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Pubbl. Mar, 2 Nov 2021

Brevi riflessioni sulla nullità del provvedimento amministrativo

Antonio Franchina



Il presente contributo opera delle brevi considerazioni sulla nullità del provvedimento amministrativo, soffermandosi e sugli aspetti dogmatici e sulla disciplina processuale, anche alla luce della più recente giurisprudenza.


Sommario: 1. Premessa; 2. Fenomenologia sostanziale della nullità; 3. Profili problematici: la nullità delle clausole escludenti contra legem. Aperture giurisprudenziali verso un polimorfismo della nullità amministrativa?; 4. Aspetti processuali; 5. Riflessioni giurisprudenziali sull’azione di nullità. L’ipotesi dell’actio iudicati; 6. Considerazioni conclusive.

Sommario: 1. Premessa; 2. Fenomenologia sostanziale della nullità; 3. Profili problematici: la nullità delle clausole escludenti contra legem. Aperture giurisprudenziali verso un polimorfismo della nullità amministrativa?; 4. Aspetti processuali; 5. Riflessioni giurisprudenziali sull’azione di nullità. L’ipotesi dell’actio iudicati; 6. Considerazioni conclusive.

1. Premessa

La nullità rappresenta una forma eccezionale di invalidità del provvedimento amministrativo, stante il fatto che, similmente a quanto avviene in ordinamenti giuridici particolari[1], la regola nel sistema amministrativo è rappresentata dall’annullabilità.

Alla luce di ciò, per lungo tempo si è dubitato che essa potesse trovare spazio alcuno nel sistema[2], ritenendosi che la nullità civilisticamente intesa non fosse esportabile tout court in un contesto caratterizzato dalla possibilità di aggredire il provvedimento solo ove fosse inficiato dai tradizionali vizi di legittimità[3].

All’esito di un fervente dibattito sulla circostanza che l’istituto in discorso potesse avere o meno cittadinanza nel diritto amministrativo, il legislatore, con la legge n. 15 del 2005, ha provveduto ad inserire nel corpo della legge 241 del 1990 l’art. 21 septies, che stabilisce che è nullo il provvedimento che manchi degli elementi essenziali, che sia viziato da difetto assoluto di attribuzione, che sia stato adottato in violazione o elusione del giudicato e negli altri casi previsti dalla legge (ossia le cd. illegittimità forti)[4].

Dall’esegesi della norma in discorso emerge che le cause di nullità del provvedimento amministrativo sono tassative, rappresentando un numerus clausus[5], il che appare razionale, alla luce del prefato rapporto regola- eccezione che governa, diversamente dal diritto civile, l’atteggiarsi delle forme di invalidità amministrativistiche. Donde, analogamente a quanto avviene nel diritto civile, deve evidenziarsi che le ipotesi di nullità sono di stretta interpretazione.

Tali considerazioni sono state ribadite dalla giurisprudenza, la quale, nel sottolineare il principio del numero chiuso, ha evidenziato che nello spettro della nullità non può rientrare l’ipotesi di provvedimento contrastante con il diritto comunitario, che, pertanto, è meramente annullabile[6].

2. Fenomenologia sostanziale della nullità

Quanto agli aspetti di carattere più squisitamente dogmatico, si è affermato che, derogando parzialmente al principio quod nullum est nullum producit effectum, il provvedimento nullo, fino a che la nullità non venga accertata, ha una propria efficacia interinale[7], la quale rende possibile la stessa definizione del provvedimento amministrativo come atto dotato di imperatività.

Consegue all’anzidetto che i destinatari dell’atto non possono comportarsi come se questo non esistesse, ma devono proporre, al fine di far valere le proprie pretese, l’azione di nullità al cospetto del giudice amministrativo.

La chiarezza definitoria da parte del legislatore non corrisponde ad un’altrettanta facilità nell’individuazione concreta delle predette cause di nullità, tanto con riguardo alla mancanza di elementi essenziali, quanto con riguardo al difetto assoluto di attribuzione.

Rispetto al profilo da ultimo evocato, la più recente giurisprudenza di legittimità ha affermato che nella categoria del difetto assoluto di attribuzione è sussumibile la sola carenza di potere in astratto, id est l’assenza in astratto di qualsivoglia norma attributiva alla p.a. dell’esercizio del potere[8].

La carenza di potere in concreto, invece, ossia l’esercizio del potere, seppur sussistente, in difformità dai presupposti di legge, viene fatta rifluire nella categoria dell’annullabilità.

La soluzione adottata dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, pertanto, scolpisce nitidamente i confini tra la carenza di potere in astratto e quella in concreto, chiarendo lo spettro applicativo della nullità per difetto assoluto di attribuzione.

Alla luce delle prefate considerazioni, può dirsi che nell’alveo della nullità rifluiscono solo i vizi più gravi del provvedimento, i quali, con riferimento alla categoria degli elementi essenziali, possono essere individuati nella totale irriferibilità all’organo emanante del provvedimento, nonché nell’impossibilità di individuazione del destinatario degli effetti giuridici da questo prodotti nel mondo giuridico sostanziale.

Un caso particolare è quello rappresentato dalla nullità per violazione o elusione del giudicato, che si ricollega alla previsione di cui all’art. 112 comma 3 c.p.a. in materia di ottemperanza ed è rappresentato dalla possibilità di proporre anche in unico grado al cospetto del giudice di ottemperanza un’azione di condanna della p.a. nel caso di violazione o elusione del giudicato.

A venire in rilievo è la cd. ottemperanza per equivalente, che si illumina nella possibilità di ottenere la condanna della p.a. alla corresponsione di somme a titolo di rivalutazione e interessi maturati dopo il passaggio in giudicato della sentenza.

Facendo applicazione delle coordinate ermeneutiche recentemente tracciate dall’Adunanza Plenaria nel caso di impossibilità di esecuzione in forma specifica del giudicato, potrebbe sostenersi che nel caso di violazione o elusione del giudicato a venire in rilievo sia un’ipotesi di obbligazione di natura indennitaria, speciale rispetto alla responsabilità di cui all’art. 1218[9] c.c.[10].

Tale forma di responsabilità non parrebbe riconducibile allo spettro di cui all’art. 2043[11] c.c., stante il forte contatto che si crea tra l’amministrazione che deve conformarsi al giudicato ed il privato.

Un’altra opinione, invece, ritiene che nel caso di nullità per violazione o elusione del giudicato a venire in rilievo sia un’ipotesi di responsabilità civile della p.a., con la conseguenza che il danno ingiusto verrebbe individuato nel mancato rilascio del provvedimento, discendendo l’esercizio del potere dagli obblighi conformativi propri del giudicato[12].

Le diverse conseguenze che discendono dalla ricomprensione di un atto amministrativo invalido nelle varie ipotesi di nullità contemplate dall’art. 21 septies, infine, vengono ribadite da un recentissimo arresto giurisprudenziale, nel quale l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, occupandosi dei poteri del commissario ad acta, ha affermato che gli atti emanati dall’amministrazione, pur in presenza della nomina e dell’insediamento del commissario ad acta, non possono essere considerati affetti da nullità, essendo adottati da un soggetto nella pienezza dei propri poteri[13].

E pur tuttavia tali atti potranno essere, ricorrendone le condizioni, dichiarati nulli dal giudice per la diversa ipotesi di violazione o elusione del giudicato oppure annullati perché ritenuti illegittimi all’esito di domanda di annullamento in un ordinario giudizio di cognizione, ma non possono in ogni caso essere considerati emanati in difetto assoluto di attribuzione e, per questa ragione, ritenuti affetti da nullità.

Tale pronuncia, in definitiva, conferma la diversità ontologica delle varie cause di nullità previste dal legislatore.

3. Profili problematici: la nullità delle clausole escludenti contra legem. Aperture giurisprudenziali verso un poliformismo della nullità amministrativa?

Un’altra ipotesi peculiare di nullità è quella tratteggiata da una recente pronuncia dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, resa in materia di contratti pubblici relativamente alla problematica delle clausole escludenti contra legem.

La pronuncia in discorso è particolarmente interessante, atteso che, oltre a tratteggiare nuove traiettorie ermeneutiche in tema di nullità amministrativa, focalizza l’ambito di operatività del c.d. principio di tassatività delle clausole di esclusione, previsto dall’art. 83 del Codice dei contratti pubblici[14].

In particolare, il Supremo Consesso ha stabilito che la nullità ex art. 83 comma 8 del Codice dei contratti pubblici, la quale subordini l’avvalimento dell’attestazione SOA alla produzione, in sede di gara, dell’attestazione SOA da parte dell’impresa ausiliata configura un’ipotesi di nullità parziale, limitata alla clausola, che è da considerarsi come non apposta[15].

Al fondamento di tali affermazioni, vi è la distinzione tra requisiti economici e finanziari o di capacità tecnica, rispetto ai quali, come emerge da una piana lettura della disposizione, la stazione appaltante ha un potere di individuazione.

Ne consegue che vi sono clausole che ricollegano l’effetto escludente alla mancanza di siffatti requisiti, per le quali vige non già il principio di tassatività, ma il diverso principio di atipicità. Di talché, è possibile operare una distinzione tra due macrocategorie di clausole escludenti, ossia quelle che non soggiacciono al principio di tassatività e quelle che vi soggiacciono, le quali ultime rifluiscono nella categoria della nullità in caso di violazione.

La nullità, ad avviso dei giudici di Palazzo Spada, non riguarda l’intero bando di gara, ma solo la clausola, in ciò illuminandosi l’operatività del principio vitiatur, sed non viziat. Di talché, come evidenziato da taluna dottrina, sembrerebbe illuminarsi un’ipotesi di nullità parziale necessaria, con un regime sostanziale e, conseguentemente, processuale differente rispetto alla nullità prevista dall’art. 21 septies.

Così argomentando, in definitiva, si opererebbe una distinzione tra la nullità integrale e la nullità parziale, che avrebbe importanti ricadute anche a livello processuale, potendo essere fatta valere sine die e non entro l’ordinario termine di 180 giorni, del quale si dirà tra breve[16].

Nel riflettere sulla questione, una parte della dottrina ha evidenziato che l’orientamento sembrerebbe riferire la nullità alla sola violazione del principio di tassatività, che, come evidenziato poc’anzi, non vale per tutte le clausole escludenti[17]

La violazione del principio predetto, inoltre, riguarda in caso in cui venga esercitato un potere che non sia previsto dalla legge. Donde occorre distinguere il potere discrezionale, sia pur limitato, di porre ulteriori limiti alla partecipazione da quello non ammesso dalla legge di imporre adempimenti di carattere formale che ostacolino la partecipazione.

Alla luce delle prefate riflessioni, può dirsi che l’evoluzione giurisprudenziale, oltre che a chiarire i confini applicativi dell’istituto, sembrerebbe creare le premesse per un embrionale processo di frantumazione della nullità amministrativa, al quale si è già assistito nel diritto civile, che conosce diverse species di nullità, tra cui quella di protezione[18].

A venire in rilievo, in definitiva, sarebbero delle nullità con tratti morfologici del tutto diversi.

4. Aspetti processuali

Quanto agli aspetti processuali, la nullità trova disciplina nell’art. 31 comma 4 c.p.a., in forza del quale la domanda di accertamento della nullità si propone nel termine di decadenza di 180 giorni[19].

Essa, inoltre, può essere sempre opposta dalla parte resistente e, in armonia con i principi processualcivilistici, essere rilevata d’ufficio dal giudice.

Alla luce del dato testuale, possono svolgersi le considerazioni che seguono.

Muovendo dal presupposto che la giurisdizione amministrativa sussiste quando l’atto trovi fondamento in un potere attribuito dalla legge, a fronte del quale la posizione soggettiva vantata dal destinatario sia di interesse legittimo, può dirsi che  l’azione volta a far valere la nullità di un atto ampliativo è attratta alla giurisdizione amministrativa, mentre quella finalizzata ad aggredire un atto restrittivo, è attratta alla giurisdizione del G.O., siccome la posizione del privato è di diritto soggettivo.

L’azione di nullità, in definitiva, è un’azione di accertamento e la sua devoluzione al giudice amministrativo e non a quello ordinario si giustifica in ragione della circostanza che in ipotesi di tal fatta l’atto amministrativo, seppur affetto da vizi gravi, deve trovare fondamento in un potere espressamente attribuito dalla legge.

Proseguendo nella disamina degli aspetti più significativi della disciplina processuale, deve evidenziarsi che, se è pacificamente ammissibile la sanatoria dell’atto annullabile, altrettanto non sembra potersi dire relativamente a quella dell’atto nullo. Ed invero, in un ordinamento governato dal principio di legalità, una tale evenienza non sarebbe possibile, proprio perché dubbio non v’è che la nullità rappresenti la forma più grave di difformità dell’atto dal paradigma normativo di riferimento.

Inoltre, argomentando a partire dal secondo comma dell’art. 21 nonies[20], l’eccezionalità della convalida del provvedimento annullabile escluderebbe a fortiori che possa pervenirsi né ad una sanatoria, né tantomeno una convalida del negozio nullo.

Né, in una prospettiva siffatta, potrebbe utilmente richiamarsi la già menzionata disposizione di cui all’art. 1423 c.c.[21], che, nel vietare la convalida del negozio nullo, salvo che nei casi previsti dalla legge, non sembrerebbe traslabile nell’ordinamento amministrativo, in quanto diversa è l’operatività del principio di legalità rispetto all’ordinamento civile.

In realtà, a ben vedere, in un ordinamento dove sono prevalenti le esigenze di stabilità dei rapporti giuridici e di continuità dell’azione amministrativa, il principio di insanabilità dell’atto nullo può trovare un temperamento, rendendo ammissibile la sanatoria dell’atto affetto di tale vizio nei casi previsti dalla legge, in ciò realizzandosi una lettura opposta dell’art. 1423 c.c. dianzi citato.

Così, coerentemente con il carattere particolare dell’ordinamento amministrativo, potrebbe ritenersi ammissibile la sanatoria dell’atto nullo nel caso dei provvedimenti collegiali, facendo applicazione analogica dell’art. 2379 bis c.c.[22] ai sensi del quale l’invalidità della deliberazione per mancanza del verbale può essere sanata mediante verbalizzazione eseguita prima dell’assemblea successiva.

In definitiva, la sanatoria dell’atto nullo, in ossequio al principio di legalità, deve essere prevista dalla legge, potendo avvenire sia tramite un atto della p.a., ma potrebbe essere prevista anche come effetto automatico dalla legge ove venisse inserita nell’ordinamento una disposizione che espressamente lo prevedesse[23].

Pacifica è, invece, la conversione del provvedimento nullo, che è riconducibile nel novero dei provvedimenti di conservazione e che comporta, sulla base del principio utile per inutile non vitiatur, la considerazione del provvedimento come provvedimento appartenente ad un altro tipo.

Quanto agli aspetti più squisitamente tecnici, il codice disciplina le modalità e i termini per far valere la nullità, prevedendo una soluzione differenziata a seconda che la nullità sia fatta valere in via d’azione o d’eccezione. Ed invero, nella prima ipotesi si prevede per la proposizione dell’azione un termine di decadenza di 180 giorni, decisamente più lungo rispetto a quello previsto per l’azione di annullamento, tant’è che una parte della dottrina ha detto di super annullabilità[24].

Nella seconda ipotesi, si prevede che la nullità possa sempre essere eccepita dalla parte resistente, ma tale regola, sebbene conforme a quella stabilita in materia di contratti, nondimeno deve essere coordinata con le peculiarità del diritto amministrativo, atteso che la parte resistente nel processo amministrativo è l’autorità che ha emanato l’atto e che non ha interesse ad eccepirne la nullità, tant’è che potrebbe procedere a rimuoverlo pel il tramite di un atto di autotutela. Di talché, come evidenziato da taluni autori, la disciplina che ne deriva complessivamente non è di facile interpretazione, intrecciandosi con la problematica dell’accertamento principale ed incidentale della nullità.

A tale specifico riguardo, l’opinione prevalente ritiene ammissibili tanto l’accertamento principale della nullità, che ricomprende nel proprio alveo altresì l’azione di risarcimento del danno da atto nullo, dove la validità dell’atto costituisce una pregiudiziale in senso logico, quanto l’accertamento incidentale, che si ha nel caso in cui venga proposta un’azione di annullamento fondata sulla nullità di un atto presupposto[25].

La dinanzi richiamata ricostruzione operata dall’Adunanza Plenaria in materia di clausole escludenti contra legem, peraltro, sembra arricchire il dibattito di ulteriori profili problematici, atteso che, come evidenziato, la nullità delle clausole siffatte può essere fatta valere sine die, in quanto l’interesse a farla valere deriva dall’adozione del provvedimento escludente. Di talché, la nullità viene fatta valere non già con un’azione autonoma di accertamento, ma è sufficiente dedurre nel ricorso avverso il provvedimento la nullità della clausola a monte.

5. Riflessioni giurisprudenziali sull’azione di nullità. L’ipotesi dell’actio iudicati

La giurisprudenza amministrativa, nel riflettere sulle peculiarità della disciplina processuale della nullità, ha evidenziato che l’art. 31, comma 4 non è una norma fuori sistema, poiché si inserisce nell’ambito di una serie di principi propri del codice del processo amministrativo, come la rilevabilità d’ufficio delle nullità processuali e la perentorietà dei termini assegnati al giudice. Donde la norma in commento esprime, dunque, una parentesi di giurisdizione oggettiva che, per espressa previsione di legge, si innesta nel processo amministrativo, in deroga al suo ordinario carattere di giurisdizione soggettiva[26].

Da ultimo, con riferimento all’ipotesi di nullità per violazione o elusione del giudicato, richiamata dal già menzionato art. 114 c.p.a.[27]., l’art. 31 comma 4 rammenta che le regole processuali in essa contemplate non si applicano all’ipotesi di nullità in commento. Di talché, a venire in rilievo è un’ipotesi di nullità del tutto peculiare, avuto riguardo alle sue conseguenze processuali.

A tale specifico riguardo deve evidenziarsi che la giurisprudenza di legittimità si è occupata della natura del termine di prescrizione dell’actio iudicati prevista dalla norma siffatta, domandandosi se esso abbia riguardo al diritto d’azione oppure al diritto sostanziale riconosciuto dal giudicato, nonché se esso possa venire interrotto altresì pel il tramite di un atto stragiudiziale.

L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, nel riflettere sulla questione, ha di recente stabilito che il termine decennale di prescrizione del giudizio di ottemperanza, di cui all’art. 114 c.p.a., può essere interrotto altresì con un atto stragiudiziale, che sia volto a conseguire il bene della vita in conformità a quanto stabilito dal giudicato[28]. Ciò in ragione del fatto che, ad avviso del Supremo Consesso, non può essere privilegiata la p.a. allorché, sebbene siano stati posti in essere gli atti predetti, questa non abbia adempiuto all’ obbligo di dare esecuzione al giudicato, rendendo così impossibile il conseguimento del bene della vita da parte del privato.

La soluzione adottata dall’Adunanza Plenaria appare coerente con il sistema, in quanto risponde a quelle esigenze di effettività che informano il rimedio in discorso, la cui essenza consiste nella necessaria esecuzione dei provvedimenti giurisdizionali.

Né può sottacersi che, se così non fosse, verrebbe scalfito il principio generale del buon andamento dell’azione amministrativa di cui all’art. 97 Cost., che non può tollerare che la p.a. non adempia spontaneamente al proprio dovere istituzionale di dare esecuzione al giudicato.

6. Considerazioni conclusive.

In conclusione, può dirsi, pertanto, che la disciplina della nullità è ricca di spunti di carattere dogmatico e, probabilmente, è suscettibile più di altre all’inscindibile intreccio sussistente tra il mondo giuridico sostanziale e quello processuale.

Ciò trova conferma nei più recenti approdi della giurisprudenza amministrativa dianzi richiamati, dai quali sembra emergere un istituto multiforme, tanto a livello sostanziale, che a livello processuale.


Note e riferimenti bibliografici

[1] Il riferimento è all’ordinamento societario e, in particolare, alle delibere assembleari, il regime di invalidità delle quali è del tutto peculiare e si pone in distonia rispetto ai principi generali del diritto civile, nel quale la regola è rappresentata dalla nullità. Sul punto cfr. Cons. Stato, s n. 3173/2007 e n. 891/2006), secondo il quale nel diritto amministrativo la nullità costituisce una forma speciale di invalidità, che si ha nei soli casi, oggi meglio definiti dal legislatore, in cui sia specificamente sancita dalla legge, mentre l’annullabilità del provvedimento costituisce la regola generale di invalidità del provvedimento, a differenza di quanto avviene nel diritto civile dove la regola generale in caso di violazione di norme imperative è quella della nullità.

[2] M. S. GIANNINI, Il potere discrezionale della pubblica amministrazione, Milano, 1939 passim.

[3] Per una ricostruzione del dibattito cfr. F. BELLOMO, Nuovo sistema del diritto amministrativo, II edizione, Bari, 2018, pp. 349 ss. ; F. CARINGELLA, Manuale di diritto amministrativo, XIV edizione, Roma 2021, pp. 1269 ss. ; M. CLARICHE, Manuale di diritto amministrativo, IV edizione, Bologna 2021;   R. GIOVAGNOLI, Manuale di diritto amministrativo, VI edizione, Roma 2021, pp. 667 ss. ;  M. FRATINI, Manuale sistematico di diritto amministrativo, ultima edizione, Roma 2021 pp. 719 ss. , V. LOPILATO, Manuale di diritto amministrativo, III edizione, Torino 2021, pp. 795 ss.

[4] L’art. 21 septies legge n. 241 del 1990 testualmente recita: è nullo il provvedimento amministrativo che manca degli elementi essenziali, che è viziato da difetto assoluto di attribuzione, che è stato adottato in violazione o elusione del giudicato, nonché negli altri casi espressamente previsti dalla legge.

[5] Cfr. Cons. St. n. 1983 del 2011

[6] Cfr. da ultimo Cons. St. n. 4040 del 2018, nella quale si ribadisce che la violazione del diritto europeo non è causa di nullità del provvedimento, non essendo contemplata dall’art. 21 septies della 241 del 1990.

[7] Cfr. Cons. St. n. 1957 del 2012, secondo cui il provvedimento amministrativo, ancorché nullo, ha, tuttavia, una propria efficacia «interinale» (fin tanto che la nullità non venga accertata), solo riconoscendo la quale si rende possibile la stessa definizione dell’atto come provvedimento amministrativo dotato di imperatività (e che, pertanto, si impone unilateralmente ai suoi destinatari). Questi ultimi non possono sottrarsi agli effetti dell’atto, ovvero agire come se l’atto non esistesse e/o fosse improduttivo di effetti, ritenendo ovvero opponendo la nullità dello stesso, ma, onde tutelare le proprie posizioni giuridiche, hanno il potere di agire in giudizio al fine di ottenerne la declaratoria di nullità.

[8] Cfr. Cass. Sez. Un. n. 5097 del 2018, secondo cui Con l’art. 21 septies, 1. 7 agosto 1990, n. 241 il legislatore, nell’introdurre in via generale la categoria normativa della nullità del provvedimento amministrativo, ha ricondotto a tale radicale patologia il solo difetto assoluto di attribuzione, che evoca la c.d. “carenza in astratto del potere”, cioè l’assenza in astratto di qualsivoglia norma giuridica attributiva del potere esercitato con il provvedimento amministrativo, con ciò facendo implicitamente rientrare nell’area della annullabilità i casi della c.d. “carenza del potere in concreto”, ossia del potere, pur astrattamente sussistente, esercitato senza i presupposti di legge». Per contro, quando mancano, nel caso concreto, i requisiti fissati dalle norme per l’esercizio del potere formalmente attribuito alla Pubblica Amministrazione, ricorre una violazione di legge che mette in discussione la legittimità dell’atto e il corretto esercizio del potere amministrativo

[9] L’art. 1218 c.c. testualmente recita: Il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l'inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile.

[10] Cfr. Ad, Plen n. 2 del 2017 secondo la quale dal giudicato amministrativo, quando riconosce la fondatezza della pretesa sostanziale, esaurendo ogni margine di discrezionalità nel successivo esercizio del potere, nasce ex lege, in capo all’amministrazione, un’obbligazione, il cui oggetto consiste nel concedere “in natura” il bene della vita di cui è stata riconosciuta la spettanza. (2) L’impossibilità (sopravvenuta) di esecuzione in forma specifica dell’obbligazione nascente dal giudicato – che dà vita in capo all’amministrazione ad una responsabilità assoggettabile al regime della responsabilità di natura contrattuale, che l’art. 112, comma 3, c.p.a., sottopone peraltro ad un regime derogatorio rispetto alla disciplina civilistica – non estingue l’obbligazione, ma la converte, ex lege, in una diversa obbligazione, di natura risarcitoria, avente ad oggetto l’equivalente monetario del bene della vita riconosciuto dal giudicato in sostituzione della esecuzione in forma specifica; l’insorgenza di tale obbligazione può essere esclusa solo dalla insussistenza originaria o dal venir meno del nesso di causalità, oltre che dall’antigiuridicità della condotta.

[11] L’art. 2043 c.c. testualmente recita: Qualunque fatto doloso o colposo che cagiona ad altri un danno ingiusto obbliga colui che lo ha commesso a risarcire il danno.

[12] Cfr. F. BELLOMO, op.cit., ibid.

[13] Il riferimento è a Cons. St. Ad. Plen. n. 8 del 2021. Nello specifico, la Plenaria risponde negativamente al quesito postole riguardante il rapporto tra la nomina del commissario ad acta ed il potere di provvedere della p.a.

[14] L’art. 83 comma 8 del Codice dei contratti pubblici dispone che “ Le stazioni appaltanti indicano le condizioni di partecipazione richieste, che possono essere espresse come livelli minimi di capacità, congiuntamente agli idonei mezzi di prova, nel bando di gara o nell'invito a confermare interesse ed effettuano la verifica formale e sostanziale delle capacità realizzative, delle competenze tecniche e professionali, ivi comprese le risorse umane, organiche all'impresa, nonché delle attività effettivamente eseguite. Per i soggetti di cui all’articolo articolo 45, comma 2, lettere d), e), f) e g) nel bando sono indicate le eventuali misure in cui gli stessi requisiti devono essere posseduti dai singoli concorrenti partecipanti. La mandataria in ogni caso deve possedere i requisiti ed eseguire le prestazioni in misura maggioritaria. I bandi e le lettere di invito non possono contenere ulteriori prescrizioni a pena di esclusione rispetto a quelle previste dal presente codice e da altre disposizioni di legge vigenti. Dette prescrizioni sono comunque nulle.

[15] Cfr. Cons. St., Ad. Plen n. 22 del 2020, ad avviso della quale La nullità ex articolo 83, comma 8, del Dlgs n. 50 del 2016 della clausola del disciplinare di gara che subordini l’avvalimento dell’attestazione Soa alla produzione, in sede di gara, dell’attestazione Soa anche della stessa impresa ausiliata configura un’ipotesi di nullità parziale limitata alla clausola, da considerare non apposta, che non si estende all’intero provvedimento, il quale conserva natura autoritativa. Al cospetto della nullità della clausola escludente contra legem del bando di gara non sussiste l’onere per l’impresa di proporre alcun ricorso perché tale clausola - in quanto inefficace e improduttiva di effetti - si deve intendere come «non apposta», a tutti gli effetti di legge, salvo impugnare nei termini ordinari gli atti successivi che facciano applicazione (anche) della clausola nulla contenuta nell’atto precedente.

[16] Ciò in ragione del fatto che trattasi per l’appunto di nullità parziale, la quale presuppone un regime processuale diverso.

[17] Cfr. R. GIOVAGNOLI, op.cit., ibid.

[18] Tale species di nullità, si rammenta, è prevista dall’art. 33 del Codice del consumo.

[19] L’art. 31 comma 4  cpa stabilisce che : “La domanda volta all'accertamento delle nullità previste dalla legge si propone entro il termine di decadenza di centottanta giorni. La nullità dell'atto può sempre essere opposta dalla parte resistente o essere rilevata d'ufficio dal giudice. Le disposizioni del presente comma non si applicano alle nullità di cui all'articolo 114, comma 4, lettera b), per le quali restano ferme le disposizioni del Titolo I del Libro IV”

[20] Il secondo comma dell’art. 21 nonies della legge 241 del 1990 stabilisce che “è fatta salva la convalida del provvedimento annullabile, sussistendone le ragioni di interesse pubblico ed entro un termine ragionevole.

[21] L’art. 1423 c.c. testualmente recita: Il contratto nullo non puo' essere convalidato, se la legge non dispone diversamente.

[22] L’art. 2379 bis c.c. testualmente recita: “L'impugnazione della deliberazione invalida per mancata convocazione non può essere esercitata da chi anche successivamente abbia dichiarato il suo assenso allo svolgimento dell'assemblea. L'invalidità della deliberazione per mancanza del verbale può essere sanata mediante verbalizzazione eseguita prima dell'assemblea successiva. La deliberazione ha effetto dalla data in cui è stata presa, salvi i diritti dei terzi che in buona fede ignoravano la deliberazione.

[23] Cfr. F. BELLOMO, Lezione sul provvedimento amministrativo, Roma, 2019.

[24] Cfr. R. GIOVAGNOLI, op.cit.;  v. anche C. ZUCCHELLI, E. DI FRANCISCO, in Il codice del processo amministrativo, Lezioni, Roma , 2010, pp. 95 ss.

[25] Cfr. F. BELLOMO, op. cit., pp. 392 ss.

[26] Cfr. Cons. Giust. Amm. Regione Sicilia, n. 721 del 2012, secondo cui l’art. 31, comma 4, è una norma fuori sistema: esso, infatti, coerentemente si colloca nell’ambito di una serie di principi propri del codice del processo amministrativo (di alcuni dei quali si è già detto: rilevabilità d’ufficio delle nullità processuali; perentorietà dei termini assegnati dal giudice; rilevabilità d’ufficio dell’incompetenza; etc.) da correlare al fatto che il processo amministrativo, elettivamente, conosce di una situazione giuridica soggettiva – l’interesse legittimo – così intimamente connessa all’interesse pubblico generale, da non poter essere tout court trattata, anche nel processo, come i diritti soggettivi, di norma disponibili, di cui si conosce nel processo civile. L’art. 31, comma 4, c.p.a., esprime, dunque, una parentesi di giurisdizione oggettiva che, per espressa previsione di legge, si innesta nel processo amministrativo, in deroga al suo ordinario carattere di giurisdizione soggettiva»

[27] L’art. 114 c.p.a. dispone al primo comma che “l’azione si propone, anche senza previa diffida, con ricorso notificato alla pubblica amministrazione e a tutte le altre parti del giudizio definito dalla sentenza o dal lodo della cui ottemperanza si tratta; l’azione si prescrive con il decorso di dieci anni dal passaggio in giudicato della sentenza”.

[28] Cfr. Cons. st. ,Ad. Plen n. 24 del 2020, ad avviso della quale Il termine decennale di prescrizione del giudizio di ottemperanza, previsto dall’art. 114, comma 1, c.p.a. in ogni caso può essere interrotto anche con un atto stragiudiziale volto a conseguire quanto spetta in base al giudicato. L’Adunanza plenaria ha precisato che gli atti di impulso univocamente rivolti ad ottenere l’esecuzione del giudicato sono idonei dal legislatore ad interrompere il termine di prescrizione dell’actio iudicati, non potendo essere ‘premiata’ l’Amministrazione – con una regola della non interrompibilità della prescrizione – quando, malgrado tali atti, non vi sia stata né la ‘unilaterale’ esecuzione del giudicato, né una soluzione consensuale. La regola generale della interrompibilità del termine decennale di prescrizione dell’actio iudicati neppure risulta in contrasto col principio della ragionevole durata del processo.
Tale principio riguarda di per sé il periodo di tempo entro il quale deve esservi da parte del giudice la risposta di giustizia e non può essere inteso nel senso che vi siano preclusioni per il legislatore nel fissare una regola generale, per la quale – una volta ottenuto un giudicato favorevole – chi ha titolo ad ottenere l’adeguamento della situazione di fatto a quella di diritto preferisca anche periodicamente sollecitare l’Amministrazione soccombente a dare esecuzione al giudicato, senza ricorrere al giudice dell’ottemperanza e confidando che l’Amministrazione stessa, nel rispetto dei propri doveri istituzionali, dia finalmente esecuzione del giudicato.