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Pubbl. Mar, 15 Giu 2021
Sottoposto a PEER REVIEW

L´art. 131-bis c.p. e la questione (ir)risolta della deflazione

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Annapia Biondi



L’obiettivo del lavoro è quello di verificare la sostenibilità della configurazione dogmatica della “esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto” di cui all’art. 131-bis c.p. in termini di condizione di improcedibilità dell’azione penale, ipotizzandone quindi una accezione differente da quella ad oggi adottata nel codice penale e accreditata dalla dottrina e dalla giurisprudenza prevalenti che, di contro, propendono per la natura di causa di esclusione della punibilità. In particolare, ammettendo la connotazione ad oggi tipizzata dalla norma e la reale funzionalità che questa ha finora assolto con riferimento alla decongestione del carico giudiziario, si pone in rilievo lo scarto tra l’auspicata portata deflattiva e la effettiva significatività che l’istituto spiega.


ENG The aim of the work is to verify the sustainability of the dogmatic configuration of the ”exclusion of punishment due to particular tenuousness of the fact” pursuant to art. 131-bis of the Criminal Code in terms of the condition of inadmissibility of the criminal action, thus assuming a different meaning from the one currently adopted in the Criminal Code and accredited by the prevailing doctrine and jurisprudence which, on the other hand, lean towards the nature of a cause of exclusion of punishment. In particular, admitting the connotation typified by the law to date and the real functionality that this has so far fulfilled with reference to the decongestion of the judicial burden, the difference between the desired deflationary scope.

Sommario: 1. Cenni introduttivi; 2. L’istituto ex art. 131-bis c.p. tra finalità dichiarate e utilità concretamente raggiunte; 3. L’endiadi “diseconomia processuale-eccessivo carico giudiziario”: una problematica in cerca di soluzione; 4. Un prototipo efficiente: il modello della procedibilità condizionata; 4.1 Adempimenti richiesti al giudice procedente; 5. Una “parvenza di procedibilità” nell’ordinamento vigente e nella giurisprudenza di legittimità; 6. L’apparato normativo del Progetto Dalia; 7. Considerazioni conclusive.

1. Cenni introduttivi.

L’introduzione dell’art. 131-bis c.p. si inserisce nel solco di una riforma di più ampio respiro (legge delega 28 aprile 2014, n. 67) che prendeva atto dell’esigenza, avvertita sul versante processuale, di sgravare il ruolo dei magistrati; con il d.lgs n. 28/2015 si concretizzava la proposta di ricercare la risoluzione a tale problematica sul piano sostanziale, delimitando in maniera più netta i confini della punibilità, con principale riguardo alle condotte criminose di ridotta entità.  

A ben guardare, quello della particolare tenuità del fatto rappresenta un tema che ha storicamente impegnato dottrina e giurisprudenza nella ricerca di un definitivo inquadramento dei fatti antigiuridici che ricadessero in tale novero, specie sotto il profilo del trattamento sanzionatorio[1].

L’elaborazione di una disciplina normativa, infatti, avrebbe assolto il tanto delicato quanto necessario compito di selezionare gli illeciti penali meritevoli di ottenere una risposta punitiva da parte dello Stato così da distinguerli da quelle condotte che, pur se penalmente rilevanti, risolvevano di fatto la loro illiceità in una offesa particolarmente tenue al bene giuridico.

Il riferimento è alla categoria degli illeciti bagatellari impropri[2] che, differentemente da quelli propri, non sottendono un aprioristico giudizio legislativo in termini di microviolazione[3] – cui corrisponderebbe la fissazione di una cornice edittale piuttosto esigua, indice, questa, di un limitato disvalore penale – ma costituiscono fatti criminosi potenzialmente suscettibili, in concreto, di manifestarsi secondo modalità irrisorie.

In altre parole, le condotte che in concreto realizzano gli estremi di tali illeciti ben potrebbero dar luogo ad una offesa particolarmente blanda, ma tale eventualità, in assenza di un previo giudizio di esiguità operato a monte e tradotto nell’attribuzione di limiti edittali alquanto modesti, è riscontrabile solo in seguito alla commissione degli stessi fatti di reato e quindi ad una valutazione giurisdizionale nel merito; la singola condotta può, dunque, integrare una violazione più o meno rilevante della norma incriminatrice ed arrecare un’offesa più o meno significativa al bene giuridico tutelato.

Da ciò discende un importante corollario riassumibile nella teoria della graduabilità dell’illecito penale[4]: non solo la pena va commisurata – secondo i criteri dettati dall’art. 133 c.p. – ma anche l’illecito, considerato nella sua dimensione materiale, è passibile di graduazione in quanto rimanda ad un’entità facilmente frazionabile piuttosto che ad un rapporto di reciproca alternatività – c.d. aut-aut – che non ammetterebbe, di contro, alcuna scelta mediana tra i vertici opposti della sussistenza e dell’insussistenza.

A ciò si lega l’approccio ad un ulteriore aspetto teorico che consente di avallare un’accezione del principio di extrema ratio del diritto penale quale criterio di equilibrio tra illecito e sanzione operante, dunque, su di una scelta penale già realizzata[5] consecutiva ad un giudizio di insufficienza del ricorso a strumenti dissuasivi propri del diritto civile o amministrativo[6].

2. L’istituto ex art. 131-bis c.p. tra finalità dichiarate e utilità concretamente raggiunte.

Ad ogni modo, questo dibattito dottrinale emergeva specularmente sul versante applicativo, ove il contrasto tra l’applicazione di sanzioni formalmente ineccepibili ma obiettivamente sproporzionate alle reali dimensioni dei fatti oggetto dei giudizi costituiva una delle principali disfunzioni del sistema.[7]

Tale prospettiva rende evidente il ruolo che l’istituto di cui all’art. 131-bis c.p. assolve in tema di politica criminale[8], ovverosia quello di espungere dal sistema penale gli illeciti bagatellari – impropri – a vantaggio delle vicende giudiziarie attinenti a fatti realmente lesivi del bene giuridico, limitando l’ingerenza dello Stato in chiave punitiva e migliorando consecutivamente la qualità di tale intervento, che consentirebbe al contempo il superamento di rischiosi automatismi nell’irrogazione della pena.

Tuttavia, l’istituto della “esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto” ha finito per somatizzare proprio quelle criticità che aveva l’ambizione di superare, integrando un disposto normativo sensibilmente problematico in ragione dei profili che indirettamente coinvolge, specie sotto il profilo di una complicata conciliazione tra tali strategie di politica criminale e la  necessità di contribuire ad una decongestione dell’eccessivo carico giudiziario, con apprezzabile beneficio anche in termini di economia processuale[9].

I predetti profili, apparentemente irriducibili ad unità, sono tuttavia accomunati dal medesimo intento deflattivo, e quindi potrebbero trovare una plausibile composizione ove si ammetta che il riscontro nel caso concreto di un fatto bagatellare improprio[10] obbliga anzitutto a riconoscere che qualsiasi pena, anche quella minima ipotizzabile, si manifesti come sproporzionata  e dunque priva di giustificazione e, in secondo luogo, pone in luce l'irragionevole spreco di risorse ed energie, inevitabilmente sottratte ai casi più gravi, rappresentato dallo svolgimento del procedimento penale.

Dunque, l’istituto di cui all’art. 131-bis c.p. avrebbe dovuto assumere portata dirimente di una serie di problematiche sostanziali e processuali[11] fornendo una più rigorosa e funzionale sistematizzazione della materia. Alla novella del 2015 va riconosciuto l’indiscusso merito di aver positivizzato una disciplina normativa che – pur non essendo espressione di riflessioni inedite[12] – rappresenta tra le diverse proposte quella connotata di una più tangibile efficacia ed efficienza.

Tuttavia, siffatti obiettivi sono disattesi proprio sul versante prasseologico che la disciplina recentemente introdotta avrebbe dovuto ottimizzare.

3. L’endiadi “diseconomia processuale-eccessivo carico giudiziario”: una problematica in cerca di soluzione

Il problematico profilo attinente alla ricerca di un modello concretamente idoneo a realizzare gli scopi deflattivi rimane ad oggi aperto e critico, rappresentando il precipitato logico di una situazione precaria che trova la sua involuzione in una falla della macchina processuale.

Il procedimento penale è al contempo destinatario e scenario della riforma. Destinatario, perché ad esso sono tesi gli sforzi legislativi atti a garantirne l’efficienza degli ingranaggi; scenario, perché è nel suo ambito che va misurato il successo delle innovazioni apportate.

Ciò premesso, un valido supporto empirico è fornito dalla valutazione oggettiva sul movimento dei procedimenti penali pendenti, onde valutare l’incidenza delle innovazioni legislative sul contenimento dei tempi di definizione dei giudizi penali.

I dati di seguito riportati costituiscono un’elaborazione effettuata sull’andamento dell’arretrato nel settore penale, secondo quanto è risultato da una ricerca effettuata dall’ISTAT per gli anni giudiziari dal 2013 al 2017[13] – il che consente di avere un riscontro dell’impatto avuto dalla riforma e di confrontare, dunque, i dati registrati prima e dopo la novella legislativa –.

Dalla lettura dei dati ricavati dalla predetta analisi sull’andamento dei procedimenti è emersa una lieve diminuzione della sopravvenienza in primo grado (-1,2 per cento) nel corso del 2015; le Procure della Repubblica hanno visto, da sole, una diminuzione del 4,1 per cento dei procedimenti iscritti a carico di adulti.

Si rende tuttavia necessario un chiarimento.

Pur se certamente apprezzabile ai fini di una valutazione complessiva sull’andamento e sulla tempistica di trattazione dei procedimenti, tale dato non è del tutto pertinente con lo scopo della valutazione in esame poiché nulla dice in merito alla effettiva incidenza dell’art. 131-bis c.p., in funzione di strumento deflattivo, sui carichi pendenti. In altre parole, i dati ricavati non consentono di risalire ai risultati ascrivibili univocamente alla nuova clausola. Infatti, tale miglioramento andrebbe più plausibilmente ricondotto agli effetti indiretti della legge delega n. 67/2014 (attuata con il d.lgs. n. 28/2015) che dispone deleghe al governo in materia di depenalizzazione di alcuni delitti, per cui resterebbe ancora da appurare se, ed eventualmente in quale misura, tale istituto abbia contribuito a snellire l’ipertrofia dei giudizi non ancora definiti in primo grado.

Pertanto, onde assicurarsi una più stretta correlazione tra causa ed effetto nei termini chiariti, e quindi una maggiore significatività e valorizzazione dei relativi esiti, bisogna restringere il campo di indagine ai soli provvedimenti iscritti presso gli uffici del giudice per le indagini preliminari e del giudice dell’udienza preliminare, per i quali i riscontri non sono parimenti positivi. Con riferimento all’anno giudiziario 2015, infatti, negli uffici della giustizia penale per adulti si registra generalmente una sopravvenienza maggiore nel corso dell’anno rispetto ai procedimenti esauriti, con conseguente aumento delle pendenze alla fine dell’anno. Per coerenza logica occorre rappresentare che anche in questo secondo prospetto statistico non può considerarsi univoca la ragione di tali sopravvenienze, ma ad esso si attribuisce uno spessore indicativo maggiore, se interpretato alla luce della finalità dell’analisi in questione.

In altre parole, qualunque sia la natura di tali sopravvenienze, esse sono sintomatiche di una disfunzione nel sistema che la nuova causa di esclusione della punibilità non ha evidentemente contribuito neutralizzare o quantomeno a ridurre.

La questione che in questa sede preme risolvere, poiché decisiva per la comprensione dei  relativi esiti, non è già quella finale del sovraffollamento delle carceri (problema, questo, che non si interseca con l’effetto diretto dell’istituto in esame), bensì quella – per così dire, incidentale – della congestione dei procedimenti pendenti. La particolare tenuità del fatto, invero, per sua natura interessa procedimenti aventi ad oggetto reati bagatellari per i quali, ove venisse ritenuto applicabile l’art. 131-bis c.p. non si farebbe luogo a  sentenza di condanna, bensì di assoluzione[14].

Quanto a questo secondo e cruciale aspetto, appare chiarificatore quanto emerge dal grafico sull’arretrato[15] che mostra l’andamento degli affari penali che, alla data di riferimento, non sono stati definiti entro i termini previsti dalla legge e per i quali i soggetti che abbiano subito un pregiudizio dalle lungaggini processuali potrebbero richiedere allo Stato un risarcimento per “non ragionevole” durata (c.d. procedimenti “a rischio Pinto” ai sensi della legge n.89 del 24 marzo 2001), ovverosia, tre anni per i procedimenti in primo grado, due anni per i procedimenti in appello, un anno per i procedimenti in Cassazione.

Ancora, tale andamento non incoraggiante si conferma anche per i successivi anni giudiziari; da ultimo si prende atto della relazione sull’amministrazione della giustizia[16] redatta dal Primo Presidente della Suprema Corte di Cassazione in data 31.1.2020 e relativa all’anno giudiziario 2019, nella quale si osserva che «l’istituto della non punibilità per particolare tenuità del fatto ex art. 131-bis c.p. è applicato in misura crescente, seppure con modesto impatto sul numero dei procedimenti sopravvenuti».

Ciò che le statistiche oggettive consentono di constatare è che la problematica del sovraccarico delle pendenze penali risulta, ad oggi, solo arginata ma non risolta, ed emerge una realtà ancora tangibile[17] che alimenta nuove e diverse criticità. Le lungaggini delle dinamiche processuali, tra l’altro, cagionano il differimento della reazione dello Stato, sino al punto da creare una eccessiva e ingiustificata dilazione tra la commissione del reato e la delibazione in merito. Da un lato, la vicenda criminosa viene diluita in uno spazio cronologico così dilatato da sminuire l’effettivo intento ricollegato alla funzione di risocializzazione della pena; dall’altro lato, il reo è costretto a rimanere a lungo in un limbo giudiziario.[18]

In conclusione, l’istituto assolve una limitata utilità pratica in relazione allo smaltimento dei carichi pendenti, dal momento che per la valutazione del fatto è richiesto, ad ogni modo, l’espletamento di una completa istruttoria.

4. Un prototipo efficiente: il modello della procedibilità condizionata

Ciò premesso, si potrebbe allora sperimentare una diversa soluzione ermeneutica e valutare la fattibilità di una ricostruzione dell’istituto di cui all’art.131-bis c.p. quale condizione di improcedibilità dell’azione penale.[19]

Giova a tal proposito una breve ricognizione delle peculiarità di ambedue le categorie alle quali l’istituto è stato alternativamente ricondotto.

Tendenzialmente, le condizioni di punibilità si intendono correlate alla verificazione di un fatto cui la legge subordina la punibilità del reato, laddove le condizioni di procedibilità si riconducono ad un atto, segnatamente ad una dichiarazione di volontà, coordinata al processo, salvo che sia la stessa legge a collegarle ad un fatto.

Dall’accredito dell’una o dell’altra opzione ermeneutica discendono conseguenze sostanziali e processuali differenti posto che, ove si propenda per la natura sostanziale, il giudice, dopo aver appurato la sussistenza dei presupposti normativi, emette una sentenza di proscioglimento nel merito (sentenza di assoluzione), dunque verrà meno l’irrogazione della sanzione; diversamente, adottando la ricostruzione processuale, l’epilogo processuale sarà concretizzato da una sentenza di rito (sentenza di non luogo a procedere o sentenza di non doversi procedere) che dichiari l’improcedibilità di una iniziativa accusatoria e dell’instaurazione del processo.

Fortemente dibattuta è la natura dell’istituto in esame del quale, come meglio si preciserà, è immediatamente percepibile una ambigua formulazione. Probabilmente[20], tale ambiguità non è frutto di una disattenzione del legislatore, ma sarebbe da questo intenzionalmente realizzata per evitare di effettuare una netta selezione a monte[21] a vantaggio di una ricostruzione neutra e mutuata su ambedue le categorie; ciò, invero, spiegherebbe la coesistenza delle due “anime” dell’istituto. Insomma, una disciplina capace di accogliere le due tendenze di fondo avrebbe sopito potenziali censure da parte della dottrina e della giurisprudenza.

Perché dunque propendere per la natura processuale in luogo di quella sostanziale?

La risposta è di facile intuizione. A ben guardare, ciò che osta alla soddisfazione degli scopi deflattivi è l’ancora ineliminabile vaglio giurisdizionale nel merito della vicenda sottoposta alla cognizione del giudice procedente, essendo questa una valutazione indefettibile laddove si consideri la clausola in esame alla stregua di una causa di esclusione della punibilità che presuppone – tra le altre – l’accertamento della colpevolezza dell’agente. Tale passaggio rimane invece estraneo alla logica delle condizioni di improcedibilità.

Del resto, una consimile soluzione sarebbe non solo proporzionata alla reale portata della vicenda penale, ma anche giustificata da un punto di vista dogmatico, atteso che è stato rilevato da autorevole giurisprudenza che «l’offensività non è un fatto o un evento, ma appunto una qualificazione giuridica riferita al fatto. Né questa qualificazione richiede valutazioni diverse da quelle funzionali a qualsiasi accertamento della illiceità penale di un fatto o alla sua connotazione di maggiore o minore gravità. Sono pertanto compatibili con l'art. 112 Cost. le norme che riconoscono al giudice il potere di dichiarare l’improcedibilità per tenuità del fatto»[22].

Dunque, l’eliminazione di tale giudizio, lungi dall’arrecare un pregiudizio all’autore del fatto o, ancor peggio, una lesione del proprio diritto di difesa, determinerebbe al contrario un vantaggio, poiché egli otterrebbe il diverso – e forse più concreto – beneficio di un rapido e proporzionale esito giudiziale della vicenda che lo coinvolge.

4.1 Adempimenti richiesti al giudice procedente

Allorquando il giudice prenda atto della lieve entità della lesione cagionata al bene giuridico non dovrebbero essergli imposti ulteriori adempimenti cognitori.

Tale asserto non deve risultare fuorviante: la tenuità è suscettibile di immediato rilevo già in via di primissima approssimazione poiché essa «non sopravviene al fatto, ma lo connota sin dall’origine e dunque, in qualsiasi momento la si accerti, occorre dichiarare che l’azione penale non poteva essere esercitata»[23] per cui, anche nella fase delle indagini preliminari, il Pubblico Ministero sarebbe legittimato ad avanzare richiesta di archiviazione previa constatazione della particolare tenuità dell’illecito, come d’altronde già previsto dall’art. 411 co-1 bis c.p.p. introdotto dalla riforma.  La definizione della vicenda giudiziaria portata all’attenzione del magistrato fin dalla fase prodromica al procedimento fornirebbe il vantaggio di una celere fuoriuscita della vicenda dal circuito giudiziario, atteso che «il meccanismo della procedibilità condizionata può contribuire a selezionare la domanda di repressione penale»[24].

È importante riconoscere che il ragionamento logico che si esige dal giudice appartiene ad una fase preprocessuale e non va a coincidere con il vaglio nel merito. Il giudice verrebbe in tal modo investito di una attività cognitiva – da compiere a monte – sulla diretta incidenza della condotta sul bene giuridico tutelato, superando così il limite congenito alle clausole di non punibilità che, come anticipato, osta all’assolvimento della funzione deflattiva.

Una così prospettata scelta metodologica, di fare della particolare tenuità del fatto una condizione che preclude l’esercizio o la prosecuzione dell’azione penale, è di indubbia significatività. In primis, in tal modo se ne può fare ragione giustificativa di un’archiviazione[25], bloccando il procedimento in uno stadio molto precoce, sicché l’inserimento della verifica della particolare tenuità del fatto in seno all’iter per l’archiviazione permette di giungere rapidamente all’esito auspicato, evitando la celebrazione della udienza.[26]

La valenza fondamentale di una tale ricostruzione consisterebbe nel traslare il giudizio di esiguità su di una stima di opportunità non tanto della sanzione da irrogare, quanto della celebrazione del rito. Di fatti, l’inazione del P.M. non postula un implicito accertamento della responsabilità dell’autore del fatto, ma attesta solo l’inutilità del processo.

In dottrina[27] si è proposto di ridurre la tenuità del fatto ad una «una valutazione eminentemente tecnica circa il rapporto fra condotta ed offesa»[28] sul presupposto che, se il campo valutativo è interno al fatto e riguarda la lieve offensività, e se questa è rintracciabile già dalla notizia di reato, non può che privilegiarsi la formula della archiviazione per la inutilità dell’esercizio dell’azione penale. Del resto, si tratterebbe di ricalcare il sentiero percorso dal legislatore del 2000 in tema di reati di competenza del giudice di pace[29], nel cui ambito vanno ricercati gli archetipi della delegittimazione dell’esperimento del giudizio in presenza di un fatto scarsamente lesivo; «in altri termini, questa soluzione rimette al pubblico ministero, prima, e alla conferma del giudice per le indagini preliminari, poi, il profilo penalistico del fatto rappresentato nella notizia di reato, incentrandolo su una prognosi prettamente tecnica circa la ricorribilità della pena per quel fatto specifico che si presenta come irrilevante sul terreno della giurisdizione penale».

5. Una “parvenza di procedibilità” nell’ordinamento vigente e nella giurisprudenza di legittimità

Sebbene tanto il dettato codicistico quanto gli orientamenti giurisprudenziali depongano nel senso di una ricostruzione sostanziale dell’istituto, una diversa strutturazione di questo non deve perplimere, posto che già alcuni dati lasciano intendere una sorta di smussamento del rigore della disciplina tipizzata che pare aderire implicitamente ad una categoria sui generis cui la nuova clausola viene ascritta.

A comprovare tale delibazione vi sarebbe anzitutto un orientamento della giurisprudenza di legittimità con cui si registra una prima apertura in questa direzione. Con la nota sentenza 5800/2016[30] la Cassazione giunge alla determinazione che il legislatore, nel delineare l’istituto della esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, «a ben guardare avrebbe licenziato una sorta di ibrido, definendola “causa di non punibilità”, che tuttavia – a scopo deflattivo – viene disciplinata nelle sue implicazioni in rito come condizione di procedibilità».

Ancora, tale approdo ermeneutico non sarebbe del tutto sovversivo della vigente disciplina normativa, posto che in questo senso depone altresì una lettura sincretica delle innovazioni apportate al Codice di rito dalla novella del 2015.

L’art. 469 co.1bis c.p.p. rubricato “Proscioglimento prima del dibattimento”, sancendo che «la sentenza di non doversi procedere è pronunciata anche quando l’imputato non è punibile ai sensi dell’art.131-bis c.p.», facendo per l’appunto riferimento alla sentenza di non doversi procedere, riconduce evidentemente l’istituto ad una condizione di procedibilità.

Allo stesso modo, l’art. 651-bis c.p.p. rubricato “Efficacia della sentenza di proscioglimento per particolare tenuità del fatto nel giudizio civile o amministrativo o di danno”, introdotto dalla novella, prevede oggi l’efficacia di giudicato della sentenza di “proscioglimento” (e non di “assoluzione”) emessa a seguito del dibattimento.

Le due norme, dunque, paiono evocare la dimensione processuale dell’istituto, rappresentando un compromesso tra la completa rinuncia all’esercizio dell’azione penale e la rigorosa repressione di determinati fatti.

Da ultimo, preme far chiarezza su di un aspetto che potrebbe generare sospetti di incongruenza tra la natura processuale dell’istituto e il sistema penale vigente: qualificato l’istituto alla stregua di una condizione di procedibilità – rectius, di improcedibilità – occorre precisare a quale sottocategoria debba farsi riferimento.

In buona sostanza, la particolare tenuità del fatto andrebbe configurata quale condizione di procedibilità c.d. atipica[31], superando il limite della tipicità di queste. Infatti, l’elenco codificato all’art. 346 c.p.p. non è tassativo, ben potendo altri atti (o fatti) essere qualificati come tali da disposizioni di legge anche estranee al codice ovvero, anche a prescindere da una esplicita qualifica, essere comunque assoggettati al regime proprio delle condizioni di procedibilità, venendo ad incidere sull’esercizio dell’azione penale.

La previsione delle condizioni di procedibilità già tipizzate nel codice di rito non deve inibire la propensione a crearne delle nuove, non essendovi preclusioni in tal senso, e anzi, è lo stesso codice a dare atto della presenza nel sistema processuale penale di condizioni di procedibilità diverse ed ulteriori rispetto a quelle nominativamente prese in considerazione e sopra menzionate, che potrebbero quindi definirsi “atipiche” o “speciali”, in quanto per lo più previste dalla legislazione extracodicistica.[32]

L’individuazione di nuove condizioni di procedibilità sottende una precisa scelta di natura politico criminale attuata dal legislatore nell’ambito del recinto dei principi costituzionali[33], la quale va, in tal caso, ricercata nella tendenza invalsa di «ampliare il “fenomeno della procedibilità”, includendovi qualsiasi fattore incidente, in modo più o meno diretto, sulla prosecuzione del procedimento di merito: questo ha comportato la progressiva espansione del già variegato catalogo delle condizioni di procedibilità “atipiche”, che assume confini sempre più estesi e polimorfi, includendo frequentemente anche fattori “endoprocessuali”, in deroga alla regola generale che individua nelle condizioni di procedibilità elementi esterni al processo e al reo»[34].

Quanto asserito renderebbe plausibile – quantomeno sotto un profilo ermeneutico – la proposta qualificazione dell’istituto di cui all’art.131-bis c.p. quale condizione di procedibilità.

6. L’apparato normativo del Progetto Dalia.

Le asserzioni fin qui sostenute necessitano a questo punto di un riferimento normativo che le legittimi sul piano giuridico. Ad oggi, non sono mancati tentativi da parte di eminenti studiosi di razionalizzare la materia aderendo ad una diversa metodologia, corrispondente a quella proposta nella presente trattazione e a si intende aderire.

Il riferimento è alla proposta di riforma del codice di procedura penale formulata nel Progetto Dalia – dal nome del prof. Andrea Antonio Dalia e successivamente trasposta nel corso della XV legislatura nel disegno di legge numero 323 del 2 maggio 2006, la quale mirava a neutralizzare una patologica contraddittorietà insita nel codice, generata dal susseguirsi di emendamenti sostanziali e normativi.

I passaggi salienti del progetto concernono le disposizioni in materia di particolare tenuità del fatto, ricostruita alla stregua di una condizione di procedibilità dell’azione penale. Sul punto, il progetto legislativo era del tenore di prevedere «l’archiviazione degli atti e la declaratoria di non doversi procedere per tenuità ed occasionalità del fatto», cui veniva garantita una copertura normativa per le diverse fasi processuali nelle quali questa poteva essere acclarata; precisamente,  l’art. 449 – rubricato “Casi di richiesta di archiviazione” – co.1 lettera d) disciplinava il rilievo della particolare tenuità nella fase delle indagini preliminari, e sanciva che il magistrato del pubblico ministero presentasse al giudice richiesta di archiviazione entro i termini previsti dagli articoli 446 e 447 «quando, con riferimento ai reati di competenza del giudice di pace o del giudice monocratico del tribunale ordinario, il fatto [fosse] di particolare tenuità , perché, rispetto all’interesse tutelato, l’esiguità del danno o del pericolo che ne è derivato, nonché  la sua occasionalità e il grado della colpevolezza non giustificano l’esercizio dell’azione penale, tenuto conto, altresì, del pregiudizio che l’ulteriore corso del procedimento può recare alle esigenze di lavoro, di studio, di famiglia o di salute dell’indagato».

Nel Titolo X, contenente la disciplina della “Udienza di comparizione”, si rinveniva il trattamento della fattispecie in esame in un diverso segmento processuale. L’art. 467 – rubricato “Sentenza di non luogo a procedere” – al co.4 sanciva che «il giudice [dichiarasse] non luogo a procedere anche quando il fatto [fosse] di particolare tenuità perché, rispetto all’interesse tutelato, l’esiguità del danno o del pericolo che ne è derivato, nonché la sua occasionalità e il grado della colpevolezza non giustificano il giudizio dibattimentale, tenuto conto, altresì, del pregiudizio che l’ulteriore corso del procedimento può recare alle esigenze di lavoro, di studio, di famiglia o di salute dell’imputato».

Quanto all’udienza preliminare, la relativa disposizione era tipizzata dall’art. 515 – rubricato “Proscioglimento anticipato” – co.2, il quale ammetteva la dichiarabilità della particolare tenuità anche in questa sede mediante la formula del non doversi procedere per irrilevanza del fatto «perché, rispetto all’interesse tutelato, l’esiguità del danno o del pericolo che ne è derivato, nonché la sua occasionalità e il grado della colpevolezza non giustificano l’applicazione della pena, tenuto conto, altresì, del pregiudizio che l’ulteriore corso del procedimento può recare alle esigenze di lavoro, di studio, di famiglia o di salute dell’imputato».

Un ulteriore settore applicativo della fattispecie di particolare tenuità del fatto era il rito di competenza del giudice di pace; l’art. 622 – rubricato “Esclusione della procedibilità nei casi di particolare tenuità del fatto” – riprendeva la disciplina adottata dal legislatore del 2000 con il d.lgs. n. 274 e statuiva che «nel caso previsto dall’articolo 449, comma 1, lettera d), se è stata esercitata l’azione penale, la particolare tenuità del fatto può essere dichiarata con sentenza solo se l’imputato e la persona offesa non si oppongono».

Il principale punto di forza dell’impianto normativo che il Progetto Dalia aveva ricostruito sul tema della particolare tenuità del fatto sta nell’aver ricollocato la disciplina nell’alveo di un coerente percorso logico tradottosi poi in una sistemazione giuridica distribuita parallelamente in più fasi procedimentali – lo si ribadisce, in ipotesi archiviazione  (art. 449), di sentenza di non luogo a procedere nell’udienza di comparizione (artt. 467) e di non doversi procedere nel predibattimento (art. 515) –, ottenendo come risultato una previsione non solo potenzialmente satisfattiva delle esigenze deflazionistiche, ma anche compatibile con i dettami precettivi che disciplinano la materia negli ulteriori settori dell’ordinamento.

7. Considerazioni conclusive

Il legislatore delegato, pur propendendo per l’ideazione di una causa di non punibilità, non ha del tutto rinunciato a soddisfare esigenze deflattive[35]; a riprova di ciò interviene la constatazione che, a ben guardare, già nell’assetto normativo vigente risulta indiziata una celata natura processuale.

Più in particolare, l’innovazione legislativa attuata dal d.lgs. n. 28/2015 è la risultante dell’avvenuta compenetrazione tra interessi diversi cui corrispondono altrettanto differenti influssi, sicché non sarebbe possibile discorrere della particolare tenuità del fatto quale istituto sostanziale “puro”, attesa la palese contaminazione della pretesa di procedere all’accertamento del fatto offensivo con l’esigenza di alleggerire i carichi giudiziari, quest’ultima tradotta nelle norme che, all’interno del codice di rito, disciplinano il procedimento di rilevazione di siffatte cause di non punibilità; da ciò discende la possibilità di archiviare il procedimento per particolare tenuità del fatto, di prosciogliere in fase predibattimentale e di addivenire alla medesima conclusione nell’udienza preliminare o nel giudizio abbreviato, nonché all’esito del dibattimento ed in fase di impugnazione.

In altre parole, l’art. 131-bis c.p. delinea un istituto che solo nella forma corrisponde alla sua qualifica di causa di non punibilità, costituendo nella sostanza, se non una vera e propria condizione di procedibilità, quantomeno un istituto ibrido.

Ciò nonostante, il sistema di questo tenore, ad oggi vigente, solo apparentemente si eleva a strumento idoneo ad  assolvere una funzione realmente deflattiva, e ciò proprio in ragione delle implicazioni derivanti dalla natura della componente sostanziale, la quale anche in relazione alle vicende c.d. bagatellari impone pur sempre un apprezzamento giudiziale nel merito quale passaggio necessario dell’iter procedimentale – e ciò a detrimento di quelle vicende giudiziarie più serie che richiederebbero una concentrazione quanto più elevata possibile delle risorse giudiziarie – laddove le cause di procedibilità possono essere dichiarate in ogni stato e grado del processo e a prescindere da tale accertamento, a beneficio della sveltezza delle dinamiche processuali.


Note e riferimenti bibliografici

[1] Cfr. sul tema F. PALAZZO, Le nuove norme sulla giustizia penale, a cura di Conti, Marandola, Varraso, Padova, 2014; A. TRINCI, Particolare tenuità del fatto, in Officina del diritto, Giuffrè editore; E. ADDANTE La particolare tenuità del fatto: uno sguardo altrove, Quesiti, in Archivio Penale, 2016 n.2; L. PACIFICI, La particolare tenuità dell’offesa; questioni di diritto penale sostanziale, in Diritto Penale Contemporaneo, 2015

[2] Sul concetto di illecito bagatellare proprio e improprio si veda S. MOCCIA, Il diritto penale tra essere e valore. Funzione della pena e sistematica teleologica, Napoli, 1992, p. 182

[3] G. DI CHIARA, Esiguità penale e trattamento processuale della «particolare tenuità del fatto»: frontiere e limiti di un laboratorio di deprocessualizzazione, in AA. VV., Il giudice di pace, Un nuovo modello di giustizia penale, a cura di SCALFATI, Padova, 2001, p. 336

[4] Si veda F. SCHIAFFO, Le situazioni “quasi scriminanti” nella sistematica teleologica del reato, Napoli, 1998, 265.  

[5] S. MOCCIA, Sui principi normativi di riferimento per un sistema penale teleologicamente orientato, in Riv .it .dir. e proc. pen., 1989, 1008.

[6] S. MOCCIA, Aspetti involutivi del sistema penale, in S. CANESTRARI (a cura di ), Il diritto penale alla svolta di fine millennio, Torino, 1998, 284, ove si legge «solo per gravi offese ai fondamentali beni giuridici, del singolo e della collettività, lo stato sociale di diritto consente di intervenire con il diritto penale; diversamente esso stesso costituirebbe un fattore di violazione della legalità e quindi, sul piano sostanziale, dei diritti del singolo o della collettività che, in premessa, intendeva tutelare […] Legittimità ed effettività devono, dunque, procedere insieme, illuminate dall’idea della sussidiarietà che, nello stato sociale di diritto, impone il ricorso al sistema penale solo come extrema ratio e nel rispetto di tutte le garanzie stabilite. Diversamente, se pure si riuscirà a reprimere temporaneamente un fenomeno criminale, si produrranno altra illegalità ed altre vittime, con grave pregiudizio delle ragioni della democrazia»

[7] P. POMANTI, La clausola di particolare tenuità del fatto, Quesiti, in Archivio Penale 2015, n.2; Cfr. sul punto lo  “Schema di decreto legislativo recante disposizioni in materia di non punibilità per particolare tenuità del fatto”, audizione dei rappresentanti ANM in commissione giustizia della Camera dei Deputati, 27 gennaio 2015

[8] Per un approfondimento sul tema della politica criminale si veda S. MOCCIA., Il diritto penale tra essere e valore, Napoli, 1992.

[9]T. PADOVANI, Un intento deflattivo dal possibile effetto boomerang, in Guida diritto, 2015, n.15. Ancora in argomento, cfr. F. CAPRIOLI, Due iniziative di riforma nel segno della deflazione: la sospensione del procedimento con messa alla prova dell'imputato maggiorenne e l'archiviazione per particolare tenuità del fatto, in Cassazione Penale, fascicolo 1, 2012;

[10] In tema di “illeciti bagatellari”, si veda altresì C.E. PALIERO, “Minima non curat praetor”. Ipertrofia del diritto penale e decriminalizzazione dei reati bagatellari, Padova, 1985; Cfr. R. DIES, Questioni varie in tema di irrilevanza penale del fatto per particolare tenuità (Various questions regarding the criminal irrelevance of an event where it is particularly tenuous), in  Cassazione Penale, fasc.10, 2015, pag. 3839B

[11] Schema di Decreto legislativo recante “Disposizioni in materia di non punibilità per particolare tenuità del fatto, a norma dell’art. 1, comma 1, lett. m, della legge 28 aprile 2014, n. 67”. La definizione anticipata della vicenda giudiziaria per “irrilevanza del fatto”, oltre a soddisfare esigenze di deflazione processuale, risulta del tutto consentanea anche al principio di proporzione, essendo il dispendio di energie processuali per fatti bagatellari sproporzionato sia per l’ordinamento sia per l’autore, costretto a sopportare il peso anche psicologico del processo a suo carico.

[12] L’istituto in esame non viene pensato ex novo dal legislatore delegato, posto che i suoi connotati qualificanti erano già presenti in altri ambiti settoriali del nostro ordinamento. Il riferimento è al processo penale minorile (art. 27 d.P.R. 22 settembre 1988, n.448)  e a quello di competenza del giudice di pace (art. 34 d.lgs. 28 agosto 2000, n.274), da anni al centro di ampie riflessioni penalistiche in vista di una loro possibile estensione da tali ambiti particolari al sistema penale generale; si veda sul punto F. PALAZZO, Le nuove norme sulla giustizia penale, op. cit.; Cfr. P. POMANTI, La clausola di particolare tenuità del fatto, op. cit.

[13] La rilevazione del movimento dei procedimenti penali consente di disegnare una piattaforma conoscitiva plastica dell’attività giudiziaria, articolabile per grado di giudizio e ufficio giudiziario. L’attività degli uffici giudiziari viene in tal modo monitorata dalla sopravvenienza del procedimento al suo esaurimento, ricorrendo ad analisi quantitative dei flussi in entrata (sopravvenuti), in uscita (esauriti), nonché delle giacenze (pendenti a fine anno), e ad analisi qualitative rispetto alle macromaterie oggetto di procedimento giudiziario.

https://www.istat.it/it/files//2013/12/Cap_6.pdf

[14] Anche qualora la particolare tenuità del fatto venisse rilevata nella fase delle indagini preliminari o comunque prima del dibattimento, l’epilogo procedimentale consisterebbe in un decreto di archiviazione ovvero in una sentenza di proscioglimento.

[16]  G. MAMMONE, Corte Suprema di Cassazione, Relazione sull’amministrazione della giustizia nell’anno 2019

[17] A tale proposito, appare calzante il pensiero di E. ADDANTE, La particolare tenuità del fatto: uno sguardo altrove, “Quesiti”, in Archivio Penale, 2016 n.2, la quale, parlando di un «grave e cronico malfunzionamento del sistema penale che si traduce in un’esasperata lentezza delle procedure e, dal punto di vista sostanziale, in tardive, talora arbitrarie, risposte dell’ordinamento alla domanda di giustizia, facendo sorgere seri dubbi sulla giustificazione e legittimazione dello strumento penalistico. […] Si è affermata, ormai, la necessità di affrontare i problemi della giustizia criminale, cercando di tirare su dalle macerie un sistema affaticato, sfiduciato e quasi esanime, escogitando delle soluzioni pratiche che abbiano come scopo principale quello di ricondurre il processo penale a criteri di razionalità», riprende  G. FIANDACA-E. MUSCO, Perdita di legittimazione del diritto penale, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1994, 23.

[18] E. ADDANTE, La particolare tenuità del fatto: uno sguardo altrove, op. cit.; riprende G. FIANDACA-E. MUSCO, Perdita di legittimazione del diritto penale, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1994, 23

[19] Le condizioni di procedibilità sono quelle – querela, istanza, richiesta, autorizzazione a procedere - la cui mancanza preclude una corretta instaurazione del processo. Si concretizzano in una « manifestazione di volontà della persona offesa dal reato – espressa con le forme del negozio giuridico (per quanto concerne la querela e l’ istanza di procedimento) – o dell’autorità – espressa con le forme dell’atto (nel caso della richiesta di procedimento) o del provvedimento amministrativo (quanto all’autorizzazione a procedere) – finalizzata alla rimozione di un ostacolo all’esercizio dell’azione penale nei confronti di chi si assume essere autore di un fatto penalmente rilevante». A.A. DALIA – M. FERRAIOLI, Manuale di diritto processuale penale, Wolters Kluwer, 2016

[20] Cfr. S. QUATTROCOLO, Esiguità del fatto e regole per l’esercizio dell’azione penale, Jovene, 2004, p.6

[21] Sul tema, si veda R. BARTOLI, L’irrilevanza del fatto tra logiche deflattive e meritevolezza di pena, in G. De Francesco – E. Venafro (a cura di), Meritevolezza di pena e logiche deflattive, Giappichelli, 2002, p. 104 ss.

[22] A. NAPPI Tenuità del fatto: una causa di non punibilità che rende improcedibile l’azione penale, Opinioni in Legislazione penale, 2016

[23] P. POMANTI, La clausola di particolare tenuità del fatto op. cit.

[24] C. CESARI, Le clausole di irrilevanza del fatto nel sistema processuale penale, G. Giappichelli editore, 2005, Torino, riprende il pensiero di R. ORLANDI, voce Procedibilità p.44.

[25] Condivide la scelta del legislatore di consentire questa definizione del procedimento anche mediante archiviazione, pur essendo la tenuità del fatto una causa di non punibilità, F. CAPRIOLI, Prime considerazioni sul proscioglimento per particolare tenuità del fatto, in Diritto Penale Contemporaneo 2/15, pp. 96-97, il quale rileva che nulla vieta di astenersi dall’esercitare l’azione penale anche in caso sussista una causa di non punibilità; Cfr. A. Nappi, Tenuità del fatto: una causa di non punibilità che rende improcedibile l’azione penale, in Opinioni in Legislazione penale, 2016, p. 3 e p. 7, per il quale la causa di non punibilità viene in questo caso trattata a scopo deflativo come causa di improcedibilità, che preclude l’esercizio stesso dell’azione penale.  

[26] Così ancora, puntualmente, C. CESARI Le clausole di irrilevanza del fatto nel sistema processuale penale, op. cit., pag. 137

[27] L. TAVASSI, I primi limiti giurisprudenziali alla “particolare tenuità del fatto - Cass., Sez. III, 8 aprile 2015 (dep. 15 aprile 2015), n. 15449, Pres.

[28] L’autore riprende G. RICCIO, Garantismo e dintorni. A proposito della crisi della Giustizia, in Quaderno n. 1 de La Gazzetta Forense  

[29] Interessante è altresì un raffronto con la disciplina transnazionale della particolare tenuità del fatto. In particolare, si faccia riferimento all’ordinamento tedesco e quello austriaco, i quali hanno inteso la clausola in esame alla stregua di una condizione di procedibilità dell’azione penale. Si segnala in argomento Cfr. E. ADDANTE, La particolare tenuità del fatto: uno sguardo altrove, op. cit.; K. SUMMERER, Diversion e giustizia riparativa. definizioni alternative del procedimento penale in Austria, Rivista Italiana di Diritto e Procedura Penale, fasc.1, 1 MARZO 2018, pag. 143; Cfr.  altresì WEIGEND, in Anklagepflicht und Ermessen, Baden-Baden, 1978.

[30] C. BOSACCHI, La natura ibrida dell’istituto della “tenuità del fatto – Cass. Pen. 5800/2016”, in Giurisprudenza Penale, 2016. Si osserva altresì opportunamente che «la conclusione raggiunta dalla Suprema Corte è perfettamente coerente con quello che dovrebbe essere riconosciuto quale il reale senso della norma: bilanciare il principio di obbligatorietà dell’azione penale (evitando il dispendio di energie della celebrazione di un processo per fatti bagatellari) con quelli – parimenti di livello costituzionale – di proporzione e rieducazione della pena, in modo tale da garantire che l’applicazione della sanzione penale sia riservata solo a quei fatti  effettivamente “meritevoli” di tale conseguenza»

[31] Si veda sul tema N. TRIGGIANI, voce Condizioni atipiche di procedibilità, Digesto del processo penale, (a cura di) A. SCALFATI; G. Giappichelli Editore, 2012

[32] l’art. 345, co 2, C.p.p. estende l’operatività della disciplina dettata dal comma 1 - in forza della quale, il difetto originario o sopravvenuto di una condizione di procedibilità, anche se affermato in un provvedimento di archiviazione ovvero in una sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere, che dichiara la mancanza della querela, della istanza, della richiesta o dell’autorizzazione a procedere, non impedisce l’esercizio dell’azione penale per il medesimo fatto e contro la medesima persona se è in seguito proposta la querela, l’istanza, la richiesta o è concessa l’autorizzazione ovvero se è venuta meno la condizione personale che rendeva necessaria l’autorizzazione – ai provvedimenti con i quali il giudice accerti la mancanza di “una condizione di procedibilità diversa” da quelle richiamate nel comma 1 (il riferimento è al principio del ne bis in idem). L’autore puntualizza che una tale disposizione ravvisa una causa di improcedibilità dell’azione penale «in qualsiasi presupposto che determini l’impossibilità di celebrare il processo», v. Trib. Roma, G.u.p., 7.12.1995, in Temi rom., 1996, p. 165, secondo cui l’art. 345, comma 2, c.p.p., prevedendo esplicitamente l’esistenza di condizioni di procedibilità diverse dalla querela, dalla istanza, dalla richiesta e dall’autorizzazione a procedere contemplate dal C.p.p. «si riferisce, con tutta evidenza, a condizioni di procedibilità previste dalle leggi speciali, ma si riferisce (…) anche a condizioni di procedibilità non previste espressamente dal codice, né da leggi speciali, ma pur tuttavia rilevabili dal giudice in via interpretativa analogica»

[33] M. GAMBARDELLA, F. FIORENTIN, S. QUATTROCOLO, A. LOGLI, P. FERRUA, D. NEGRI, H. BELLUTA Strategie di deflazione penale e rimodulazioni del giudizio in absentia, G. Giappichelli editore

[34] N. TRIGGIANI, Digesto del processo penale, op. cit.

[35] M. LOCATELLI, Proscioglimento predibattimentale per tenuità del fatto: portata e limiti dell’opposizione del pubblico ministero, in Processo penale e giustizia n. 5 del 2016, p. 103 ss.