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Pubbl. Ven, 10 Dic 2021

La Corte costituzionale chiarisce che le misure restrittive di cui all´art. 41-bis o.p. non si applicano in automatico agli internati

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Editoriale a cura di Andrea De Lia



Con la sentenza in rassegna, la Corte costituzionale è intervenuta sulle misure restrittive di cui all´art. 41-bis chiarendo che, specie nella prospettiva degli internati per l´applicazione di misura di sicurezza, le limitazioni al trattamento non possono essere imposte per automatismi, essendo, invece, necessario verificare, caso per caso, la strumentalità delle misure rispetto alle esigenze di tutela che vi sottendono.


ENG With the sentence under review, the Constitutional Court intervened on the measures ex art. 41-bis noting, from the perspective of inmates for the application of security measures, that treatment restrictions cannot be the result of automatisms, it being necessary to verify the instrumentality of the aforementioned measures with respect to the underlying needs.

Con la sentenza Corte cost., 21 ottobre 2021, n. 197 (rel. Zanon) la Consulta ha esaminato alcune questioni di legittimità costituzionale in ordine all’art. 41-bis, commi 2 e 2-quater della l. 26 luglio 1975, n. 354 (d’ora in poi, per brevità, “o.p.”), sollevate dalla Prima Sezione della Corte di Cassazione.

In particolare, il giudice remittente ha dubitato, nel prisma di diversi principi costituzionali, della legittimità delle disposizioni sopra richiamate nella parte in cui esse consentono la sospensione delle regole di trattamento per gli internati in esecuzione di misure di sicurezza, con applicazione ex lege delle restrizioni e delle misure di controllo indicate dal comma 2-quater dell’art. 41-bis o.p.

La Cassazione, in particolare, ha osservato che, nel contesto della sanzione criminale, la funzione rieducativa sarebbe ormai da considerarsi preminente rispetto a quella retributiva e preventiva-speciale. Tale stessa conclusione dovrebbe essere rassegnata per le misure di sicurezza, atteso che la rieducazione e la risocializzazione sarebbero lo strumento più efficace per garantire il superamento della pericolosità sociale individuale. D’altro canto, ha proseguito il giudice remittente, anche la Corte di Strasburgo ha riconosciuto – seppur in riferimento al sistema tedesco – che le misure di sicurezza siano in parte assimilabili alla pena e che i soggetti che vi sono sottoposti dovrebbero essere sottoposti a trattamento differenziato rispetto ai detenuti comuni (Corte EDU, Sezione Prima, 17 dicembre 2009, M. c. Germania).

Su tali presupposti, la Cassazione ha rilevato, allora, che il regime differenziato imposto dall’art. 41-bis o.p. precluderebbe o comunque limiterebbe in maniera intollerabile l’attuazione del trattamento finalizzato alla rieducazione e al re-inserimento sociale degli internati. Il tutto tenendo in considerazione che le carenze sotto il profilo trattamentale, proprio nella prospettiva dei soggetti socialmente pericolosi, sottoponibili a detenzione per un tempo particolarmente ampio (pari al massimo della pena edittale prevista dal legislatore per il più grave dei reati commessi), sarebbe potenzialmente foriera di risultati pratici inaccettabili.

Insomma, ha proseguito l’ordinanza di rimessione, i limiti al trattamento imposti per i soggetti condannati per reati di particolare gravità inficerebbero le prospettive di rieducazione e risocializzazione nella prospettiva dell’eliminazione della pericolosità sociale e, in una sorta di spirale punitiva, tale elemento provocherebbe l’impossibilità per l’internato di ritornare il libertà.

Il tutto in un contesto ove la misura di sicurezza, assommandosi per i soggetti imputabili alla pena, solleverebbe – ad avviso della Cassazione – il problema del ne bis in idem sanzionatorio, che si estrinsecherebbe in un inammissibile surplus sanzionatorio.

La Consulta ha ritenuto inammissibili le questioni di legittimità costituzionale sottoposte; la Corte, infatti, ha affermato che il comma 2 dell’art. 41 o.p., nel riferirsi alla “necessità” delle restrizioni, finalizzate ad esigenze di ordine e sicurezza e ad impedire collegamenti esterni con consorterie criminali, specie nella prospettiva degli internati, dovrebbe indurre ad una lettura del successivo comma 2-quater in termini di non obbligatorietà delle restrizioni, con conservazione della prospettiva individualizzante del trattamento, nel senso che la disposizione da ultimo citata non imponga alcun automatismo, essendo pur sempre necessaria una valutazione individuale relativa alla strumentalità delle misure speciali rispetto alle concrete esigenze di tutela che vi sottendono.

La massima: "ben può ritenersi che gli internati, pur soggetti in generale al regime differenziato, non devono necessariamente essere sottoposti a tutte le restrizioni elencate nel comma 2-quater. In conformità agli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost., deve essere perciò prescelta un’interpretazione della disciplina censurata che consenta l’applicazione delle sole restrizioni proporzionate e congrue alla condizione del soggetto cui il regime differenziale di volta in volta si riferisce. Così, trattandosi di un internato assegnato ad una casa di lavoro, le restrizioni derivanti dalla sua soggezione all’art. 41-bis o.p. devono adattarsi, nei limiti del possibile, alla necessità di organizzare un programma di lavoro, e, a sua volta, l’organizzazione del lavoro deve adattarsi alle restrizioni (quelle necessarie) della socialità e della possibilità di movimento nella struttura. Ad esempio, devono essere identificate attività professionali compatibili con gli effettivi spazi di socialità e mobilità a disposizione degli internati soggetti al regime differenziale, modulando opportunamente l’applicazione a costoro della limitazione della permanenza all’aperto disposta dalla lettera f) del comma 2-quater del citato art. 41-bis”.


Note e riferimenti bibliografici