Pubbl. Lun, 6 Dic 2021
I soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei Conti nelle società a partecipazione pubblica e le azioni esperibili a tutela del patrimonio
Modifica paginaIl novero dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei Conti nelle società a partecipazione pubblica, con particolare riferimento a quelle di fornitura di servizi pubblici. Un´analisi delle diverse tesi circa la concorrenza tra azione civile e azione contabile nel caso di danni arrecati al patrimonio da soggetti dotati di funzioni di controllo e di amministrazione, con specifico richiamo al dibattito dottrinale e giurisprudenziale sulle società in house per le quali, secondo una tesi maggioritaria, sussiste esclusivamente la giurisdizione contabile in ragione delle caratteristiche proprie di tale modello organizzativo e della complementarietà tra il patrimonio societario e quello dell´amministrazione.
Sommario: 1. Premessa; 2. Il dibattito giurisprudenziale sul novero dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti nelle società a partecipazione pubblica e sull’individuazione del petitum in caso di azione contabile promossa nei confronti degli stessi; 3. Il caso peculiare delle società in house; 4. La regola generale della concorrenza delle azioni ai sensi del Testo unico delle società pubbliche; 5. Conclusioni.
1. Premessa
L'’art. 1, comma 1 bis, della l. 241/90 sancisce l’applicazione delle norme del codice civile, in quanto compatibili, alla pubblica amministrazione che agisca come soggetto privato.
Pertanto, la pubblica amministrazione può avvalersi di modelli societari e di strumenti contrattuali privatistici.
E’, quindi, ammessa la costituzione di società a partecipazione pubblica, anche in forma totalitaria, per la realizzazione degli interessi collettivi stabiliti dal legislatore.
Si pensi, ad esempio, a quei settori in cui il mercato non riuscirebbe da solo a garantire ai cittadini il livello essenziale delle prestazioni come, tra i tanti, il settore dei trasporti o quello della raccolta dei rifiuti.
In particolare, con riferimento alla materia dei servizi pubblici locali, l’art. 22 comma 3 della l. 140/90, precedendo il testo unico degli enti locali, consente alla Pa di avvalersi di diverse modalità per la gestione e produzione di beni ed attività rivolte a realizzare fini sociali e a promuovere lo sviluppo economico e civile delle comunità locali.
In primo luogo c'è la gestione in economia, che la pubblica amministrazione realizza attraverso i propri uffici, quando per le modeste dimensioni o per le caratteristiche del servizio non sia opportuno costituire una istituzione o una azienda.
La pubblica amministrazione può anche concedere il servizio a terzi imprenditori quando sussistano ragioni tecniche, economiche e di opportunità sociale.
Inoltre, l’erogazione del servizio pubblico può avvenire a mezzo di azienda speciale, come per lungo tempo è accaduto con riferimento al settore ferroviario, o a mezzo di istituzione, per l'esercizio di servizi sociali senza rilevanza imprenditoriale.
Infine, per quello che maggiormente interessa ai fini della presente trattazione, a mezzo di società per azioni a prevalente capitale pubblico locale, qualora si renda opportuna, in relazione alla natura del servizio da erogare, la partecipazione di altri soggetti pubblici o privati.
Rientrano in tale ultima ipotesi non solo le società a prevalente partecipazione pubblica, ma anche le società a partecipazione pubblica totalitaria, tra le quali le società in house.
2. Il dibattito giurisprudenziale sul novero dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti nelle società a partecipazione pubblica e sull’individuazione del petitum in caso di azione contabile promossa nei confronti degli stessi
Le questioni principali affrontate dalla giurisprudenza[1] sono state principalmente due:
- la definizione del novero dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti, con particolare riferimento agli organi sociali di amministrazione e controllo delle società partecipate;
- l’individuazione del petitum in caso di azione promossa dal giudice contabile nei confronti degli stessi, ovvero se essa miri a reintegrare il patrimonio della società partecipata o di quella partecipante.
Sotto tale ultimo profilo, si ritiene che la questione sia irrilevante per le aziende speciali e per le società in house, perché in esse la distinzione tra bilanci è solo formale, essendo il patrimonio delle due società sostanzialmente unico: l’azione della procura contabile reintegra, quindi, il patrimonio della pubblica amministrazione.
Il dibattito ha riguardato anche il profilo dell’eventuale concorrenza dell’azione contabile con le azioni civilistiche a tutela del patrimonio societario e di responsabilità degli organi sociali[2].
La querelle era particolarmente accesa prima del testo unico delle società a partecipazione pubblica, cd. D.lgs. 175 del 2016, il quale ha definitivamente sancito all’art. 1, comma 3, che: “per tutto quanto non derogato dalle diposizioni del decreto, si applicano alle società a partecipazione pubblica le norme sulle società contenute nel codice civile e le norme generali di diritto privato”.
Prima di tale intervento normativo, la giurisprudenza civile[3] aveva già delineato l’applicazione delle norme codicistiche per le società a partecipazione pubblica, affermando la relativa giurisdizione del giudice ordinario. Per la società in house, tuttavia, in ragione dei suoi requisiti, era giunta ad affermare la giurisdizione esclusiva della Corte dei conti[4].
Sul punto la sentenza Rordorf [5], dal nome del suo relatore, che aveva affrontato proprio il tema della giurisdizione sugli organi sociali, di amministrazione e controllo, di società partecipate, per i danni arrecati al patrimonio di quest’ultime dagli atti contrari ai loro doveri d’ufficio.
Secondo tale pronuncia, in caso di società a partecipazione pubblica, non sussiste la giurisdizione della Corte dei conti, in quanto la partecipazione societaria della pubblica amministrazione rimane assorbita nei conferimenti iniziali della società, insieme a quella degli altri soci privati. Sono esperibili, dunque, solo le azioni previste dal codice civile in caso di danni al patrimonio sociale.
La società è, infatti, un soggetto giuridico autonomo con un patrimonio distinto da quello dall’amministrazione partecipante, con la conseguenza che, in assenza di una previsione legislativa di senso contrario, la giurisdizione appartiene al giudice ordinario.
3. Il caso peculiare delle società in house
Le conclusioni analizzate nel paragrafo precedente, tuttavia, non riguardano le società in house, i cui organi sociali, in particolare di amministrazione, sono sottoposti al giudizio di responsabilità erariale della Corte dei conti.
Questo perché gli amministratori delle società in house non hanno un autonomo potere decisionale, ma sono sottoposti gerarchicamente all’ente pubblico titolare della partecipazione.
Tale modello societario costituisce, infatti, un prolungamento dell’ente partecipante, con cui si pone in una relazione non meramente intersoggettiva, ma propriamente interorganica.
Ciò significa che sugli organi sociali viene esercitato un vero e proprio potere di comando, tale per cui essi sono dei meri subordinati senza alcun potere di dissenso.
Non si tratta, dunque, di un semplice potere di etero direzione, come quello ad esempio esercitato dalla società capogruppo nelle holding ai sensi dell’art. 2497 c.c., ma di un potere gerarchico assoluto.
Sulla distinzione tra il fenomeno della holding e quello della società in house, con riferimento all'autonomia gestionale o meno degli organi societari, è necessario distinguere il potere di direzione e coordinamento spettante all'ente capogruppo da quello gerarchico esercitato dalla pubblica amministrazione sulla società in house.
Nei gruppi societari, infatti, l'ente capogruppo non annulla mai del tutto l'autonomia gestionale della società controllata.
In essa gli amministratori conservano una loro sfera di autonomia decisionale al punto da potersi discostare da direttive che considerano illegittime, perché, ad esempio, ritenute comprimenti in modo indebito dell'interesse della controllata.
Inoltre, ai sensi dell'art. 2497 e ss., le singole società agglomerate restano entità giuridiche e centri di interessi distinti l'una delle altre.
Al contrario, la società in house è in subordinazione gerarchica rispetto all'ente pubblico partecipante e i suoi gestori non hanno alcuno spazio di autonomia, anche in caso di motivato dissenso.
Non c'è, infatti, un centro di interessi distinto rispetto all'ente pubblico per il quale opera, in quanto essa non è che la longa manus della pubblica amministrazione, al punto che l'affidamento pubblico configura un rapporto contrattuale intersoggettivo[6]; di talchè "l'ente in house non può ritenersi terzo rispetto all'amministrazione controllante ma deve considerarsi come uno dei servizi propri dell'amministrazione stessa"[7].
La distinzione tra socio pubblico e società in house, dunque, non si realizza in termini di alterità soggettiva, ma indica semplicemente l'adozione di un paradigma organizzativo societario.
Nell'in house la pubblica amministrazione partecipante non impartisce delle semplici direttive, ma dei veri e propri comandi, da cui gli amministratori non possono discostarsi se non dimettendosi.
E’ questo, in effetti, il requisito del controllo analogo che caratterizza il modello societario in questione, ovvero la sottoposizione degli organi sociali ad un controllo corrispondente a quello esercitato dalla pubblica amministrazione sui propri uffici[8].
In esso, pertanto, il modello societario è solo una veste giuridica formale, ma non c’è distinzione tra i due patrimoni, per cui il danno alla società è danno al patrimonio della pubblica amministrazione, con conseguente giurisdizione della Corte dei conti.
Sotto quest’ultimo aspetto, è utile approfondire anche le motivazioni della sentenza della Corte costituzionale[9].
Tale pronuncia ha stabilito che, in ragione dell’unicità del patrimonio della società in house con quello dell’ente partecipante, si applicano alla stessa i limiti del Patto di stabilità.
In effetti, il motivo per cui si consente a tale modello societario una deroga alle regole della concorrenza che prevedono l’affidamento mediante procedura ad evidenza pubblica risiede proprio nel fatto che l’in house costituisce un’articolazione interna della pubblica amministrazione, in quanto:
- l’affidataria è interamente partecipata dall’ente pubblico[10];
- esercita in favore del medesimo la parte più importante della propria attività;
- è soggetta al suo controllo in termini analoghi a quelli in cui si esplica il controllo gerarchico dell'ente sui propri stessi uffici.
Sempre in base a tale ratio, si applicano all’in house le disposizioni in materia di testo unico del pubblico impiego, in particolare quella previste dall'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, ovvero le disposizioni in materia di divieti o limitazioni alle assunzioni di personale. Così si è espresso il Tribunale del Lavoro[11], in riferimento al divieto di mansioni superiori.
Alla luce di quanto evidenziato, si può affermare che se in linea teorica l’art. 1 del testo unico sulle società a partecipazione pubblica sancisce l’applicazione per le stesse, e quindi anche per le società in house, delle regole civilistiche, specie con riferimento anche alle azioni di cui agli artt. 2392 ss del codice civile, di fatto l’esercizio di un’azione di responsabilità verso gli amministratori costituisce una ipotesi irrealistica ed inopportuna.
Questo perché chi dovrebbe promuovere l’azione è la stessa pubblica amministrazione che ha impartito degli ordini veri e propri, senza alcuna possibilità per gli stessi di discostarsene.
Sul requisito del controllo analogo della società in house è interessante anche la pronuncia del Tribunale di Milano[12], secondo cui, per verificarne la sussistenza non è sufficiente il dato statutario di mera definizione formale.
Occorre, infatti, un’analisi approfondita dei poteri del socio partecipante sugli organi sociali. Questi ultimi non devono ricondursi ai normali poteri civilistici del socio di maggioranza, ma devono tradursi in un quid pluris, ovvero in un potere di sovra ordinazione gerarchica.
Di opposto avviso, il Tribunale di Roma dello stesso anno, il quale ha stabilito che può comunque ravvisarsi in capo agli amministratori della società in house un potere di autonomia decisionale, sebbene solo in riferimento agli atti che non siano di alta amministrazione.
Secondo tale diverso orientamento giurisprudenziale, il controllo analogo si esplica non in una situazione di asservimento, bensì in un potere di etero direzione strategica della società controllata, al pari di quello esercitato nei gruppi societari dalla controllante nei confronti delle altre società ai sensi dell’art. 2497 c.c.
Secondo questa tesi, la conseguenza, in termini di giurisdizione, è che concorrono con l’azione della procura contabile, le azioni civilistiche previste a tutela del patrimonio societario per quegli atti che siano espressione di autonomia gestionale degli amministratori.
Sempre il Tribunale di Roma[13] è intervenuto ad annullare lo statuto di una società in house che prevedeva una ripartizione dei poteri gestori di ordinaria e straordinaria amministrazione tra consiglio di amministrazione e assemblea, in violazione del principio civilistico dell’art. 2380 bis, secondo cui l’amministrazione della società spetta esclusivamente agli amministratori.
Il tribunale ha altresì richiamato il testo unico sulle società pubbliche, in particolare l’art. 11 tups che, con riferimento agli statuti delle società, pone il divieto di istituire organi diversi da quelli previsti in tema di società dalle norme generali.
Nella società a partecipazione pubblica, dunque, non può esistere un organo diverso da quello amministrativo, come, ad esempio, il comitato analogo, o l’ organo di controllo dei sindaci, o persino l’organo dell’in house o un eventuale comitato dei sindaci.
L’ art. 16 tups, tuttavia, detta i principi e la disciplina speciale in tema di controllo analogo nelle società in house prevedendo, peraltro, che gli statuti delle società per azioni possano contenere clausole in deroga alle disposizioni di cui all’art. 2380 bis c.c..
Le deroghe statutarie al modello societario civilistico, però, devono reputarsi ammesse nei limiti del rapporto di strumentalità funzionale tra esse e il fine di realizzare il controllo analogo di cui al comma 1, come testimoniato anche dalla previsione dell’art. 16, comma 6 secondo cui «a seguito della cessazione degli affidamenti diretti, perdono efficacia le clausole statutarie e i patti parasociali finalizzati a realizzare i requisiti del controllo analogo».
Pertanto, la deroga alla norma generale che attribuisce solo agli amministratori la responsabilità gestoria, senza distinguere tra atti di ordinaria e straordinaria amministrazione, non può essere assoluta, ma limitata al controllo analogo.
Anche in tal caso, si ammette la concorrenza delle azioni civilistiche con quella contabile, con il limite, a pena di improcedibilità, di evitare duplicazioni risarcitorie in capo ai soggetti che, con le loro condotte, hanno arrecato un danno al patrimonio della società.
4. La regola generale della concorrenza delle azioni ai sensi del Testo unico delle società pubbliche
L’art. 12 del d.lgs. 175 del 2016 è esemplificativo di un sistema che riconosce la concorrenza delle azioni civilistiche con quelle della procura contabile.
Infatti, esso sancisce che i componenti degli organi di amministrazione e controllo delle società partecipate sono soggetti alle azioni civili di responsabilità previste dalla disciplina ordinaria delle società di capitali, salva la giurisdizione della Corte dei conti per il danno erariale causato dagli amministratori e dai dipendenti delle società in house.
Inoltre, tale norma devolve alla Corte dei conti, nei limiti della quota di partecipazione pubblica, la giurisdizione sulle controversie in materia di danno erariale di cui al comma 2.
Il secondo comma dispone genericamente che costituisce danno erariale il danno, patrimoniale o non patrimoniale, subito dagli enti partecipanti, ivi compreso il danno conseguente alla condotta dei rappresentanti degli enti pubblici partecipanti o comunque dei titolari del potere di decidere per essi, che, nell'esercizio dei propri diritti di socio, abbiano con dolo o colpa grave pregiudicato il valore della partecipazione.
Il comma citato non definisce il novero dei soggetti responsabili dinanzi alla Corte dei conti, perché ciò che rileva, secondo un approccio sostanzialistico, è che gli stessi abbiano esercitato i poteri decisionali o i diritti di socio.
Sotto quest’ultimo profilo, la norma in esame può essere collegata con l’art. 9 del medesimo Testo unico, il quale stabilisce che i diritti del socio sono esercitati dal Ministero dell’economia e finanze per le partecipazioni statali, dai soggetti individuati dai regolamenti regionali per le partecipazioni regionali e per quelle degli enti locali, dal sindaco, da un suo delegato, solitamente un assessore, o ancora dal Presidente del collegio. In tutti gli altri casi la responsabilità è del consiglio di amministrazione o dell’assemblea.
Tra la platea dei soggetti si ritiene che vi rientrino anche gli organi di controllo che, anche se non citati dalla norma, sono comunque sottoposti al controllo della Corte dei conti, stante la loro responsabilità civilistica che si applica in ragione del generale richiamo dell’art. 1 del d.lgs 175 del 2016 alle norme del codice civile in quanto compatibili.
La responsabilità per danno erariale, inoltre, risulta configurabile non solo nei confronti degli organi che hanno potestà decisoria finale, ma anche in presenza di un rapporto organico con soggetti che abbiano concorso a vario titolo a determinare il danno, o di soggetti esterni che per l'attività svolta continuativamente devono ritenersi inseriti, seppure in via temporanea, nell'apparato organizzativo della pubblica amministrazione.
Ciò che rileva, infatti, non è la qualità del soggetto, che può ben essere un privato o un ente pubblico non economico, ma la natura del danno e degli scopi perseguiti, cosicché ove il privato, cui siano erogati fondi pubblici, determini, con la sua condotta, un significativo sviamento dell'ente dalle finalità perseguite, lo stesso realizza un danno per l'ente pubblico, del quale deve rispondere davanti al giudice contabile.
In tal senso, la Cassazione[14] ha ritenuto responsabile di danno erariale il direttore di un’azienda per lo smaltimento dei rifiuti che con dolo ha violato la normativa contratti pubblici per aver assunto personale in violazione norme di legge.
E’ necessario specificare, tuttavia, che in questi casi la giurisdizione della Corte dei conti è pro quota, ovvero solo per la parte del danno erariale circoscritto al valore della quota di partecipazione.
5. Conclusioni
In conclusione, nelle società a partecipazione pubblica, è ampia la platea di soggetti che possono rispondere a titolo di responsabilità erariale dinanzi alla Corte dei conti e che vengono anche chiamati in giudizio per i danni al patrimonio sociale con azioni promosse dai soci, dai terzi o dalla società, secondo le norme civilistiche.
L’unico limite alla concorrenza delle azioni non attiene alla natura della giurisdizione, bensì all’eccezione d' improcedibilità, nel caso in cui, proposta un’azione, si sia reintegrato il patrimonio sociale. La proposizione di un’ulteriore azione costituirebbe, infatti, una duplicazione della posta risarcitoria non ammessa nel nostro ordinamento.
La giurisprudenza, quindi, ammette la concorrenza delle azioni civili con l'azione contabile, sulla base del dato normativo del Testo unico delle società pubbliche ed della necessità di una tutela del patrimonio sociale effettiva ed integrale sia sotto il profilo privatistico che pubblicistico.
Può affermarsi che dove ci sono risorse pubbliche sussiste sempre un controllo della Corte dei conti, indipendentemente dalla natura privata o meno del soggetto che le gestisce. Questo è, infatti, un mero dato formale di per sè irrilevante a fronte del dato sostanziale della corretta finalizzazione dei finanziamenti pubblici delle società che operano in settori sociali di rilevanza costituzionale.
Certamente la tutela dei creditori, dei soci e dei terzi attraverso le azioni tradizionali previste dal codice civile costituisce uno strumento necessario ed utile anche ai fini della reintegrazione del patrimonio della pubblica amministrazione, ma può non essere esaustivo per il risarcimento del danno erariale.
L'azione contabile rimane comunque un'azione autonoma e distinta da quella civilistica, perché si basa su propri elementi costitutivi quali: il dolo o la colpa grave, la violazione di obblighi di servizio, il danno erariale e la sua riconducibilità da un punto di vista causale alla condotta attiva od omissiva del soggetto agente .
Inoltre, mentre l'azione civile mira alla tutela dei creditori, dei terzi e dei soci, secondo la logica imprenditoriale di reintegra del patrimonio sociale, quella contabile, invece, è finalizzata non solo al ripristino della quota parte di proprietà della pubblica amministrazione, ma anche al risarcimento dei danni patiti dalla stessa per la mala gestio di risorse pubbliche secondo una logica pubblicistica di tutela degli interessi collettivi.
Appare, quindi, non solo ammissibile, ma anche inevitabile una concorrenza tra le due azioni per una protezione efficace, effettiva ed integrale del patrimonio sociale sia nella sua componente privatistica che pubblicistica.
[1] Sulla giurisdizione della Corte dei Conti in caso di inadempimento dell' obbligo societario e sulla responsabilità degli amministratori della società partecipata vd. Cass. n. 31755/2019;
[2] Sulla responsabilità degli amministratori ai sensi dell'art. 2395 c.c. come ipotesi di responsabilità extracontrattuale vd. Trib. Catanzaro 16/07/2019;
[3] Sul concorso tra azione responsabilità del curatore ai sensi dell’art. 2933 c.c. a tutela del patrimonio ed azione ai sensi dell’art. 2394 dei creditori vd. Cass. n. 1641/2017;
[4] Sulla giurisdizione della Corte dei Conti sulla società in house per assenza di alterità fra ente socio e la stessa vd. Cass. n. 26283/2013; sull'assenza del rapporto intersoggettivo nella società in house vd. anche Corte cost. n. 46/2013;
[5] Cass. S.U. n. 26724/2007 e 26725/2007;
[6] Corte cost. n. 46/13;
[7] Cons. Stato, Ad. plen., n. 1/08;
[8] Sulla natura di società in house quando lo Statuto attribuisce poteri straordinari agli enti azionisti vd. Trib. Milano n. 8608/2018;
[9] Corte cost. n. 46/2013;
[10] Sull' ammissibilità nelle società in house della partecipazione di privati v. Corte dei Conti n. 2583/2018;
[11] Trib. di Napoli n. 1089/2019;
[12] Trib. di Milano n. 8608/2018;
[13] Sull'annullamento dello statuto di una società in house che preclude atti di amministrazione straordinaria agli amministratori societari v. Trib. di Roma del 02/07/2018;
[14] V. Cass. n. 14040/2016 AMA/Comune di Roma.