Pubbl. Ven, 25 Giu 2021
Responsabilità medica e causalità della colpa: è sempre necessario il giudizio controfattuale
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Francesco Gregorace
Con la recente pronuncia del 3 febbraio 2021 n. 4063, la Suprema Corte ha affermato che, ai fini della sussistenza della responsabilità del sanitario per omicidio o lesioni colpose, non è sufficiente la mera presenza di un errore, ma occorre che il Giudice svolga un giudizio controfattuale in riferimento alla specifica attività richiesta al sanitario (diagnostica, terapeutica, di vigilanza e salvaguardia dei parametri vitali del paziente o altro) e che si assume idonea, se realizzata, a scongiurare o ritardare l´evento lesivo, come in concreto verificatosi, con alto grado di credibilità razionale.
Sommario: 1. Premessa; 2. La colpa; 2.1 La struttura; 2.2 La causalità della colpa; 3. L’evoluzione della colpa medica: la legge Balduzzi; 3.1 La L. 24/2017: i dubbi; 3.2 Il contrasto e le SU Mariotti del 2018; 4. Il caso in esame.
1. Premessa
Con la recentissima pronuncia del febbraio del 2021 la Corte di Cassazione, tornando a pronunciarsi in relazione alla complicata materia riguardante la colpa medica ha affermato il seguente principio di diritto «L’errore, ex se, non vale a tradursi nell’immediato riconoscimento della responsabilità penale. Nelle ipotesi di omicidio o lesioni colpose in campo medico, deve necessariamente farsi luogo ad un ragionamento controfattuale che deve essere svolto dal giudice in riferimento alla specifica attività richiesta al sanitario (diagnostica, terapeutica, di vigilanza e salvaguardia dei parametri vitali del paziente o altro) e che si assume idonea, se realizzata, a scongiurare o ritardare l’evento lesivo, come in concreto verificatosi, con alto grado di credibilità razionale»[1].
La pronuncia, dopo aver brevemente ricostruito l’attuale stato dell’arte della responsabilità medica in seguito alle diverse riforme succedutesi nell’ultimo decennio volte a contemperare i diversi interessi che in questa delicata materia entrano in conflitto, ha precisato come l’aver riscontrato l’errore da parte del sanitario non equivale, automaticamente, al riconoscimento della responsabilità, essendo a tal fine necessario che anche in tal caso che ricorrano tutti i requisiti dell’illecito colposo e, pertanto, anche la causalità della colpa, la c.d. “concretizzazione del rischio”, a seguito del giudizio controfattuale effettuato in base al “comportamento alternativo lecito”.
Prima di analizzare il recente arresto è d’uopo inquadrare brevemente la struttura dell’illecito colposo ed in particolare il delicato profilo della responsabilità della colpa, per poi affrontare la delicatissima evoluzione normativa relativa alla colpa medica.
2. La colpa
Ai sensi dell’art. 43, co. 3, cod. pen. il delitto è «colposo o contro l’intenzione, quando l’evento, anche se preveduto, non è voluto dall’agente e si verifica a causa di negligenza, imprudenza o imperizia ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline».
Il delitto colposo, così come definito dal legislatore, si caratterizza anche per la sua residualità, ovverosia per ricorrere solamente nei casi espressamente previsti dalla legge, a differenza del delitto doloso che, invece, costituisce l’ipotesi generale. È lo stesso art. 42, co. 2, cod. pen. a chiarirlo espressamente «nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come delitto, se non l’ha commesso con dolo, salvo i casi di delitto preterintenzionale o colposo espressamente preveduti dalla legge». Ciò posto, autorevolissima dottrina[2] ritiene che le principali problematiche che la colpa pone a livello dogmatico siano essenzialmente tre: perché punire la colpa, quando farlo ed in che maniera farlo. Con riferimento al perché, la concezione normativa della colpa ritiene che, poiché essa si sostanzia nella mancata estrinsecazione di una volontà che doveva estrinsecarsi, ciò costituirebbe una forma di colpevolezza. Il quando un comportamento colposo vada punito, invece, è presto detto; infatti, in un diritto penale oggettivo e del fatto come il nostro la punizione deve coincidere con l’evento lesivo. Infine, con riferimento al trattamento sanzionatorio, la diversità dell’elemento soggettivo del soggetto che versi in colpa rispetto all’agente in dolo, costituisce l’elemento dirimente che fa apparire meno riprovevole e, quindi, meno rimproverabile la condotta dell’agente, ragion per cui appare ragionevole che la sanzione sia più lieve rispetto alla condotta dolosa[3].
2.1. La struttura
Per quanto concerne la struttura della colpa, dopo diverse teorie dottrinali susseguitesi nel tempo, si è affermate la tesi della “doppia misura” della colpa. Essa ritiene che la colpa rilevi non solo da un punto di vista soggettivo, quale criterio di imputazione dell’evento al soggetto agente, ma anche sotto il profilo oggettivo, quale violazione di una regola cautelare posta a tutela di un particolare bene giuridico. In altri termini, secondo la tesi della doppia misura la colpa è un elemento di tipicità che caratterizza la particolare struttura dell’illecito colposo. La fattispecie colposa, pertanto, sarà caratterizzata da: l’elemento oggettivo, costituito dalla violazione della norma cautelare; l’elemento soggettivo, che si caratterizza per l’involontarietà della violazione e, al contempo, dell’esigibilità di un comportamento conforme; il nesso eziologico tra il comportamento colposo e l’evento e cioè la causalità della colpa[4].
Con riferimento al profilo psicologico, l’agente in colpa non deve aver voluto l’evento nemmeno accettandone il rischio, altrimenti si ricadrebbe nel dolo eventuale. Ne deriva che il limite massimo oltre il quale la colpa non è più tale è la c.d. colpa con previsione che, secondo la tesi maggioritaria, ricorre quando l’agente si sia rappresentato l’evento come possibile conseguenza del suo agere ma, per qualche ragione, si sia convinto della sua non verificazione, venendo meno quella “adesione all’evento” che distingue la colpa cosciente dal dolo eventuale[5].
L’elemento oggettivo consiste nella violazione di una norma cautelare che l’agente poteva rispettare e che, invece, ha violato agendo “colposamente”, ragion per cui è ritenuto rimproverabile da parte dell’ordinamento[6]. Elemento peculiare, ed anche problematico, è la regola cautelare. Con essa si fa riferimento a quella norma, la cui fonte può essere sia scritta ma anche non scritta, come nel caso delle regole sociali, prasseologiche o d’esperienza che derivano dalla percezione nel tempo della pericolosità di una condotta, che abbia come obiettivo quello di impedire la lesione di un bene giuridico. La funzione della norma cautelare si apprezza in particolar modo nell’alveo delle attività rischiose, perché in tal caso essa consente di individuare un equilibrio tra gli interessi sottostanti all’attività e quelli che essa mette a rischio. Problema non di poco conto è l’individuazione di tale norma. In dottrina si è sostenuto che essa abbia un carattere obiettivo e vada identificata sulla scorta di un giudizio ex ante che riguardi: la prevedibilità dell’evento, quale conseguenza di quella particolare condotta; la sua evitabilità attraverso le norme cautelari che individuino i comportamenti necessari secondo la migliore scienza ed esperienza del momento storico nel settore di riferimento. Solo in tal modo si ritiene che «possono dirsi regole di condotta preventive quelle che prescrivono comportamenti, attivi o omissivi, non tenendo i quali è prevedibile e tenendo i quali è evitabile un evento dannoso, secondo la migliore scienza ed esperienza specifica»[7].
Violata la norma cautelare, il soggetto è ritenuto rimproverabile da parte dell’ordinamento perché, ove non avesse agito “colposamente” non avrebbe violato la norma preventiva e, probabilmente, avrebbe evitato l’evento. Ma quando un comportamento può dirsi colposo? A tal proposito si distingue tra colpa “specifica” e colpa “generica”. Mentre la prima ricorre allorché vi sia la violazione di una regola cautelare espressamente codificata e, pertanto, non crea particolari problemi, la stessa cosa non può dirsi con riferimento alla colpa generica. Essa, infatti, ricorre in presenza di un comportamento negligente, prudente o imperito. Trattasi di nozioni ampie, generiche e non facilmente definibili, foriere di problemi interpretativi soprattutto, come vedremo, in ambito sanitario. In particolare, la negligenza individuerebbe quel comportamento disattento e di trascuratezza; l’imprudenza, invece, sarebbe il comportamento poco avveduto, avventato, nel quale manchi una ponderazione dell’altrui interesse; infine, l’imperizia costituirebbe l’errore tecnico di esecuzione di una attività in un particolare settore specifico. Tuttavia, non mancano le incertezze. In particolare, si osserva che, a ben vedere, l’errore tecnico rientrante nell’imperizia originerebbe da una condotta disattenta, quindi negligente, ovvero avventata e, quindi, imprudente[8].
Ciò premesso, elemento essenziale per la configurabilità dell’illecito colposo è la previa individuazione del c.d. agente modello sul quale parametrare la prevedibilità ed evitabilità dell’evento. Il criterio preferibile per l’individuazione dell’agente modello è individuato nell’uomo eiusdem professionis et condicionis, che consente di individuare diversi agenti modello corrispondenti a diverse attività, ciò coerentemente con la sempre maggiore specializzazione che caratterizza il mondo del lavoro[9].
2.2. La causalità della colpa
L’altro elemento essenziale della fattispecie è la causalità della colpa. L’importanza di tale elemento si desume dallo stesso art. 43, co. 3 cod. pen. laddove prevede espressamente che l’evento debba essere causato da negligenza imprudenza o imperizia. Emerge ictu oculi che non si tratta di una norma “felice” a livello letterale. A rigore, infatti, è evidente come non sia possibile che un atteggiamento negligente causi un evento; quest’ultimo, infatti, sarà causato da una condotta che, tuttalpiù, potrà ritenersi negligente, imprudente o imperita.
Ciò chiarito, l’essenza della causalità della colpa deve cogliersi nella c.d. “concretizzazione del rischio”. È necessario, cioè, che la condotta del soggetto agente abbia causato un evento e che questo rientri proprio in quella tipologia di eventi che la norma cautelare violata intendeva evitare e prevenire. Si pensi al caso di scuola di chi, non fermatosi al semaforo rosso, investa un pedone che attraversi sulle strisce; in tal caso è evidente che l’obbligo di arrestarsi con il rosso costituisse la regola cautelare finalizzata proprio ad evitare l’investimento del pedone. Non potrebbe dirsi altrettanto qualora l’automobilista che non abbia rispettato il semaforo e che, dopo aver percorso un kilometro dallo stop, abbia investito un pedone che attraversava la strada improvvisamente. In tal caso, se è pur vero che qualora egli si fosse fermato al semaforo, avendo ritardato la ripartenza, non avrebbe investito il pedone, è anche vero, però, che qui a mutare è la regola cautelare. Infatti, l’obbligo di fermarsi in presenza di un semaforo rosso costituisce una norma cautelare finalizzata ad impedire l’investimento dei passanti ma solo nei pressi del semaforo. Questa “concretizzazione del rischio” distingue il fatto colposo dalle forme di responsabilità oggettiva e permette di comprendere l’art. 43 c.p., il quale pretende che la condotta negligente, imprudente o imperita abbia violato la regola cautelare che, ove rispettata, avrebbe impedito l’evento. Pertanto, nell’illecito colposo la causalità non sarà materiale ma normativa[10].
Per quanto concerne il suo accertamento, la tecnica da adottare è quella del giudizio controfattuale in chiave doppiamente ipotetica. L’interprete, infatti, dovrà chiedersi: “se l’agente avesse tenuto il comportamento imposto dalla norma cautelare, l’evento si sarebbe verificato?”. Acquista un rilievo dirimente, seppur solo in chiave ipotetica, la valutazione del c.d. comportamento alternativo lecito. Occorre precisare che il giudizio controfattuale, all’interno del giudizio colposo, si colloca in una fase successiva a quella della concretizzazione del rischio. Ragion per cui, qualora l’evento realizzatosi non rientri tra quelli che la norma preventiva intendeva evitare sarà inutile andare avanti, perché non ci sarà causalità della colpa.
Tale profilo delicato diverge e si complica a seconda che l’ipotesi al vaglio dell’interprete sia commissiva ovvero omissiva. In particolare, particolarmente complessa appare il rapporto che viene ad instaurarsi tra la causalità della condotta e causalità della colpa. Tale aspetto è stato approfondito dalle Sezioni Unite Thyssenkrupp, le quali hanno inteso fare chiarezza con particolare riferimento alle condotte omissive. In tal caso, infatti, l’accertamento sulla causalità della condotta e l’accertamento sulla causalità della colpa si basano entrambi sul giudizio controfattuale ipotetico basato sul comportamento alternativo lecito. Una tale sovrapposizione ha creato confusione anche in ragione del fatto che il grado di certezza richiesto per ritenere esistente la causalità della condotta (causalità materiale) è diverso, perché maggiore, da quello richiesto per la causalità della colpa.
Le Sezioni Unite fanno chiarezza principiando dall’ipotesi commissiva. In tal caso l’interprete dovrà, in primo luogo, accertare la causalità materiale, pertanto dovrà individuare l’azione posta in essere dall’agente, eliminarla mentalmente e verificare se, in assenza della stessa, l’evento si sarebbe o meno realizzato. In tal caso per affermare l’esistenza del nesso causale sarà necessaria una probabilità vicina alla certezza. Fatto ciò, dimostrata quindi la causalità della condotta, l’indagine si sposterà sulla causalità della colpa che, come già descritto in precedenza, comporta la previa individuazione della norma cautelare violata e la costatazione che essa, se rispettata, avrebbe evitato l’evento. In tal caso, per potersi ritenere che il comportamento alternativo lecito (ovverosia quello rispettoso della norma cautelare) avrebbe impedito l’evento sarà sufficiente anche solo la dimostrazione che questo avrebbe diminuito il rischio di verificazione dell’evento. Questa “diminuzione” del quantum probabilistico richiesto si spiega alla luce del fatto che una simile valutazione è successiva a quella relativa alla causalità materiale. In altri termini, quando l’interprete valuta la causalità della colpa ha già accertato che: la condotta ha causato l’evento materiale con una probabilità vicina alla certezza, che l’agente ha violato una norma cautelare e che la stessa mirava ad evitare proprio l’evento verificatosi; per tali ragioni l’accertamento della causalità della colpa tramite il comportamento alternativo lecito ammette un alleggerimento probatorio[11].
Nel caso in cui la condotta sia omissiva la situazione si complica. In tal caso, infatti, il ragionamento controfattuale basato sul comportamento alternativo lecito riguarda sia l’accertamento della causalità della condotta che la causalità della colpa. Infatti, mentre nella precedente ipotesi vi era stata una condotta attiva posta in essere che poteva essere “eliminata” nel giudizio controfattuale, nel caso di condotta omissiva manca l’azione, ragion per cui l’interprete dovrà effettuare il controfattuale in via ipotetica nel quale, invece di eliminare mentalmente l’azione colposa, dovrà aggiungere la condotta doverosa non posta in essere.[12] È evidente, dunque, che in tal caso si assiste ad una sovrapposizione tra il metodo di accertamento della causalità materiale e quello inerente alla causalità della colpa ed è per tale ragione che ci si è chiesti: posto che tali giudizi si sovrappongono e che, nell’ipotesi commissiva, si assiste ad un diverso quantum probabilistico per le due causalità, in tal caso sarà necessario riscontrare la quasi certezza richiesta per la causalità materiale ovvero il regime più blando della causalità della colpa?
Le Sezioni Unite Thyssenkrupp hanno chiarito che in tal caso, posto che la prima indagine che l’interprete effettua è quello relativo alla causalità materiale, la cui regola di giudizio è la ragionevole certezza, esso sarà anche la regola di giudizio per la causalità della colpa. In sostanza, prevale l’esigenza di certezza della causalità materiale[13].
3. L’evoluzione della colpa medica: la legge Balduzzi
Il tema della responsabilità colposa dell’esercente la professione sanitaria ha sempre costituito una disciplina notevolmente delicata per le rilevanti conseguenze che essa comporta per l’ordinamento. La delicatezza e la complessità derivano dal fatto che il settore medico necessita di una disciplina che da un lato eviti di creare aree di impunità per il personale sanitario a discapito del paziente, ma che dall’altro eviti il fenomeno riprovevole della medicina difensiva per cui il medico, per paura di eventuali ripercussioni giudiziarie del paziente, sia spinto più a “giocare in difesa” invece che pensare solo alla salute del paziente. Medicina difensiva che si ripercuote anche sulle casse pubbliche. Il medico, infatti, per evitare rischi sarà indotto a svolgere esami anche superflui che costituiscono una notevole spesa a carico del servizio sanitario nazionale. Ciò posto, appaiono evidenti le ragioni delle notevoli difficoltà incontrate dal Legislatore nel corso degli anni per disciplinare la delicata materia.
Nel 2012 il Legislatore intervenne con la legge n. 189, la c.d. legge Balduzzi ed in particolare con l’art. 3 in base al quale «L’esercente le professioni sanitarie che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve. In tali casi resta comunque fermo l’obbligo di cui all’art. 2043 del Codice civile. Il giudice, anche nella determinazione del risarcimento del danno, tiene debitamente conto della condotta di cui al primo periodo».
La norma ha posto diverse problematiche interpretative perché, in primo luogo, introduce nuovamente la distinzione tra colpa lieve e colpa grave, in secondo luogo assegna rilevanza alle linee guida la cui individuazione non è sempre agevole ed inoltre non chiarisce se il riferimento alla colpa lieve deve intendersi riferito alle sole ipotesi di imperizia. Con riferimento alle linee guida, le perplessità derivano sia dalla loro natura che dalla loro individuazione. In particolare, le linee guida costituiscono delle direttive generali, delle istruzioni di massima a carattere metodologico individuane in maniera astratta, le quali non è detto che debbano applicarsi nel caso specifico. Anzi, spesso, proprio alla luce della particolarità della fattispecie e delle peculiarità del paziente la line guida deve essere disattesa. Per tali ragioni le linee guida, sebbene costituiscano sapere scientifico, non possono qualificarsi alla stregua di norme cautelari ma solamente degli strumenti di indirizzo. Per quanto concerne l’individuazione delle stesse, quelle rilevanti ai fini dell’esclusione della responsabilità del sanitario sono quelle che prescrivono condotte ispirate alla migliore scienza ed esperienza in quel momento storico, dovendo escludersi che vi rientrino anche quelli ispirate ad una logica di economicità[14].
Ulteriore problematica riguardava il concetto di colpa ed in particolare se essa dovesse essere intesa come limitata alle sole ipotesi di imperizia ovvero anche ai casi di negligenza ed imprudenza. Il problema, in tal caso, deriva dal fatto che questi tre aspetti della colpa mancano di una definizione legislativa ed è per tali ragioni che si tendeva a far rientrare nell’alveo dell’imperizia anche ipotesi di negligenza.
In sintesi, con l’intervento del 2012 il medico, ove avesse rispettato le linee guida adeguate al caso concreto, non avrebbe risposto per colpa lieve, anche per ipotesi di negligenza. Al contrario, ne rispondeva anche per colpa lieve qualora la linea guida non fosse pertinente con il caso concreto e sempre in caso di colpa grave[15].
3.1. La L. 24/2017: i dubbi
Nel 2017 il legislatore è intervenuto nuovamente sulla materia con la c.d. legge Gelli-Bianco che, al fine di aumentare le garanzie per gli esercenti la professione sanitaria, ha introdotto un nuovo articolo nel codice penale, l’art. 590-sexies ai sensi del quale: «Se i fatti di cui agli articoli 589 e 590 sono commessi nell'esercizio della professione sanitaria, si applicano le pene ivi previste salvo quanto disposto dal secondo comma.
Qualora l'evento si sia verificato a causa di imperizia, la punibilità è esclusa quando sono rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida come definite e pubblicate ai sensi di legge ovvero, in mancanza di queste, le buone pratiche clinico-assistenziali, sempre che le raccomandazioni previste dalle predette linee guida risultino adeguate alle specificità del caso concreto.».
Come emerge ictu oculi, sono molteplici sia i profili di discontinuità e di novità rispetto al decreto Balduzzi ma anche i dubbi interpretativi. In primo luogo, deve segnalarsi la superfluità del primo comma, nel quale la norma li limita a ribadire l’ovvio. L’applicabilità del nuovo art. 590-sexies c.p. sarebbe comunque derivato dall’applicazione del principio di specialità ex art. 15 c.p. Tuttavia, è il secondo comma a stravolgere la disciplina. In particolare, da segnalare: il riferimento espresso alla sola imperizia, la necessità di rispettare le linea guida o le buone pratiche clinico-assistenziali adeguate e pertinenti al caso concreto, nonché il superamento della distinzione tra colpa lieve e colpa grave. Dunque, riferendosi espressamente alla sola imperizia, la legge Gelli supera gli ultimi approdi cui era giunta la giurisprudenza post Balduzzi. Pertanto, un primo problema interpretativo posto dalla riforma attiene alla esatta perimetrazione dell’imperizia che, spesso, è stata definita una sorta di “negligenza in un particolare settore professionale” ed anche perché le linee guida contengono, talvolta, anche regole di prudenza e diligenza. Ma non è tutto. Il profilo maggiormente problematico, tuttavia, è quello relativo alla necessaria adeguatezza delle linee guida rispetto al caso concreto; ci si chiede, infatti, come e quando il medico possa comportarsi in maniera imperita quando abbia ben applicato le linee guida adeguate nel caso concreto. Il rischio, in altri termini, è quello di azzerare lo spazio applicativo della norma.[16]
3.2 Il contrasto e le Sezioni Unite Mariotti del 2018
I dubbi sopra descritti hanno comportato il sorgere di un contrasto, che ha richiesto l’intervento delle Sezioni Unite, dopo pochi mesi dalla novella legislativa[17].
Con l’arresto dell’aprile 2017 n. 28187, sentenza Tarabori, gli ermellini hanno rilevato una marcata incompatibilità logica della norma nell’escludere la punibilità del medico nel caso in cui l’evento si fosse verificato per imperizia. La pronuncia è lapidaria nell’affermare che «La disciplina, tuttavia, risulta di disarticolante contraddittorietà quando l'ovvio enunciato di cui si è detto si ponga in connessione con la prima parte del testo normativo. Vi si legge, infatti, che il novum trova applicazione "quando l'evento si è verificato a causa di imperizia". La drammatica incompatibilità logica è lampante: si è in colpa per imperizia ed al contempo non lo si è, visto che le codificate leges artis sono state rispettate ed applicate in modo pertinente ed appropriato ("risultino adeguate alle specificità del caso concreto") all'esito di un giudizio maturato alla stregua di tutte le contingenze fattuali rilevanti in ciascuna fattispecie»[18]. Ciò premesso, la Cassazione, nel tentativo di ritagliare uno spazio applicativo alla causa di non punibilità, ha dato una diversa interpretazione alla norma. In particolare, si è ritenuto che essa possa trovare applicazione solamente in caso di errore nella fase esecutiva dell’intervento; dunque, il medico potrebbe usufruire della causa di non punibilità nel caso in cui, pur avendo scelto la linea guida adeguata al caso concreto, abbia commesso un errore per imperizia nel momento esecutivo del suo intervento. Tale interpretazione, tuttavia, coordinata con l’eliminazione della distinzione tra colpa lieve e colpa grave rischierebbe di contrastare con i principi costituzionali di colpevolezza e del diritto alla salute ex art. 32 Costituzione, perché comporterebbe che il medico resterebbe impunito anche in caso di errore esecutivo macroscopico e gravemente negligente[19].
Con la successiva sentenza 50078 dell’ottobre 2017, sentenza Cavazza, sorge il contrasto. La Suprema corte chiarisce che l’ambito applicativo della norma è proprio quello relativo all’applicazione imperita delle linee guida adeguate e pertinenti. Si sostiene, inoltre, che vi è compatibilità tra il rispetto delle linee guida e l’imperizia nella loro applicazione anche perché una simile interpretazione è coerente con la lettera della norma e si pone in linea di continuità con la ratio perseguita dalla riforma, ovverosia quella di evitare il fenomeno della medicina difensiva tutelando il medico e, di conseguenza, anche il diritto alla salute.[20] Ciò perché il medico, sentendosi protetto e non più esposto alle azioni giudiziarie eventuali, può pensare esclusivamente alla salute del paziente[21].
Il contrasto è stato risolto dalle Sezioni Unite con la sentenza Mariotti del febbraio 2018 che ha affermato il seguente principio di diritto: «L'esercente la professione sanitaria risponde, a titolo di colpa, per morte o lesioni personali derivanti dall'esercizio di attività medico-chirurgica: a) se l'evento si è verificato per colpa (anche "lieve") da negligenza o imprudenza; b) se l'evento si è verificato per colpa (anche "lieve") da imperizia quando il caso concreto non è regolato dalle raccomandazioni delle linee-guida o dalle buone pratiche clinico-assistenziali c) se l'evento si è verificato per colpa (anche "lieve") da imperizia nella individuazione e nella scelta di linee-guida o di buone pratiche clinico-assistenziali non adeguate alla specificità del caso concreto; d) se l'evento si è verificato per colpa "grave" da imperizia nell'esecuzione di raccomandazioni di linee-guida o buone pratiche clinico-assistenziali adeguate, tenendo conto del grado di rischio da gestire e delle speciali difficoltà dell'atto medico».
La Cassazione afferma che entrambe le sentenze che hanno dato vita al contrasto esprimono osservazioni condivisibili ma necessitanti di una sintesi interpretativa. In particolare, il limite della sentenza Tarabori è stato quello di non aver trovato nessun ambito applicativo della norma giungendo, di fatto, ad una interpretatio abrogans della novella. La sentenza Cavazza, invece, ha il pregio di aver dato rilievo alla lettera della norma ma ne ha attribuito una portata eccessivamente lata comportando una impunità del medico anche in presenza di colpa grave[22].
Ciò posto, la pronuncia rileva come la novella abbia introdotto una causa di non punibilità inedita che esenta da responsabilità il sanitario che commetta un errore nella fase attuativa della linea guida scelta correttamente. Tuttavia, è necessario circoscrivere un ambito o un grado della colpa per far sì che l’esenzione da responsabilità sia compatibile con i principi costituzionali. Si sostiene che la gradazione della colpa in ambito sanitario, benché non evocata nella riforma, è indispensabile. Infatti, non può prescindersi da quanto statuito nell’art. 2236 c.c. che, sebbene non possa operare direttamente in materia penale, costituisce un principio di razionalità e regola di esperienza quando il caso concreto imponga la soluzione di problemi tecnici di particolare complessità. Ragion per cui è ragionevole escludere l’operatività della causa di non punibilità in presenza di una notevole deviazione rispetto all’agire appropriato rispetto al parametro derivante dalle linee guida; al contrario, quanto la vicenda sarà più problematica e oscura, tanto maggiore dovrà essere la propensione a considerare lieve l’addebito. In altri termini, la pronuncia sembra voler dire che nel settore medico, ed in particolari situazioni complesse, la colpa lieve non è colpa[23].
4. Il caso in esame
La questione affrontata dalla pronuncia indicata in premessa origina dalla vicenda sinteticamente riassunta dagli ermellini nei termini che seguono: «In data (OMISSIS), R.D. era trasferito, a bordo di un'ambulanza, presso l'Unità operativa del Pronto Soccorso di (OMISSIS), in quanto affetto da cefalea retronucale e cervicalgia. A seguito di tomografia computerizzata, la radiologa, dottoressa V., attestava quanto segue: "non si rivelano lesioni focali encefaliche sovra e sottotentoriali, nè raccolte ematiche sottotecali in atto. I ventricoli sono regolari per ampiezza e morfologia. Le strutture della linea mediana sono in asse". Il R. era dimesso dal medico di Pronto soccorso con prescrizione di terapia analgesica e miorilassante. Successivamente, in data (OMISSIS), veniva colpito da un'acuta cefalea che lo portava ad uno stato di coma. Le sue condizioni si aggravavano, nonostante l'intervento chirurgico praticato sulla sua persona, con esito mortale causato da una emorragia cerebrale massiva»[24].
Ciò chiarito in punto di fatto, la pronuncia, per quel che interessa in questa sede, presenta profili di interesse per quanto afferma nella sua parte finale. In particolare, si afferma che la sentenza della corte territoriale ha omesso di effettuare il giudizio controfattuale, non essendosi la corte interrogata sulle conseguenze salvifiche di un ipotetico intervento adeguato del sanitario. Con ciò la suprema corte intente ribadire che, anche con riferimento alla responsabilità medica è necessario che l’interprete proceda con il ragionamento controfattuale basato sul comportamento alternativo lecito. Deve, pertanto, escludersi che l’errore ex se comporti l’automatico riconoscimento della responsabilità penale. Sul giudizio controfattuale in caso di responsabilità medica ha certamente influito la centralità data, dal decreto Balduzzi in poi, alle linee guida ed alle buone pratiche assistenziali. In particolare, con la conferma da parte della legge Gelli del parametro di valutazione dell’operato del sanitario, appare evidente che le linee guida e le buone pratiche assistenziali influiscano sull’identificazione dell’agente modello sul quale individuare il comportamento alternativo lecito, perché di tali parametri l’interprete dovrà tenerne conto. Ciò è proprio quello che, a parere della Suprema corte, non ha fatto la corte d’appello, la cui motivazione «ha tralasciato di indicare se il caso concreto sia regolato da linee-guida o, in mancanza, da buone pratiche clinico-assistenziali. Ha poi trascurato di considerare il nesso di causa, tenendo conto del comportamento salvifico indicato dai predetti parametri e di specificare chiaramente se si sia trattato di colpa per imperizia, negligenza o imprudenza. Ha quindi mancato di indicare il grado della colpa, in relazione al quale viene in considerazione l'aspetto, appena lambito, della difficoltà di lettura della TAC, ammesso peraltro da uno dei componenti del collegio peritale esperto in radiologia»[25]. L’individuazione del grado della colpa costituisce elemento imprescindibile per la delimitazione dell’ambito del penalmente rilevante sia per i fatti commessi sotto il vigore della Legge Balduzzi che, alla luce dell’interpretazione data alla norma dalle Sezioni Unite Mariotti, per quelli successivi all’entrata in vigore della Legge Gelli.
[1] Cfr. Cassazione penale, sez. IV, sentenza n. 4063/2021, par. 4: «Parimenti carente è l'aspetto riguardante il profilo del giudizio controfattuale, che non viene percorso dal giudice d'appello il quale non si interroga, come avrebbe dovuto, sulle conseguenze salvifiche di un intervento appropriato del sanitario. L'errore, ex se, non vale a tradursi nell'immediato riconoscimento della responsabilità penale. Nelle ipotesi di omicidio o lesioni colpose in campo medico, deve necessariamente farsi luogo ad un ragionamento controfattuale che deve essere svolto dal giudice in riferimento alla specifica attività richiesta al sanitario (diagnostica, terapeutica, di vigilanza e salvaguardia dei parametri vitali del paziente o altro) e che si assume idonea, se realizzata, a scongiurare o ritardare l'evento lesivo, come in concreto verificatosi, con alto grado di credibilità razionale (Sez. 4, Sentenza n. 30469 del 13/06/2014, Rv. 262239 - 01)».
[2] F. MANTOVANI, Diritto penale, Padova, 2015.
[3] F. MANTOVANI op cit.
[4] F. MANTOVANI op cit.
[5] Cfr. R. GAROFOLI, Manuale di diritto penale parte generale, Roma, 2017.
[6] Ciò è perfettamente in linea con la prevalente tesi della colpevolezza in senso normativo accolta in dottrina, secondo cuim con riferimento alla colpa, la colpevolezza si rinviene nella rimproverabilità dell’agente che, pur non volendolo, non abbia impedito un evento che poteva impedire.
[7] F. MANTOVANI op cit.
[8] G. FIANDACA, E. MUSCO, Diritto penale, Bologna, 2014.
[9] F. MANTOVANI op cit.
[10] Cfr. R. GAROFOLI, op. cit.
[11] Cfr. R. GAROFOLI, op. cit.
[12] Cfr. Cassazione Sezioni Unite n. 38343 del 2014, in motivazione: «Nella causalità omissiva, invece, tutto diventa più complicato ed oscuro. Qui siamo infatti in presenza di un nulla, dal punto di vista naturalistico. Dobbiamo inserire nel controfattuale un comportamento (la condotta appropriata, diligente, prudente) che non esiste in natura, e che noi immaginiamo in modo idealizzato, astratto; e chiederci se tale comportamento avrebbe consentito di evitare l'evento con la ragionevole certezza richiesta dallo statuto della causalità condizionalistica. Giungere ad una risposta positiva, spesso, come si è accennato, non è facile, specialmente in alcuni classici contesti particolarmente complicati come quelli della responsabilità medica e dell'esposizione lavorativa a sostanze dannose, caratterizzati dalla complessa interazione tra fattori di diverso segno. Ma ciò che interessa di più è che qui causalità e colpa tendono a sovrapporsi. I ragionamenti controfattuali che nella causalità commissiva erano ben distinti, qui si confondono, si sovrappongono. L'indagine sull'evitabilità dell'evento è in primo luogo un'indagine di tipo causale e richiede quindi lo standard della certezza, che nei reati omissivi non è facilmente raggiungibile. Il problema proprio della colpa, che chiamiamo convenzionalmente "causalità della colpa" (cioè utilità del comportamento alternativo lecito), diventa al contempo un problema causale e si carica quindi del connotato di ragionevole certezza proprio della causalità. Di qui la comprensibile ma pur sempre criticabile confusione che regna in giurisprudenza tra causalità e colpa in tali contesti.».
[13] Cfr. Cassazione Sezioni Unite n. 38343 del 2014, in motivazione: «Collocata l'indagine nell'ambito della causalità commissiva, occorrerà individuare un'azione e dimostrarne il ruolo condizionalistico attraverso il giudizio controfattuale: se il terapeuta non avesse somministrato il farmaco l'evento non si sarebbe verificato nelle condizioni date. Si tratta, in breve, di compiere il giudizio controfattuale della causalità materiale. Si è in presenza di operazione logica priva di risvolti problematici una volta che sia noto lo sviluppo degli accadimenti; e che non di rado non viene neppure espressamente sviluppata nell'argomentazione probatoria, tanto evidente è il suo andamento. Superato il problema della causalità materiale andrà quindi svolto il giudizio sulla colpa, individuando una condotta contraria ad una regola dell'arte che sarebbe valsa a scongiurare l'evento letale: ad esempio, testare il farmaco per scongiurare i rischi da allergia. Qui, come si è ripetutamente chiarito, la causalità della colpa riguarda la constatazione della probabilistica evitabilità dell'evento per effetto del comportamento alternativo lecito. Ove, viceversa, si sia in ambito di causalità omissiva, l'indagine riguarderà in primo luogo il ruolo di garanzia nei termini che si sono sopra accennati. L'ulteriore passaggio logico sarà costituito dall'individuazione di una condotta appropriata ed omessa che avrebbe scongiurato l'esito avverso, sempre attraverso lo strumento logico del giudizio controfattuale. Quest'indagine, come è stato dimostrato dalla dottrina che ha più profondamente investigato il tema, è ad un tempo propria della causalità e della colpa; e lo statuto condizionalistico della causalità richiede una risposta in termini di logica certezza circa l'esito fausto di una terapia appropriata, per restare al classico esempio dell'ambito medico. Naturalmente, la sovrapposizione tra causalità e colpa non è completa. La colpa richiede, come si è tentato di mostrare sopra, anche un apprezzamento ulteriore, di contenuto squisitamente soggettivo che implica la considerazione delle peculiarità del caso concreto, della plausibile esigibilità della condotta nelle condizioni date. E' la dimensione più propriamente soggettiva della colpa, che rivela l'autonomia del profilo soggettivo del reato ed il suo fondamentale ed ancora non pienamente riconosciuto ruolo nell'ambito del giudizio di colpevolezza. Resta tuttavia il fatto che il controfattuale della causalità omissiva e quello della causalità della colpa (id est dell'evitabilità dell'evento) tendono in prima approssimazione a sovrapporsi, ad identificarsi. Ciò significa che, dovendosi risolvere in primo luogo un problema di causalità materiale, la regola di giudizio è quella della ragionevole certezza propria dell'imputazione oggettiva dell'evento; e non quella delle apprezzabili possibilità di successo che caratterizza la causalità della colpa.»
[14] M. SANTISE, F. ZUNICA, Coordinate ermeneutiche di diritto penale, Torino, 2018.
[15] Cfr. R. GAROFOLI, op. cit.
[16] Cfr. R. GAROFOLI, Manuale di diritto penale parte generale, Roma, 2018.
[17] Cfr. R. GAROFOLI, op. cit.
[18] Cfr. Cassazione penale, sez. IV, sentenza n. 28187/2017.
[19] Cfr. Cassazione penale, sez. IV, sentenza n. 28187/2017, in motivazione: «La contraddizione potrebbe essere risolta sul piano dell'interpretazione letterale, ipotizzando che il legislatore abbia voluto escludere la punibilità anche nei confronti del sanitario che, pur avendo cagionato un evento lesivo a causa di comportamento rimproverabile per imperizia, in qualche momento della relazione terapeutica abbia comunque fatto applicazione di direttive qualificate; pure quando esse siano estranee al momento topico in cui l'imperizia lesiva si sia realizzata. Un esempio tratto dalla prassi può risultare chiarificatore. Un chirurgo imposta ed esegue l'atto di asportazione di una neoplasia addominale nel rispetto delle linee guida e, tuttavia, nel momento esecutivo, per un errore tanto enorme quanto drammatico, invece di recidere il peduncolo della neoformazione, taglia un'arteria con effetto letale. In casi del genere, intuitivamente ed al lume del buon senso, non può ritenersi che la condotta del sanitario sia non punibile per il solo fatto che le linee guida di fondo siano state rispettate. Una soluzione di tale genere sarebbe irragionevole, vulnererebbe il diritto alla salute del paziente e quindi l'art. 32 Cost., si porrebbe in contrasto con i fondanti principi della responsabilità penale. Tali ragioni che rendono impraticabile la letterale soluzione interpretativa di cui si discute devono essere debitamente, analiticamente chiarite».
[20] C. MAZZONE, Il contrasto giurisprudenziale sull’art. 590-sexies c.p. fino alla sentenza delle Sezioni Unite n. 8770/2018, pubblicata il 31.05.2018 su SalvisJuribus.it.
[21] Cfr. Cassazione penale, sentenza n. 50078/2017, in motivazione: «L'articolo 590-sexies del Cp integra una "causa di non punibilità" dell'esercente la professione sanitaria, applicabile, alle condizioni di legge, indipendentemente dal grado della colpa, nel solo caso della colpa per "imperizia" nella fase esecutiva dell'applicazione delle linee guida ovvero delle buone pratiche clinico assistenziali».
[22] Cfr. Cassazione, Sezioni Unite n. 8770 del 2018, in motivazione: «Oltre a ciò, la circoscrizione, dovuta alla legge Gelli-Bianco, della causa di non punibilità alla sola imperizia spinge ulteriormente verso l'opzione di delimitare il campo di operatività della causa di non punibilità alla "colpa lieve", atteso che ragionare diversamente e cioè estendere il riconoscimento della esenzione da pena anche a comportamenti del sanitario connotati da "colpa grave" per imperizia - come effettuato dalla sentenza Cavazza - evocherebbe, per un verso, immediati sospetti di illegittimità costituzionale per disparità di trattamento ingiustificata rispetto a situazioni meno gravi eppure rimaste sicuramente punibili, quali quelle connotate da colpa lieve per negligenza o imprudenza; determinerebbe, per altro verso, un evidente sbilanciamento nella tutela degli interessi sottesi, posto che la tutela contro la "medicina difensiva" e, in definitiva, il miglior perseguimento della salute del cittadino ad opera di un corpo sanitario non mortificato nè inseguito da azioni giudiziarie spesso inconsistenti non potrebbero essere compatibili con l'indifferenza dell'ordinamento penale rispetto a gravi infedeltà alle leges artis, nè con l'assenza di deroga ai principi generali in tema di responsabilità per comportamento colposo, riscontrabile per tutte le altre categorie di soggetti a rischio professionale; determinerebbe, infine, rilevanti quanto ingiuste restrizioni nella determinazione del risarcimento del danno addebitabile all'esercente una professione sanitaria ai sensi dell'art. 7 della legge Gelli-Bianco, poichè è proprio tale articolo, al comma 3, a stabilire una correlazione con i profili di responsabilità ravvisabili ex art. 590-sexies cod. pen.».
[23] Cfr. Cassazione, Sezioni Unite n. 8770 del 2018, in motivazione: «L'articolazione colpa grave/altre tipologie di condotte rimproverabili, pur causative dell'evento, è presente nelle valutazioni giurisprudenziali sui limiti della responsabilità penale del sanitario che, sotto diversi profili, hanno valorizzato nel tempo i principi e la ratio della disposizione contenuta nella norma citata, plasmata, invero, nell'ambito civilistico del riconoscimento del danno derivante da prestazioni che implichino soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà e che lo esclude, appunto, salvo il caso di dolo o colpa grave.
Ebbene, tralasciando l'ormai sopito dibattito sulla non diretta applicabilità del precetto al settore penale per la sua attinenza alla esecuzione del rapporto contrattuale o al danno da responsabilità aquiliana, merita di essere valorizzato il condivisibile e più recente orientamento delle sezioni penali che hanno comunque riconosciuto all'art. 2236 la valenza di principio di razionalità e regola di esperienza cui attenersi nel valutare l'addebito di imperizia, qualora il caso concreto imponga la soluzione del genere di problemi sopra evocati ovvero qualora si versi in una situazione di emergenza.
Ciò che del precetto merita di essere ancor oggi valorizzato è il fatto che, attraverso di esso, già prima della formulazione della norma che ha ancorato l'esonero da responsabilità al rispetto delle linee-guida e al grado della colpa, si fosse accreditato, anche in ambito penalistico, il principio secondo cui la condotta tenuta dal terapeuta non può non essere parametrata alla difficoltà tecnico-scientifica dell'intervento richiesto ed al contesto in cui esso si è svolto (Sez. 4, n. 4391 del 12/11/2011, dep. 2012, Di Lella, Rv.251941; Sez. 4, n. 16328 del 05/04/2011, Montalto, Rv. 251960; Sez. 4, n. 39592 del 21/06/2007, Buggè, Rv. 237875; Sez. 4, n. 1693 del 29/09/1997, dep. 1998, Azzini, non massimata sul punto). Sicchè l'eventuale addebito di colpa era destinato a venire meno nella gestione di un elevato rischio senza errori rimproverabili connotati da gravità. Viceversa, quando non si fosse presentata una situazione emergenziale o non fossero da affrontare problemi di particolare difficoltà, non sarebbe venuto in causa il principio dell'art. 2236 cod. civ. e non avrebbe avuto base normativa la distinzione della colpa lieve. Ne conseguiva che il medico in tali ipotesi, come in quelle nelle quali venivano in considerazione le sole negligenza o imprudenza, versava in colpa, essendo pacifico che in queste si dovesse sempre attenere ai criteri di massima cautela.
Un precetto, quello appena analizzato, che mostra di reputare rilevante, con mai perduta attualità, la considerazione per cui l'attività del medico possa presentare connotati di elevata difficoltà per una serie imprevedibile di fattori legati alla mutevolezza del quadro da affrontare e delle risorse disponibili. Sicchè, vuoi sotto un profilo della non rimproverabilità della condotta in concreto tenuta in tali condizioni, vuoi sotto quello della mera opportunità di delimitare il campo dei comportamenti soggetti alla repressione penale, sono richieste misurazioni e valutazioni differenziate da parte del giudice.»
[24] Cfr. Cassazione penale, sez. IV, sentenza n. 4063/2021, par. 2: «Il fatto, come descritto nella sentenza di merito, può essere così riassunto. In data (OMISSIS), R.D. era trasferito, a bordo di un'ambulanza, presso l'Unità operativa del Pronto Soccorso di (OMISSIS), in quanto affetto da cefalea retronucale e cervicalgia. A seguito di tomografia computerizzata, la radiologa, dottoressa V., attestava quanto segue: "non si rivelano lesioni focali encefaliche sovra e sottotentoriali, nè raccolte ematiche sottotecali in atto. I ventricoli sono regolari per ampiezza e morfologia. Le strutture della linea mediana sono in asse". Il R. era dimesso dal medico di Pronto soccorso con prescrizione di terapia analgesica e miorilassante. Successivamente, in data (OMISSIS), veniva colpito da un'acuta cefalea che lo portava ad uno stato di coma. Le sue condizioni si aggravavano, nonostante l'intervento chirurgico praticato sulla sua persona, con esito mortale causato da una emorragia cerebrale massiva. La Corte di merito, condividendo le giustificazioni espresse da primo giudice, ha confermato la pronuncia di responsabilità a carico della imputata, osservando che tutti gli specialisti che si erano occupati della vicenda avevano concordato sull'erroneità della lettura della tomografia encefalitica da parte dell'imputata ed aggiungendo che la constatazione del Dott. F. - radiologo che aveva affiancato la Dott.ssa C. nell'espletamento della perizia sul caso - il quale aveva ammesso che non era in grado di interpretare correttamente quella tomografia computerizzata, benchè avesse una lunga esperienza quale primario radiologo, dimostrava come l'imputata fosse stata negligente nel rilasciare la certificazione. La sua negligenza, si legge in motivazione, era accresciuta dal fatto che la ricorrente aveva ammesso che il risultato della TAC era sfuocato e che solo un radiologo esperto e specializzato avrebbe potuto individuare tale patologia. In altro passaggio della motivazione si accenna alla grave imperizia e alla grave la negligenza della ricorrente. Si afferma pure che il richiamo alle linee guida nel presente caso sono del tutto inconferenti.»
[25] Cfr. Cassazione penale, sez. IV, sentenza n. 4063/2021, in motivazione: «La motivazione ha tralasciato di indicare se il caso concreto sia regolato da linee-guida o, in mancanza, da buone pratiche clinico-assistenziali. Ha poi trascurato di considerare il nesso di causa, tenendo conto del comportamento salvifico indicato dai predetti parametri e di specificare chiaramente se si sia trattato di colpa per imperizia, negligenza o imprudenza. Ha quindi mancato di indicare il grado della colpa, in relazione al quale viene in considerazione l'aspetto, appena lambito, della difficoltà di lettura della TAC, ammesso peraltro da uno dei componenti del collegio peritale esperto in radiologia. Proprio dall'imprescindibile grado della colpa discendono conseguenze rilevantissime, come ha messo in evidenza la difesa. Il grado della colpa, alla luce del decreto Balduzzi, è la premessa indispensabile per discernere l'ambito del penalmente rilevante nella materia della colpa medica (L. 8 novembre 2012, n. 189, art. 3: "L'esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve") In seguito all'entrata in vigore della legge Balduzzi, accanto a sentenze nelle quali si ritiene necessario accertare "se vi sia stato un errore determinato da una condotta negligente o imprudente" pur a fronte del rispetto di linee guida accreditate presso la comunità scientifica (Sez. 4, n. 18430 del 05/11/2013 - dep. 2014, Loiotila, Rv. 261294), ve ne sono altre secondo le quali la disciplina di cui all'art. 3 della legge Balduzzi, pur trovando terreno d'elezione nell'ambito dell'imperizia, può tuttavia venire in rilievo anche quando il parametro valutativo della condotta dell'agente sia quello della diligenza (Sez. 4, n. 47289 del 09/10/2014, Stefanetti, Rv. 260739), o comunque in ipotesi di errori connotati da profili di colpa generica diversi dall'imperizia (Sez. 4, n. 23283 del 11/05/2016, Denegri, Rv. 266903).»