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Pubbl. Ven, 27 Ago 2021

La Corte di Cassazione sulla domanda riconvenzionale trasversale

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Guidomaria De Cesare



La Corte di Cassazione, con l’ordinanza del 12.05.2021, n. 12262, torna nuovamente ad affrontare il problema dello statuto normativo della domanda trasversale di un convenuto contro altro convenuto (c.d. domanda riconvenzionale trasversale) aprendo alla tesi, in contrasto con la giurisprudenza maggioritaria, che la accosta alla chiamata in causa del terzo, ex artt. 106 e 269 c.p.c. A tale cifratura dogmatica segue, sul piano applicativo, che il giudice, non diversamente dalla citazione del terzo in giudizio ad opera del convenuto, può autorizzare o meno l´esperimento della domanda trasversale. Soluzione, questa, pienamente condivisibile nella misura in cui accorda al giudice il potere discrezionale di non autorizzare la domanda trasversale per ragioni di economia processuale.


ENG The Supreme Court of Cassation, with the ordinance of the 12th May 2021, n. 12262, ruled again on the claim of a defendant against another defendant, which is not expressed ruled by the law. According to the ordinance of the Supreme Court, the claim of a defendant against another defendant is subjected to the third party summons rules ex artt. 106 and 269 c.p.c. This approach, like the third party summon rule, gives to the judge the power to authorize or not the claim of a defendant against another defendant. This is a fully acceptable solution as it grants the courts the discretion to authorize or not the claim of the defendant against another defendant for reason of procedural economy.

Sommario: 1. La domanda riconvenzionale trasversale: incertezze applicative alla luce delle riforme del processo civile; 2. La domanda trasversale nella giurisprudenza precedente alla L. n. 353 del 1990: contradditorio diseguale e violazione del principio di parità delle armi; 3. La domanda trasversale dopo la riforma del 1990 tra nuove cifrature dogmatiche e incertezza applicative; 4. La tesi che assimila la domanda trasversale alla chiamata in causa del terzo, ex artt. 106 e 269 c.p.c., come soluzione efficiente che coniuga il rispetto dei principii del contradditorio e di economia processuale; 5. Piena adesione al principio di diritto espresso da Cass. civ., sez. I, 12.05.2021, n. 12262: lo statuto normativo della domanda trasversale è ritraibile dalle norme che disciplinano la chiamata in causa del terzo; 6. Conclusioni.

1. La domanda riconvenzionale trasversale: incertezze applicative alla luce delle riforme del processo civile 

L’ordinanza in epigrafe ha affrontato e, segnatamente, risolto il tema della domanda di un convenuto contro un altro convenuto. Il codice di rito distingue e disciplina diversamente la domanda riconvenzionale (artt. 36, 167, 183) e la chiamata in causa del terzo ad istanza di parte (artt. 106, 167, 183, 269). Diversi sono i limiti di ammissibilità, così come diverse sono le forme prescritte dalla legge. Quando la domanda del convenuto è rivolta, non contro l’attore o il terzo, ma contro un altro convenuto, si configura una fattispecie peculiare che rende incerta la disciplina ad essa applicabile.

La c.d. domanda riconvenzionale trasversale è una fattispecie dai tratti incerti.

È stato sostenuto in dottrina che l’istituto, nel perdurante silenzio del legislatore, sarebbe bicipite: riconducibile, per un verso, alla domanda riconvenzionale, quanto alle forme e termini per la sua proposizione e, per un altro, alla chiamata del terzo per quanto riguarda, invece, l’ammissibilità della stessa1.

Non sono tuttavia mancate, tanto in dottrina quanto in giurisprudenza, tesi, per così dire, moniste che accostano la domanda riconvenzionale trasversale ora alla domanda riconvenzionale tout court2con conseguente applicabilità degli artt. 36 e 167 c.p.c., ora alla chiamata in causa del terzo al quale la parte ritiene comune la causa o dal quale pretende di essere garantita3.

L’ordinanza in esame ha il merito di aver ricostruito, con precisione e chiarezza, la cifratura dogmatica dell’istituto alla luce delle riforme alluvionali che negli ultimi anni hanno riguardato il processo civile. Ed è proprio l’interpretazione storico-evolutiva delle disposizioni codicistiche ad offrire all’interprete la giusta chiave lettura dell'istituto.

2. La domanda trasversale nella giurisprudenza precedente alla L. n. 353 del 1990: contradditorio diseguale e violazione del principio di parità delle armi

Si rendono necessarie delle precisazioni per inquadrare correttamente la delicata questione processuale relativa alla domanda trasversale.

L’art. 167 c.p.c. sancisce che il convenuto nella comparsa di risposta tempestivamente depositata a pena di decadenza debba proporre le eventuali domande riconvenzionali e, se intende chiamare un terzo in causa, deve farne dichiarazione nella stessa comparsa e, contestualmente, chiedere al giudice istruttore lo spostamento della prima udienza allo scopo di consentire la citazione del terzo nel rispetto dei termini di cui all’art. 163-bis

La posizione processuale tratteggiata dall’art. 167 c.p.c. è riferita alla sola eventualità che sia il convenuto a formulare la domanda riconvenzionale contro l’attore. In altri termini, la norma non regola l’ipotesi della domanda formulata da un convenuto verso un altro convenuto nello stesso giudizio, ovvero la domanda tra cc.dd. coevocati in un processo litisconsortile.

La giurisprudenza antecedente alla Novella del 1990 ammetteva pacificamente domande trasversali tra convenuti coevocati senza bisogno di alcuna notificazione. Era considerata sufficiente per la proposizione di una domanda di garanzia fra parti costituite la comunicazione di una comparsa nelle forme previste dall’art. 170 c.p.c., ritenute idonee a consentire al destinatario della domanda di interloquire sulla stessa e di apprestare le sue difese, senza che fosse necessaria la notificazione di un atto di citazione per il rispetto del principio del contraddittorio4.

Anche la dottrina considerava ammissibile la domanda trasversale proposta da un convenuto contro l’altro, non potendosi negare, in applicazione del principio della parità delle armi tra i litiganti, al convenuto quel che è consentito al terzo interveniente5. Nell’ipotesi di contumacia, invece, il litisconsorte poteva proporre la domanda trasversale con la comparsa di risposta, comunicando la stessa nei modi usuali e notificandola ai sensi dell’art. 292 c.p.c.

L’orientamento interpretativo ante Novella ammetteva la formulazione di domande fra coevocati e si caratterizzava per l’elasticità del meccanismo di proposizione, svincolato da particolari formalità procedurali.

La soluzione testé descritta non esigeva il rispetto del termine a comparire di cui all’art. 163-bis e, peraltro, dava per scontato che esistesse in capo alla parte (e al suo procuratore) un onere di vigilanza e sorveglianza degli atti processuali anche nei confronti delle parti con cui non risultava istituito un reale contraddittorio processuale.

Il punctum pruriens dell’orientamento in parola stava proprio nell’ineffettività del contraddittorio: il coevocato contro cui era rivolta la domanda riconvenzionale, non usufruiva dei termini a comparire per predisporre adeguatamente le proprie difese. 

Un'interpretazione di tal genere comportava alcune conseguenze. Da una parte, incoraggiava il cumulo oggettivo di domande entro il medesimo processo in ragione della compressione del diritto alla difesa del coevocato. Dall'altra parte, produceva un effetto deflativo del numero dei procedimenti pendenti, dato che l’applicazione dell’art. 170 c.p.c. incentivava notevolmente il convenuto a spiegare la domanda trasversale nel medesimo processo piuttosto che convenire il coevocato in un differente giudizio.

Le incertezze intorno allo statuto normativo della domanda trasversale si sono acuite a seguito delle novelle del 1990 prima e del 2005 poi, le quali, al dichiarato fine di deflazionare il contenzioso civile, hanno introdotto preclusioni sempre più stringenti nella formazione del thema decidendum. È parso quindi necessario interrogarsi se la soluzione adottata dalla pregressa giurisprudenza fosse compatibile con le linee fondamentali e le precise disposizioni del novellato codice di rito. Infatti, la tesi che faceva leva sull’art. 170 c.p.c. non poteva ritenersi efficiente in termini di economia processuale poiché alla tendenziale riduzione del numero dei fascicoli, dovuta all’incentivo offerto al convenuto a cumulare le proprie domande contro gli altri coevocati nel medesimo processo, seguitava l’inflazione delle questioni da trattare nel singolo processo, il tutto con una ricaduta negativa sulla durata del procedimento, nonché sul numero di risorse approntate dal sistema giustizia per la risoluzione della singola controversia. 

Di talché, la tesi che riteneva applicabile l’art.170 c.p.c. risultava del tutto incompatibile con gli slogan della ragionevole durata e della riduzione del contenzioso civile che hanno informato le riforme del 1990 e del 20056. Infatti, la proposizione di una domanda trasversale porta con sé un aumento esponenziale della complessità della lite e, segnatamente, della durata del singolo processo, e ciò perché nella maggior parte dei casi, come nell’ipotesi in cui il condebitore tenuto in solido agisca trasversalmente in regresso contro un altro convenuto, il tasso di conflittualità è destinato ad aumentare in sede di gravame, atteso che le cause cumulate in primo grado sono scindibili ai sensi dell’art. 332 c.p.c.

Se quanto detto è vero, in assenza di uno statuto normativo apposito, la domanda trasversale deve necessariamente tendere alla massimizzazione dell’economia di mezzi nel singolo giudizio. 

È necessario intendersi sull’esatta portata dell’espressione economia processuale richiamando due considerazioni di ordine generale7.

Innanzitutto, il proprium dell’economia processuale è rinvenibile nella diminuzione del rapporto tra il numero di liti derivanti dall’interazione sociale e quelli risolti dalle Corti, a parità di risorse impiegate8.

In secondo luogo, l’economia processuale può essere realizzata dagli operatori del sistema della giustizia attraverso l’esercizio di poteri discrezionali orientati nel senso della predetta diminuzione. Da quest'ultimo aspetto è possibile giungere alla conclusione che ove il legislatore non abbia predeterminato forme e termini processuali, come nel caso della domanda trasversale, è efficiente quella soluzione che attribuisce al giudice poteri discrezionali orientati nel senso di ridurre la complessità della singola lite e di approntare, dunque, per la risoluzione della controversia risorse proporzionali alla difficoltà della causa.

3. La domanda trasversale dopo la riforma del 1990 tra nuove cifrature dogmatiche e incertezza applicative

In seguito all'introduzione della Novella del 1990, parte della giurisprudenza di merito ha ritenuto che la domanda trasversale debba essere assimilata alla richiesta di chiamata di terzo e il convenuto debba perciò chiedere il preventivo differimento dell’udienza per la notificazione della chiamata trasversale9.

L’assimilazione della domanda trasversale alla chiamata in causa del terzo rende applicabile il consolidato principio – a partire da Cass. sez. un., 23.02.2010, n. 4309 – secondo cui, fuori dalle ipotesi di litisconsorzio necessario, ex art. 102 c.p.c., il provvedimento del giudice di merito che concede o nega l’autorizzazione a chiamare in causa un terzo ai sensi dell’art. 106 c.p.c. coinvolge valutazioni assolutamente discrezionali che, come tali, non possono formare oggetto di appello e di ricorso per cassazione.

L’attribuzione di un siffatto potere discrezionale, non sindacabile in sede di gravame, esalta le capacità valutative del giudice in ordine all’opportunità del cumulo oggettivo di domande susseguente alla proposizione della domanda trasversale. Infatti, il giudice autorizzerà la domanda trasversale a condizione che il cumulo oggettivo di domande non renda eccessivamente difficile e dispendiosa la risoluzione di una controversia di per sé facile. Al contrario, allorquando la decisione sulla domanda trasversale comporti l’espletamento di un’attività istruttoria che pregiudichi la sollecita definizione della causa, il giudice tendenzialmente negherà l’autorizzazione all’esperimento della domanda trasversale, senza, tuttavia, che ciò possa impedire la proponibilità della stessa in un differente processo10.

Nella prevalente dottrina, avallata dalla giurisprudenza11, è prevalso l’opposto orientamento, ispirato a una esigenza di semplificazione delle forme.

Infatti, è stato sostenuto che la domanda riconvenzionale trasversale verso il coevocato altro non è che un’ordinaria domanda riconvenzionale. L'unica differenza risiede nella circostanza che la domanda riconvenzionale trasversale non è proposta contro l’attore, bensì contro altro convenuto. Dalla qualificazione della domanda trasversale come domanda riconvenzionale tout court segue che non è presente alcuna necessità del differimento di udienza e, segnatamente, della notificazione alla parte interessata, la quale è già parte del giudizio12.

Questo orientamento ritiene, quindi, sufficiente la proposizione della domanda trasversale con la comparsa di risposta depositata tempestivamente, che si reputa per ciò solo adeguatamente portata a conoscenza delle altre parti dello stesso processo, compresi gli altri convenuti13.

Secondo l’orientamento in parola, il meccanismo tratteggiato dall’art. 269 c.p.c. (citazione del terzo e differimento della prima udienza) rinviene la propria ratio nell’esigenza di consentire al destinatario della domanda di assumere formalmente la qualità di parte del giudizio, ma tale necessità non sussiste laddove la domanda sia rivolta nei confronti di un soggetto che in precedenza sia stato già evocato in giudizio e quindi abbia già assunto la formale qualifica di parte.

Risulterebbe peraltro superfluo anche il differimento dell’udienza richiesto dall’art. 269 c.p.c.. Infatti, gli adempimenti processuali previsti da tale disposizione rispondono all’esigenza di porre sul medesimo piano il terzo chiamato ed il convenuto originario, assicurando al primo una posizione analoga a quella del secondo, nel rispetto dei termini per comparire di cui all’art. 163-bis c.p.c.

Questa esigenza verrebbe meno nel caso di domanda proposta nei confronti di un soggetto che non è estraneo al processo.

4. La tesi che assimila la domanda trasversale alla chiamata in causa del terzo, ex artt. 106 e 269 c.p.c., come soluzione efficiente che coniuga il rispetto dei principii del contradditorio e di economia processuale

La tesi che assimila la domanda trasversale alla chiamata in causa del terzo, ex artt. 106 e 269 c.p.c., nonostante la giurisprudenza maggioritaria accostasse la domanda trasversale alla domanda riconvenzionale tout court, ha continuato a trovare riscontri nella giurisprudenza di legittimità.

La sentenza della Cass., Sez. III, 12 aprile 2011 n. 8315 ha aderito, in parte qua, alla diversa tesi della necessità di differimento e di chiamata, quando la domanda trasversale non si fonda sul medesimo titolo su cui si basa la domanda dell’attore, ma su di un diverso rapporto (come nel caso di garanzia impropria).

Sarebbe quindi sufficiente la riconvenzionale fra coevocati se il titolo è lo stesso, occorrerebbe la chiamata previo a mò di terzo, se il titolo è diverso. 

Si tratta, tuttavia, di un distinguo del tutto arbitrario e affatto confortato da dati positivi.

L’ordinanza in epigrafe, compiendo un atteso revirement, aderisce all’orientamento minoritario – senza distinguere il caso in cui il titolo della domanda trasversale sia il medesimo o sia diverso rispetto a quello su cui si basa la domanda dell’attore – adducendone a suffragio le ragioni che seguono.

Secondo la prima sezione, quanto alla domanda nuova proposta nei suoi confronti, il coevocato non si trova in una posizione difforme da quella di un soggetto del tutto estraneo al procedimento, perlomeno in relazione al punto veramente centrale ed essenziale, che inerisce al rispetto del diritto alla difesa.

In altri e più compiuti termini, posta la sostanziale affinità esistente tra la domanda proposta da un convenuto nei confronti di un altro e quella che lo stesso convenuto potrebbe proporre contro un terzo, se ne può dedurre l’ammissibilità quando essa è comune con quella già proposta dall’attore o è diretta a riversare sul terzo garante il peso economico dell’eventuale soccombenza dell’originario convenuto.

Di conseguenza, la domanda di un convenuto contro l’altro finisce con lo scontare gli stessi limiti di ammissibilità della chiamata in causa di un terzo su istanza di parte. Così, la domanda tra convenuti sarà ammissibile, in caso di connessione per il titolo o per l’oggetto tra il diritto fatto valere dal convenuto e quello dedotto in giudizio dall’attore in via principale, oppure nell’ipotesi in cui il convenuto come debitore solidale o parziale, domandi che si accerti l’esclusiva responsabilità di un altro litisconsorte, o ancora allorché il convenuto pretenda di essere garantito dall’altro coevocato dalle conseguenze della sua soccombenza nei confronti dell’attore.

L’art. 167., comma 3°, c.p.c. impone al convenuto di far dichiarazione in comparsa di risposta della propria intenzione di chiamare un terzo in giudizio e di richiedere il differimento dell'udienza ai sensi dell’art. 269 c.p.c.

Tale schema processuale, secondo l’ordinanza in commento, è agevolmente suscettibile di estensione all’ipotesi di domande fra coevocati per comunanza di ratio. Si vuole così accordare al destinatario della domanda trasversale il godimento di un termine a comparire, in considerazione delle decadenze che verrebbero a maturare, per poter sviluppare compiutamente le proprie difese, in ossequio al principio di parità delle armi dei litiganti, di cui all’art. 111, comma 2°, Cost.

La qualificazione della domanda trasversale in guisa di una chiamata in causa del terzo su istanza di parte, secondo la ricostruzione offerta dall’ordinanza in commento, appare possibile in virtù di una semplice interpretazione del concetto di terzo inteso non già come estraneo al processo, bensì come estraneo al rapporto processuale instaurato per effetto della citazione fra l’attore e ciascuno dei convenuti.

A ben vedere, la presentazione di una domanda nei confronti di altro convenuto non preceduta dalla preventiva richiesta di differimento dell'udienza lascerebbe infatti nel vuoto normativo i tempi e i modi in cui il destinatario della domanda potrebbe formulare le sue difese e le sue eccezioni e formulare istanze di chiamata di ulteriori soggetti e proporre domande riconvenzionali.

La soluzione, astrattamente sostenibile, secondo cui il destinatario della domanda trasversale potrebbe richiedere un termine a difesa, oltre a non avere alcun riferimento normativo, recherebbe un vulnus al dogma dell’unità dell’udienza di prima comparizione/trattazione fortemente voluta dal legislatore del 2005. 

Del pari, estremamente pregiudizievole del diritto alla difesa del coevocato, è l’escamotage di equiparare il convenuto contro cui è stata proposta la domanda trasversale all’attore destinatario della domanda riconvenzionale, con la conseguente necessità di proposizione di domande ed eccezioni conseguenti alla domanda e di eventuali chiamate di terzi ulteriori in via orale all’udienza di trattazione, ai sensi dell’art. 183, comma 5°, c.p.c.14.

Senonché, come correttamente sottolineato dall’ordinanza in commento, è chiaro che questa ricostruzione comporti una penalizzazione ingiustificata del convenuto che sia destinatario della domanda trasversale. Le motivazioni di tale pregiudizio risiedono sia nella compressione del termine di difesa senza che sia presente alcuna giustificazione sia nella preclusione di una difesa scritta15.

5. Piena adesione al principio di diritto espresso da Cass. civ., sez. I, 12.05.2021, n. 12262: lo statuto normativo della domanda trasversale è ritraibile dalle norme che disciplinano la chiamata in causa del terzo

Passate in rassegna le tesi prospettate in giurisprudenza, è possibile avanzare qualche conclusione.

Le forme processuali sottese alla domanda riconvenzionale trasversale devono –rectius: dovrebbero – assicurare tre specifiche esigenze, come correttamente evidenziato dall’ordinanza in commento. Innanzitutto, il convenuto contro cui la domanda è proposta ne deve essere tempestivamente informato.

In secondo luogo, in seguito alla proposizione della domanda, il convenuto destinatario della domanda deve poter svolgere le sue difese senza alcun pregiudizio, come se fosse stato evocato in un giudizio ad hoc, godendo di un termine a difesa congruo.

In terzo luogo, l’attore non deve veder inutilmente ritardati i tempi processuali destinati a condurre il processo a definizione.

Condivisibilmente, l’ordinanza in commento ritiene che l’equiparazione del convenuto contro cui è rivolta la domanda trasversale al terzo soddisfi le prime due esigenze16.

La compressione della terza esigenza è giustificabile, dato che le prime due sono riferibili a principi tutelati a livello costituzionale, vale a dire l'effettività del contradditorio e il diritto di difesa.

Inoltre, non è il differimento dell’udienza di trattazione a comportare un irragionevole allungamento dei tempi del processo; irragionevole è la durata di quel processo che s’è protratto ben oltre il tempo necessario per la definizione della lite; un processo può dirsi giusto solo se tutte la parti, in posizione di parità, hanno avuto a disposizione termini congrui per poter sviluppare le proprie difese. A ragionare diversamente si rischia di avallare la asimmetria tra parti in ragione dell’ansia di assicurare, ad ogni costo, la durata quanto più breve possibile del processo e non la durata ragionevole in ragione della complessità della lite.

Pertanto, tale esigenza di celerità deve cedere il passo di fronte al bisogno di ordinata e coerente trattazione del procedimento.

Laddove però non venga discrezionalmente autorizzata la chiamata del terzo dal giudice, anche l’esigenza sub c) è soddisfatta siccome l’attore non vede ritardati i tempi di definizione del giudizio in ragione del cumulo oggettivo di domande susseguente all’esperimento della domanda trasversale.

Del pari, ove non venga discrezionalmente autorizzata la chiamata del terzo, l’istante non perde certamente il diritto di convenirlo in separato giudizio e la controversia ben può essere trasferita in un differente giudizio, soggettivamente collegato al primo.

La diversa soluzione dell’equiparazione analogica della domanda trasversale alla riconvenzionale pregiudica fortemente l’efficacia di una prima udienza di trattazione non adeguatamente preceduta dalla completa formazione del thema decidendum, potendo il convenuto contro cui è stata diretta la domanda trasversale chiedere un termine a difesa.

È, dunque, pienamente condivisibile il principio di diritto enunciato dall’ordinanza in commento secondo cui «Nel processo civile, caratterizzato da un sistema di decadenze e preclusioni, conseguente alla novella di cui alla L. 26 novembre 1990, n. 353 e successive plurime modifiche e integrazioni, un convenuto può proporre una domanda nei confronti di altro soggetto, pure convenuto in giudizio dallo stesso attore, in caso di comunanza di causa o per essere da costui garantito, facendo a tal fine istanza con la comparsa di risposta tempestivamente depositata a norma degli artt. 166 e 167 c.p.c. e procedendo quindi ai sensi dell'art. 269 c.p.c., previa richiesta al giudice di differimento della prima udienza allo scopo di provvedere alla citazione dell'altro convenuto nell'osservanza dei termini di rito».

6. Considerazioni conclusive: la tesi che ritiene applicabile l’art. 269 c.p.c. come soluzione efficiente e derogabilità del principio del simultaneus processus

Al netto di quanto detto è possibile cogliere un dato di sintesi: rispetto alle varie tesi prospettate in giurisprudenza, quella dell’equiparazione della domanda trasversale alla chiamata in causa del terzo, con conseguente applicabilità del meccanismo di differimento dell’udienza di comparizione di cui all’art. 269 c.p.c., nel silenzio del legislatore, se non può dirsi la tesi più ortodossa è, invece, indubbio che sia quella maggiormente efficiente. 

Se, infatti, da un lato, l’equiparazione del coevocato al terzo estraneo rispetto alla lite può apparire (e forse lo è) una forzatura, dall’altro, anche l’assimilazione del coevocato all’attore contro cui è rivolta la domanda riconvenzionale è, non diversamente, una soverchia bizzarria.

A ben vedere, la tesi che ravvisa una certa affinità di struttura tra la domanda trasversale e la domanda riconvenzionale tout court nega al giudice qualsiasi potere di sindacare l’opportunità della domanda rivolta contro il coevocato. Di talché, il giudice potrebbe sciogliere il cumulo oggettivo di domande se e solo se dovessero ricorrere la condizioni di cui all’art. 36 c.p.c.

È noto, tuttavia, che la giurisprudenza, negli ultimi anni, ha aperto alla proponibilità di domande riconvenzionali che non dipendano dal titolo, inteso come causa petendi, dedotto in giudizio dall’attore. Infatti, ove la proposizione della domanda riconvenzionale non comporti spostamento di competenza verticale (per valore) o per materia, l’ammissibilità – o meno – della domanda riconvenzionale, rispetto alla domanda principale, non va valutata in termini stringenti, ritenendosi infatti sufficiente, per riconoscerne l'ammissibilità, l’esistenza, fra le contrapposte pretese, di un collegamento obiettivo, che per ragioni di opportunità giustifichi la celebrazione del simultaneus processus.

In altri termini, la domanda riconvenzionale, allorquando non comporti spostamento di competenza, altro non è che un’ipotesi, affatto peculiare, di cumulo oggettivo di domanda, ai sensi dell’art. 104 c.p.c.17.

Tale cifratura dogmatica della domanda riconvenzionale, se applicata alla domanda trasversale, esclude qualsiasi sindacato del giudice circa l’ammissibilità della stessa.

A voler concepire la domanda trasversale in guisa di una domanda riconvenzionale tout court – ammissibile, come detto, quandanche non vi sia spostamento di competenza e indipendentemente da una connessione per il titolo dedotto in giudizio dall’attore – si finisce per incentivare il convenuto a tenere un comportamento non ottimale, quale proporre nel medesimo processo la domanda trasversale, in ragione della compressione delle facoltà difensive del coevocato destinatario della stessa e dei ridotti poteri di sindacato del giudice.

L’incentivo al cumulo oggettivo di domanda entro il medesimo processo, come non si è mancato di sottolineare, è soluzione non ottimale siccome a fronte di un apparente effetto deflativo del numero dei contenziosi pendenti segue un effetto inflativo delle singole questioni trattate nel medesimo processo, il tutto con intollerabile spreco di risorse approntate dal sistema giustizia per la risoluzione della singola controversia.

E allora, a parità di torsione rispetto all’ortodossia delle nozioni generali del processo civile, la tesi dell’assimilazione alla chiamata in causa del terzo accorda al giudice un potere di governo sulla complessità della lite tutt’altro che trascurabile.

Laddove il cumulo oggettivo di domande, conseguente alla proposizione della domanda trasversale, venga ritenuto fattore di complicazione di una lite che non abbisogna di un’approfondita istruttoria, il giudice, tendenzialmente, non autorizzerà la domanda trasversale. Non diversamente, se al seguito della proposizione della domanda trasversale dovesse sorgere l’interesse del coevocato a chiamare in causa un terzo, il giudice, per evitare che al cumulo oggettivo di domande si affianchi un ulteriore fattore di complicazione della lite, quale il cumulo soggettivo successivo alla chiamata del terzo, verosimilmente non autorizzerà la chiamata, invitando le parti a incardinare un differente processo.

Se poi si tiene conto che l’interesse del convenuto ad agire in via trasversale contro un coevocato è ravvisabile principalmente in cause scindibili, la soluzione testé descritta, nonché avallata dall’ordinanza in commento, trova un addentellato normativo nel disposto dell’art. 103, comma 2°, c.p.c., il quale accorda al giudice il potere di “sciogliere” il processo litisconsortile allorquando «la continuazione della loro riunione ritarderebbe o renderebbe più gravoso il processo».

È lo stesso art. 103, comma 2°, c.p.c. ad offrire un argomento positivo a suffragio della tesi dell’equiparazione della domanda trasversale alla chiamata in causa del terzo, ex art. 269 c.p.c.: il giudice deve operare in guisa da diminuire la complessità della lite. 

Sono proprio le tensioni efficientiste nell’amministrazione della giustizia che portano ad escludere generalizzazioni foriere di dubbi: non è detto che la celebrazione del simultaneus processus sia, di per sé, soluzione efficiente; del pari, non è detto che lo scioglimento del cumulo sia una soluzione di economia processuale in senso tecnico.

A fronte della difficoltà di generalizzare le soluzioni efficienti, l’unica soluzione è quella di affidare al giudice, pur accettando una certa torsione delle categorie generali, poteri discrezionali orientati nel senso della diminuzione della complessità del contenzioso.

Di qui la convinzione che l’assimilazione della domanda trasversale alla chiamata in causa del terzo, con conseguente applicabilità non solo del meccanismo del differimento di udienza ma anche del vaglio del giudice in ordine all’autorizzazione alla chiamata (rectius: autorizzazione alla domanda trasversale), sia la soluzione, de iure condito, più efficiente, siccome solo il giudice può valutare l’opportunità o meno della domanda trasversale nel simultaneus processus, in ragione delle ricadute sulla complessità della controversia.


Note e riferimenti bibliografici

1. In tal senso, V. MORELLO, Note sulla c.d. domanda trasversale, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2013, 1, 396.

2. V. CASCELLA, Requisiti e limiti della domanda autonoma tra convenuti, in Il processo, 1, 2021, 73 ss.

3. V. RONCO, Appunti sulla domanda proposta da un convenuto contro l’altro, in Giur. it., I, 1999, 2290; E. VULLO, La domanda proposta da un convenuto contro l'altro: condizioni di ammissibilità, termini e forme, in Giur. it., 2002, 1778; più di recente, nel senso dell’equiparazione della domanda trasversale alla chiamata in causa del terzo, in quanto a limiti di ammissibilità, cfr. F. COSSIGNANI, La domanda c.d. trasversale, 16 gennaio 2018, in https://www.eclegal.it.

4. Cfr. Cass., Sez. III, sentenza del 26 marzo 1971, n. 894; Cass., Sez. III, sentenza del 17 marzo 1990, n. 2238; Cass., Sez. II, sentenza del 21 ottobre 992, n. 11501. 

5. Così, di recente, Trib, Milano, sez. VII, 8 febbraio 2019, n.1306, la quale ha ribadito che «La domanda di un convenuto nei confronti di un altro convenuto non è espressamente qualificata né disciplinata dal Codice di procedura civile, ma è comunque ritenuta ammissibile, attribuendo a detta domanda il nome di "domanda trasversale" ed al convenuto destinatario della stessa il nome di coevocato». 

6. Per una riaffermazione dell’applicabilità dell’art. 170 c.p.c. successiva alla riforma del 1990, v. Trib. Monza, sentenza del 13 marzo 2007, secondo cui «Le domande formulate da un convenuto verso un altro convenuto già in causa sono ammissibili anche se proposte col solo scambio della comparsa contenente la domanda medesima, fatto salvo l'obbligo di notifica, nel caso in cui il convenuto destinatario dell'ulteriore domanda sia contumace, e fermo restando l'onere di tempestiva costituzione ex art. 167 c.p.c.». 

7. Sul tema dell’economia processuale rimane insuperata l’opera di L.P. COMOGLIO, Il principio di economia processuale, I, Padova 1980, X-259; e tomo II, Padova, 1982, XIII-375; v. anche, più di recente, Id., L’economia dei giudizi come principio ad assetto variabile (aggiornamenti e prospettive), in Riv. dir. proc., 2, 2017, 331 ss.

8.  Sul tema del tempo e della giustizia nel moderno processo civile, nella prospettiva comparata, v. amplius  A. GIUSSANI, Efficienza della giustizia e culture delle riforma, 2017, 241 ss., spec. 242, secondo cui «non sembra peregrino valutare l’efficienza della giustizia civile in base a un parametro più complesso[rispetto al rapporto tra giudizi promossi e giudizi conclusi, aggiunta di chi scrive]quello del rapporto fra i conflitti generati dall’interazione sociale e i conflitti risolti in applicazione della legge sostanziale. In un’ottica di questo genere ostacolare l’accesso alla giustizia si traduce in realtà in perdite di efficienza, perché la risoluzione stragiudiziale dei conflitti esclusi dalla tutela giurisdizionale difficilmente può rispecchiare le scelte legislative: più che di economia processuale conviene in tali occasioni parlare di avarizia processuale; ma l’avarizia non è parsimonia, e non è qualità del buon padre di famiglia. Massimizzare la capacità dell’amministrazione della giustizia di applicare correttamente la legge, invece, può innescare un circolo virtuoso deflativo proprio perché può rendere più frequente una composizione amichevole delle liti in termini corrispondenti a tali scelte […]. Una siffatta competitività del sistema giurisdizionale sarebbe però tutt’altro che deleteria per il sistema economico nazionale. Se si accolgono queste premesse di ordine generale, la soluzione tecnica che meglio coniuga accelerazione ed efficienza consiste, secondo le ricerche comparatistiche, nel principio di proporzionalità, secondo il quale le forme e le tempistiche del processo debbono assai largamente dipendere dalla valutazione discrezionale e revocabile del giudice intorno al grado di complessità di ogni specifica causa».

9. Cfr. Trib. Torino, 16 marzo 1999, in Giur. it., 1999, I, 2290. 

10. V. amplius infra, § 5. 

11. Così, di recente, nella giurisprudenza di merito, Corte App. Catanzaro, sez. III, sentenza del 25 settembre 2020, n.1308; Trib. Roma, sez. VIII, sentenza del 6 novembre 2019, n. 21267. 

12. Cfr. Milano, 19 giugno 1997, in Giur. it., 1998, 1, 267; più di recente, Trib. Bari, 7 ottobre 2014. Per la giurisprudenza di legittimità si rimanda alle osservazioni sviluppate da Cass., sez. II, 16 marzo 2017, n. 6846. 

13. Cfr. Cass., Sez. III, 12 novembre 1999, n. 12558, secondo la quale, in caso di più convenuti, la domanda formulata da uno di questi nei confronti di un altro ed avente ad oggetto l’accertamento della responsabilità esclusiva del secondo rispetto alla domanda risarcitoria formulata dall’attore, va qualificata come domanda riconvenzionale, e può essere proposta negli stessi limiti di quest’ultima. 

14. In tal senso, cfr. Cass., Sez. III, sentenza del 26 ottobre 2017, n. 25415. 

15. Così, Cass., sez. I, ord. del 12 maggio 2021, n. 12262, § 5.3.8.

16. Cfr. ancora Cass., sez. I, ord. del 12 maggio 2021, n. 12262, § 5.3.9.

17.  Così G. TARZIA, C.E. BALBI, voce Riconvenzione (dir. proc. civ.), in Enciclopedia del Diritto, XL, Milano, 1989, 665 ss. Nella giurisprudenza di merito, per una recente affermazione della libera proponibilità della domanda riconvenzionale anche in assenza di connessione per titolo, cfr. Trib. Cassino, sez. lav., sentenza del 13 maggio 2021, n. 469, secondo cui «Nel procedimento civile, la relazione tra domanda principale e domanda riconvenzionale, ai fini dell'ammissibilità di quest'ultima, non vada intesa in senso restrittivo, nel senso che entrambe debbano dipendere da un unico ed identico titolo, essendo, invece, sufficiente che fra le contrapposte pretese sia ravvisabile un collegamento obiettivo, tale da rendere consigliabile ed opportuna la celebrazione del simultaneus processus, a fini di economia processuale ed in applicazione del principio del giusto processo di cui all'art. 111,1 co., Cost.. Pertanto, si ritiene ammissibile anche la domanda riconvenzionale non connessa, purché sia ravvisabile un collegamento obiettivo tra le pretese, tale da giustificare il cumulo processuale, ed entrambe le domande – come nel caso che ci occupa - appartengano alla competenza del medesimo giudice». Per la giurisprudenza di legittimità v. Cass. civ., sez. I, sentenza dell’11 aprile 2016, n.7070, per cui «Nel giudizio di opposizione allo stato passivo, così come disciplinato dall'art. 98 l.fall., nel testo, utilizzabile "ratione temporis", anteriore alle modifiche apportate dal d.lgs. n. 5 del 2006, la relazione di dipendenza della domanda riconvenzionale "dal titolo dedotto in giudizio dall'attore", che giustifica la trattazione simultanea delle cause, si configura non già come identità della "causa petendi" (richiedendo, appunto, l'art. 36 c.p.c. un rapporto di mera dipendenza), ma come comunanza della situazione o del rapporto giuridico dal quale traggono fondamento le contrapposte pretese delle parti, ovvero come comunanza della situazione o del rapporto giuridico sul quale si fonda la riconvenzionale con quello posto a base di una eccezione, così da delinearsi una connessione oggettiva qualificata della domanda riconvenzionale con l'azione o l’eccezione proposta».

Bibliografia

CASCELLA V., Requisiti e limiti della domanda autonoma tra convenuti, in Il processo, 1, 2021, 73 ss.;

COMOGLIO L.P., Il principio di economia processuale, I e II, Padova, 1980-82; IdL’economia dei giudizi come principio ad assetto variabile (aggiornamenti e prospettive), in Riv. dir. proc., 2, 2017, 331 ss.; ù

COSSIGNANI F., La domanda c.d. trasversale, in https://www.eclegal.it;

GIUSSANI A., Efficienza della giustizia e culture della riforma, 2017;

MORELLO V., Note sulla c.d. domanda trasversale, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2013, 1, 396;

RONCO V., Appunti sulla domanda proposta da un convenuto contro l’altro, in Giur. it., I, 1999, 2290;

TARZIA G., BALBI C.E., voce Riconvenzione (dir. proc. civ.), in Enciclopedia del Diritto, XL, Milano, 1989, 665 ss.;

VULLO E., La domanda proposta da un convenuto contro l'altro: condizioni di ammissibilità, termini e forme, in Giur. it., 2002, 1778 ss..