovanni di Cappadocia[53], e composta da altri sei uomini illustri (Leone, Foca, Basilide, Tommaso, Triboniano e Costantino)[54]. In poco meno di un anno l’opera fu terminata e la costituzione Summa rei publicae (De Iustinianeo codice confirmando), del 7 aprile 529 d. C., legittimava l’entrata in vigore del Codex a partire dal 16 aprile dello stesso anno.

Tale costituzione, rispetto a una dimensione strettamente giuridica ne presentava una politica più ampi[55] e il testo, indirizzato al prefetto pretorio Menna, iniziava con la conferma che la Summa rei publicae tuitio «de stirpe duarum rerum, armorum atque legum, veniens, vimque suam exinde muniens, felix Romanorum genus omnibus anteponi nationibus […]»[56].

Nella costituzione furono, in linea di massima, riprodotti i motivi addotti nella Haec sui fini pratici della compilazione, furono ribadite le fonti dell’opera e la commissione che se ne è occupata (specificando i nuovi incarichi che alcuni membri avevano nel frattempo ottenuto)[57].

L’aspetto più significativo della costituzione consisteva nell’affermazione dell’esaustività dell’autosufficienza della nuova codificazione, «Haec, quae necessario corrigenda esse multis retro principibus bisa sunt, interea temen nullus eorum hoc ad effectum ducere ausus est, in praesenti rebus donare communibus auxilio dei onnipotentis censuimus et prolixitatem litium amputare, multitudine quidem constitutionum, quae tribus codicibus Gregoriano et Hermogeniano atque Theodosiano continebantur, illarum etiam, quae post eosdem codices a Theodosio divinae recordationis aliisque post eum retro principibus, a nostra etiam clementia positae sunt […]»[58].

Nel periodo successivo, l’attività legislativa proseguì ininterrottamente e, tra il 529 e il 530 d.C., sotto la direzione di Triboniano, fu iniziata la stesura del Digesto con la costituzione Deo Auctore[59]La compilazione del ius fu elaborata in poco tempo e pubblicata il 16 dicembre 533 d.C. con la costituzione Tanta Summa rei publicae, redatta in latino e in greco, indirizzata al Senato e a tutti i popoli, entrando, quindi, in vigore il 30 dicembre dello stesso anno con il nome di Digesta (da digerere) o Pandectae. La stessa terminologia era stata precedentemente utilizzata dai giuristi classici per riferirsi a opere nelle quali si univano istituzioni tratte da fonti diverse[60].

Durante la redazione del Digesto, Giustiniano diede ordine a Triboniano affinché, insieme a Teofilo e Doroteo redigessero, come era stato annunciato nel Deo auctore, un trattato elementare che servisse come libro di testo per gli studenti di diritto: le Istituzioni (o Instituta), un piccolo manuale che fu pubblicato con la costituzione Imperatoriam maiestatem del 21 novembre 533 d.C.[61], ancor prima della pubblicazione del Digesto. L’opera, che fu diretta alla cupidae legum iuventus, s’ispirò sia nel nome, nel sistema e nella divisione in quattro libri, al modello delle Istituzioni di Gaio. Nel proemio della Imperatoriam, inoltre, si fece allusione all’ormai noto binomio di arma leges quali fondamento della imperatoria maiestas[62].

Per quanto riguardava la struttura, il Codice apparve composto da dodici libri[63] suddivisi in titoli o rubriche. I libri furono divisi in costituzioni (in ordine cronologico) accompagnate ciascuna da un’iscrizione nella quale appariva il nome dell’imperatore che l’aveva promulgata e l’indicazione del soggetto o dell’autorità alla quale era stata indirizzata; quindi, l’indicazione di data e luogo in cui sarebbe entrata in vigore. In genere le leggi presentavano una divisione scolastica in principi e paragrafi[64]. Il primo libro trattava delle fonti del diritto e degli officia delle autorità imperiali, preceduti, però, dalla normativa riguardante i rapporti tra la Chiesa e lo Stato; dal libro secondo all’ottavo furono sviluppati argomenti connessi al diritto privato, il libro nono fu dedicato al diritto penale e gli ultimi a quello finanziario e amministrativo.

Nonostante il risultato finale fu, certamente, di grande pregio, la prima edizione del Codice presentò significative lacune tali da richiedere una seconda edizione.

5. La Seconda edizione del Codice: Codex Repetitae Prelectionis

Tra i vari problemi lasciati insoluti dalla prima edizione del Codex vi era quella di non includere le leges che, nel frattempo, erano state emanate per risolvere i problemi sollevati dalle iura e di non fornire certezze neppure sulla collocazione di alcune leggi. Le tante questioni non risolte nella prima edizione convinsero a emanare una emendatio del Codice con la costituzione Cordi del 16 novembre 534 d.C. (De emendatione codicis Iustinianesi et secunda eius editione), diretta al Senato di Costantinopoli e che entrò in vigore il 29 dello stesso mese e anno. Nell’inscriptio di tale costituzione, Giustiniano si presentò come un imperatore romano circondato da tutta la sua magnificenza e da tutti i suoi attributi; un uomo che aveva brillantemente superato la rivolta del gennaio del 532 d.C., conquistato con successo l’Africa e portato a termine le compilazioni. Giustiniano, di fatto, aveva raggiunto il culmine del suo potere, come risultava dalla inscriptio della legge[65].

Il nuovo Codice, che andò a sostituire il precedente (che è andato perduto)[66], appariva nella composizione del tutto simile al precedente; composto da dodici libri, suddivisi in titoli o rubriche all’interno delle quali si trovavano le leggi, ordinate in modo cronologico ascendente, con la sua inscriptio subscriptio. 

Nelle leges, invece, si trovavano il principium e i successivi paragrafi; una parte delle costituzioni erano state redatte in greco (sebbene la minoranza) e la restante maggioranza in latino. La legge più antica risultava essere stata scritta da Adriano (seppure non ne venisse fornita la data)[67], mentre quella più recente di Giustiniano[68] (datata 4 novembre del 534 d.C., indirizzata all’imperatore Epifanio, arcivescovo di Costantinopoli). Nel Codex, inoltre, apparivano numerose le costituzioni dei Severi e, soprattutto, quelle di Diocleziano, specialmente quelle scritte tra il 293-294 d.C., estratte dal Codice Ermogeniano. 

L’opera, realizzata in sei anni, rappresentò un obiettivo straordinario e un monumento della romanità, sebbene fossero ancora presenti diverse lacune (come ripetizioni ed elementi di contraddittorietà tra una legge e l’altra), il quale, tuttavia, avrebbe richiesto un costante aggiornamento in considerazione delle continue trasformazioni cui era soggetto l’Impero Romano che costrinsero l’imperatore a un costante dinamismo legislativo. Le nuove costituzioni, che furono promulgate dal 535 al 565 d.C., particolarmente numerose tra il 535 e il 540, furono note come Novellae Constituciones o, semplicemente, Novellae.

La costituzione Cordi, in particolare, indicò i gruppi di leggi che restavano escluse dal primo Codice: la quinquaginta decisiones (cinquantesima decisione)[69] e una serie di costituzioni ad commodum propositi operi pertinentes, destinate a preparare il diritto antico per la stesura del Digesto[70]; il carattere dispersivo del materiale impose la necessità di aliqua permutatio vel emendatio di alcune leggi a causa di fatti avvenuti in seguito alla loro promulgazione.

La commissione, composta da Triboniano, il precedessore beritense Doroteo e tre avvocati del tribunale di Costantinopoli (Mena, Costantino e Giovanni), assunse come missione quella di raccogliere le nuove costituzioni, dividerle in capitoli e collocarle sotto i titoli più opportuni. Nel terzo paragrafo si specificava che si potevano introdurre le necessarie modifiche per eliminarle dal primo Codice, ex prioris codicis congregationem separare, le costituzioni superflue o superate da successivi interventi imperiali e quelle che risultavano simili, o contraddittorie, tra loro, per completare quelle che presentavano delle lacune e chiarirne i punti oscuri.

L’obiettivo finale non era solo quello di preparare la strada per la compilazione del Digesto e delle Istituzioni, ma anche di fornire dei chiarimenti sulle stesse leggi in modo da non lasciare alcun dubbio sulla validità della seconda edizione del Codex.

Per quanto riguarda la terminologia repetita praelactio, rileva ricordare che fu adottata per i libri giustinianei ad Sabinum, aggiunti alla seconda edizione[71]. Nel quarto paragrafo si chiariva che i progetti erano stati realizzati seguendo le istruzioni e, di conseguenza, si riconosceva un valore legislativo a una norma che sarebbe entrata in vigore e utilizzata in tutti i giudizi, in omnibus iudiciis, a partire dal 29 dicembre del 534 d.C. A partire da quella data, infatti, avrebbero perso vigore le costituzioni non comprese in quel codice, salvo, ovviamente, le nuove che sarebbero state raccolte in seguito in alia congregatio e alle quali si diede il nome di Novellae constitutiones. 

Nel quinto paragrafo si proibiva l’uso, in quanto ritenuto stravagante, della cinquantesima decisione (quincuaginta decisiones) e delle altre costituzioni giustinianee, così come il primo Codice e, ugualmente, si vietava fare e usare le abbreviazioni. Il paragrafo settimo, invece, spiegava che l’imperatore aveva diretto la costituzione al Senato in modo che fosse chiaro ai sanctissimi atque florentissimi patres gli sforzi e l’attenzione dedicata da Giustiniano alla legge.

Nella maggior parte dei casi, le nuove leggi inserite nella seconda edizione del Codice[72] si riferirono alla riorganizzazione dell’Africa, da poco vinta ai Vandali, altre di natura privatistica o relativa alle relazioni tra Stato e Chiesta, compresa la vita ecclesiastica e il dogma religioso. La maggior parte delle nuove norme, di fatto, rientravano nello spirito della restaurazione giustinianea che agiva come fattore moltiplicatore delle iniziative legislative e conferiva un insolito fervore a tutti i corpi pubblici[73].

La redazione del secondo Codice, a livello storiografico, ha posto due serie di problemi. Da una parte, infatti, ha sollevato la questione inerente alle relazioni tra il primo Codice, il cui originale è andato praticamente perduto, e, dall’altra, quella riguardante le differenze e le similitudini tra il secondo Codice giustinianeo e il Codice Teodosiano. Rispetto al primo punto è noto, grazie al papiro Oxyrrinco 1814[74] che, nel primo Codice, si trovavano le leggi delle citazioni, superate dalla pubblicazione del Digesto, e, inoltre lo spostamento del titolo sull’asilo ecclesiastico che nella prima compilazione si trovava, come nel Codice Teodosiano, alla fine del libro nono, dedicato al diritto penale, mentre nel secondo Codice veniva inserito nella parte dedicata al diritto ecclesiastico[75].

È probabile che lo stesso spostamento dal libro nono al primo lo abbia subito il titolo riguardante l’asilo[76]de his qui ad estatuas confungiunt, insieme agli officia imperiali. Neppure si possono escludere cambiamenti nelle rubriche e neppure modificazioni introdotte ex novo in determinati testi. Allo stato attuale della ricerca si può solo ipotizzare l’esistenza di differenze abbastanza significative, soprattutto con riguardo ai rapporti (dette interpolazioni) tra il Codice Teodosiano e quello di Giustiniano[77].

6. La questione delle interpolazioni

Le interpolazioni furono alterazioni introdotte nei testi dei giureconsulti classici e nei rescritti dei precedenti imperatori dai compilatori giustinianei con l’obiettivo di adattarli al diritto dell’Impero del VI secolo[78]. L’imperatore di Bisanzio riconobbe soprattutto l’importanza dei cambiamenti introdotti nei testi classici e post-classici il cui studio richiese di seguire diversi criteri[79] tra cui quello testuale, logico, storico, filologico, diplomatico, sistematico e metodologico. L’analisi dei cambiamenti introdotti dai compilatori giustinianei risale al XVI secolo e ha lasciato, ancora oggi, diversi interrogativi senza risposta[80] nonostante gli ottimi risultati degli studi critici realizzati nel XX secolo da prestigiosi specialisti[81].

Il fatto che i testi teodosiani fossero stati utilizzati da compilatori giustinianei e liberamente modificati per adattarsi alle nuove esigenze, risultava da un’ammissione stessa dell’imperatore, soprattutto nella costituzione Tanta dove dichiarava che «Tanta autem a nobis antiquitati habita est reverentia, ut nomina prudentium taciturnitati tradere nullo patiamur modo, sed unusquisque eorum, qui auctor legis fuit, nostris Digestis inscriptus: hoc tantummodo a nobis effecto, ut, si quid in legibus eorum vel supervacuum vel imperfetum vel minus idoneum visum est, vel adiectionem vel deminutionem necessarian accipiat et rectissimis tradatur regulis»[82]. Il passo proseguiva specificando che, laddove ci si trovasse di fronte a passaggi simili o contradditori, si sarebbe risolto in modo che il risultato fosse il più chiaro possibile tale da non sollevare ulteriori dubbi.

Di fatto, nella costituzione Haec quae necessario, De Novo Codice Faciendo si chiariva che il lavoro sarebbe iniziato dai tre codici, Gregoriano, Ermogeniano e Teodosiano, così come dalle Novelle Post-teodosiane, che bisognava, prima di tutto, eliminare i proemi superflui, sia quelli simili sia quelli contraddittori, praefationibus, quam similibus et contrariis, le leggi che erano cadute in disuso, quae in desuentudinem abierunt, aggiungere, sopprimere e cambiare le parole di quelle leggi qualora la materia lo richiedesse[83].

Furono riunite in una sola sanzione le disposizioni che si trovavano disperse in varie costituzioni per rendere più chiaro il loro significato e, ugualmente, se il soggetto della costituzione lo avesse imposto, questa sarebbe potuta apparire in due diversi libri senza che ciò andasse interpretato come una mancanza di attenzione da parte dei compilatori.

Secondo le attuali conoscenze, i compilatori giustinianei fecero ampio uso della facoltà loro riconosciuta dall’imperatore di aggiungere ed eliminare secondo il loro giudizio parti ritenute ridondanti, obsolete o poco chiare, dimostrandosi peraltro estremamente abili nell’evitare ripetizioni. Moltissime costituzioni, di fatto, subirono diverse modificazioni nel passaggio dal Codice teodesiano a quello giustinianeo e, in molti casi, alcuni principi giuridici furono introdotti nel Digesto, in quanto attribuiti a giuristi di epoche precedenti[84]. Per tale motivo l’opera di Giustiniano è stata definita una sorta di grande “mosaico letterario”[85]

Le modificazioni introdotte nelle compilazioni furono definite dagli studiosi rinascimentali emblemata Triboniani, con chiara allusione a chi già in epoca giustinianea si considerava autore dei cambiamenti, per poi essere indicati dalla storiografia moderna come “interpolazioni”; inizialmente, di fatto, quando lo studio della compilazione giustinianea si occupò di individuare i principi e il sistema di diritto all’epoca vigente, le ricerche delle interpolazioni per la ricostruzione del pensiero originale del giurista ebbero scarso interesse per gli studiosi[86] ma, in seguito, assunsero un’importanza sempre più nodale.

Quando l’opera legislativa giustinianea iniziò a essere c considerata come la somma di un materiale proveniente da epoche diverse, e capace di riflettere l’evoluzione millenaria del diritto romano, fu chiaro che lo studio delle interpolazioni avrebbe giocato un ruolo fondamentale nell’analisi dei testi del Corpus Iuris Civilis e della loro comprensione. La moltiplicazione di studi, a quel punto, portò all’emersione di molteplici modificazioni la cui individuazione permise di fissare criteri generali di analisi che portò all’individuazione di tutti quei concetti e di tutte quelle espressioni che erano state alterate dai compilatori giustinianei[87].

Lauro Chiazzese, ad esempio, uno dei primi studiosi a realizzare uno studio complessivo delle interpolazioni presenti nel Corpus Iuris Civilis[88], ha operato un confronto testuale tra due principali tipi d’interpolazioni: formales substanciales, includendo nel primo gruppo le «interpolazioni di adattamento, esplicative, legislative, integrative, semplificative e voluttuarie» e, nel secondo, quelle che avevano come causa «caduta della procedura formulare, fusione degli ordinamenti giuridici classici, fusione di singoli istituti e mezzi processuali, caduta del ius civile, cristianesimo, sviluppo politico-costituzionale ed economico-sociale, generalizzazione, risoluzione, legislativa di controversie classiche e sviluppi giurisprudenziali e costituzionali imperiali»[89].

Gli studiosi, quando hanno potuto confrontare il testo giustinianeo con quello conservato in una fonte precedente, si sono trovati di fronte alla possibilità di adottare diversi criteri per individuare le interpolazioni (storico, logico, logico-giuridico, esegetico o filologico), senza dimenticare, tuttavia, che non tutte le interpolazioni apprezzabili erano giustinianee e che, nella maggior parte dei casi erano state introdotte dagli insegnanti delle scuole post-classiche. Numerosi studi hanno dimostrato che i testi utilizzati dai curatori giustinianei avessero già sofferto di alterazioni prima del loro intervento e che fossero stati alterati da glosse interlineari o marginali aggiunte in epoca post-classica[90].

Tra queste interpolazioni pregiustinianee[91], tuttavia, bisognerebbe operare una distinzione tra le glosse, ossia le note inserite nel testo per disattenzione del copista e, dall’altra, le vere interpolazioni, ossia le modifiche intenzionali, il che, naturalmente, pone allo storico una serie di problemi legati alla datazione, alla natura e all’origine stessa della modifica[92].

Come ha evidenziato Falcone «la maggior parte delle interpolazioni ebbe natura solo formale, funzionale alle esigenze della costruzione della raccolta compilatoria; che le stesse interpolazioni modificative dei contenuti dei testi (interpolazioni “sostanziali”) nella maggior parte dei casi non ebbero portata realmente innovativa, limitandosi ad imporre ai testi soluzioni già operanti in uno degli ordinamenti giuridici classici o già affacciatesi nell’antico dibattito giurisprudenziale; e che queste risultanze, dovendosi ritenere “sintomi di generali direttive seguite dai Commissari di Giustiniano, possono estendersi all’intero lavoro compilatorio, anche là dove non è dato instaurare alcun confronto tra diversi esemplari»[93].

In ogni caso, nonostante il grande lavorio degli storici, restano al vaglio degli studiosi diversi interrogativi che continuano a essere oggetto di approfondimento e di dibattito, il che non toglie che la conoscenza della compilazione e del diritto classico appare, oggi, molto più vicina alla verità storica di quanto lo fosse nella metà del XIX secolo. 

Con o senza interpolazioni, in ogni caso, il Codex di Giustiniano resta un’opera significativa, una pietra miliare tra un prima e un dopo la storia dell’Impero Bizantino e non solo. Il Codex Iustinianus potrebbe certamente essere definito come un prodotto della politica imperiale della prima metà del VI secolo, l’espressione di un imperatore il cui obiettivo era quella di restituire all’Impero Romano le frontiere perse e di unire tutto il territorio sotto la tutela della legislazione romana. Una politica, di fatto, definita dal binomio arma et leges alla quale si sarebbe affianca un’opera legislativa che non aveva precedenti e che avrebbe lasciato un segno indelebile nelle generazioni future.

7. La ricezione del Corpus Iuris Civilis in Europa

Il diritto romano è un prodotto storico che affonda le proprie radici negli albori stessi della formazione della città di Roma, e che ha avuto termine con la morte di Giustiniano; quando, invece, si parla di tradizione romana si fa riferimento a quel processo che è nato con gli studi giuridici di Bologna[94] che hanno reso possibile la ricezione del Diritto Romano in Europa[95] e che hanno dimostrato in che modo l’opera legislativa di Giustiniano sia stata in grado di proiettarsi nelle moderne codificazioni europee. In Occidente, utilizzando una nota frase dello storico russo Paul Vinogradoff, si parla della “seconda vita del Diritto Romano”[96], ossia di quella resa possibile nel corpo altro delle legislazioni europee.

Rileva ricordare che tale passaggio non fu né semplice né scontato ma che, anzi, per potersi realizzare, dovette superare diversi ostacoli tra cui la caduta dell’Impero romano d’Occidente, nel 476 d.C., che portò le popolazioni germaniche a insediarsi nelle antiche province romane tra cui quelle italiane, francesi, spagnole, lusitane o britanniche; i barbari, tuttavia, consapevoli della superiorità della cultura romana, tesero a una progressiva, ma inesorabile, romanizzazione non solo culturale ma anche normativa[97].

Una parte della dottrina ha sostenuto che fu il diritto romano volgare (cioè democratico)[98], e non quello classico, a dominare in Occidente nell’alto Medioevo, trovando la propria base nella Lex Romana Visigothorum[99].

CodiceIstituzioni e Novelle continuarono a essere conosciute, anche se scomparve velocemente l’uso del Digesto il cui ultimo riferimento si trova in una lettera di papa Gregorio del 603 d.C., fino a quando, dopo un oblio di circa quattro secoli, nell’XI secolo, se ne tornò a parlare dopo il ritrovamento dell’omonimo manoscritto[100]. In Spagna e nelle Gallie fu applicata la legge pre-giustinianea, contenuta nella Lex Romana Visigothorum, sebbene non sia certo fino a quando la pratica continuò a essere in uso anche se, secondo lo storico spagnolo Armando Torrent numerosi sarebbero gli indizi che porterebbero a ritenerla ampiamente diffusa a lungo nella prativa, nei costumi e nelle stesse scuola giuridiche occidentali[101].

Il file rouge che lega il diritto romano e, nello specifico, l’opera legislativa di Giustiniano alla modernità e al diritto europeo attraversa i secoli e subisce fortune avverse. Quanto, comunque, del diritto romano sia entrato nella storia europea, lo si deve inizialmente ai medievalisti e, poi, ai modernisti ognuno dei quali adottò una prospettiva e una propria lente di ingrandimento per analizzarne le numerose sfaccettature.

Sebbene l’Illuminismo, foriero di una critica feroce da parte dei riformatori rispetto alla mancanza di una certezza del diritto, abbia reso possibile il passaggio dal diritto comune alle codificazioni[102], sarebbe stata, in seguito, la nascita degli Stati nazionali, e l’idea di uno Stato di diritto nel modello montesquieuiano, a rendere necessaria una presa di distanza nei confronti della “massa caotica” del diritto romano comune, obiettivo, quello, raggiunto solo nel 1804 con il Code Napoléon, il primo corpo organico di norme che, di fatto, cancellavano la stratificazione storificata del diritto comune, richiamando come sue fonti la “natura” e la “ragione”.

In seguito, com’è noto, sarebbero entrati in vigore in Francia, come nel resto dei Paesi europei, codici differenti, fatta eccezione per la Germania dove Federico Carlo di Savigny avrebbe difeso il diritto romano dalla tendenza alla codificazione propugnata dal giurista tedesco Frierich Thibaut, anche se si trattava di una sua versione moderna che, però, faceva riferimento a diversi materiali tratti dalla compilazione giustinianea[103].

Da quel momento il diritto romano è scomparso dalla scena legislativa e giudiziaria europea, ritagliandosi, sostanzialmente, uno spazio accademico. Il che, tuttavia, non impedisce allo storico di trovarne traccia sia nel sistema di civil law sia di common law. Il corpus legislativo di Giustiniano, quindi, sembra essersi dissolto nelle costruzioni dei codici restando declinato in quella “tradizione romanistica” che ha formato culturalmente generazione di giuristi europei e in quei materiali normativi che hanno continuato a rivelare il loro conio nelle fonti romane.

8. Conclusioni

All’imperatore Giustiniano va riconosciuto il merito di aver conservato e trasmesso ai posteri l’enorme patrimonio giuridico accumulato dal diritto fin dalle origini della fondazione di Roma[104]. È noto, infatti, che la maggior parte del Diritto Romano oggi conosciuto derivi dal lavoro di raccolta elaborata per volere dall’imperatore, un materiale preziosissimo sulle cui basi si sono evolute tutte le legislazioni europee. Giustiniano, come si è detto, era nato da una famiglia modesta in una zona periferica dell’Impero Romano d’Oriente, tuttavia, una volta salito al trono, si era da subito fatto notare per la sua politica ambiziosa che prevedeva di ripristinare l’unità e la grandezza dell’Impero Romano attraverso le armi e la legge.

Sebbene Giustiniano non fosse in grado di ricostruire l’unità dell’impero sotto l’egida della religione cristiana, e questo a causa di una serie di problemi che attraversarono l’Impero, sia interni (corruzione) sia esterni (minacce alle frontiere), tuttavia, riuscì a portare a termine un processo di profonda trasformazione del diritto giurisprudenziale, grazie a una sapiente opera di codificazione.

Di fronte a una concezione classica per la quale il diritto “vivente” sorgeva, giorno dopo giorno, attraverso l’interpretazione del giurista, e finiva per imporsi attraverso discussioni, contrasti e soluzioni, Giustiniano s’incaricò di realizzare un’opera di sistematizzazione, compilazione e trasmissione del Diritto Romano manifestando la chiara volontà di apportare alla materia una trasformazione e un’innovazione.

La nascita di un diritto scritto avrebbe permesso ai giuristi di ricorrere, per la risoluzione dei casi, non a decisioni estemporanee spesso dettate dagli umori del caso, ma a uno strumento che avrebbe fornito una guida.

Dall’alto del suo palazzo in Costantinopoli, la “nuova Roma”[105], Giustiniano sognò di restaurare la gloria e l’unità dell’Impero anche attraverso la colossale impresa legislativa e codificatrice. Il Codex, formato da una collezione di costituzioni precedenti, non ci è pervenuto nella sua prima edizione, fatta eccezione per un frammento dell’indice trovato in un papiro che, tuttavia, presenta numerose differenze con la sua seconda edizione dove, come si è detto, furono incluse nuove costituzioni dettate dallo stesso imperatore posteriori al 529 d.C., sarebbe infatti rimasto il suo lascito più significativo. 

La commissione scelta da Giustiniano, diretta soprattutto da Triboniano, uomo colto e brillante, iniziò a operare un’accurata selezione di scritti di antichi giuristi e di leggi dell’età imperiale, con l’obiettivo non tanto di progettare o redigere una nuova legislazione, ragion per cui i suoi membri furono detti “compilatori”, ma per scegliere quei materiali che, a loro giudizio, continuavano a mantenere il loro valore, seppure operando le dovute interpolazioni, per poi raccoglierli (“impilarli”) nella nuova raccolta. Inoltre, con le Istituzioni, la commissione fu incaricata di realizzare un manuale breve per studenti che iniziavano la loro carriera nel diritto.

 Il Digesto, invece, un’antologia di frammenti della letteratura giuridica romana classica, costrinse i compilatori a leggere più di due mila rolli (o volumi) che contenevano circa tre milioni di versus (di tale ingente materiale si proposero di scegliere ciò che nel VI secolo aveva ancora valore) con le loro corrispondenti regole giuridiche, si realizzò un’opera monumentale che avrebbe escluso per sempre il rinvio a materiali estranei alla propria granitica struttura; alla base della sua composizione, infatti, vi fu l’idea che l’antica riflessione dei prudentes (ossia i giuristi che operavano fin dall’età arcaica) andasse selezionata, corretta e recepita in un contenitore ufficiale che sarebbe diventato l’unico al quale sarebbe stata riconosciuta la forza di un diritto in vigore[106].

Nella terza parte del progetto, invece, il Codex, furono riuniti i frammenti di leggi promulgate dagli imperatori romani a partire da Adriano (117-138). Le leggi promulgate dopo il 534 d.C. non furono mai compilate ufficialmente, nonostante quella fosse la volontà dell’imperatore, e alcune delle nuove leggi, emanate dallo stesso Giustiniano o dai suoi successori, furono raggruppate nelle Novellae. 

Il progetto di Giustiniano, in sostanza, portò alla realizzazione della prima grande codificazione scritta del diritto. Il Corpus Iuris Civilis, infatti, rappresenta senza dubbio l’opera giuridica più importante dell’Occidente e, non a caso, è stata considerata la fonte del diritto per eccellenza di tutti i tempi. La sua importanza, di fatto, assume ulteriore valore in virtù del fatto che le legislazioni positive hanno continuato a nutrirsi dei suoi insegnamenti giuridici; basti pensare che dalla grande compilazione dell’imperatore bizantino sono derivati termini come “persona”, “obbligazione”, “contratto”, “proprietà” o “dominio” ma anche “usucapione” e “usufrutto” e tanti altri termini che sarebbero poi confluiti nel linguaggio giuridico europeo.

Non vi sono dubbi, pertanto, sul fatto che il lavoro legislativo realizzato da Giustiniano abbia fornito la base per la maggior parte dei sistemi giuridici dei paesi occidentali. L’imperatore bizantino, infatti, è riuscito nel suo intento di trasmettere il diritto romano ai secoli futuri, così come lo rappresentavano le opere dei grandi giureconsulti. Il Codex giustinianeo, pertanto, va apprezzato soprattutto per il fatto che, mentre il tempo e le barbarie annichilivano in modo irrimediabile l’opera dei giureconsulti romani, il Digesto emendava trattati dove si riconoscevano le doti dei suoi autori.

In ogni caso, il fatto di aver intrapreso un’opera tanto imponente anche in un’epoca di decadenza, e averla portata a termine, non può che essere considerato come indizio di una grande e vivace intelligenza e di una volontà non comune.

In considerazione di ciò, si può certamente affermare che il Corpus Iuris Civilis sia riuscito a trascendere e a sopravvivere nei secoli, trasmettendo un paradigma vivo nella formazione legale e nella cultura giuridica europea attuale. Si tratta, certamente di una delle eredità più preziose lasciate da un imperatore romano alla società del nuovo Millennio.


Note e riferimenti bibliografici

[1] L. Mitteis, Römisches Privatrecht bis auf die Zeit Diokletians, Erster Band. Grundbegriffe und Lehre von den Juristischen Personen, Verlag von Duncker und Humblot, Leipzig, 1908.

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[3] Ivi, p. 19.

[4] H. J. Wolff, Roman Law. An Historical Introduction, University of Oklahoma Press, Norman, 1951.

[5] R. Bonini, Ricerche di diritto giustinianeo, Giuffrè, Milano, 1968.

[6] R. Bonini, Introduzione allo studio dell’età giustinianea, Bologna, 1979, pp. 20-21; ma anche G. G. Archi, La legislazione giustinianea opera di cultura o creazione giuridica?, in “Studia et documenta historiae et iuris”, 51, 1985, pp. 423-448.

[7] G. Bassanelli Sommariva, L’imperatore unico creatore ed interprete delle leggi e l’autonomia del giudice nel diritto Giustinaneo, Giuffrè, Milano, 1983.

[8] G. Barone-Adesì, L’età della «Lex Dei», Jovene, Napoli, 1992.

[9] R. Bonini, Ricerche sulla Legislazione Giustinianea dell’anno 535. NOV. IUSTINIANI 8: venalità delle cariche e riforme dell’amministrazione periferica, Pàtron, Bologna, 1993.

[10] G. Luchetti, La legislazione imperiale nelle istituzioni di Giustiniano, Giuffrè, Milano, 1996; G. G. Archi, La legislazione giustinianea opera di cultura o creazione giuridica? (a proposito del volume di Giuliana Lanata: Legislazione e natura nelle Novelle di Giustiniano), in “Studi sulle fonti del diritto del Tardo Impero Romano. Teodosio II e Giustiniano”, Edes Editrice Democratica Sarda, Cagliari, 1985, pp. 423-448.

[11] M. L. Fobelli, Un tempio per Giustiniano: Santa Sofia di Costantinopoli e la Descrizione di Paolo Silenziario, Viella, Roma, 2018.

[12] Procopio di Cesarea, Opere, Tipi di Francesco Sonzogno, Milano, 1828. 

[13] D. Comparetti, Maldicenze Procopiane I: Giustiniano equiparato a Domiziano, in “Raccolta di Scritti in onore di Giacomo Lumbroso”, Milano, 1925, pp. 58-72; P. Bonfante, Il movente della ‘Storia Arcana’ di Procopio, in “Bollettino dell’Istituto di diritto romano “Vittorio Scialoja”, 41, 1933, pp. 283-287; J. A. S. Evansi, Procopius od Cesarea and the Emperor Justiniani, in “Papers of the Canadian Historical Association”, 1968, pp. 126-139.

[14] Evagrius Scholasticus, Storia Ecclesiastica, a cura di F. Carcione, Città Nuova, Roma, 1998.

[15] G. Ravegnani, La corte di Giustiniano, Jouvence, Milano, 1989, p. 10 e ss.

[16] A. M. Rabello, Giustiniano, Ebrei e Samaritani alla luce delle fonti storico-letterarie, ecclesiastiche e giuridiche, vol. I, Giuffrè, Milano, 1987, pp. 313-434. 

[17] Flavio Cresconio Coripo Juanide, Panegirico de Justino II, trad. a cura di A. Ramirez Tirado, Madrid, 1997.

[18] Svetonio, Nerone, 8; Claudio 42; Otone, 4.

[19] P. Chranis, Church and State in the Later Roman Empire. The Religious Policy of Anastasius the First 491-519, Madison, Wisconsin, 1939; C. Capizzi, L’imperatore Anastasio I (491-518). Studio sulla sua vita, la sua opera e la sua personalità, Pont. Institutum orientalium studiorum, Roma, 1969.

[20] Procopio di Cesarea, Alla storia segreta di Procopio, in Opere, cit., capo XII, p. 6 e ss.

[21] W. H. Holmes, The Age of Justinian and Theodora, G. Bell and Sons, Londres, 1996.

[22] E. Gianturco, L’influenza dell’Imperatrice Teodora nella legislazione giustinianea, in “Studi giuridici in onore di C. Fabba”, IV, Napoli, 1906, pp. 1-12; J. E. Spruit, L’influence de Théodora sur la legislation de Justinien, in “Revue internationale des droits de l’Antiquité”, XXIV, 1977, pp. 386-389.

[23] A. A. Vasiliev, Justin the First: An Introduction to the Epoch of Justinian the Great, Harvard University Press, Cambridge, 19450, pp. 3-4; C. Capizzi, Giustiniano I tra politica e religione, Rubettino, Soveria Mannelli, 1994, p. 29. 

[24] G. Bassanelli, La legislazione processuale di Giustino I (9 luglio 518-agosto 527), in “Studia et documenta historiae et iuris”, XXXVII, 1971, pp. 119-216.

[25] Procopio di Cesarea, Alla storia segreta di Procopio, cit., Capo XVII, pp. 117-118.

[26] F. U. Di Blasi, Sintesi storica del diritto romano, in “Il Foro Italiano”, vol. 72, p.te IV, Monografie e varietà, 1949, pp. 45-48.

[27] L. Di Cintio, «Ordine» e «Ordinamento». Idee e categorie giuridiche nel mondo romano, Led, Milano, 2019.

[28] A. Lovato, S. Puliatti e L. Solidoro, Diritto privato romano, Giappichelli, Torino, 2017, p. 14 e ss.

[29] W. W. Buckland, The Main Institutions of Roman Private Law, Cambridge University Press, Cambridge, 1931, p. 342 e ss.

[30] A. Lovato, S. Puliatti e L. Solidoro, Diritto privato romano, cit., p. 18.

[31] Ulpiano, Dig. I, I, 10 «Iustitia est constans et perpetua voluntas ius suum cuique, tribuendi. Iuris praecepta sunt haec: honeste vivere, alterum non laedere, suum cuique tribuere».

[32] L. Di Cintio, «Ordine» e «Ordinamento», cit., p. 72 e ss.

[33] C. Sanfilippo, Istituzioni di diritto romano, Rubettino, Soveria Mannelli, 2002, p. 43 e ss.

[34] G. Aricò Anselmo, Ius Publicum-Ius Privatum in Ulpiano, Gaio e Cicerone, in “Annali del Seminario Giuridico dell’Università di Palermo”, 37, 1983, pp. 446-784. 

[35] F. Costabile, Temi e problemi dell’evoluzione storica del diritto pubblico romano, Giappichelli, Torino, 2016, p. 75 e ss.

[36] F. Calasso, Ius publicum et ius privatum nel diritto comune classico, Giuffrè, Milano, 1943.

[37] A. Berger, voce Ius civile, in Enclyclopedic Dictionary of Roman Law, new series, vol. 43, p.te 2, The Lawbook Exchante, Clarck, 2004, p. 527.

[38] C. Augusto Cannata, Corso di istituzioni di diritto romano, vol. I, 2001, p. 30 e ss.

[39] F. Arcaria e O. Licrando, Diritto Romano: I. Storia costituzionale di Roma, Giappichelli, Torino, 2014, p. 136 e ss.

[40] F. Serrao, La jurisdictio del pretore preregrino, Giuffrè, Milano, 1954.

[41] C. Augusto Cannata, Corso di Istituzioni di diritto romano II,2, vol. 2, Giappichelli, Torino, 2017, p. 76 e ss.

[42] C. Sanfilippo, Istituzioni di diritto romano, cit., p. 39 e ss.

[43] P. Bianchi, Iura-leges: un’apparente questione terminologica della tarda antichità: storiografia e storia, Giuffrè, Milano, 2007.

[44] C. Russo Ruggieri, Ancora qualche riflessione sulla politica legislativa di Giustiniano in riguardo ai iura al tempo del Novus Codex, in “Annali del Seminario Giuridico dell’Università degli Studi di Palermo”, vol. LVII, 2014, pp. 153-176.

[45] J. Gaudemet, Ius et leges, in “Ius et leges”, I, 1950, pp. 223-252; F. Pringsheim, Some Causes of Codification, in “Revue internationale des droits de l’Antiquité”, XII, 1957, pp. 301-311.

[46] G. Lanata, Legislazione e natura nelle novelle giustinianee, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 1984, pp. 222-245.

[47] G. G. Archi, La valutazione critica del Corpus iuris. Considerazioni di un romanista su problemi di diritto bizantino, in “Rivista italiana per le scienze giuridiche”, 1, 4, 1951, p. 229 (pp. 221-236); P. Collinet, Études historiques sur le droit de Justinien III. La genèse du Digeste, du Code et des Institutes de Justinien, L. Larose & L. Tenin, Paris, 1953, p. 29.

[48] R. Bonini, Ricerche sulla legislazione giustinanea dell’anno 535. Nov. Iustiniani 8: venalità delle cariche e riforme dell’amministrazione periferica, Pàtron, Bologna, 1976, pp. 13-14.

[49] J. W. Barker, Justinian and the Later Roman Empire, University of Wisconsin Press, Madison, 1977, p. 166.

[50] H. Ahrweiler, L’idéologie politique de l’Empire byzantin, in “Revue des études byzantines”, 1976, pp. 343-344.

[51] R. Bonini, Caduta e Riconquista dell’Impero Romano d’Occidente nelle fonti legislative giustinianee, in “Studi sull’età giustinianea”, 1987, pp. 25-27 (pp. 9-33).

[52] A. Cenderelli, Scritti romanistici, a cura di C. Buzzacchi, Giuffrè, Milano, 2011, p. 549 e ss. 

[53] G. Purpura, Giovanni di Cappadocia e la composizione della commissione del primo Codice di Giustiniano, in “Annali del Sem. Giuridico di Palermo, vol. XXXVI, 1976, pp. 49-67.

[54] O. Robleda S. J., Introduzione allo studio del diritto privato romano, Università Gregoriana Editrice, Roma, 1979, p. 297 e ss.

[55] M. Bianchini, Osservazioni minime sulle costituzioni introduttive alla compilazione giustinianea, in “Studi in memoria di Guido Donatuti”, I, 1973, pp. 122-135: M. Benner, The Emperor Says, in “Studia Graeca et Latina Gothoburgensia”, 33, 1975, pp. 127-144. 

[56] Summa rei publicae,§. 1. (P. Krueger (a cura di), Codex Iustinianus Recognovit, in Corpus Iuris Civilis, vol. II, Berolini, Apud Weidmannos, 1888).

[57] Sulle fonti del codice si rimanda a G. Rotondi, Studi sulle fonti del Codice Giustiniano, in V. Arangio-Ruiz (a cura di), Scritti giuridici 1: Studi sulla storia delle fonti e sul diritto pubblico romano, Giuffrè, Milano, 1922, pp. 110-283 per il quale i testi principali erano il Codice Ermogeniano, Gregoriano e Teodosiano.

[58] De novo codice faciendo, I, pr.

[59] A. M. Honoré, How the Digest Commissioners Worked, in “Zeitschrift der Savigny-Stifung für Rechtsgeschichte”, 87, 1970, pp. 246-313.

[60] D. Dalla e R. Lambertini, Istituzioni di diritto romano, Giappichelli, Torino, 2001, p. 36 e ss.; A. G. Luchetti, La produzione normativa, in Schiavone (a cura di), Storia giuridica di Roma, Giappichelli, Torino, 2016, pp. 424 e ss. (pp. 397-436).

[61] R. Verstegen, Justinian to the students and Constitutio Imperatoriam, in “Essays Eric H. Pool”, 2005, pp. 372-374.

[62] L. Berkvens, Imperatoriam maiestatem non solum armis decoratam sed leginus oportet esse armatam…: notes on the influence of Justinian’s institutes on the codification of customary law in the southern Netherlands, in “Viva vox iuris Romani: essays in honour of Johannes Emil Spruit”, 2002, pp. 1-7.

[63] Ch. Diehl, Justinien et la civilisation byzantine au VI siècle, Leorux, Paris, 1901, p. 250.

[64] J. W. Barker, Justinian and the Later Roman Empire, University of Wisconsin Press, Madison, 1977, p. 166.

[65] R. Bonini, I subsidia del vocabolario delle “Leges” di Giustiniano, in “Aegyptus”, a. 55, fasc. 1/4, 1975, pp. 256 (pp. 248-262); L. Bréhier, L’origine del titres impériaux à Byzance, in “Byzantinische Zeitschrift”, vol. 15, fasc. 1, 1906, pp. 161-178; E. Stein, Histoire du Bas Empire. De la disparition de l’Empire d’occident à la mort de Justinien (476-565), De Brouwer, Paris, 1949p. 38, nota 5

[66] P. De Francisci, Frammento di un indice del primo Codice Giustinianeo, in “Aegyptus”, a. 3, n. 1/2, 1922, pp. 68-79; G. G. Archi, Il problema delle fonti del diritto nel sistema romano del IV e V secolo, in Id. (a cura di), Studi sulle fonti del diritto nel tardo impero romano; Teodosio II e Giustiniano, Edes, Cagliari, 1987, pp. 9-97.

[67] CJ. 6.23.1 (senza data).

[68] CJ. 1.4.34 (per un approfondimento critico J. N. Dillon, Conjectures and criticism in Book 1 of the “Codex Iustinianus”, in “The Classical Quarterly”, new series, vol. 65, n. 1, Maggio 2015, pp. 321-343).

[69] A. Schiavone, F. Amarelli e F. Botta, Storia giuridica di Roma, Giappichelli, Torino, 2016, p. 505 e ss.

[70] V. Arangio-Ruiz, Storia del diritto romano, Jovene, Napoli, 1984.

[71] L. De Giovanni, Istituzioni, scienza giuridica, codici nel mondo tardoantico, L’Erma di Bretschneider, Firenze, 2007, p. 463 e ss.

[72] CJ. 1.27.1 e 2.

[73] B. Brugi, voce Codex repetitiae praelections. Quinquaginta decisiones, in L. Lucchini (diretto da), Digesto italiano, vol. VII, p.te II, Utet, Torino, 1902, pp. 400 e ss. (pp. 383-422).

[74] L. De Giovanni, Istituzioni, scienza giuridica, codici nel mondo, cit., p. 465 e ss.

[75] CJ. 1.12.1: De his qui ad ecclesias confugiunt vel ibi exclamant. 

[76] CJ. 1.1.25.

[77] L. Chiazzese, Confronti testuali. Contributo alla dottrina delle interpolazioni giustinianee, p.te Speciale (Materiali), a cura di G. Falcone, Giappichelli, Palermo, 1931.

[78] F. Gallo, A proposito delle interpolazioni nel Digesto, in F. Zuccotti e M. A. Fenocchio (a cura di), A Pierluigi Zannini. Scritti di diritto romano e giusantichisti, Ledizioni, Torino, 2018, pp. 9-12.

[79] A. Marchi, Le interpolazioni risultanti dal confronto tra il Gregoriano, l’Ermogeniano, il Teodosiano, le Novelle Posteodosiane e il Codice Giustinianeo, Istituto di diritto romano, Roma, 1906.

[80] R. Bonini, Ricerche di diritto giustinianeo, Giuffrè, Milano, 1968, p. 135, nota 130.

[81] E. Albertario, Contributi alla storia della ricerca delle Interpolazioni, Vita e Pensiero, Milano, 1925.

[82] C.J. 1.17.2.10 (533 d.C.).

[83] P. Krueger (a cura di), Corpus Iuris Civilis, vol. 2, Weidmann, Berlin1954, pp. 2-3.

[84] G. Bassanelli Sommariva, Lezioni di diritto privato romano, vol. 3, Maggioli, Santarcangelo di Romagna, 2012, p. 46 e ss.

[85] P. Bonfante, Storia del diritto romano, vol. II, Giuffrè, Milano, 1959, p. 55.

[86] F. Arcaria e O. Licandro, Diritto Romano: I. Storia costituzionale di Roma, Giappichelli, Torino, 2014, p. 483 e ss.

[87] T. Honoré, Tribonian, Duckworth, Londra, 1978, pp. 70-123.

[88] P. Krüger, Die Interpolationen im justinianischen Codex, in “Festgabe Güterbock”, Vahlen, Berlin, 1910, pp. 239-250.

[89] L. Chiazzese, Confronti testuali, cit., pp. 131-453.

[90] P. de Francisci, Sintesi storica del diritto romano, Edizioni dell’Ateneo, Roma, 1948.

[91] E. Albertario, Introduzione storica allo studio del diritto romano giustinianeo, I,  Giuffrè, Milano, 1935, p. 54 e ss.

[92] Ivi, p. 57.

[93] G. Falcone, Premessa, in L. Chiazzese, Confronti testuali. Contributo alla dottrina delle interpolazioni giustinianee, p.te Speciale (Materiali), a cura di G. Falcone, Giappichelli, Torino, 2018, p. VI (pp. V-XXIV).

[94] M. Brutti, Il diritto privato nell’antica Roma, Giappichelli, Torino, 2011, p. 83 e ss.

[95] M. Talamanca, Elementi di diritto privato romano, Giuffrè, Milano, 2013, p. XIX (pp. IX-XXII).

[96] P. Vinogradoff, Il diritto romano nell’Europa medievale (1929), tradotto e a cura F. de Zulueta, tradotta da S. Riccobono, Giuffrè, Milano, 1950.

[97] M. Carini, Le leggi romano-barbariche tra retorica e politica, in “Rivista di cultura classica e medievale”, vol. 47, n. 1, gennaio-giugno 2005, pp. 97-124; P. Villari, Le invasioni barbariche, in “Archivio Storico Italiano”, serie V, vol. 27, n. 222, 1901, pp. 364-367.

[98] P. Fuentseca, Historia del Derecho Romano, Madrid, 1987, p. 305.

[99] G. Polara, Lex Romana Visigothorum,CUEM, Roma, 2005.

[100] A. Fiori, La Collectio Britannica e la riemersione del Digesto, in “Rivista Internazionale di Diritto Comune”, vol. 9, 1998, pp. 81-121.

[101] A. Torrent, Problemas romanisticos de aplicación forense, Neo ediciones, Zaragoza, 1993, p. 22.

[102] V. Casavola, L’educazione del giurista tra memoria e ragione, in “Index”, 19, 1991, pp. 319-381.

[103] Si trattava del F. C. von Savigny, System des heutigen römischen Rechts, Sei Deit und Comp., Berlin, 1840.

[104] A. Metro, Le fonti del diritto romano, General, Milano, 2005.

[105] M. L. Fobelli, Un tempio per Giustiniano, cit., p. 124.

[106] A. Lovato,Giustiniano e la consummatio nostrorum digestorum, in “Mélanges de l’École française de Rome. Antiquité”, 2013, 125-132.