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Pubbl. Dom, 11 Ott 2015

Rappresentanza sindacale: sono maturi i tempi per un intervento legislativo?

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Mario Panzarella


Il dibattito d’attualità politica ripropone la storica questione di regolare legislativamente la materia della rappresentanza sindacale e della contrattazione, ma cosa c’è oltre le convenienze politiche? Facciamo il punto.


Alla luce delle recenti dichiarazioni di governo e sindacati, ritorna d’attualità l’eterno dibattito sull’opportunità di un intervento legislativo attuativo dell’art.39 della Costituzione in tema di rappresentanza sindacale e contrattazione. 

Sono ben note le polemiche che hanno accompagnato il caso “Colosseo”, ultimo punto di contatto tra due opinioni largamente diffuse che si contrappongono sul ruolo del sindacato nel mutato scenario normativo e sociale.

La prima opinione, sostenuta senza giri di parole dal Governo (che con un tweet del Premier Renzi ha parlato di "cultura ostaggio dei sindacalisti"), e da larga parte delle organizzazioni imprenditoriali con in testa Confindustria,  sostiene che i sindacati sarebbero diventati organizzazioni corporative, vecchi arnesi ideologici che davanti alle nuove sfide del mercato del lavoro globalizzato si rivelano essere in realtà privi di un effettivo consenso tra i lavoratori che non rientrano nelle “storiche” categorie oggetto di tutela sindacale, limitandosi a tutelare i “già tutelati” e a rallentare i processi economici atti a favorire la "ripresa".

Una seconda opinione, sostenuta da gran parte delle organizzazioni dei lavoratori, difende un’idea alta del sindacato come unico soggetto collettivo rimasto garante dei diritti dei lavoratori davanti ai sommovimenti causati dai processi di flessibilizzazione del lavoro, di delocalizzazione e di precariato. Un sindacato che possiede, in quest'ottica, le funzioni di "guardiano" dei diritti dei lavoratori dagli assalti delle logiche economiche e del mercato.

Tali divergenze unite alla recente questione della trasparenza dei conti del sindacato e alle polemiche, non ancora sopitesi, sulla recente riforma del mercato del lavoro (Jobs Act) hanno riportato d'attualità la questione dell'opportunità di un intervento legislativo che storicamente ha fatto i conti con i timori dei sindacati di vedere la loro autonomia organizzativa e contrattuale circoscritta e ridimensionata da paletti normativi prestabiliti, ed in più, di condizionare l'autonomia dell'intero sistema intersindacale, storicamente caratterizzato dal suo carattere extra-legislativo.
Dal punto di vista giuridico il problema è come operare un corretto bilanciamento tra autonomia organizzativo-contrattuale dei sindacati versus le esigenze di certezza del diritto e razionalizzazione del sistema.
Esigenze che si manifestano visibilmente nell'ambito di un diritto sindacale che, caratterizzato dal suo carattere di "spontaneità", ha spesso pagato un alto prezzo in termini di disuguaglianze tra i lavoratori originato dal proliferare di regimi di trattamento differenziati e dal perseguimento di finalità, a volte, più strettamente politiche che sindacali. 

Ma andiamo con ordine.

1. L’art.39 della Costituzione tutela al primo comma il diritto di libertà sindacale, integrando la libertà di associazione prevista dall’art.18 Cost. con il diritto di libertà di organizzazione.

Nel secondo comma e seguenti prevede la pubblica registrazione dei sindacati, a condizione che "sanciscano un ordinamento interno a base democratica", funzionale al riconoscimento di una personalità giuridica che proporzionalmente al dato associativo, contribuisce a conferire un’efficacia erga omnes dei contratti collettivi da essi stipulati che si estende a "tutti gli appartenenti alle categorie alle quali il contratto si riferisce".

Mentre il primo comma dell’art.39 Cost. è norma completa sulla quale si è edificato il complesso sistema intersindacale che regola e disciplina aspetti come la contrattazione, la rappresentanza, lo sciopero e le relazioni tra sindacati e parti sociali, il secondo comma e ss. sono rimasti tuttora inattuati.

Sulle ragioni del non-intervento legislativo molto si è scritto, in una prima fase gli indugi derivavano da motivi politici legati al timore che il meccanismo di riconoscimento costituzionale, una volta attuato, potesse consolidare il primato della CGIL che nel periodo della prima repubblica ha detenuto saldamente la maggioranza dei lavoratori sia in termini associativi che elettivi, e che per il suo legame a doppio filo con il Partito comunista alimentava i comprensibili timori del partito di governo: la DC.

In una seconda fase, con l’avvento della seconda repubblica e la caduta degli equilibri politici che fino ad allora avevano retto il paese, i sindacati (questa volta compresa la CGIL che precedentemente si era dichiarata più che possibilista) si sono mostrati contrari all’idea di un intervento eteronomo sulla rappresentanza sindacale, nell’intento di salvaguardare l’autonomia organizzativo-contrattuale data ormai come acquisita nel complesso sistema di relazioni industriali italiano.

Di certo l’art.39 non spicca per la sua coerenza interna, molto si è scritto e detto sul carattere compromissorio della sua elaborazione, frutto di un accordo politico che trae le sue origini dal dibattito, in seno all’assemblea costituente, sulle forme che avrebbe dovuto rivestire il sindacato libero e democratico che si sostituiva al sindacato unico fascista di tipo corporativo. 

Tale natura compromissoria ha spinto molti studiosi al superamento dei limiti dettati da una lettura meramente storicista dell'art.39 come norma tecnica, per seguire dottrine ermeneutiche evoluzioniste che hanno inquadrato l'art.39 come norma di principi, così da consentire un ampio margine di manovra al legislatore nello sviluppo di una sua eventuale disciplina di dettaglio.
Una simile lettura del rapporto art.39-legge sindacale porterebbe al superamento del limite del criterio proporzionale-associativo sancito dal quarto comma, per preferire un criterio di misurazione del consenso che tenga conto anche del peso elettorale delle diverse organizzazioni sindacali, confermando la soluzione di compromesso tra consenso elettorale e consenso associativo che è stata confermata anche dai recenti accordi interconfederali tra le parti sociali, e più in generale dalla consolidata prassi sindacale.

La valorizzazione di un concetto di democrazia sindacale che si fonda sull'effettività del consenso del sindacato tra i lavoratori, non potrà che porsi come cardine di un futuro intervento legislativo che tenga conto di una lettura attualizzante del disposto costituzionale.
 

2. L’art.19 dello Statuto dei lavoratori 
Risulta tuttora (a parte l'incompiuto tentativo dell'art.8 della legge 148/2011) l’unico parametro normativo di riferimento in materia di rappresentanza sindacale.

Esso rappresenta il canale d’accesso alla legislazione di sostegno dell’attività sindacale nei luoghi di lavoro prevista nel Titolo III dello St.lav. (permessi sindacali, assemblee, ecc.) che nelle intenzioni del legislatore statutario doveva restituire centralità al sindacalismo confederale, in quegli anni contestato da movimenti di base organizzati spontaneamente dai lavoratori prima dai Consigli di fabbrica e dai delegati, poi nei comitati di base (COBAS) e in un sindacalismo sempre più svincolato dalle linee d'azione dettate dalle tre confederazioni.

L’art.19 in quest’ottica ha rappresentato il trait d’union  tra il sindacalismo confederale e quello movimentista, ciò è confermato dalla disciplina delle RSA (Rappresentanze sindacali aziendali) che pur costituite su“iniziativa dei lavoratori” iscritti e non iscritti al sindacato, indirizza la sua azione “nell’ambito” delle associazioni sindacali selezionate dai due criteri delle lettere a) e b).

La lett. a) abrogata dalla volontà popolare con la consultazione referendaria del 1995, riguardante sia il quesito “minimale” che il quesito “massimale” dell’eliminazione della lett. b) (quest'ultimo non accolto di misura con il 50,3% dei no), si rivolgeva alle “associazioni aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale” tuttavia senza indicare i parametri in relazione ai quali si sarebbe dovuta accertare la maggiore rappresentatività, che veniva ricavata grazie ad analogia legis con altre fonti normative o ai diversi interventi giurisprudenziali (si pensi a Corte cost. 6 marzo 1974 n.54).

La lett. b) si rivolgeva alle “associazioni non affiliate alle predette confederazioni, ma firmatarie di contratti collettivi nazionali o provinciali di lavoro applicati nell’unità produttiva” tenendo aperte le porte della legislazione promozionale anche a quel sindacato movimentista che non si riconosceva nelle tradizionali forme del sindacato confederale.

La sentenza della Corte costituzionale n.231/2013, che trae le sue premesse dal “caso Fiat-Fiom” e dalla stagione degli accordi separati, assume sicuramente portata storica nel processo di graduale trasformazione dell'originario art.19.

Essa estende la legittimazione a costituire RSA anche alle “associazioni sindacali che, non firmatarie dei contratti applicati nell’unità produttiva, abbiano comunque partecipato alla negoziazione relativa agli stessi contratti quali rappresentanti dei lavoratori dell’azienda” riammettendo pienamente la FIOM all’attività sindacale nella forma tutelata dal Titolo III, affiancando all’elemento formale della sottoscrizione l’elemento funzionale della partecipazione alle trattative, compiendo una decisa inversione di rotta rispetto alla precedente giurisprudenza costituzionale (si pensi alle sentenze della Corte costituzionale: n.54/1974; n.334/1988; ed in particolare alla n.244/1996 e n.345/1996) con non pochi problemi interpretativi in assenza di una base legislativa che indichi gli elementi necessari per poter individuare il grado di compiutezza della partecipazione alle trattative.

Accogliendo le ordinanze di rimessione dei tribunali ordinari di Modena, Vercelli e Torino sull’illegittimità costituzionale dell’art.19 St.lav. lett. b) nella parte in cui “non prevede che la rappresentanza sindacale aziendale possa essere costituita (-) da associazioni sindacali che abbiano comunque partecipato alla negoziazione relativa agli stessi contratti quali rappresentanti dei lavoratori dell’azienda” , la corte ha operato una decisa preferenza per il criterio dell'effettivo consenso tra i lavoratori alla luce del principio di democrazia sindacale, per il quale risultava illogica l’esclusione di un sindacato ampiamente rappresentativo come la FIOM CGIL dal regime normativo delle libertà sindacali.

Secondo molti con tale sentenza di carattere manipolativo additivo, la Corte ha inteso rivolgersi al legislatore utilizzando la locuzione “nella parte in cui non prevede” , esortandolo con un monito piuttosto implicito a regolare la disciplina in materia di rappresentanza.

3. Il Testo Unico sulla Rappresentanza sindacale 

Con l'accordo firmato da Confindustria, CGIL, CISL e UIL il 10 gennaio 2014 si è voluto, nelle intenzioni delle parti, fornire stabilità al sistema tramite l'ausilio di un regolamento autosufficiente che, recuperando i contenuti dei precedenti accordi (Accordi interconfederali del 1 dicembre 1993, 28 giugno 2011 e del   Protocollo d'Intesa 31 maggio 2013), potesse fornire le regole "certe" per stabilire i criteri di legittimazione delle organizzazioni sindacali e la misura della rappresentanza.

L'operatività del vigente assetto intersindacale di rappresentanza è ora impostata sulla base del mix di dati associativi (raccolti dall'Inps sulla base delle deleghe sindacali che il datore di lavoro avrà raccolto grazie all'utilizzo di un modulo) e dei dati elettorali (che vengono ponderati unitamente ai dati associativi dal cnel).

Il testo unico è composto da quattro parti:

La prima parte ha ad oggetto la Misura e certificazione della rappresentanza ai fini della contrattazione nazionale di categoria, essa prevede che ai fini della contrattazione si "assumono i dati associativi(deleghe relative ai contributi sindacali conferite dai lavoratori) e i dati elettorali ottenuti (voti espressi) in occasione delle elezioni delle rappresentanze sindacali unitarie".

Il datore di lavoro dovrà provvedere (-) ad effettuare la rilevazione del numero delle deleghe dei dipendenti iscritti alle organizzazioni sindacali di categoria aderenti alle Confederazioni firmatarie dell'accordo interconfederale del 28 giugno 2011, del Protocollo 31 maggio 2013 e del presente accordo."

Chiaro è come le parti sociali nel presente accordo abbiano inteso recuperare la disciplina già rodata in tema di pubblico impiego, dove la presenza di un'agenzia all'uopo designata per la raccolta delle deleghe dei dipendenti (L'Aran) ha avuto sin da subito la funzione di valutare la misura della rappresentanza, risolvendo così almeno nel settore pubblico diversi problemi interpretativi.
Nel settore privato l'assenza di un'agenzia sulla falsariga dell'Aran ha portato ad utilizzare l'Inps  (Il numero delle deleghe viene rilevato dall'Inps tramite un'apposita sezione nelle dichiarazioni aziendali) e ilCnel (I dati raccolti dall'Inps saranno trasmessi - previa definizione di un protocollo d'intesa con i firmatari del Protocollo 31 maggio 2013 e del presente accordo - al Cnel che li pondererà con i consensi ottenuti nelle elezioni periodiche delle rappresentanze sindacali unitarie da rinnovare ogni tre anni).

Il meccanismo della ponderazione avviene sommando ai voti conseguiti da ciascuna organizzazione sindacale di categoria, il numero degli iscritti risultanti nelle unità produttive con più di 15 dipendenti, ove siano presenti RSA ovvero non sia presente alcuna forma di rappresentanza sindacale, procedendo a determinare la media semplice fra la percentuale degli iscritti e la percentuale dei voti ottenuti nelle elezioni delle RSU sul totale dei votanti, quindi, con un peso del 50% per ciascuno dei due dati.
Infine compiuta la ponderazione, il Cnel provvederà alla comunicazione dei dati sulla rappresentanza ai fini della verifica delle maggioranze valide per le soglie che danno diritto a partecipare alle trattative (andando così a fornire un contenuto a quella "partecipazione alle trattative" di cui si discorreva relativamente alla sentenza 231/2013 Corte cost.) e della sottoscrizione dei contratti collettivi nazionali in base all'ultimo dato disponibile. 

Con tali procedure il testo unico qualifica la partecipazione alle trattative in modo ancor più specifico rispetto alla legge, prevedendo oltre la soglia del 5% di rappresentanza sul piano nazionale, anche il contributo alla definizione della piattaforma per le trattative.

La seconda parte riguarda la Regolamentazione delle rappresentanze in azienda dove viene, di fatto, confermata la disciplina dell'accordo 20 dicembre 1993 partendo dall'obbligo di adottare, in una singola unità produttiva con più di quindici dipendenti, una sola forma di rappresentanza, alternativamente tra RSU ed RSA, confermando il principio per cui i componenti delle RSU subentrano ai dirigenti delle RSA nella titolarità di diritti, permessi, libertà sindacali e tutele già loro spettanti; per effetto delle disposizioni di cui al titolo 3° della legge n.300/1970. 

Riguardo all'estensione dei diritti promozionali statutari del titolo III alle organizzazioni sindacali firmatarie (rectius ai singoli sindacalisti sia come RSA che RSU) si precierà poi nella parte terza che non basterà la sottoscrizione del contratto applicato nell'unità produttiva, ma occorreranno tre ulteriori requisiti: a) partecipazione alla negoziazione; b) contributo nell'aver definito la piattaforma contrattuale; c) aver fatto parte della delegazione trattante l'ultimo rinnovo del ccnl.

Viene mutuata dal Protocollo 1993 anche la c.d. clausola di salvaguardia secondo la quale viene previsto che le organizzazioni firmatarie e aderenti del presente accordo partecipando alla procedura di elezione della RSU, rinunciano formalmente ed espressamente a costituire Rsa ai sensi dell'art.19 St.lav., e in più si impegnano a non costituire RSA nelle realtà in cui siano state o vengano costituite RSU.
Nella sezione terza della seconda parte viene infine disciplinata la disciplina di elezione della RSU, i cui componenti restano in carica per tre anni, definendo le regole elettorali e le modalità di comunicazione delle nomine dei componenti eletti.

La parte terza Titolarità ed efficacia della contrattazione collettiva nazionale di categoria e aziendale regola uno dei temi più dibattuti: quello della titolarità e dell'efficacia della contrattazione.

Giova ricordare che l'attuale quadro di contrattazione è attualmente impostato su di un "doppio livello": un livello nazionale fondato sull'istituto del Contratto collettivo nazionale di lavoro (ccnl) ed un livello decentrato incentrato su di un contratto aziendale che ha ad oggetto le materie delegate e le modalità previste dal ccnl. 

Alla contrattazione nazionale accedono le organizzazioni sindacali che alla luce delle regole contenute nella parte prima dell'accordo abbiano una rappresentatività non inferiore al 5% sulla base della ponderazione compiuta dal Cnel, sia se esse hanno sottoscritto che partecipato o contribuito alle trattative.

Per quanto riguarda la fase applicativa il testo prevede che i ccnl sottoscritti formalmente dalle Organizzazioni sindacali che rappresentino almeno il 50%+1 della rappresentanza (-) previa consultazione certificata dei lavoratori, a maggioranza semplice, saranno efficaci ed esigibili riguardo a tutti i lavoratori del settore ovunque impiegati nel territorio nazionale. 

Circa la contrattazione aziendale il testo unico, una volta specificato che essi hanno la funzione di attivare strumenti di articolazione contrattuale mirati ad assicurare la capacità di aderire alle esigenze degli specifici contesti produttivi, stabilisce che essa può: a)definire, anche in via sperimentale e temporanea, specifiche intese modificative delle regolamentazioni contenute nei contratti collettivi nazionali di lavoro nei limiti e con le procedure previste dagli stessi contratti; b) gestire situazioni di crisi o in presenza di investimenti significativi per favorire lo sviluppo economico ed occupazionale dell'impresa, possono definire intese modificative con riferimento agli istituti del contratto collettivo nazionale che disciplinano la prestazione lavorativa, gli orari e l'organizzazione del lavoro.

La quarta ed ultima parte relativa alle Disposizioni relative alle clausole e alle procedure di raffreddamento e alle clausole sulle conseguenze dell'inadempimento ha ad oggetto le misure di preventive e sanzionatorie volte a scoraggiare eventuali comportamenti contrari alle disposizioni concordate dalle parti sociali nel testo unico. 

La tecnica utilizzata è quella di prevedere la definizione all'interno dei ccnl di "contenuti obbligatori" individuati generalmente in clausole e/o procedure di raffreddamento finalizzate a garantire, per tutte le parti, l'esigibilità degli impegni assunti con il contratto collettivo nazionale di categoria e a prevenire il conflitto, e la determinazione di conseguenze sanzionatorie per gli eventuali comportamenti attivi od omissivi che impediscano l'esigibilità dei contratti collettivi nazionale di categoria stipulati ai sensi della presente intesa. La quarta parte costituisce una novità rispetto ai testi dei precedenti accordi che poco si erano curati di fornire autonoma esigibilità alle loro intese. 

Le sanzioni previste, anche se non tassativamente determinate, spaziano dai generici effetti pecuniari alla temporanea sospensione di diritti sindacali di fonte contrattuale e di ogni altra agibilità derivante dalla presente intesa, costituendo un elemento di novità del sistema che a distanza di un anno e mezzo dall'entrata in vigore dell'accordo, non è ancora possibile analizzare in modo completo. 

Alla luce di queste breve considerazioni, può un intervento legislativo sbrogliare l'ingarbugliata matassa composta da accordi, patti, protocolli, spesso contraddittori tra loro, e restituire una normativa attuativa dei principi costituzionali di libertà, ma allo stesso tempo di regolazione, del fenomeno sindacale? Senza ovviamente rompere quell'equilibrio tra autonomia e certezza del diritto?

Questo obbiettivo sarebbe raggiungibile utilizzando un intervento di soft law rispettoso delle intese raggiunte, in particolare dal Testo Unico, capace di generalizzare quantomeno i criteri di misurazione della rappresentatività sindacale.
In attesa di ulteriori sviluppi, non ci resta che aspettare fiduciosi.