Pubbl. Ven, 9 Ott 2015
L´illusione dei diritti umani tra astrattezza, paradossi e disuguaglianza.
Modifica paginaAlcune riflessioni critiche. Samuel Moyn, Costas Douzinas, Gilles Deleuze.
Quando si invoca la giustizia si invoca qualcosa che non esiste, quando si invocano i diritti dell'uomo, si invoca qualcosa che non esiste [..]
Gilles Deleuze, Abecedario di Gilles deleuze (2004).
Pare impossibile, ad oggi, per un autore giuridico, parlare di giustizia internazionale, o se vogliamo mondiale, senza scomodare i diritti umani. Proprio nel momento in cui in molti parlano dell'era della fine delle ideologie, iniziata con la caduta del muro di Berlino (1989), l'unica filosofia che non arretra di fronte al divenire del tempo - e ai molti muri che sono caduti in seguito a quello tedesco - sembra essere quella dei diritti umani. La cosa interessante è che di certo essa non può essere definita una filosofia estremamente recente: difatti, nella sua forma attuale, ha quasi un secolo di vita, se vogliamo darle un "inizio" con la Universal Declaration of Human Rights del 1948.
Questo documento è di importanza capitale: composto nel 48 dalle forze alleate vincitrici della seconda guerra mondiale è considerato come la "base etica" dello statuto delle nazioni unite (ONU) e come compendio di principi essenziali per la tutela soggettiva dell'uomo. Tale documento è stato, e sta qui la sua portata innovativa rispetto al passato, il primo documento a sancire per ogni essere umano di qualsiasi epoca e qualsiasi latitudine dei diritti soggettivi fondamentali e universalmente tutelati (anche se poi sono gli Stati a doverli/poterli applicare).
Nonostante i numerosi sostenitori, una buona parte degli studiosi non nasconde una certa avversione al fenomeno degli Human Rights, attaccandolo sotto vari punti di vista, e in particolate contestandone l'idea generale che muove questa filosofia. Mi sembra interessante, perciò, in questo senso, vagliare l'approccio di questi studiosi, in particolare, relativamente al concetto di "diritti umani". In questo senso, è necessario prima di tutto comprendere cosa siano effettivamente i diritti umani e quale pare essere la loro "funzione".
Questo scritto ha, dunque, i seguenti obbiettivi. In primo luogo, tentare di decifrare cosa siano i diritti umani, successivamente, vagliare alcune delle critiche principali fatte contro la filosofia dei diritti umani ed infine, provare a capire quanto l'idea di diritti umani possa essere considerata "giusta" o in linea con la comune idea di "giustizia". Gli autori di cui ci servremo per compiere questa analisi sono: Samuel Moyn e Costas Douzinas e Gilles Deleuze, professori, rispettivamente, di diritto ad Harvard e alla Birkbeck University di Londra - mentre per il terzo, non credo che ci sia bisogno di presentazioni. Prima di iniziare l'analisi, però, bisogna sottolinenare che vi è in corso una discussione molto importante sulla nascita effettiva dei diritti umani; discussione che va molto al di là del rintracciare una genealogia delle idee e della terminologia che da vita agli Human rights, e che vede, ad esempio, autori come Samuel Moyn, rintracciare una loro nascita soltanto in epoca recente (post muro di Berlino).
Tutti questi discorsi, invero, impossibili anche sola da tracciare in questo breve articolo, ci servono a delineare quali siano i caratteri fondamentali degli Human Rights e per questo saranno usati in modo collaterale e occasionale durante questo scritto. L'obbiettivo di questo articolo è solo quello di dare i primi spunti per un analisi critica dei diritti umani, senza bisogno di un eccessiva conoscenza di autori, concetti e tematiche; quello che cerchiamo di fare, allora, anche con un primo riferimento nelle note e nella bigliografia, è fornire al lettore alcuni argomenti per ri-pensare i diritti umani e la loro efficacia: tutto questo, nell'ottica di un eventuale futuro e necessario approfondimento.
Quindi, cosa sono i diritti umani, e perché esistono? Per prima cosa bisogna chiarire che i "diritti umani" non sono affatto il parto di un idea recente, né tantomeno, esclusivamente, moderno. Possiamo rintracciare un origine risalente almeno ai diritti greci e in particolare nei principi del diritto naturale: quel concetto di diritto che presumeva di individuare canoni di comportamento assolutamente giusti e universali dall'osservazione/rapporto con la natura/universo/Dei/Dio. In che cosa se ne desume un collegamento? Nel fatto che, come per i diritti umani, i diritti naturali sono garantiti agli esseri umani per il semplice fatto di essere tali, quindi di esistere come persone.
Questo diritto naturale che, come ci insegnano le prime pagine dei manuali di filosofia del diritto, non distingueva il diritto dalla morale. Come facilmente comprensibile, era l'interprete che faceva la differenza nel creare questi principi giusti ed immanenti: era chi, in pratica, trasformava l'è della natura in un deve (giuridico). Questi principi non sono cambiati né con il diritto romano né con la religione Cristiana durante il Medioevo; se, infatti, è assolutamente giusto dire che vi sono stati tanti diritti naturali diversi (greco antico, romano, medioevale, Giusnaturalismo moderno etc.), tutti questi diritti naturali hanno, in un modo o nell'altro dei punti in comune: sono tutti legati ad un'idea di giustizia assoluta (e mai relativa) e si sono formati nel ventre della filosofia e del pensiero occidentale.
"La fonte del diritto naturale passò dal cosmo teologico alla ragione unificante e, infine, a Dio nel giro di dieci secoli, e la moralità ha seguito una traiettoria simile. "Diritto" significava la giusta risposta ad una questione legale e morale insieme. Veniva raggiunta attraverso l'osservazione e la contemplazione della "grande catena dell'essere"" [1]. L'evoluzione della dimensione dell'interprete di questa questione legale/morale ha però cambiato le carte in tavola e anche il rapporto tra interprete-agente finale dell'interpretazione: se, infatti, la questione nella Grecia classica era attribuita a studiosi e filosofi, con pochissima possibilità di imporre le loro considerazioni al di là di una cerchia ristretta di persone (al massimo alla Grecia antica o alla città-stato dove risiedevano tali filosofi), con il Cristianesimo, lo Stato moderno e, successivamente, con le organizzazioni internazionali di Stati, questa attività "interpretativa" è finita con l'assumere una "portata" totalmente differente, così come le conseguenze effettive di questa nuova portata.
In questo senso Costa Douzinas si chiede: "I diritti umani sono occidentali e/o universali? E' indubbio che il loro albero genealogico sia occidentale. Il Confucianesimo, l'Induismo, l'Islam e le altre religioni africane hanno i loro approcci a etica, dignità ed uguaglianza, molti dei quali assai simili a quello occidentale. Ma le filosofie e le religioni non occidentali hanno una base comunitaria più accentuata, e non sono state parte dello sviluppo iniziale del movimento dei diritti umani. A John Humphrey, che ha steso la prima bozza della Dichiarazione Universale, è stato chiesto di studiare la filosofia cinese prima di mettersi al lavoro. "Non sono andato in Cina", ammetterà più tardi, "né ho studiato i testi di Confucio". Sono quindi universali i diritti umani? Questa breve storia vorrebbe offrire dei punti di riferimento per una discussione informata su quella che è forse la questione cruciale della filosofia politica della nostra epoca. " [2]
Arrivati a questo punto, allora, riferendosi come fonte dei diritti umani la sopracitata "declaration del 48", sembra possibile fissare alcuni canoni e alcune linee evolutive che si collegano in modo piuttosto forte con il passato (e cioè il diritto naturale): i diritti umani sono certamente legati a un'idea occidentale di tutela soggettiva (o comunque a questa idea di tutela minima), ma che si de-occidentalizza divenendo valida per l'universale (l'uomo). In più la sua validità è basata sulla interpretazione di un gruppo di soggetti; quindi è ancora decisiva la figura dell'interprete della "grande catena dell'essere".
Ma questa nuova tutela dell'uomo in quanto tale ha migliorato la situazione soggettiva dell'uomo post-guerre mondiali? "Dopo il 1945, si è (tardivamente) accettata l'idea che l'umanità possa essere l'angelo sterminatore di se stesso. Norimberga e la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani del 1948 hanno dato inizio ad un lungo processo di elaborazione normativa. Centinaia di dichiarazioni, convenzioni ed accordi sono stati adottati dalle Nazioni Unite, dalle organizzazioni regionali e dagli Stati. I diritti umani sono stati catalogati in "prima generazione" di diritti, quelli civili e politici (o diritti "negativi") associati al liberalismo, "seconda generazione", ossia diritti economici, sociali e culturali (o "positivi"), associati invece alla tradizione socialista, ed infine la cosiddetta "terza generazione" o diritti di gruppo e nazionali di sovranità, associati alle lotte per la decolonizzazione. Commissioni, tribunali e corti ne sono rapidamente seguite. Qual è la ragione di una tale proliferazione? È forse l'umanità divenuta per questo più sicura?" [3]
Le numerose guerre e i genocidi, gli attacchi del terrorismo (attuale e passato), il ruolo delle mafie, la minaccia ecologica che si iniziano a mostrare con tutta la loro concretezza, sembrano contraddire questa visione aurea dei diritti umani. La domanda, quindi, che è forse opportuno porsi è quanto siano realmente efficaci gli Human Rights nella tutela dell'uomo, delle sue funzioni essenziali, della sua esistenza.
Proviamo a rispondere a questo interrogativo seguendo le indicazioni di Gilles Deleuze. Per il grande sociologo e filosofo francese, chiedersi dell'efficacia dei diritti umani è un illusione: parlare diritti dell'uomo è "astrazione pura" che non individua il problema delle "situazioni", "la vita è una questione di giurisprudenza, e giunge ad affermare esplicitamente che non si tratta di diritti dell’uomo, perché c’è la vita, non l’uomo, ci sono i diritti della vita, ci sono solo i diritti della vita, di quella vita che è un insieme di casi. [4] Il problema della tutela soggettiva dell'uomo è centrato nella idea di vita, nel suo svolgersi in una serie di situazioni che si evolvono e che niente hanno a che fare con il formalismo concettuale di un diritto: invocare i diritti dell’uomo significa[...] essere ipocriti e affermare qualcosa di teorico che è filosoficamente nullo, il diritto è qualcosa che va creato e non certo dichiarato, recitato o semplicemente ricordato, che va creato a partire da e nel divenire della vita, non certo in uno spazio teorico astratto. [5] Se questo giudizio sembra essere troppo severo, basta ricordare rispetto a quale esempio sono state espresse queste parole da parte di Gilles Deleuze, ovvero il genocidio armeno. Qui, anche Deleuze in conclusione, esprime il concetto che avevamo tracciato poc'anzi, infatti: queste dichiarazioni dei diritti dell'uomo non sono mai fatte in funzione e insieme alle persone interessate, ma sono solo un "interpretazione" esterna e teorica. Riassumendo, lo studioso francese auspica una tutela della situazione effettiva, una giurisprudenza o un analisi della stessa che vada a tutelare concretamente (e non sulla carta) le "situazioni umane" e gli abusi che le contaminano.
Tirando le somme, tali diritti sono tacciabili, seguendo le linee di pensiero dei teorici citati, di falso universalismo (ma reale occidentalizzazione - quindi un vero e proprio paradosso concettuale) e di offrire una tutela "esterna" ed effimera, - decisa da pochi per molti - senza un effettiva possibilità concreta di attuazione.
Se consideriamo, per esempio, il diritto alla vita (art. 3 dich. dei diritti dell'uomo), esso non risolve in nessun modo sia questioni concrete come l'aborto, il suicidio, la guerra, né tantomeno offre condizioni essenziali alla sopravvivenza (cibo, acqua, concreta difesa). Il diritto alla vita, di per sé non offre niente per tutelarsi nelle situazioni. "I diritti umani introducono la morale nel diritto ed offrono una limitata garanzia giuridica alle istanze morali. Ma dato che la morale non è solo una e il diritto non è un semplice esercizio di ragionamento, i conflitti morali si introducono nell'archivio legale e le strettoie giuridiche regimano la responsabilità morale." [6]
Come poi allarma C. Douzinas, pare che i diritti umani siano diventati l'ultima ideologia, sempre buona e sempre "giusta", anche al di là di una tutela inesistente, o, ancora più di frequente, la diafana copertura di mille tutele soggettive diverse. "Essa unisce il Nord e il Sud, imperialisti globalizzatori e contestatori anti-globalizzazione, liberali del primo mondo e rivoluzionari del terzo mondo. I diritti umani sono utilizzati come simbolo o sinonimo del liberalismo, del capitalismo e dell'individualismo da parte di alcuni, dello sviluppo, della giustizia sociale e della pace da parte di altri. [...] I diritti sono diventati un orizzonte comune che unisce Cardiff e Kabul, Londra e Lahore? E' un'idea rassicurante, che tuttavia viene giornalmente smentita dai notiziari. Se c'è qualcosa di perpetuo nel nostro mondo è il crescente divario di ricchezza fra i paesi metropolitani e il resto, l'abisso spalancato nel reddito e nelle opportunità fra ricchi e poveri, i sempre nuovi e ben sorvegliati muri che dividono le classi medie agiate dalla "sottoclasse" di immigrati, rifugiati e indesiderabili, quelle sacche di "terzo mondo" in mezzo al primo." [7]
Siamo arrivati, allora, all'ultima questione, che poi a dire il vero, è essenzialmente legata alle altre, e cioè: se i diritti umani siano giusti (o almeno giusti secondo la giustizia di chi le ha concepite - ovvero l'occidente del 900'). L'idea occidentale di giustizia è legata, come tutti sanno, all'idea di uguaglianza (almeno teorica). Tutte le teorie di giustizia più importanti per il pensiero del '900, tra cui le più influenti per il pensiero contemporaneo - tra le tante - sono quelle di Marx, Rawls, Nozick, Perelman, concordano sulla necessità, anche se non sull'oggetto, di un'uguaglianza tra gli uomini.
Il problema, in conclusione, può essere individuato in questa incongruenza che, parafrasando un interessantissimo articolo di Samuel Moyn, [8] si può così riassumere: i diritti umani, anche laddove essi siano perfettamente realizzati, sono compatibili con la più acuta e radicale disuguaglianza. Così lontani dal mondo dell'economia, i diritti umani si pongono come osservatore muto e complice delle più radicali disuguaglianze economiche e sociali; un osservatore così muto e "disattento" da mettere sullo stesso piano il primo dei ricchi cittadini di un ricchissimo e democratico Stato europeo, con il più povero e socialmente emarginato abitante di una dittatura militare dell'Africa meridionale.
La conclusione di Moyn è che, semplicemente, i diritti umani sono una tragedia perchè non hanno nulla a che fare con l'uguaglianza - di qualunque tipo di uguaglianza si voglia parlare - e quindi, di conseguenza, con la giustizia: cosa che li rende assolutamente irriformabili. Questo è un campanello d'allarme che, provenendo da uno degli autori che più conosce la storia di questi diritti, non può che far riflettere chi è realmente interessato a rendere il mondo più giusto per tutti.
Note
[1] C. Douzinas, "I diritti umani sono universali?" (trad. it (by C. Bottici) "are rights Universal?" ( The guardian 11/03/2009), Jura Gentium. Rivista di diritto internazionale e di politica globale , ISSN 1826-8269
[2] Ibidem.
[3] Ibidem.
[4] G. Pezzano, Stirner, Deleuze, Esposito. La Maschera del diritto e il vitalismo anarchico, Lessico di etica pubblica», 2 (2010) – ISSN 2039-2206 96
[5] Cfr. la voce «gauche» in G. Deleuze, Abecedario di Gilles Deleuze (2004), video-intervista in 3 DVD a cura di C. Parnet, regia di P.-A. Boutang, tr. it. sottotitolo di I. Bussoni, F. Del Lucchese, G. Passerone, con l’opuscolo “Gilles Deleuze. Frammenti di un’opera”, a cura di D. Lapoujade, tr. it. di R. Ciccarelli, DeriveApprodi, Roma 2005.
[6] C. Douzinas, Cosa sono i diritti umani? Investigare il paradosso,(trad. it (by Luca. Baccelli) "What are Human Rights?" (- The guardian 18/03/2009 -) Jura Gentium. Rivista di diritto internazionale e di politica globale , ISSN 1826-8269
[7] Ibidem
[8] S. Moyn, Do human rights Increase Inequality? The chronicle of higer educaation (The Chronicle Rewiew), 26/05/2015
Riferimenti bibliografici minimi
S. Moyn, The last utopia. Human rights in History, Harvard University Press, 2010
C. Douzinas, The end of Human rights, Hart, 2000